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La solita finzione

⚠️ Il presente capitolo ha delle scene (relativamente) forti ⚠️

***

Durante la giornata non successe nulla di particolare, solo un altro messaggio del conte per scusarsi direttamente con Ginevra.
La sera ci sarebbero stati ospiti per cena, il che significava coricarsi tardi e avere il padrone di casa sfinito per la stanchezza; per una buona volta il destino capriccioso sembrava giocare a favore di Ginevra.
Gli ospiti si presentarono all'ora stabilita e tra una chiacchierata e l'altra consumarono i pasti; Ginevra si comportò esattamente come le altre volte, non doveva destare il ben che minimo sospetto.

«Domani al ballo ci sarà la crème della crème, succeda quel che succeda non possiamo mancare» disse la giovane dai capelli rossi
«Non credo sia il caso mi presenti» replicò l'altra fanciulla dai capelli castani scuri
«Oh, insomma. È arrivato il momento di mettere fine a questi dissapori»
«Dici così perché non sei me»
«Dico così perché non è possibile che queste due famiglie bisticcino per ogni cosa. Lo so che i tuoi sostengono solo i loro parenti, ma il Principe è l'unica autorità della città, è inutile continuare a fare a gara per una predominanza che a conti fatti non esiste»
«Certo, lo so» disse la giovane dai boccoli castani, la voce triste e rassegnata
«Per quel che vale, mi dispiace che per colpa di questo fatto tu non abbia potuto maritarti con...» cercò di confortarla la rossa, sua cara amica
«Ti ringrazio, ma è inutile pensarci» la interruppe la castana «Piuttosto, dovrei preoccuparmi di sistemare mia figlia».
La bambina, quattro anni appena, guardò la madre e continuò a giocare.

Qualcuno tirò in ballo il raffreddore di Ginevra e lei si destò immediatamente dai suoi pensieri, dissimulando la sua momentanea assenza con un sorriso cortese, il passato le sembrava così lontano da sembrare quasi un sogno.
Per il resto della serata Ginevra conversò con tutte le nobildonne presenti, che parevano pendere dalle sue labbra, seppe anche eludere un paio di domande riguardanti il suo rapporto con il conte. Ma ecco che finalmente giunse l'ora dei saluti e, come previsto, il padrone di casa, appena andò via anche l'ultimo ospite, si chiuse nelle sue stanze per dormire.
Naturalmente anche Ginevra andò in camera, simulando una gran stanchezza, però nel cuore della notte scivolò fuori dal letto e prese tutto il necessario per la sua fuga, non avrebbe mai più messo piede in quel posto.
"Piuttosto la morte" pensò con una decisione quasi da sorprenderla.
Chissà se quell'uomo l'avrebbe trovata anche quella volta? E se fosse andata dai suoi genitori? Ancora non sapeva perché quel pomeriggio sua madre l'avesse consegnata a quel viscido, pensò a diverse possibilità e anno dopo anno ne sceglieva una, finché tutto le sembrò chiaro: non l'amava più.
Doveva comunque tornare dai suoi genitori, anche solo per vedere come stavano, poi avrebbe potuto iniziare una nuova vita, magari in un altro paese, l'unico problema restava il fatto di passare inosservata, in molti la conoscevano e se l'uomo l'avesse cercata i testimoni avrebbero rivelato ciò che sapevano, cosa fare quindi? Provò a ricordare le indicazioni che il valletto di quell'uomo le aveva dato, nel qual caso avesse deciso di scappare da quell'inferno.
Il Palazzo era pieno di passaggi segreti in disuso, diverse volte il valletto l'aveva portata per quei corridoi dimenticati e lei si era impegnata a memorizzarli quasi tutti, soprattutto quelli che portavano alle uscite, uno in particolare le era rimasto impresso; portava ai sotterranei dove si diceva che di notte fossero infestati da fantasmi. Ma a Ginevra non importava, disperata com'era avrebbe anche potuto fare un patto col Diavolo, pur di andarsene da quell'orribile posto.
La seconda cosa da fare prevedeva mischiarsi con i popolani, si sarebbe addentrata in posti nuovi, doveva tenere gli occhi bene aperti, il valletto le aveva anche detto che c'erano alcune persone da cui andare, nel caso si fosse decisa a lasciare quella prigione mascherata da Palazzo.
Sapere che in qualche modo quel giovane l'aveva aiutata a preparare la sua fuga la fece sentire protetta, le provocò un senso di gratitudine e malinconia, anche se fisicamente lui non era lì con lei, le stava in qualche modo salvando la vita, o ciò che ne restava.
Ginevra sapeva che molta gente del popolo era per lo più composta da contadini, per cui non doveva far altro che intrufolarsi in uno dei carri con merci destinate ad altre città; sembrava tutto semplice, ma alle mete si arrivava sempre con fatica.
Arrivò in centro città, non prima di essersi cambiata gli abiti per sembrare una domestica, le strade di notte sembravano più piene di vita rispetto al giorno, dalle taverne uscivano gruppi di giovani uomini ubriachi, che cantavano a squarciagola oppure improvvisavano serenate per le cortigiane, ferme in alcuni parti dei marciapiedi, alcuni uomini si accompagnavano a queste ultime, cercando un posto appartato dove consumare i loro piaceri.
Ginevra evitava di incrociare sguardi e si muoveva nell'ombra, in cerca di un angolino dove sostare per capire su quale carro salire e raggiungere la città dov'era nata, o per lo meno arrivare nei dintorni.
Tutt'intorno non c'era solo odore di alcol e sigarette, ma anche di urina e lussuria, forse quest'ultima si sentiva di più, infatti poco lontano da dove si trovava si udivano gemiti e voci sommesse, quindi Ginevra cercò di concentrarsi su altri rumori: un cane che abbaiava, un locandiere che scacciava i gatti sul retro, delle bottiglie che si frantumavano a terra, qualcuno che correva, qualcun altro che gridava e finalmente due ubriachi, parlavano del viaggio che avrebbero intrapreso l'indomani e uno dei due sarebbe passato molto vicino a Verona.
Quello pareva proprio un colpo di fortuna, che Ginevra colse al volo; non aveva nemmeno avuto tempo di fermarsi dalle persone di cui gli aveva parlato il valletto, era subito andata a cercare la sua via di fuga, meno tempo stava lì in città e meglio era, per questo seguì i due uomini il più silenziosamente possibile e vide quali erano i loro carri, poi attese che entrambi entrassero nella locanda, per intrufolarsi e restarci fino a quando avrebbe raggiunto parte della destinazione.
Ginevra stava per mettere in atto il suo piano quando si sentì tirare per il mantello, quasi si strozzava.
«Ma che bel bocconcino, da come sei conciata non sei una sudicia cagna come le altre» e sputò poco lontano da dove si trovavano.
A lei si irrigidì ogni muscolo del corpo e le persone alle sue spalle risero, dovevano essere almeno in quattro. Il respiro le si fece affannoso, stava andando tutto troppo bene per essere vero, doveva aspettarsi degli impedimenti!
«Signori, penso proprio che questa notte ci divertiremo parecchio» l'uomo che parlò strattonò Ginevra, lei perse l'equilibrio e cadde a terra, il capo chino quasi all'altezza dei genitali dell'aggressore.
«Non vede l'ora di prestare i suoi servizi» disse un altro, ubriaco com'era a stento lo si capiva
«Avendola vista per primo, aprirò io le danze» e l'uomo che la tirò per il mantello la trascinò in un angolo appartato e la costrinse a stendersi.

«Ma che graziosa fanciulletta, vostro zio non esagera affatto quando parla della vostra beltà, Ginevra» quell'uomo disgustoso la spinse contro il muro ed incominciò ad accarezzarle il viso, un gesto sporco, lei provò a divincolarsi ma senza alcun risultato.
«Tranquilla, se ti rilassi non ti farà male e poi, da ciò che si dice, sei abituata» si fermò pochi secondi, il tempo di sollevarle le vesti ed insinuare la mano tra le gambe.
Il giovane cuore di Ginevra batteva all'impazzata, lei tremava, faticava a respirare, voleva gridare, però la voce era svanita come per incanto.

Ginevra sentì l'erezione di quell'ubriacone contro l'inguine, la cosa la disgustò al punto da avere dei conati di vomito, l'uomo la schiaffeggiò e dopo le prese il viso con una stretta tanto forte da mozzarle letteralmente il fiato, piccoli rivoli di sangue dagli angoli della bocca della giovane, ma non una sola lacrima, solo gli occhi colmi di rabbia e disprezzo.
L'uomo lasciò la presa, la schiaffeggiò nuovamente, avvicinando il viso a quello di lei, leccandole via il sangue dalla guancia, e all'orecchio le sussurrò qualcosa.
«Il fatto che indossi abiti decenti non ti rende diversa dalle altre cagne» si scostò di scatto e si calò le brache «Ora muoviti e fa' il tuo lavoro» le avvicinò il membro eretto al viso e, quando capì, Ginevra cercò di liberarsi, ma invano: l'uomo era il doppio di lei, per non parlare della forza.
Si udì un tonfo e l'uomo cadde su un fianco.


NdA
Ciao a te che sei arrivato/a fin qui ☺️
Innanzitutto grazie per aver letto e votato (eventualmente anche commentato), in secondo piano: mi scuso perché settimana scorsa ho saltato la pubblicazione del capitolo 😅 ma ho avuto una settimana piena e mi è proprio passato di mente 😗
Spero che questo nuovo capitolo ti sia piaciuto e spero di ritrovarti nel prossimo 🥰

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