22 - Ricordati chi sei
Andrea si voltò di scatto con il cuore tremante di paura. "Ma chi sei... cosa vuoi da me?" balbettò terrorizzata.
"Andrea, sono Patrick... tu non sei Cristie... Ascoltami, non avere paura... io voglio aiutarti."
"NO!" Urlò Andrea con tutto il fiato che aveva. "LASCIAMI! LASCIAMI STARE!" strillò accasciandosi al suolo, sul pavimento sporco del bagno.
Patrick non seppe più che fare, Andrea era paralizzata in posizione fetale, calde lacrime le bagnavano continuamente il viso. Cos'era successo per farla reagire così? Possibile che la brutta disavventura vissuta in quel carcere psicologico le avesse tolto ogni briciolo di consapevolezza di sé?
"Andrea... Andrea, guardami!" Le ordinò accucciandosi davanti a lei per arrivare alla sua altezza. "Tu ti chiami Andrea McLeap... non sei Cristie Addams... devi rendertene conto!"
"NO!" Continuò ad urlare lei. "Io non ti conosco, vattene da qui!" Sbraitò.
Ma proprio in quel momento la porta del bagno si spalancò e il suo professore di storia, che stava tenendo lezione nella sua classe, irruppe nel bagno femminile, subito tallonato da Matt. Entrambi avevano sentito le sue urla e, riconosciuta la voce, anche Matt era corso fuori dalla sua aula, senza nemmeno chiedere il permesso.
"Signorina Addams, cos'è successo?" Il professore, bloccato sulla porta, era genuinamente preoccupato.
Ma Andrea sembrava in uno stato catatonico. Continuava a guardare davanti a sé, con lo sguardo apparentemente rivolto verso il nulla, continuando a singhiozzare ininterrottamente dalla paura e a boccheggiare parole senza senso. Matt non ci pensò due volte e si accucciò per terra vicino a lei, abbracciandola per darle conforto. Sembrava una statua di sale.
"Dai, Cristie, tranquilla, nessuno vuole farti del male."
Andrea rimase per diversi istanti a fissare con gli occhi sgranati Patrick che la guardava sofferente al centro dei bagni. Finalmente sparì dalla sua vista e potè accorgersi delle braccia di Matt che tentavano di confortarla. Finalmente si lasciò abbracciare e acconsentì ad alzarsi in piedi.
Venne portata in infermeria e venne avvisata sua madre, che dovette abbandonare il lavoro per poter andare a scuola da lei. Ma oltre che alla madre, la scuola avvertì anche le autorità competenti e di conseguenza anche la psicologa dell'ospedale psichiatrico. Proprio la stessa che la ebbe in cura in quel breve ma intenso periodo di torture. Fu una scelta fatta a fin di bene, nessuno degli insegnanti e nemmeno il preside sapeva quello che aveva dovuto sopportare in quella struttura nelle mani di quella donna.
Il fato volle che fosse proprio la dottoressa Borgart ad arrivare per prima, accorsa appena le era arrivata la notizia dei vaneggiamenti di quella sua paziente che le era sfuggita di mano una prima volta.
Subito prese disposizioni per farla internare nuovamente.
"È già stata in cura da me, ma evidentemente per troppo poco tempo."
Assaporando questa piccola rivincita, la dottoressa convinse il preside che lo stesse facendo per il suo bene.
A niente valsero le proteste del povero Matt, che, da solo, tentò di opporsi con tutto sé stesso. "Non le dia ascolto, sono stato in quell'edificio, è una tortura autorizzata!"
Il preside lo guardò dispiaciuto. "Io ho le mani legate."
Cristie venne portata via prima ancora che la stessa Janet potesse arrivare alla scuola. Ormai fu troppo tardi per impedirlo.
Cristie è malata, e le mancate cure a cui non era stata sottoposta ultimamente avevano alimentato il suo stato di confusione mentale, spingendola a diventare un probabile pericolo per sé stessa, e se non si avesse posto rimedio a tale mancanza, avrebbe potuto diventare un pericolo anche per gli altri. In base a questa arringa, la dottoressa Borgart riuscì a portare con sé la giovane Cristie. E dato l'evidente stato di confusione mentale in cui versava, che per tutto il tempo l'aveva portata a rimanere immobile e a vaneggiare su una certa Andrea McLeap che nessuno conosceva, le fu ancora più facile convincere le autorità che lei avesse ragione e che Cristie non era più in grado di intendere e di volere.
Dentro di sé era il coronamento di tutti i suoi studi. Finalmente avrebbe potuto dimostrare che la malattia mentale poteva essere guarita, ma solo con una terapia d'urto che lei stessa aveva perfezionato. Le mancava solo una cavia su cui testarla e non poteva lasciarla sfuggire così facilmente.
☣
Andrea, in realtà, stava combattendo dentro di sé una dura battaglia tra ciò che credeva la realtà e quello che le aveva detto quello sconosciuto. Aveva il vago sospetto che molto probabilmente era solo frutto della sua immaginazione, eppure quello che le aveva detto spiegava in parte perché alle volte sentiva che la sua vita non le apparteneva. In qualche modo le parole di quell'individuo davano una spiegazione al suo sentirsi costantemente fuori luogo, al sentire che qualcosa non tornava nella sua vita.
Di colpo venne spinta a terra e la pesante porta della sua cella si chiuse con un tonfo sordo dietro di sé. Si rese conto di ritrovarsi nuovamente in quella fredda e agghiacciante cella dell'ospedale in cui era stata rinchiusa tempo prima. Come risvegliandosi da un sonno profondo, si voltò di scatto e si fiondò addosso alla porta, iniziando a sbattere i pugni contro di essa, finendo per ferirsi le nocche, ma nessuno le diede ascolto.
Rimase in solitudine per diverso tempo prima che qualcuno le portasse un piatto di verdure arrosto insipide e del pane raffermo. Mentre l'inserviente le porgeva il vassoio sull'unico tavolino vicino alla finestra, unica aggiunta rispetto alla volta precedente, Andrea guardava verso la porta, dove la dottoressa Borgart occupava l'intero vano con la sua prestanza fisica prorompente e il suo metro e novanta di statura.
"Vediamo se questa volta il tuo fidanzatino riuscirà a riportarti via da qui." La schernì. "L'hanno visto tutti quanto tu sia mentalmente instabile, piccola pulce. Sarà difficile per lui convincere chi di dovere a dargli retta come la volta scorsa."
Si voltò dopo averle lanciato un sorriso carico di scherno. Uscì anche l'inserviente e la porta venne richiusa con un ennesimo tonfo sordo. Continuò a rimbombarle nelle orecchie mentre avvertiva chiudere tutti i vari lucchetti e serrature della porta e assicurarla al suo interno.
Passarono tre lunghissimi giorni in cui Andrea rimase rinchiusa tra quelle quattro mura senza poter vedere nessuno o parlare con nessuno. L'unico contatto umano che aveva era con l'inserviente che per due volte al giorno le portava il cibo, che consisteva più o meno sempre nella solita cosa: verdure bollite e pane raffermo. I giorni si susseguivano tutti uguali, poteva scandire il passare delle ore solo attraverso la luce che filtrava dalla finestra, l'unica cosa che la aiutava a non impazzire.
Al terzo giorno, appena si svegliò, non le parve neppure vero di vedere una persona al centro della sua stanza che la fissava. Ancora confusa dalle nebbie del sonno, guardò quell'immagine sfuocata in piedi di fronte a sé, si sfregò gli occhi per metterla a fuoco e balzò sul letto, rannicchiandosi contro il muro, cercando di farsi più piccola possibile.
"No! Ancora tu! Cosa vuoi da me?" Sospirò disperata e spaventata.
Patrick non avrebbe mai voluto spaventarla ulteriormente, ma non poteva continuare a rimandare la sua missione. Il farle ricordare la sua vera identità ne andava della sua vita e del suo futuro. Più di quello che era normalmente possibile.
"Ti prego, cerca di calmarti e ascoltami!" La supplicò avvicinandosi. "Lo so che sembra tutto strano per te, ma io ti conosco da tanto tempo e so che tu sai di non essere Cristie."
Patrick continuava a parlare e Andrea rimase immobile a fissarlo con gli occhi sgranati.
"No... io sono Cristie... perché mi stai dicendo queste cose... chi sei?" Le tremava il mento, supplichevole.
Patrick si chinò per arrivare al suo livello. "Non è vero, e tu lo sai. Tu sei Andrea McLeap! Ti ricordi quando sei entrata in quel frigorifero nello studio di tuo padre? Cerca di ricordare, Andrea, so che ce la puoi fare!"
Le parole di Patrick erano così appassionate e il suo discorso così accorato che Andrea si chiese se davvero la figura di quell'uomo era frutto della sua mente oppure no. Cominciò a vacillare e ad ascoltare le parole di Patrick con più attenzione. Ma era difficile credergli.
"Vuoi dirmi che io sarei figlia di un uomo che si chiama Adam McLeap?"
Un barlume di speranza si accese nel petto di Patrick. "Sì!"
Andrea si portò le mani al viso, come per nascondersi dagli occhi di lui. "No... mio padre non so chi sia, non lo conosco."
Patrick andò avanti per diverse ore cercando di far ricordare la verità ad Andrea. Lei sembrava che a tratti ricordasse, ma dimenticava tutto il momento successivo. Era evidente che la confusione regnava sovrana nella sua testa, e come poteva essere altrimenti?
Ma quando, sfinita dal suo discorso, Andrea iniziò a straparlare di cose senza senso la porta della sua stanza si aprì con un grande sferragliare e la dottoressa Borgart fece il suo ingresso con Matt alle spalle.
"Ecco, come vedi non le abbiamo torto un capello, stavolta." Con aria scocciata si fece da parte per farlo passare.
"Questo è da vedere!" Irritato, Matt andò al suo capezzale e si chinò per prenderle le mani.
La dottoressa Borgart osservò quella scena con stizza ma non riuscì a trattenere una frase di scherno.
"Per la cronaca, la tua bella biondina è un paio d'ore che sta parlando da sola di cose senza senso. Fossi in te io starei attenta." Berciò, chiudendosi la porta alle spalle.
Matt era devastato da quella situazione, molto più della prima volta. Dopo aver visto cosa riuscivano a fare in quel posto, rivederla là dentro per lui fu come morire. Aveva subito allertato suo padre e tutte le personalità competenti, aveva cercato un modo per ottenere nuovamente la possibilità di portarla via da quell'incubo chiamato ospedale psichiatrico, come aveva fatto la prima volta, ma sapeva già che questa volta sarebbe stato più difficile. Tutti in quella scuola avevano assistito ai suoi vaneggiamenti, anche indirettamente, e tutti, nessuno escluso, avevano potuto sentire le sue urla disperate, mentre era in preda di un attacco schizofrenico. Perché era questa la malattia che le avevano diagnosticato: la schizofrenia. Esattamente come al padre.
La guardò lo stesso negli occhi cercando di comunicarle rassicurazione e speranza. Sperava soltanto di averne abbastanza. "Non ti preoccupare, ti tirerò fuori di qui, un'altra volta."
☣
Andrea non seppe cosa ribattere e rimase in silenzio, guardandolo immobile. Di colpo si gettò su di lui per abbracciarlo. La consapevolezza di un corpo solido che poteva toccare e stringere era molto più confortante delle parole di Patrick. Lo strinse forte tenendo gli occhi chiusi, finché non sentì le mani di Matt accarezzarle la schiena. A quel punto aprì gli occhi e si accorse che Patrick era ancora lì.
Lo vide in piedi come una sorta di angelo di luce, che la guardava con lo sguardo fisso e corrucciato.
Perché era ancora lì? Cos'altro voleva da lei?
Qualcosa le diceva che avrebbe dovuto solamente ignorarlo. Sì... se nessuno l'avesse più vista parlare da sola non la avrebbero più additata come malata di mente. In fondo sapeva che gli schizofrenici, nel loro stadio peggiore, immaginavano di vedere persone inesistenti. Credevano di parlare con loro e di socializzare con loro, ma non erano nient'altro che frutto della loro mente.
Da una piccolissima e remota parte del suo cervello si chiese come potesse conoscere certe cose della malattia che le avevano diagnosticato. Lei che non aveva ancora finito la scuola superiore.
"Come sei riuscito a entrare, questa volta?"
Matt sorrise. "In pratica ho minacciato la gentilissima dottoressa che se non mi avesse fatto entrare avrei fatto in modo che il suo meraviglioso ospedale subisse un'ispezione accurata da chi di dovere, per verificare che seguisse le norme sanitarie vigenti in ogni modo."
Ad Andrea cascò leggera una lacrima e Matt gliela asciugò con le dita. "Sono così felice che tu sia qui." Sussurrò con fatica.
"Anch'io, Cristie. Ti amo."
Al suono di quelle parole Andrea si sentì strana. Spostò nuovamente lo sguardo su Patrick, ancora immobile a fissarli al centro della stanza. Guardò nuovamente Matt e questi si chinò per baciarla. Il tocco con le labbra del ragazzo parve sanarla dalle ferite della sua anima. Il dolce bacio e il sentimento che Matt riuscì a trasmetterle con quel contatto cauterizzò i graffi nel suo cuore e rimarginò ogni malessere. Si lasciò andare, consapevole che c'era sempre qualcosa di sbagliato, ma bisognosa di ricevere amore per tranquillizzarsi. Lentamente il bacio divenne sempre più intimo, più appassionante. Notò a malapena che Patrick era scomparso da quella stanza. Presa dal momento magico che stava vivendo con quel dolcissimo e bellissimo ragazzo decise di viverlo in pieno.
Matt prese ad alzarle la maglietta e Andrea si sentì pervadere da un forte calore. Un calore strano, innaturale. Rimasta in reggiseno di fronte a lui Matt prese a baciarle la pelle del collo, rapito dal momento. Ma Andrea sentiva ancora quello strano calore salire dai piedi lungo i polpacci, finché non le invase tutto il corpo... Il flash visivo che ne ebbe la destabilizzò. L'immagine di sé stessa nei panni di Andrea McLeap, mentre entrava nel frigorifero del padre, le invase la mente. Prima ancora di capire cosa stesse succedendo si vide completamente avvolta da un'intensa luce azzurra e si sentì strappare dal suo corpo...
Si risvegliò chissà quanto tempo dopo in un caldo letto, morbido e comodo. Aprì gli occhi e riconobbe all'istante la sveglia con la gallina e i pulcini che beccavano al ritmo dei secondi. Stava per richiudere gli occhi, non volendo abbandonare ancora il mondo dei sogni, ma li spalancò di scatto e si tirò a sedere di colpo nel letto.
La sua stanza era esattamente come se la ricordava. L'armadio con le rifiniture rosa e gialle ma dal taglio maturo era proprio di fronte al suo letto. Un piccolo caminetto spento era posto all'angolo della sua stanza, e quella visione la rincuorò sedutastante. Aveva sempre amato quel camino in camera. Continuò a guardarsi attorno, a ogni dettaglio che vedeva si sentiva sempre più a casa. C'era persino una sagoma di cartone colorata appesa alla parete, recante il suo nome in un corsivo elegante. ANDREA. Il suo sguardo si posò sul letto accanto al suo. Era sfatto ma non v'era traccia del suo occupante. Di colpo la voce di sua madre arrivò alle sue orecchie attraverso la porta chiusa:
"Andrea! Dai, alzati! O farete tardi anche stamattina!"
Per istinto si alzò in piedi, accorgendosi di indossare un leggero pigiama rosa con un coniglietto stampato sul petto. Le era tremendamente familiare. Uscì dalla stanza recandosi direttamente nel bagno dove c'erano tutte le sue cose. Si guardò distrattamente allo specchio e le parve di ricevere un colpo. Quella era veramente lei! Si avvicinò per osservarsi meglio. Gli occhi azzurri erano vivaci e lucenti, colmi di vitalità e di giovinezza, i capelli biondi erano lunghissimi...
"Andrea! Ti vuoi muovere o no?" Di nuovo sua madre.
"Oh, porca vacca!"
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