Prologo
-Freddo- sussurrò in un filo di voce, stringendo la mandibola con un che di meccanico, le parole che uscivano talmente tanto lievi da non potersi quasi udire -Papà, ho paura. C'é buio... E fa tanto freddo-
I suoi tentativi di chiamare il genitore risuonavano tra le pareti della stanza, ma essi non ricevettero nessun tipo di risposta.
Il bambino tremò appena, sconvolto da un singulto, dovuto ad uno sferzare di corrente di troppo. Ansimando, con il suo petto che si alzava e si abbassava rapidamente, provò ad alzare leggermente il capo nella disperata speranza di vedere se qualcuno stesse arrivando dal corridoio buio che stava davanti a lui, non troppo lontano, tanto che una parte di lui avrebbe voluto alzarsi, provando a vedere che cosa ci potesse essere oltre, senza ottenere altri risultati se non il ritorno alla posizione originale.
Gli battevano i denti, non riusciva a fermarli, proprio come non riusciva a fare nessun movimento se non finendo col sentire la carne urlargli contro... E dopotutto, come avrebbe potuto?
Era nudo dalla testa ai piedi e la bassa temperatura di una giornata qualsiasi di Gennaio non aiutava per niente... E qualcosa di strano lo bloccava contro il letto su cui era sdraiato.
Delle ... viti, forse? Viti impiantate nei suoi piedi?
-Papà- si lamentò ancora, con un singhiozzo che gli faceva capolino dalle labbra -Papà, per favore-
Non sapeva, non capiva perché tutto questo stesse accadendo.
Non lo capiva proprio e questo lo portava solo a singhiozzare ancora più forte, circondato da buio e aria gelida che gli percorreva la pelle, quasi graffiandola.
Ma il vento, in generale, da come il suo corpo era malmesso, era la minima cosa di cui preoccuparsi, era un dettaglio insignificante tra mille che il bambino, in generale, non capiva, come un puzzle troppo grande di cui molti pezzi erano andati al diavolo dopo che... Dopo che cosa esattamente?
Dopo la morte, sicuro.
Ma la morte di che cosa?
La morte fisica?
La morte mentale?
La morte di quella piccola parte che distingueva un uomo da un animale?
Forse di tutte e tre.
Forse tutte e tre si erano sommate e avevano portato questo.
Forse tutte e tre erano solo l'inizio dei tanti pezzi da gioco che, una volta dopo aver spinto il primo, avrebbero portato alla catena di eventi più infermabile di tutte.
Pensando questo, il bimbo percepì i sensi crollare a picco, proprio nel momento in cui vi erano dei tonfi di irruzione, degli spari... E un uomo con una divisa oltrepassava quel piccolo corridoio buio, piazzandoglisi davanti.
*
L'uomo cadde dal divano con un tonfo al suono della sveglia, sbattendo la schiena contro il duro pavimento e trascinando con sé la tazza di the ormai freddo che aveva lasciato al di sopra del proprio petto, addormentandosi prima di riuscire a finire il film che la sera precedente si era ritrovato a guardare - e tutt'ora la televisione andava, come avesse fatto ad addormentarsi con quella sotto, non lo sapeva nemmeno lui -
-Merda- gorgogliò all'impatto, guardando il liquido che si spargeva sul pavimento, serrando le palpebre e tendendosi in avanti per afferrare l'aggeggio infernale che lo aveva portato ad aprire gli occhi.
Ogni parte di lui aveva la speranza di poter sbattere quell'affare contro il suolo per mandare al diavolo il suo irritante trillare, il quale gli triturava i timpani a momenti una volta per tutte, ma così si sarebbe soltanto obbligato ad acquistarne un altra... Di nuovo.
Questo perché, senza di essa, a lavoro in orario non ci sarebbe arrivato neppure a desiderarlo con tutto il cuore, pregando un qualche santo o divinità.
-Pff. Buongiorno anche a te, Pansy- sussurrò al gatto -pardon, alla adorabile e amichevole gatta - che subito, appena pochi secondi dopo aver udito il tonfo, andò ad avvicinarsi per strusciarglisi contro, sbattendogli volutamente la coda in faccia e miagolando per una ovvia richiesta di cibo... a cui l'uomo non seppe se sbuffare o ridacchiare appena.
-Sei sempre la solita indelicata bastarda, eh. Dovrei chiedere il divorzio da te- fece con sarcasmo, accarezzandola tra le orecchie, grattandosi poi l'accenno di barba incolta che dimorava sul suo volto da... Quanto?
Due giorni?...
Nah. Troppo poco. Una settimana e due giorni.
L'unica sua fortuna era che questa non gli cresceva troppo, altrimenti sarebbe già stato un barbone.
Sì.
Doveva rasarsi al più presto, ma la sua pigrizia quando si trattava di radersi era qualcosa di incontenibile: per quanto il suo aspetto dovesse venire in primo piano, se non voleva essere preso per i fondelli dai colleghi ventiquattr'ore su ventiquattro, la sua voglia di procrastinare vinceva sempre.
Si mise in piedi, spostando comunque la bianca micia - con accenni di fulvo sulla coda- prima che questa potesse anche soltanto inzupparsi le zampe con il the, seminando magari impronte per tutta casa - che sarebbe significato soltanto più lavori per lui, davvero. E se andava di questo ritmo, sarebbe già stato in ritardo. L'unica sua fortuna era che , anche se lo avessero licenziato, aveva sempre un secondo lavoro a disposizione.
Lanciò un ultima occhiata all'orario, aspettando che la lancetta concludesse il minuto che era in corso per darsi un punto di partenza... poi la corsa sfrenata contro il tempo iniziò.
In tre minuti riuscì a rimuovere totalmente il the dal pavimento.
In due si svestí, cacciandosi sotto alla doccia, ritrovandosi ad emettere un urlo stridulo per via dell'acqua troppo fredda che gli sbatté dritta dritta sul naso.
In una decina finí il bagno, uscendo, prendendo subito a saltellare per il bagno e costringendosi a pettinarsi e a lavarsi i denti in contemporanea con la speranza di non farsi andare di traverso il dentifricio alla menta piperita.
In altri quattro riuscí a vestirsi, non facendo caso all'abbinamento degli abiti -non era mai stato un amante degli abiti coordinati o delle schifezze scomode tutte attillate e soffocanti. A lui andava bene una felpa grigia con delle belle tasche davanti in cui buttare le cose più casuali, dei pantaloni neri qualsiasi, delle calze lunghe che non andassero a scivolare giù e, di conseguenza, a fargli grattare il tallone contro il bordo delle scarpe palesemente da vecchio, dettaglio che poi sarebbe significato una cosa sola: pelle spellata e incapacità a mettersi qualsiasi cosa che centrasse con i piedi - e gettandosi sul telefono, componendo il numero, chiamò il suo cosiddetto partner.
- Leslie?- chiese una voce all'altro lato del telefono, una volta dopo che finalmente egli la tirò su.
-Warlord. Ripeto, Warlord- fece di risposta, abbastanza sottovoce, l'uomo, mettendo su un lieve sorriso che poi si allargò a sentire ciò che l'altro gli disse.
-Drolraw-
-Acc. La hai capovolta di nuovo! Uff. Devo pensare ad una parola più difficile la prossima volta-
-Sí. Devi. Stai partendo?-
-Ovviamente-
-E lo sai che sei in ritardo di un ora, vero?-
-Cos...?- Leslie si fermò sulla soglia di casa, con le chiavi strette nel pugno -No, sono le sette e trentacinque-
-Mi dispiace dirtelo... Ma sono le otto e trentacinque. Hai sbagliato a mettere l'orario della sveglia nuova?-
-A quanto pare...- borbottò, sbattendosi una mano in faccia e sospirando con un che di alquanto deluso - Mi permetteranno di entrare così in ritardo?-
-Secondo me, sì. Non sono persone pignole, purtroppo-
-Come purtroppo?!- fece lui, stizzito, mettendo un evidente smorfia che più che altro lo faceva apparire un animale che stava per essere bastonato.
-Purtroppo eccome. Perché se lo fossero, non sarebbero come tu sai- concluse - E la prossima volta, chiamami al pomeriggio. Io stavo per scrivere un bel resoconto-
-Su cosa? Sui tuoi magnifici problemi di alcolismo?-
-Ma cosa stai dicendo, idiota. Magari dei tuoi problemi di alcolismo!- la persona dietro alla cornetta sbuffò, rimanendo in silenzio per una lunga serie di istanti in cui sbatteva la penna con un che di nervoso sulla superficie della propria scrivania, questo prima che si interrompesse di colpo dal farlo.
-Ah. Stamattina come sta la piccola dolcezza?-
-Quella strega sta benissimo. Ed è dolce e affettuosa come un calcio ai gingilli-
-No, mi sai che ti stai confondendo con te stesso. Quel piccolo amore è l'esserino più angelico sulla faccia della terra-
Leslie poteva immaginare benissimo il volto adorante del partner, il quale avrebbe sicuramente assunto un sorriso mezzo sognante.
Era un gattaro da paura, quello.
-Davvero, é...-
-Frena, frena, frena. Non ho la più minima voglia di ascoltare il tuo dilungarti su quanto la mia streghetta sia la perfezione più pura. Sul serio. Anche perché ho di meglio da fare... E non mi dispiace per niente-
La persona dall'altro lato della cornetta tossicchiò -Ehm ehm. Come vuoi. Allora cia...-
-Au revoir-
- Smettila di salutarmi in francese, Dio Santo!-
Leslie scoppiò a ridere fragorosamente, portando l'altro a staccare la chiamata con stizza, cosa testimoniata dal -Tch!- pochi secondi prima che venisse fuori il continuo -Bip- della linea.
La risata però si interruppe nel momento esatto in cui lo sguardo dell'uomo si gettò sull'edificio a lui davanti, portandolo ad assumere un aria talmente tanto diversa che non sembrava più neppure lui.
L'uomo si fece strada in esso, avanzando con le mani ben cacciate nelle tasche dei pantaloni scuri, trovandosi subito a fissare la segretaria posta all'entrata.
-Sei in ritardo- lo punzecchiò ella, sventolandogli davanti un foglio e tendendosi abbastanza da permettere al pizzo del reggiseno di spuntare al di sotto della maglia palesemente troppo stretta per un seno di quelle proporzioni - probabilmente perfino rifatto -.
-Che moccioso mi avete ceduto, stavolta? Su chi posso lavorare?-
- Stanza A13. -
-Ah. Perfetto. Grazie- concluse, guardando il pezzo di carta che giaceva tra i suoi palmi, con su scritto i nomi dei mocciosi e le loro stanze.
N.d.a:
E adesso aspetto solo il dieci maggio:3
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