Do you want to play a game?
Dopo un paio di mesi mi ero ormai abituato alla presenza del mio bizzarro quanto irritante coinquilino, così come mi ero abituato alla presenza di inquietanti parti del corpo umano che ogni tanto spuntavano nel piccolo congelatore presente nella stanza. Organi sulla cui provenienza non mi ero mai interrogato, ma ero sicuro che gli venissero procurati da Molly che aiutava il padre nello studio dei cadaveri in obitorio quando lui, professore di Medicina al college, supervisionava i corpi mettendo a disposizione della legge il proprio infinito sapere clinico.
Mi ero abituato a sentirlo urlare euforico nel pieno della notte per aver risolto un caso semplicemente leggendo alcuni post su internet su qualche omicidio avvenuto dall'altra parte del mondo.
Mi ero abituato a bere il the ormai raffreddatosi per aver dovuto perdere tempo ad ascoltare le sue elucubrazioni sull'origine della bevanda e sulle tecniche di produzione dal terzo secolo Dopo Cristo. Mi ero abituato a questo e a molto altro ancora.
Ma c'era una cosa alla quale non riuscivo proprio a credere. Un suono raro, imprevedibile, inaspettato e sempre inatteso che ogni volta generava in me un moto di curiosità e incredulità e mi rendeva incapace di crederci veramente. Alzavo sempre le spalle, convincendomi di essermelo solo immaginato e ricominciavo a battere al computer lasciando che il suono dei tasti portasse via quel trillo che in realtà non c'era mai stato.
Eppure, a volte, succedeva davvero.
Eppure, a volte, persino Sherlock Holmes riceveva un messaggio.
E la domanda che nasceva spontanea nella mia mente era sempre la stessa: chi mai scriverebbe un messaggio a Sherlock? Ma soprattutto: perchè mai qualcuno dovrebbe scrivere un messaggio a Sherlock?
Il giorno in cui sentii per la prima volta quel trillo mi domandai come mai il mio telefono avesse cambiato suoneria di sua spontanea volontà, ma, presolo tra le mani, appurai che il display era libero e non vi era alcuna notifica di messaggi.
Curioso.
Notai la finestra aperta e stabilii che il suono doveva essere giunto da fuori; era una bella giornata e, nonostante fosse novembre, il parco era pieno di ragazzi avvolti nei cappotti che passeggiavano sotto il sole.
Non ebbi nemmeno il tempo di ritenermi soddisfatto della mia deduzione che una voce, fin troppo nota, smentì la mia presunta genialità:
- Il gioco è iniziato! -
Conoscevo fin troppo bene quel modo di dire di Sherlock e nella mia mente era perfettamente congruente a parole quali: problemi, possibile omicidio, rischio di morire, follia e altri numerosi epiteti dallo sfondo inquietante.
- John! Prendi il cappotto. -
Seduto alla scrivania mi presi la testa tra le mani e provai l'irresistibile impulso di sbatterla violentemente sulla scrivania, per sfogare tutta l'esasperazione che vivere con Sherlock mi provocava. Solo due giorni prima avevamo smascherato l'incendiario dei tarocchi, storia davvero intrigante che intendo raccontarvi a breve, e la mia mente e il mio corpo non erano pronti a tuffarsi in un'altro mistero, anche se alla base dello stomaco una strana sensazione sembrava provarmi il contrario: adrenalina.
- Che cosa stai aspettando? - la testa riccioluta e gli zigomi affilati del mio coinquilino si erano affacciati alla porta della mia stanza e i suoi penetranti occhi ghiacciati mi fissavano da sotto le sopracciglia corrugate in un moto di impazienza. Tra le mani stringeva il cellulare a confermarmi che era stato il suo apparecchio a squillare.
- Hai forse intenzione di illuminarmi? - gli domandai con voce stanca. Gettai con rammarico uno sguardo al libro di chimica. Non che l'idea di studiare tutto il pomeriggio mi allettasse, ma mi spaventava maggiormente il test del giorno seguente.
Per tutta risposta lui mi passò il cellulare avvicianandosi con un passo.
Lo presi tra le mani e guardai lo schermo. Un unico messaggio compariva sulla schermata:
Vuoi giocare con me? Le regole stanno nel battito del tempo.
Sembrava solo un insignificante indovinello, ma il fatto che fosse rivolto a Sherlock aveva un che di inquietante. La mia attenzione era ormai stata completamente catturata e mi alzai di scatto, pronto a gettar luce su quel nuovo mistero, scrollandomi di dosso l'apatia che mi stava raggiungendo.
Uscendo dal dormitorio mi accorsi che Sherlock si muoveva spedito e, sebbene la risposta fosse scontata, gli domandai ugualmente:
- Hai già risolto l'indovinello? -
- Elementare, la sua banalità mi ha quasi deluso, speravo in qualche sfida più impegnativa per distrarre il mio cervello e come sai far lavorare il cervello è l'unico scopo sensato che vedo nella vita. Speravo di occuparlo frequentando le lezioni, ma sono così scontate! -
Ormai da tempo mi affliggeva un quesito: perchè mai Sherlock rimaneva al college se già era a conoscenza di ciò che ci veniva spiegato?
Ma non era quello il momento per domandarglielo e attesi con pazienza che mi informasse con la sua solita supponenza, cosa che fece dopo qualche minuto:
- È chiaro che con "battito del tempo" si riferisce al rintocco delle campane della torre della King's College Chapel. Il messaggio è arrivato sette minuti prima delle 16.00. Sette minuti, esattamente il tempo che ci impieghiamo, con un buon passo, a raggiungere il campanile dal nostro dormitorio. Quindi non ci resta che recarci presso la Cappella e attendere sviluppi. -
- Hai già idea di che cosa possa significare?-
- Non voglio giungere a conclusioni affrettate, è un errore enorme teorizzare a vuoto. Senza accorgersene, si comincia a deformare i fatti per adattarli alle teorie, anziché il viceversa[1]. - e con questa frase determinò la fine della nostra conversazione.
Mentre attraversavamo a passo spedito il cortile del college non potevo fare a meno di osservare minuziosamente il volto di ogni persona sperando di cogliere un'espressione che ci avrebbe permesso di identificare subito l'autore dello scherzo, sperando che non fosse nulla di più.
Più volte il mio coinquilino mi aveva mostrato i prodigi della deduzione, scienza alla quale lui faceva completamente affidamento, dimostrandomi come tavolta un caso o un problema apparentemente impossibili e intricati potevano essere dissipati da un dettaglio insignificante, talmente insignificante che nemmeno l'assassino aveva notato, segnando così una X rossa sulla traccia da seguire per smascherarlo. Fornendoci la chiave per risolvere l'enigma.
Arrivammo sotto il campanile nell'istante in cui risuonò il primo rintocco. Il suono sordo del bronzo si diffuse nell'aria tersa autunnale e vibrò nelle nostri menti attente. I nostri sensi si acuirono, tesi in attesa di un qualsiasi sviluppo.
Credevo, in quell'istante, di essere pronto a tutto, ma non lo ero affatto alla scena che ci si presentò:
Tra il primo rintocco e il successivo udimmo un grido e l'intero parco sprofondò nel silenzio. I nostri occhi erano puntati alle lancette dell'orologio. Il tempo sembrò dilatarsi: io fui il primo a scorgere il fagotto scuro che cadde dal campanile e sfiorò la lancetta dei minuti, per proseguire la sua folle corsa verticale che a me sembrava proseguire ad una velocità infinitesimale, ma altrettanto lenti erano i miei movimenti, la mia voce. Nulla potei fare per impedirlo, per provare ad impedirlo.
Si trattava di una persona; una ragazza urlante, che presto sarebbe stata zittita dal verde prato curato di Cambridge.
L'atmosfera sembrava aver assorbito, risucchiato, ogni suono. Tacevo immobile, pietrificato, mentre gruppi di ragazzi si apprestavano a correre sul luogo dell'incidente sfoderando i loro cellulari per chiedere aiuto.
Un fastidioso trillo spezzò l'aria.
" Allora...vuoi giocare con me?"
To be continued
Note
[1] Un caso di identità - Arthur Conan Doyle
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro