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Londra, 31 marzo 4105 d.C

Divido i fagioli dal risotto molto distrattamente mentre penso che domani sarà già il fatidico giorno del rientro. Per la prima volta in tutta la mia vita non mi sento pronta a combattere. Per la prima volta non voglio impugnare il mio fucile ed uccidere qualche vampiro. Come farà la mia squadra senza Taro?
Non vedo nessuno di loro da una settimana ormai e nessuno si è fatto sentire. Non lo trovo strano, anzi, è una cosa del tutto normale visto che un nostro compagno è morto, però mi sarebbe piaciuto che almeno Guren rispondesse alle mie chiamate. Dopo un po' ci ho rinunciato, ferita e delusa dal mio migliore amico. Ma cosa potevo aspettarmi? Nonostante ciò che ha detto Nick, sono certa che gli Owen mi incolpino di ciò che è successo. In parte lo faccio anch'io, li posso capire.
Sospiro per l'ennesima volta attirando l'attenzione di mio padre seduto al mio fianco.
-Non hai fame?-
Scuoto la testa per poi continuare a mangiare svogliatamente. Di solito durante il pranzo e la cena io e la mia famiglia parliamo molto, scherziamo, discutiamo persino di quello che funziona e di ciò che potrebbe essere migliorato nella nostra società, ma oggi nessuno ha voglia di aprire bocca. Sappiamo tutti che domani dovrò tornare al mio posto, al mio ruolo di soldato, e che fino al mese prossimo non potremo vederci, e anche non volendo, questa situazione crea un' atmosfera triste in casa mia.
Capisco perché l'esercito limita le visite ai familiari. Non solo per una questione di distrazione, ma soprattutto per evitare che le persone soffrano troppo. Al mondo d'oggi tutti possono morire da un momento all'altro, sia uccisi in battaglia che per una mancanza di cure mediche. Non è una novità, è semplicemente un dato di fatto, la realtà.
Trovo che i miei genitori siano fortunati a non avere solo me, ma questo pensiero preferisco tenerlo nella mia mente. Se non ci fosse Aaron, se lui non avesse la sua disabilità, loro sarebbero soli oppure avrebbero ben due figli a rischiare la morte ogni giorno. Anche Ron è fortunato... in parte. Almeno lui può vivere con mamma e papà senza sentire il peso della guerra e della morte. Il punto è che non ci sono bambini della sua età con cui poter giocare e crescere, o se ci sono non si trovano nella zona sicura inglese. Oggi si preferisce estirpare il problema dalla nascita. Aaron è un caso, uno scherzo della natura, che in teoria era nato sano. In pratica no.
Mio fratello si rende conto di tutto ciò, conosce le leggi dell' esercito, ma nonostante questo, nonostante abbia solo dieci anni, non si è mai fatto mettere i piedi in testa da nessuno. Io lo ammiro, lo ammiro molto. Forse più di quanto lui ammiri me. Spesso mi dice che sono la sua eroina ed io gli ripeto ogni volta che di eroico non ho proprio niente, che sono normalissima, proprio come lui. In realtà Ron è tremila passi avanti a me. É un piccolo genio visto che in tutti questi anni non potendo muoversi o fare granché ha studiato, studiato e studiato per conto proprio. E sì, riconfermo, ha solo dieci anni. Non c'è data della storia dell'intera umanità che gli sfugga, non c'è calcolo che non riesca a fare a mente, non c'è problema in cui non trovi una soluzione. Un genio insomma. Io sono il braccio e lui la mente. Lui pensa, io metto in pratica. Credo che l'unica cosa che non ho costruito con il suo aiuto è la carrozzina elettrica, semplicemente per un motivo: Aaron odia progettare qualcosa per un suo fine personale. Così ho pensato bene di realizzarla da sola e lui è stato costretto, per modo di dire, ad accettare il mio regalo.
-Oggi è proprio una bella giornata!- esclama mia mamma interrompendo il silenzio.
-Vi va di uscire a comprare degli alimenti?- chiede poi rivolta a me e al mio fratellino. Noi due ci guardiamo complici e annuiamo senza esitazione. Usciamo subito, appena finito il pranzo, con la voce lontana di papà che urla di lavarci i denti.
Sorrido, mentre il venticello fresco della primavera mi spettina i capelli, e mi siedo sul bracciolo della sedia a rotelle. Aaron guida prima verso il piccolo supermercato, dove seguendo la lista di nostra madre, compriamo vari cibi per la cena, poi una volta portati a casa, andiamo verso il Kennington Park, l'unico parco della zona sicura ancora presente. Non ci va quasi nessuno, se non le poche persone che sono riuscite a raggiungere la tarda età. Gli anziani siedono sulle panchine e discutono tra di loro su chissà quale argomento.
-Salve George!-
-Salve Cristine!-
Salutiamo allegramente noi passandogli accanto. Nella zona sicura tutti conoscono tutti. È come se fosse un piccolo paese di campagna con pochi abitanti, ma invece la realtà è ben diversa dato che il nostro territorio occupa tutta la Londra a sud del Tamigi. Eppure i civili tra di loro si aiutano, si rispettano, come se si trovassero ancora nell'esercito a combattere ed a seguire gli ordini del proprio comandante. Forse è proprio per questo motivo che ormai da centinaia di anni il sistema sociale funziona: tutti prima erano soldati ed hanno assaggiato il gusto amaro del sangue, ed ora, che hanno conquistato finalmente la libertà, si godono la vita non dimenticando però il passato. Sinceramente non riesco proprio ad immaginare i miei genitori al mio posto, eppure anche loro anni fa hanno combattuto contro i vampiri. Erano nella stessa squadra, lottavano fianco a fianco, proteggendosi a vicenda. E poi finita la leva militare si sono sposati lasciandosi tutto alle spalle e dedicandosi alla famiglia. Chissà se pensano mai alle loro battaglie, alle loro missioni. Non ne hanno mai parlato con me e Aaron.
-Fermiamoci qui!- esclama Ron mettendosi all'ombra di una quercia. Annuisco per poi prenderlo in braccio ed adagiarlo accanto a me sul prato verde. Guardiamo da sdraiati il cielo, osservando le nuvole passare lentamente e gli uccellini volare alti e cinguettare.
-Quella nuvola sembra un dragone- dice indicandone una, che a mio parere, assomiglia più ad una pera deformata.
-E quella ad un cagnolino-
Sorrido osservando il mio fratellino con la coda dell'occhio.
-Ron- lo chiamo.
Lui si gira verso di me con aria confusa.
-Ti voglio bene-
Mi mostra un sorriso sdentato per poi buttarsi su di me per abbracciarmi con le sue esili braccia. Gli accarezzo i capelli biondi, come quelli della mamma, e già penso a quanto mi mancherà.
-Sei la sorella migliore del mondo-
Lo stringo più forte a me e cerco di ricacciare indietro le lacrime, che le sue parole hanno minacciato di far scendere.

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