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3. LA PERFEZIONE NON ESISTE

La sera, la famiglia Carter si riunisce a una tavola rotonda nella lussuosa cucina della villa. La cena è deliziosa. Non credevo di mangiare così bene in America, ma il cuoco sembra riuscire a non farmi avere troppa nostalgia dei piatti italiani.

«Oggi è passato nel mio ufficio il preside della tua scuola e ne ho approfittato per parlare di te, Oliver» afferma il signor Carter. «Hai ancora pochi crediti per la Columbia e il tuo curriculum deve essere implementato!»

Oliver si lecca le dita, dopo aver letteralmente ingurgitato due pezzi di torta alle arachidi.

«Io e il preside abbiamo pensato che potresti partecipare al seminario di Letteratura. Quel corso è seguito da un valido insegnante, avrà un suo peso per il college!»

Non mi sfugge lo sguardo di Oliver che va al soffitto e torna giù. «Va bene, ci penserò...»

«Non ci devi pensare, devi soltanto andare in segreteria e fare l'iscrizione!»

«Okay, appena finiscono le vacanze...» Fa per tagliarsi un altro pezzetto di torta, ma sua madre gli picchietta la mano. «Tesoro, non ti sembra di esagerare?»

Ancora gli occhi al soffitto.

«È una cosa seria, figliolo, è il tuo futuro. Sidonia ha seguito alla lettera ogni mia indicazione e adesso è dove deve essere. Non ti chiedo niente di eccezionale, soltanto di acquisire i crediti sufficienti per l'ammissione e qualche attività extra-scolastica, se farai come dico sarai dentro. Sai quanto la mia parola abbia valore in commissione, ma tu mi devi dare le basi per poterlo fare. Anche tua sorella...»

«Io non sono Sidonia, ma okay, cercherò di prendere quei crediti!»

«Tu e Sidonia siete il futuro dell'azienda!»

Oliver sorride al padre, ma i suoi pugni sono stretti sotto al tavolo.

«Vedi, cara Bianca...» Adesso gli occhi piccoli e scuri del signor Carter si rivolgono a me, coinvolgendomi in una conversazione nella quale mi sento di troppo. «La Dreams Books non è soltanto una delle aziende più quotate al mondo, è un pilastro della nostra famiglia. Mio nonno aveva fondato la casa editrice e dopo di lui mio padre ha continuato a gestirla e poi sono arrivato io. E indovina un po'? Tutti quanti abbiamo frequentato la Columbia. Sidonia e Oliver, adesso sono loro che porteranno avanti la tradizione!»

Improvviso un debole sorriso, mentre rifletto su qualcosa da dire per tirarmi fuori dall'impaccio, ma per fortuna ci pensa Oliver, manda indietro la sedia e chiede il permesso di andare nella sua stanza. Jhon emette un lungo sospiro, ma si limita ad annuire.

«Vai anche tu, cara. Hai sicuramente bisogno di riposo, è stata una giornata lunga per te!» interviene Natalia.

Non me lo faccio ripetere due volte, sono così stanca che l'unica cosa che voglio è affondare il mio corpo nel materasso.
Quando arrivo in cima alle scale, Oliver è già entrato nella sua stanza, non faccio in tempo a sorridergli, augurandogli la buona notte che si rintana dentro, lasciandomi di fronte alla porta chiusa. «Notte anche a te», dico più a me stessa che altro.

Trascorro l'ora successiva al telefono con mia madre, rassicurandola che il volo non è precipitato nell'oceano, che la sua amica Natalia è molto ospitale e che sto benone. Ho trascorso una giornata così intensa da non avere avuto il tempo di lasciarmi andare ai ricordi. Mi rendo conto di non aver mai pensato a Pam. Come è potuto succedere? Il senso di colpa mi pietrifica, facendomi bloccare il respiro e la cena sullo stomaco. L'assenza di Pam mi ossessiona da settimane e, in un solo giorno, l'ho dimenticata perché presa dal trambusto delle novità.
Non sono un'amica!
Sono un mostro.
Caccio indietro le lacrime che fanno capolino dai miei occhi, mentre sfioro con le dita la sua iniziale incisa sul mio polso e allontano dalla mente il momento più terribile della mia vita; l'incidente che l'ha cambiata per sempre.

Mi butto all'indietro sulle lenzuola perfettamente tirate. Harry Style, attaccato al tetto, mi guarda sornione, portando la mia testa di nuovo al presente. Mi copro la faccia con il cuscino. Le immagini di quel pomeriggio si affacciano alla mia mente; il tramonto sull'oceano, l'immensa spiaggia, i cocktail colorati. Il volto abbronzato e arrogante di Blake si insinua nei miei pensieri, stringendomi lo stomaco in una morsa mista tra odio e desiderio. La scaccio via maldestramente perché ritorna e ritorna ancora come un diavolo tentatore, fin quando non sono così stanca da lasciarmi andare alle braccia di Morfeo.

Quando mi sveglio, balzo nel letto con i capelli arruffati e la faccia stropicciata. Il sole è alto e il mio cellulare segna già mezzogiorno. Oh, accidenti, quanto ho dormito! Mi infilo degli shorts e una maglietta e scendo di sotto alla ricerca di qualcosa da mettere sotto ai denti.
La casa sembra deserta.
Sento delle voci provenire da fuori, ci sono delle persone in piscina, indugio con lo sguardo e mi accorgo che si tratta di Natalia insieme ad altre donne. Sgattaiolo in cucina, stando attenta a non farmi vedere, non ho voglia di chiacchiere e ulteriori presentazioni. Infilo la testa nel frigo e tiro fuori dell'insalata già pronta in una bustina.

«Non mangerei neanche sotto tortura quella roba!» Oliver spunta dalla porta e si siede sul tavolo, ondeggiando gli infradito avanti e indietro.

«Volevo un pranzo sano, posso?»

«Puoi mangiare tutta la roba verde che vuoi, a tuo rischio e pericolo, ovviamente!» Mi fa occhiolino.

«Cosa hai contro il verde?»

«È un colore che non mi piace...»

«Perché?»

«Ha troppa importanza! Lo hanno definito il colore della vita, ma ha preso il posto al rosso o al giallo, loro sì che sono colori come si deve. Senza di loro non esisterebbe neanche il verde, non trovi?»

«Può darsi...»

Rovescio il contenuto del sacchetto in una ciotola, che trovo in uno dei ripiani e comincio a mangiare le foglie con le mani. Oliver continua a guardarmi schifato. Indossa una camicia a mezza manica con i fiori molto simile a quella di ieri.

«Quindi farai parte dell'azienda di famiglia, un giorno...»

Lui salta giù, il suo sguardo si perde nel vuoto. «Così dicono...»

«Non mi sembri molto felice...»

«Dovrei esserlo?» Sbuffa, «Sai, Bianca, il mio destino è già scritto, ma io non sono nato per essere un leader. Non sono nato neanche per essere il più insignificante dei dipendenti della Dreams Books, in realtà...»

E per cosa sei nato, Oliver Carter? «Vuoi dire che non vorresti lavorare nella casa editrice più famosa al mondo?»

Lui si guarda la punta delle dita dei piedi, nude, come la sua anima in questo momento. «So che mi prenderai per pazzo, ci sono persone che lottano per entrare alla Columbia e ottenere un posto nell'azienda di mio padre, ma io no. Per me quel lavoro sarebbe soltanto una prigione. Il mio cuore è...»

Improvvisamente il silenzio si impadronisce della stanza.

«Il tuo cuore...?» sussurro.

Oliver muove una mano davanti al volto, come risvegliandosi da uno stato di trance. «Ah, lascia stare, sto dicendo un mucchio di cazzate...»

Resto con la forchetta a mezzaria, cercando un appiglio in quegli occhi nocciola, che però non trovo, perché sembra che al loro interno ci sia troppo fumo e troppa nebbia da non riuscire a vedere la strada.

«Vado, sennò il signor Smith mi toglie dalla squadra! Goditi pure il tuo pranzo e non esagerare con il verde!» Si mette in spalla un borsone con su scritto Football, che neanche mi ero accorta fosse a terra.

Sulla mia fronte rimane un grande punto interrogativo, su quale sarebbe stato il finale di quella frase lasciata a metà.

A volte si può avere tanto e non essere felici. La perfezione non esiste e siamo sempre in cerca di qualcosa che ci faccia sentire veramente noi stessi.

E, tu, Oliver, forse vuoi essere giallo come il sole
O blu come l'oceano.
O, semplicemente, vorresti essere rosso come il sangue.
Invece devi essere verde.
E tu, il verde, lo odi.

Dalla piscina arriva l'eco di risate. Oliver ed io lanciamo uno sguardo sfuggente alla vetrata del salone, dove si intravede la lunga siepe e un piccolo scorcio della vasca.

«Ti consiglio di trovare un nascondiglio abbastanza sicuro, le amiche di mia madre ce la mettono davvero tutta per essere adorabili!» Il suo labbro superiore si arriccia in una smorfia. «Con quei tuoi occhioni da ragazzina smarrita saresti la loro mascotte preferita!»

Mi sento arrossire. «Finisco di mangiare e vado in stanza, leggerò qualcosa...»

«Ottima idea! Riposati perché, quando ho finito gli allenamenti, tu tornerai con me a Orlando Beach, ai miei amici sei piaciuta un sacco!»

Non mi concede il tempo di replicare che se ne va, lasciandomi con il cuore che martella nel petto, come se, all'improvviso, qualcuno dei miei globuli rossi si fosse messo a suonare il tamburo. A quali amici sono piaciuta? Forse a Sierra o a Carl. Non a Sam. E Blake? Blake mi ha presa in giro fin dall'inizio, ha osato burlarsi di me senza neanche conoscermi. Non a Blake. No. A lui no di sicuro. Ma, che diamine, poteva essere più preciso? E poi ci penso e dico che, forse, è soltanto una frase detta per dire. E a me dei suoi amici, in fondo, non me ne frega niente.

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