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VIII: Errore



Chiudi gli occhi e immagina il pomeriggio perfetto.

Non avrei mai pensato che il mio potesse avvicinarsi pericolosamente a Wrecking Ball di Miley-qualcosa sillabata a squarciagola da un pessimo cantante alias cheerleader, al feroce odore di smalto per unghie e all'appetitoso sentore di mirtilli. Eppure, adesso è tutto quello di cui ho bisogno.

La pasta friabile del bordo della crostata mi si scioglie in bocca in un burroso gusto che sa di marmellata, e nonostante il puzzo di acetone mi aggredisca i canali olfattivi con una certa violenza, il connubio di sapori e profumi non è così terribile, se accostato all'intera situazione, che mi fa sorgere un sorriso spontaneo. La risatina parte in automatico, visto che la lamentosa nenia di Leo è la cosa più gradevole che abbia sentito negli ultimi giorni.

Ormai è venerdì e la mia prima settimana di scuola è conclusa: non ci sono state grandi novità, a parte il fatto che non potrò far visita a Miguel Hebrew per le due settimane a venire, dopo aver approfittato dei disordini cittadini per ottenere una seconda visita non proprio autorizzata e decisamente non in piena regola. Ripensare a quell'uomo senza manette, libero di girovagare nella mia stessa stanza, di avvicinarsi e di toccarmi, mi fa scorrere un brivido lungo la schiena. Anche se, aspettare sino alla fine del mese per rivederlo dopo che ho ottenuto finalmente la possibilità di sapere la verità, mi fa sentire incerto. Insicuro. Impaziente. Voglio sapere tutto e subito, non aspettare così tanto: più i giorni passano, più temo che quando arriverà il momento, qualcosa andrà storto e non saprò più nulla.

«I came in like a wreeeeecking baaaall!!» Un acuto particolarmente stonato – al punto da far vibrare un bicchiere di latte ormai vuoto – mi riporta alla realtà insieme ad un veloce battito di ciglia.

«Sei veramente atroce.» esclamo, stropicciando le labbra nel tentativo di trattenere a stento una risata. Con tutto quello che è successo nella settimana, ho quasi finito per ignorare il mio "migliore amico", o meglio, il ragazzo che mi ha definitivamente salvato da un disastroso inizio scolastico. Trasferirsi a metà dell'anno non è mai una buona idea, ma se c'è un'anima pura disposta ad accompagnarti nella disastrosa ascesa agli Inferi chiamati High School, non può essere poi così brutto. Perciò Leonard Mikeller è il mio migliore amico, credo. Anche se lo conosco solo da una settimana.

Sono consapevole di averlo evitato ed ignorato a causa della frenesia degli eventi, e forse anche volenteroso di restare da solo con me stesso come ho sempre fatto, chiudendomi in un riccio di insicurezze e di paure dove nessuno, a parte me, è ammesso. Ho avuto perfino paura che decidesse di non rivolgermi più la parola, pentito di avermi dato troppa confidenza. Sono pur sempre il fenomeno da baraccone della città: il prodotto di una tragedia che adesso stava incominciando di nuovo.

Eppure, dopo la giornata dell'interrogatorio non mi ha mollato per un attimo, fino a farsi strappare la promessa di passare il fine settimana con lui e per un po' anche col suo ragazzo, per farmi perdonare. Stranamente, tutto questo mi piace. La canzone stonata che non rientra minimamente nei miei gusti musicali, la buonissima crostata ai mirtilli di sua madre, il puzzo di smalto viola che si mette ai piedi cercando di costringermi – con scarsissimo successo – a fare lo stesso. Mi piace perfino il suo perfido gattone, un burmese color castagna con gli occhi dorati, che resta appollaiato come un piccione sul ventre di Leo, soffiando bruscamente contro le mie dita ogni volta che provo ad accarezzarlo.

«Ehi, non insultare le mie magnifiche abilità canore. Non sai di cosa parli, dilettante!» Fa vibrare la lingua in una maestosa pernacchia piena di sputi, un attimo prima di addentare un morso di crostata, il secondo pezzo. La regge con la mano sinistra, mentre con la destra impugna il pennellino dello smalto, che si sta distribuendo abbondantemente sull'alluce, contorcendosi con la coscia contro il petto, il mento sul ginocchio e il braccio che avvolge lo stinco. E non dimentichiamoci del micio spiaccicato fra la gamba e la sua pancia. Allungo le dita per dargli un buffetto affettuoso sotto al muso, ma ancora una volta soffia così forte che il pelo gli si arruffa su tutto il corpo, irto come gli aculei di un riccio. «Wow, ti odia proprio!»

«Purtroppo, non piaccio molto agli animali.» rispondo, stringendomi nelle spalle mentre Leo ride di gusto, tossicchiando immediatamente dopo, perché qualche briciola gli è andata di traverso.

«Eppure la mia Kitty è dolce e gentile con tutti!» Distende le gambe per prendere la micia da sotto alle zampe e scuotersela davanti alla faccia, come quelle madri moleste con i neonati. «Veeeero, ucci pucci del papy, vero, vero?» Mentre lui le bacia il muso con schiocchi fortissimi – e giuro di sentire delle fusa – mi lascio pigramente cadere sul lettone del cheerleader, esaminando ancora una volta la sua camera da letto.

Mi ha raccontato che in origine era la stanza di sua sorella, ora fuori città per un college super esclusivo, e che per questo le pareti sono lilla. Non ha mai voluto cambiarle, però: afferma che il colore gli piaccia parecchio. Fili di foto istantanee sono appese alla parete e avvolti da lucine colorate. Nella maggior parte ci sono lui e Matt in troppi posti diversi: ad un pub ad alzare i boccali di birra insieme, abbracciati sotto al vischio con cappelli da Babbo Natale, su una ruota panoramica, a prendere il sole in spiaggia, con costumi cordinati ad halloween, in smoking ad un ballo scolastico. E molte in cui si baciano semplicemente. Non credo che esista una coppia più affiatata di loro.

Come se mi avesse letto nel pensiero, all'improvviso Leo mette in pausa youtube, molla il suo gatto e si radrizza sul letto. «Con tutto questo cambiare discorso, non pensare di farmi dimenticare la cose serie!» Mi punta con i suoi maliziosi occhi color cioccolata, sogghignando. «Parlavamo di Dimitrij, no?» Mi irrigidisco all'improvviso, come una statua. Credo anche di arrossire, visto che il mio amico sorride ancora di più, come se avesse notato qualcosa di divertente. «Allora, finisci di raccontarmi tutto quanto. T u t t o.» Avvita con forza lo smalto, estremamente interessato, mentre io rimpiango di non essere riuscito a cambiare argomento in maniera tanto efficace da fargli mollare l'osso.

Sospiro. «Okay, al gioco di Helen ci siamo baciati, ma non è stato un gr...»

«VI SIETE BACIATI?!» sbotta, sobbalzando dal letto insieme a me, visto l'urlo a sorpresa.

«Fammi finire!» Metto subito le mani avanti. Metaforicamente e letteralmente. «Ammetto che mi ha aiutato un paio di volte... Tipo il primo giorno.» Adesso che mi viene in mente, l'apparizione di quell'uomo mascherato – o donna, chissà – potrebbe non essere stato neppure uno scherzo. «E anche con l'interrogatorio. Ma...»

«ODDIO, ma quindi mi stai dicendo che gli piaci?!» Sgrana le pupille come due palle da biliardo. «Il gran figo misterioso e scapestrato della scuola che si prende una cotta per te! Incredibile! Voglio sapete tutto! Devi dirmi come bacia, e poi...» Invece non gli dico che bacia anche troppo bene.

«Ti ho detto di farmi finire di parlare!» sbraito, corrucciandomi, cosa che lo zittisce in fretta, ma la sua impazienza si nota dai numerosi cenni col mento, che mi invitano a proseguire. «Ha ammesso di aver fatto tutto perché vuole che io sia in debito con lui.» Mi rabbuio. Certo, ha anche ammesso qualcosa di contorto sul fatto che io gli piaccia, ma lo tengo per me, perché sono sicuro che Leo gonfierebbe la faccenda facendomi sembrare una Giulietta in attesa del suo Romeo russo.

«Oh... Quindi è stronzo proprio come appare.» riflette, accarezzandosi le unghie dei piedi per capire se lo smalto si sia asciugato. «Però non ha mai aiutato nessuno prima d'ora, neppure per secondi fini. Se ne frega altamente della scuola e dei suoi coetanei... Perciò mi sembra strano.» riflette, infilandosi i calzini. Prima di sentirlo dire da lui, non ci avevo pensato.

«Spiegati.»

«Dico che avrebbe potuto chiedere qualsiasi cosa alla maggior parte delle ragazze, alla Sunset. Visto come gli corrono dietro.» Si umetta le labbra, spazzolandosi via dal golfino di un accecante verde lime briciole di crostata, quelle che non è riuscito a leccare il gatto. «Invece non l'ha mai fatto, il che mi lascia un po' perplesso. E poi ero un po' fatto alla festa, lo ammetto. Ma mi ricordo che quando è arrivato il momento di girare la bottiglia per decidere chi fosse la persona ad entrare nello stanzino con te, lui si sia comportato in maniera parecchio strana.» Ridacchia.

«In che senso?» Sgrano gli occhi.

«Sono certo che abbia urtato il tavolo per far finire la bottiglia verso di lui.» Rimango a bocca spalancata. «Me lo ricordo perché Helen l'ha guardato come sua madre guarderebbe Satana se si facesse vedere alla messa della domenica! E i suoi genitori sono dei puritani fanatici, te lo assicuro!» chiacchiera, divagando come al suo solito, mentre la mia faccia cambia colore, come un semaforo. E' la confusione, l'imbarazzo e l'incredulità. «Mah, secondo me dalla morte di quel babbeo di Carter le persone iniziano a comportarsi in modi mai visti prima.» Scuote la testa. «Riesci a crederci? Hanno sgozzato a sangue freddo un nostro coetaneo, proprio in questa minuscola città!»

Per fortuna, il discorso cambia e non parla più del biondo sovietico e delle sue stranezze. Per mia sfortuna, l'argomento diventa ancora più spinoso. Strizzo le labbra in una smorfia. «Già...» Eppure, una strana, tiepida consapevolezza inizia a prendere forma dentro di me.

«Cioè, era una una testa di cazzo di quelle insopportabili, però... L'idea che ci sia qualcuno che ammazza la gente a piede libero, mi fa proprio venire i brividi!» Abbraccia Kitty così forte che avverto un miagolio di protesta dalla sua stretta. «E immagino che sia un casino per te.» Mi guarda negli occhi e la sua espressione muta. Come una crisalide che diventa farfalla. Dal volto di un amico pettegolo e logorroico, viene fuori una faccia triste e comprensiva. Affettuosa. Ne rimango tanto colpito che arretro un poco sul letto. «Con tutto quello che ti è successo, questa storia è spaventosamente assurda.»

«Sì.» Abbasso gli occhi sul lenzuolo. Quella consapevolezza diventa sempre più nitida, sino ad assumere una forma. Solida e tangibile. Con lui posso parlare, mi dice, con lui posso. Mi mordo un labbro inferiore. Deglutisco. «Ascolta...» Esito. Il cuore mi batte così forte che posso sentirlo, negli attimi di silenzio che seguono, colmati solo dal vibrare delle fusa di Kitty. «Se ti dico una cosa, mi prometti di tenerla segreta?» I sospiri che seguono vengono precisamente enumerati nella mia testa: un'inalazione da parte mia, un'espirazione da parte sua. Pupille che si dilatano e curiosità e paura dipinte nelle cortine della nostra bianchissima sclera.

«Ovvio. Anche se non sembra, io mantengo sempre i segreti.»

Chiudo gli occhi, afferrandomi un lembo della maglietta per torturarlo fra le dita. «Soffro di attacchi di panico.» Mi mordo l'interno della guancia, tenendo ancora le palpebre serrate. «Che a volte mi fanno svenire.» A questo punto alzo lo sguardo su di lui. So che le mie mani hanno iniziato a sudare, perciò mi asciugo velocemente i palmi sui jeans, cercando di scacciare il tremore crescente. «L'ultimo giorno in cui Carter era a scuola, se l'è presa con me fuori dalla mensa. Ho finito per perdere i sensi e quando mi sono svegliato...» Leo non mi interrompe, ma posso vedere la sua carnagione bruna impallidire. «Quando mi sono svegliato, mi ritrovavo nel bosco dove lui è stato...» Non riesco a continuare la frase.

So di avere le lacrime agli occhi, perciò non le trattengo. So di non riuscire a raccontargli che non avevo i vestiti e che il mio pick-up era parcheggiato proprio sul ciglio della strada, perciò non lo faccio. Mi limito a farmi abbracciare da lui. E ora so anche che, se prima non ero certo che fossimo migliori amici, adesso ne sono più che sicuro.



***


Phantasmagoriana.

Il gessetto batte contro la lavagna, disegnando linee bianche in uno stampatello preciso, mentre il rolex del professore rapisce i bagliori delle luci nell'aula. Il clima uggioso non fa filtrare dalle tapparelle nemmeno un filo di sole, disperso da qualche parte fra le nuvole com'è dispersa la decenza negli anfratti di Sunset Lane. Dopo tutto quello che è accaduto, le persone mi guardano in maniera più cupa, rispetto al mio arrivo: se prima ero la novità, adesso sono la maledizione. Colui che ha portato insieme a sé la scia di tragedia.

«Rimaniamo sul tema centrale delle nostre ultime lezioni.» La voce coinvolgente del professore aiuta a risvegliarmi dal turbine di pensieri, mentre lui sottolinea la parola che ha già scritto con lunghe passate di bianco. Arcua una freccia verso l'alto. «Il genere gotico.» Appunta sulla lavagna cerchiando l'argomento, senza voltarsi ancora, privandomi della possibilità di studiarlo.

Sono entrato piuttosto velocemente nell'aula, in modo da poter reprimere l'istinto di investire la moto di Dimitrij o anche solo di incontrarlo, fiancheggiato da un Leo più chiacchierone che mai. Era eccitato all'idea di riprendere le lezioni col professore di letteratura inglese, di cui mi aveva tanto sparlato i primi giorni.

Adesso, i suoi occhioni color castagna indugiano fin troppo su quella figura, così come lo fa anche la maggior parte delle ragazze, l'espressione maliziosamente attenta stampata nell'arco delle sopracciglia. Ne sono quasi lieto, visto che l'attenzione non è più concentrata su di me, ed io posso semplicemente abbandonarmi ad un indolente scarabocchiare sul blocco vuoto degli appunti.

Ma non sono indifferente a quel che mi accade intorno: per assurdo siamo tutti insieme durante questa lezione. Leo seduto al banco alla mia destra, Charlie ad uno di distanza alla mia sinistra, Amy e Joil dietro di me e, più distante, ma ancor più presente di tutti gli altri, Dimitrij. Mi volto a lanciargli un'occhiata di sottecchi, ma lui guarda altrove, lo sguardo sfumato di ceruleo che filtra nella tapparella per scrutare i boschi della Virginia con un'aria illeggibile. La matita lievemente appoggiata sulla piega del labbro inferiore, cosa che mi spinge ad osservare la sua bocca e corrucciarmi quando mi accorgo che lo sto facendo. In quell'istante, i suoi occhi scattano verso di me ed io fuggo a guardare la lavagna, la testa incassata fra le spalle e un groppo in gola che ingoio rapidamente.

«Ascoltate, ragazzi.» Finalmente, il professore si volta, pronto a girare intorno alla cattedra, lasciando andare il peso del corpo sul bordo del tavolo per poter incrociare le gambe con una postura assolutamente disinvolta. «Capisco che ciò che è accaduto al vostro miglior corridore vi abbia sconvolto, ma cercate di non pensarci e di focalizzarvi sulla lezione.» Più che altro, è difficile non focalizzarsi su di lui.

Mi chiedo come abbia fatto a non notarlo dall'inizio della spiegazione, e capisco anche perché siano tutti così attratti da lui. Calamitati. Come se il professore avesse un carisma tutto suo, che spinge i suoi alunni a non perderlo di vista. E il più è merito dell'aspetto fisico, del viso squadrato tinteggiato da un velo di barba a rendere inspidi gli zigomi alti, della chioma scura appena tirata indietro dal gel in una piega anni trenta, dalla montatura sottile degli occhiali dorati che si lascia scivolare via dal naso per intrappolarli nell'apertura della camicia azzurra. I primi bottoni aperti, una cravatta blu notte allentata ed infilata dentro ad un panciotto di camoscio color cammello. Ogni dettaglio di sé curato minuziosamente, ogni elemento un richiamo per lo sguardo.

E' quel genere di professore appariscente che troveresti in una cattedra universitaria a Boston o a Seattle, non certo in un paesino sperduto della Virginia, in un liceo qualunque.

«Mi sai dire che cos'è la Phantasmagoriana...» I suoi occhi verdi scandagliano l'aula, in cerca di uno studente, sino a fermarsi sui primi banchi. «...Leonard?»

Le sue spalle hanno un sussulto. «Mmh... La nuova linea d'abbigliamento di Madonna?» risponde in fretta, senza mai farsi mancare le parole anche se evidentemente non ha idea di cosa stia parlando. Un'ondata di risatine si diffonde fra i banchi, coinvolgendo lo stesso professor Lewis – informazione che ho appreso dal foglio dei miei orari definitivi – prima che Joil batta una scarpa sotto alla sedia di Leo.

«La letteratura non c'entra niente col tuo golfino nuovo!» esclama, lanciando un'occhiata ad Amy con un'espressione divertita e una marea di treccine nere raccolte in una coda alta che sferzano lo spazio intorno a lei.

«E perché no?» riprende subito il professore, accarezzandosi velocemente la barba mentre rivolge a tutti un'occhiata intrigante. «La letteratura ha molteplici volti. Può parlare della moda così come può parlare del design e di tanti altri temi. Sapevate che il gotico ruota intorno all'architettura? Castelli, fortezze, chiese, rovine...» Si spolvera le mani dallo strato bianco che il gesso gli ha lasciato sulle dita. Il silenzio torna a regnare nell'aula. «La ricerca dell'atmosfera serviva a creare la giusta dose di decadenza. Un castello buio richiamava l'idea delle torture medievali, rituali, superstizioni. Il crollo delle creazioni umane.» spiega, camminando verso la lavagna per indicare con l'indice ciò che ha scritto. «La Phantasmagoriana ha dato inizio ad opere illustri come Frankenstein o Il Vampiro di Polidori, e da lì Dracula, il Corvo, Jekyll e Mr. Hide...»

Si volta verso la classe, sorridendo per mostrare una dentatura perfetta. «Vedete, c'è l'idea del mostro alla base del tutto. Parlo dell'emarginato. Parlo del diverso. Parlo di...» La mano si muove in un gesto che pare indicarmi. «Noah e Dimitrij.»

Mi congelo. «Che cosa, scusi?»

«Voglio dividervi in coppie.» Si avvicina al mio banco, schiudendo le labbra sovrappensiero. «Ad entrambi darò la possibilità di lavorare su un racconto a scelta della Phantasmagoriana. E lo faranno anche...» Gli occhi guizzano un po' dappertutto. «Amy e Joil.» Si lanciano di nuovo quegli sguardi complici, mentre io me ne sto a bocca spalancata come un pesce lesso. «Helen e Leo.» Impossibile non notare gli occhi del cheerleader roteare verso l'alto, mentre il professore nomina le restanti coppie e il suono della campanella tintinna per tutta la scuola. «Andate a lavorarci in biblioteca, mi raccomando!»

Mi affretto a raccogliere le mie cose per infilarle nello zaino e darmela a gambe, prima che il russo decida di raggiungermi e punzecchiarmi in uno dei suoi modi perfidi e contorti. Tuttavia, si ferma a braccia conserte accanto alla porta, con la giacca di pelle poggiata sulle spalle e un dolcevita verde foresta il cui tessuto si fonde col colore delle spine nel tatuaggio che gli si accoccola nella curva del collo. Cerco di evitarlo in ogni modo, ma il professor Lewis viene in mio soccorso: supera lo stormo di groupie che si complimentano per la lezione e mi raggiunge, facendomi cenno di andare verso il fondo dell'aula, come se non volesse essere udito.

«Benvenuto al mio corso di letteratura, Noah.» esordisce, abbozzando le labbra in un sorriso affabile, fra le mani trattiene un libro che intrappola sotto ad un braccio. «Mi sono fatto inviare dalla segreteria una copia del tuo vecchio programma, e ho notato che sei un po' indietro.» corruga leggermente la fronte. «Ricorda che puoi fermarti alla fine delle lezioni a chiedere ulteriori spiegazioni o un ripasso, sono sempre disponibile per questo.» L'espressione si addolcisce, mentre ripete quel gesto che, a quanto ho capito, compie durante le sue riflessioni. Si accarezza la barba con la punta delle dita.

«Anche solo per parlare, se ti serve. Sei arrivato in un momento spiacevole per questa città, e sono certo che in molti non ti stiano riservando il giusto benvenuto.» Getta un'occhiata breve ai banchi vuoti nelle vicinanze. «Capisco che usufruire della consulenza scolastica sia un po'...» Stringe le labbra, in cerca della parola giusta. «Disagevole, per alcuni. Ecco perché con un professore potrebbe essere più semplice.»

Un'espressione di completo stupore mi si disegna sulla faccia, ed anche se il mio sguardo fin troppo scuro tende a celare bene ciò che provo, stavolta deve essere chiara la sorpresa e il sollievo. In una scuola come questa, mi servono "alleati". Se così posso chiamarli.

«Lei è gentile... Ehm.. Grazie.» rispondo, in imbarazzo, mentre annuisco per dar segno di aver compreso ciò che intende. Non mi confiderò certo con un professore appena conosciuto, ma terrò a mente l'offerta.

«Mi fa piacere fare il mio lavoro, Noah.» Mi poggia una mano sulla spalla, con una stretta salda ma contenuta che ha la stessa valenza di una pacca sulla schiena. «Ci vediamo alle prossime lezioni.»



***



«Con questa mano, io dissiperò i tuoi affanni.» L'accento russo di Dimitrij mi si arrotola come filo spinato nelle orecchie, mentre gli occhi splendono di oscuri bagliori grigio-neri, a causa delle mie pupille riflesse nel suo sguardo. «Il tuo calice non sarà mai vuoto, perché io sarò il tuo vino.» Seguo attentamente i movimenti delle sue labbra, che intonano con un ritmo cadenzato parola dopo parola, come se le conoscesse a memoria. «Con questa candela illuminerò il tuo cammino nelle tenebre.» continua, fissandomi anche quando ho tutta l'intenzione di ignorarlo. Ma con un tipo come lui, è un compito difficile.

«E con questo anello...» Si sfila una fascetta d'argento intorno all'anulare, allungandola verso di me. Prima che io possa allontanare la mano, l'ha già catturata, distendendo il pollice per circondarlo con quello stesso anello, ancora caldo a causa sua. «Io ti chiedo di essere mio.»

Sono quasi tentato di tirargli un calcio sotto al tavolo della biblioteca, ma mi limito a liberarmi dalla sua presa strattonando il polso, con le guance roventi. «Non credo che la sceneggiatura di Tim Burton abbia qualcosa a che fare con la Sposa Cadavere della Phantasmagoria.» borbotto, guardandomi intorno per verificare che nessuno si sia accorto della situazione imbarazzante. Intanto, cerco di sfilarmi l'anello, che ha incastrato così bene da non riuscire a liberarmene più.

«Questo lo dici tu.» gongola, osservando la mia lotta inutile fra pollice e metallo. «Perché non te lo tieni?»

«Perché non lo voglio!» sbraito, rispondendo a modo alla sua falsissima richiesta di matrimonio, che sembra più una tattica per farsi sentire dagli altri e farmi odiare ancora di più.

«Così mi spezzi il cuore.» Si allunga sul tavolo, verso di me, come se stesse per confessarmi un segreto. «Mi stavi guardando, a lezione.» Avvampo.

«Non ti stavo guardando.» Mi schiarisco la voce. «E comunque, preferisco un racconto come L'Ora Fatale.» Corro ai ripari cambiando argomento, ma la cosa sembra divertirlo parecchio.

«Dopo che un tizio è stato sgozzato la settimana scorsa, mi sembra un'ottima trovata, Lentiggini.» commenta, allungando una gamba sotto al tavolo in modo da farla scontrare con la mia, riesco a sentire il contatto fra i nostri polpacci, riesce a sentirlo anche il mio pomo d'Adamo, che balla su e giù nel deglutire più volte, come un pendolo. «A questo punto portiamo Ritratti di Famiglia e sottolineamo la tua simpatica autoironia.»

Quel racconto parla di un padre di famiglia costretto a dare la morte a tutti i suoi figli più giovani a causa di una maledizione. E con le mie tragedie passate, parlare di omicidi fra figli e genitori sembra un modo quasi deviato di ricordare a tutti che sono il famoso Bambino di Halloween. Gli indirizzo un'occhiataccia.

«Fottiti, davvero.» mugugno, prima di sobbalzare alla vibrazione di un messaggio nella tasca dei jeans e dare un'occhiata. E' un SMS di Leo, che sembra esser messo a dura prova da Helen. Siede a qualche tavolo di distanza rispetto al mio, ed è di spalle, ma posso vedere la faccia della biondina che si strizza in qualche smorfia e mi lancia occhiate infastidite, come se non sopportasse il fatto di non essere lei in coppia con Dimitrij. Le cederei volentieri il posto.

"La stronza rifiuta ogni mia idea, peggio di quando dobbiamo organizzare la coreografia per la partita di football! Voglio ficcarle un quaderno in bocca per farla stare zitta! E invece, come va ai miei piccioncini preferiti?" scrive il mio migliore amico. Alzo gli occhi al cielo.

"Uno schifo." Digito in fretta, e altrettanto in fretta risponde lui.

"Torniamo a casa insieme?" E immediatamente dopo: "Tipo, adesso?"

Non rispondo neppure, mi alzo dal tavolo sotto allo sguardo cangiante del biondo per poi issarmi sulle spalle lo zaino e proseguire verso il cheerleader. Una mano scivola sulla sua spalla per avvisarlo della mia presenza, e mentre lui si gira a guardarmi con aria raggiante, sento la sedia alle mie spalle strascicare, accompagnata da un rumore di passi appena percettibile.

Ancor prima di reagire, uno strattone al braccio mi costringe a fare una piroetta su me stesso, per cadere fra le braccia del sovietico. Non dice niente, non mi chiede niente, semplicemente si porta alle labbra le mie dita, avviluppando il pollice con la lingua per succhiare via l'anello, davanti agli occhi di tutta la biblioteca.

Il mio pallido colorito si trasforma, esplodendo come un fuoco d'artificio nella notte. Che illumina tutto di rosso. «...» Per la seconda volta, oggi sono a bocca spalancata, ma adesso il cuore mi schizza in gola.

«Avevi ragione, sembra proprio incastrato.» mi stuzzica, affilando ancora di più l'accento bolscevico per giocare la parte dello straniero pericoloso. Mentre io boccheggio come un pesce rosso affamato. Poi, si avvicina abbastanza da inclinarsi sopra di me, con le nostre ombre sul pavimento che si fondono. Mi sussurra: «Continueremo la ricerca a casa mia.»

Incespico all'indietro, cercando di scrollarmi di dosso la sensazione di quelle labbra vicino all'orecchio, che ormai conoscono il sapore della mia bocca, il mio collo, le mie dita. Sono ebbro di quelle sensazioni, delle immagini che mi passano come flash davanti agli occhi e mi fanno accendere come una torta di compleanno piena di candeline. «Nei tuoi sogni.»

Acciuffo Leo per il gomito e lo trascino via, più veloce che mai, sentendomi sempre più piccolo sotto agli sguardi di Dimitrij, Helen, le chiacchiere dei presenti e una bibliotecaria alquanto costernata dalla scena. Cammino così rapidamente da ritrovarmi ben presto nel corridoio, poi nell'atrio e subito sui gradini d'ingresso.

«Però! Intraprendente il ragazzo.» mugugna Leo con una risatina perfida e maliziosa, spingendomi lo stesso gomito che impugno fra le costole.

«Non è vero, ci prova solo gusto a farmi fare figure di merda.» Ho ancora le guance in fiamme.

«Per me invece non voleva essere ignorato.» riprende lui, facendo guizzare le sopracciglia più volte. «E hai pure il suo anello al dito...» La sua risata – decisamente poco virile – sprizza gioia da ogni poro color nocciola. «Oh, sono così felice! Adesso ci diciamo tutto, proprio come due veri amici!» Intreccia il mio braccio col suo, trotterellando verso il viale. «E sono contento che tu abbia deciso di parlarmi del bosco e di Carter...» Parla a voce più bassa, ed io mi guardo intorno.

«Già...» Anche se non sa tutto e non so se lo saprà mai.

«A proposito! Devo chiederti un SUPER favore da super amico, solo tu puoi aiutarmi!» Mentre io apro la macchina, lui congiunge le mani in segno di preghiera piegando un poco le ginocchia, spalle tutte incurvate all'ingiù. Potrebbe fare l'attore, per quanto sa essere buffo ed espressivo.

«Che genere di favore?» domando, con un'aria circospetta: se vuole sapere le misure del motociclista, be' può anche scordarsele.

«Ti ricordi che venerdì sei venuto a casa mia, no?» inizia ed io annuisco, entrando in macchina e aspettando che lui faccia lo stesso. «Non vedo il mio gatto da quel giorno.» Si imbroncia, mentre si allaccia la cintura e accavalla le gambe, aspettando che metta in moto. E così faccio. «Quella malefica palla di pelo va sempre in giro per i fatti suoi ad esplorare i dintorni, ma la sera torna sempre, specie in questa stagione. Ma stavolta sono giorni che non si fa vedere!»

«Oh...» mugugno, abbassando il volume della radio fra uno svincolo stradale e l'altro, per ascoltarlo.

«E se non torna sono fritto, mia madre ha comprato Kitty quand'era cucciola e l'ha pagata una fortuna. Sono certo che darà la colpa a me, come al solito.» Alza gli occhi al cielo, dopodiché torna a guardarmi e ad appiattire le mani in preghiera. «Ti preeeeeego, aiutami a cercarla nei dintorni! Potrebbe essersi nascosta da qualche parte nel tuo giardino!»

Sospiro, parcheggiando l'auto davanti al garage dei nonni. «Tranquillo, abbiamo tutto il resto della giornata.» Mi abbraccia trionfante, poi ci diamo appuntamento davanti a casa sua, dopo esserci liberati degli zaini. Mio nonno è ancora davanti alla tv, come al solito. Mia nonna lava, stira, pulisce, senza fermarsi un attimo. Li saluto di fretta ed esco fuori, intirizzito dal freddo ma pronto a dare la caccia al gatto come se ne andasse della vita di Leo.

«Non sai quanto mi stai salvando, da solo non ce la farò mai!» esclama, stringendosi in un piumino bianco latte che contrasta visibilmente con il colore dell'incarnato. «Comunque, è meglio dividersi, altrimenti non lo troveremo mai.» Annuisco. «Tu cerca nei ditorni di casa tua, controlla sotto alle macchine e fra i cespugli, io vedo dall'altra parte del quartiere, verso casa mia.» Mi ficca in mano un fazzolettino colmo di croccantini rifilandomi una pacca sulla spalla. «Chiama quando lo trovi!»

Così, finisco per restare solo. Ammetto di perdere tempo a fissarmi l'anello al pollice, ma poi scuoto in fretta il capo ed inizio a cercare. Il cielo è ormai diventato scuro, perché il sole cala in fretta in questo periodo, di conseguenza i lampioni si illuminano l'uno dopo l'altro, gettando bagliori biancastri sul marciapiede. Mi affretto a guardare sotto alle auto parcheggiate, sperando che sia rimasto nascosto piuttosto che investito mentre cercava di ritornare dai suoi padroni. E' per questo che non amo gli animali: vivono sempre troppo poco rispetto a chi li possiede, oppure finiscono per sparire da qualche parte lasciandoti solo. E allora che senso ha? Eppure, sono sicuro che quando eravamo piccoli, Josh avesse avuto un cane. Non ricordo più che cosa gli fosse accaduto, però.

«TROVATO NIENTE?» sento risuonare la voce di Leo, molto più lontano.

«NO!» urlo per farmi sentire, mentre un'altra vicina con sacchetti della spesa fra le braccia, intenta ad entrare in casa, si gira a guardarmi accigliata. Sospiro, accendendo la torcia del cellulare per essere sicuro di non farmi sfuggire nessun anfratto fra le ruote delle macchine, poi mi rialzo e sposto con la punta delle scarpe i fiori nelle aiuole, guardo perfino dentro al cestino dell'immondizia e alla cassetta delle lettere. Ma non trovo niente e sono quasi sul punto di arrendermi e accettare le future lamentele del mio amico.

Quasi mi dimentico di controllare sul retro della casa dei nonni, dando per scontato che, essendo una zona recintata, non l'avrei trovato. Sarebbe stato meglio dimenticarmene.

Quando giro l'angolo, i croccantini mi cadono di mano. Si riversano sul pavimento di pietra, rotolano, si fermano con ticchettii liquidi quando lo raggiungono. Il rosso scintilla in bagliori densi mentre io lo illumino con la torcia e un grido terrificante mi muore in gola, lasciandomi senza voce, paralizzato, terreo.

Il gatto di Leo è proprio lì, sul portico del retro. Le zampe ritte e rigide, il muso eternamente intrappolato in una smorfia irta di piccole zanne, come se stesse soffiando anche adesso. Ma è impossibile che lo stia facendo, perché è aperto in due come un libro. Con la pancia squarciata verticalmente e le viscere sparse sulle scalette. Un nugolo di moscerini ci banchettano sopra e la pozza di sangue gocciola fra un gradino e l'altro, risuonando nel silenzio che all'improvviso mi sembra innaturale. Spaventoso.

Poi, all'improvviso, il mio cellulare squilla. La torcia si spegne in un battito di ciglia, lasciandomi avvolto dall'oscurità, se non per il bagliore fioco di una chiamata anonima. Un dito tremante si solleva per premere il tasto di risposta, lentamente, agghiacciato.

La voce che risponde è disumana, metallica. E sta ridendo. «Non dovevi parlare. La prossima volta che disobbedirai, le viscere saranno dei tuoi amici!»

«...Smettila.» sussurro, con voce rotta e il cellulare stretto così forte che i polpastrelli sbiancano. I miei occhi riescono quasi a distinguere nel buio la forma indistinta di Kitty e delle sue viscere sparse sul portico posteriore dei miei nonni. «Smettila.» continuo, con più sicurezza, e il cuore che mi ringhia forte nelle orecchie, come un tamburo. Ma sto ringhiando anch'io, tanto che quasi faccio fatica a riconoscere la mia voce. «Smettila di giocare e di ricattarmi, sei solo uno psicopatico fuori di testa.»

La frustrazione, la rabbia, la profondità delle ferite che ho dentro bruciano come il ghiaccio secco sulla pelle nuda. Mi sento raggelare e ardere al tempo stesso, perché tutto questo è maledettamente sbagliato, e ingiusto, e orribile. Lo sguardo ferito di nonna, la stessa partita di nonno ripetuta in continuazione, gli sguardi di disapprovazione del coach che non troverà mai nulla di simile fra me e mio padre. Le insinuazione velenose di Miguel, i suoi segreti, i suoi inganni. Odio loro, odio lui, odio il sangue che continua a scivolare sui gradini del portico. Odio il misterioso codardo che si nasconde dietro ad una maschera, dietro ad un cellulare, uccidendo per terrorizzare la gente. Me.

«Lascia in pace me e i miei amici, non giocherò al tuo gioco perverso!»

Dopo ciò, chiudo in fretta la chiamata, tremando più forte di prima, lasciandomi andare contro una parete. Ho il fiato corto, la testa che pulsa, il cuore grida e l'ossigeno che viene meno, anche se ficco le unghie nei palmi e mi obbligo a restare cosciente. Non ho perso la partita. Non ho perso. Non perderò. Me lo ripeto più e più volte, cercando di convincermi di aver fatto la cosa giusta, non cedendo a quell'insana situazione. Tagliando il contatto prima che fosse troppo tardi.

Invece, ho appena commesso un errore irreparabile e il prezzo da pagare sarà troppo alto.





***
*NDA* 

Hola a tutti!
Innanzi tutto buon anno, ringrazio chi sta seguendo, votando e anche solo leggendo questa storia. Sappiate che con questo capitolo finalmente i personaggi principali sono al completo, perciò d'ora in poi la narrazione inizierà ad ingranare e diventerà sempre più serrata. E non vedo l'ora, eheh. Ringrazio CallMeSeil per avermi fatto da beta! <3
Ci vediamo al prossimo capitolo~

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