Equilibrio
C'è odore di cartone. Cartone, scotch e polvere. Le rosicchia il naso, la fa tossire. Una, due, tre volte. Si strofina profondamente le palpebre umide col centro dei palmi, un massaggio circolare nelle orbite che le stamperà grossi aloni neri sulla pelle, ma le restituirà anche un breve momento di tregua. Lo assapora con avidità, un sospiro le lascia le labbra, testimone del piacere. È piegata sulle ginocchia, l'unica luce che la illumina è quella che filtra dall'alto di una scala a chiocciola di ferro, assediata da scatoloni accatastati gli uni sugli altri come cinta murarie.
"Ti dai una mossa?" latra qualcuno al piano di sopra, lei lo riconosce e grida un "Sì, arrivo!" che si ripiega su sé stesso sul finale, una parabola di rabbia che pende da un lato, scivola fino a sparire. È stanca, Dio, così stanca.
Fa leva con le mani sulle ginocchia per raddrizzarsi e afferra l'ennesimo scatolone della giornata, lo carica sulle spalle, un gesto che ogni volta si lascia dietro di sé un filo di esitazione. Un tempo prendeva sulle spalle una persona, esattamente così. Ridevano, ruotavano su loro stesse come trottole veloci, velocissime, felici per il fatto che l'unica preoccupazione fosse solo il non cadere a terra, non inciampare in una scimmietta o in un coniglietto di peluche.
Ingoia per umettarsi la gola pruriginosa di polvere e sale la scala a chiocciola. Gradino dopo gradino riemerge in superficie, gli occhi socchiusi come ogni qualvolta debba passare dall'oscurità del magazzino alla luce bianco-scheletro del negozio.
"Che c'è Vi, sei già stanca?"
Violet lascia andare lo scatolone di fronte a un paio di sneakers zozze e rovinate su più punti, il sollievo alle braccia è immediato ma i lombari stanno iniziando a dolerle. Solleva lo sguardo: un occhio di vetro la fissa immobile come una civetta imbalsamata, l'altro si scioglie in sguardi frenetici che vanno da lei allo scatolone, disallineati come pianeti fuori asse.
"Sono undici ore che sto sollevando pacchi dal magazzino, Silco, qualunque cristiano normale sarebbe stanco."
"Oh," risponde lui con fare bonario, allungando una mano rinsecchita sulla sua spalla "non lo metto in dubbio questo. È l'ultimo, no? Finisci di sistemare e poi puoi andartene." La liquida, riponendo con calma calcolata una mano sull'altra davanti all'addome gonfio. L'odore rancido che emana il maglione le punge lo stomaco, ingoia per respingere il disgusto.
"Prima di andarmene dovrei avere gli extra." Asserisce lei. Gonfia il petto, si fa grande come quando è sul ring. "Questi erano i patti."
Silco esita per un istante: un momento in cui si ferma per consultare sé stesso, anche se la risposta, il più delle volte, è già stata sancita. Violet lo conosce troppo bene, ormai.
"Violet cara, io capisco, anzi" inizia lui, porgendo le dita per accarezzarle il volto. Lei fa un passo indietro. Alla distanza si può solo aggiungere altra distanza. "capisco benissimo. Ma ritieni giusto pretendere, Vi? Da una famiglia come questa che ti ha perdonata senza indugi. Ti sembra davvero una cosa da fare?"
Alle sue spalle nota una figura che li guarda oltre lo scaffale. Anche lei ha uno scatolone in mano. Anche lei, come Violet, è stanca. Due occhiaie le danno un'aria rinsecchita nonostante abbia solo venticinque anni, coetanei che si guardano nei panni di due persone che avrebbero potuto diventare qualcun altro e che hanno deciso di non diventarlo più. Eppure Violet la guarda, lo guarda. Non c'è nient'altro di più di quello in cui si può rispecchiare, non nel sorrisetto complice che gli stende le labbra scure, godendo come se stesse assistendo al rogo di una strega.
"Noi non ti abbiamo mai lasciata sola, nonostante tutto. Abbiamo persino perdonato il tuo passato." L'attenzione di Violet scatta su di lui, sente la rabbia accaldarle il corpo. "Non credi che questo abbia un prezzo inestimabile?"
Una strana luce, che lei ha imparato a decifrare, gli illumina l'occhio vivo. Il ragazzo sullo sfondo scolla lo sguardo da lei solo quando si è accertato che non ribatterà. Che si limiterà ad annuire con la testa. Un tacito accordo al quale non può sottrarsi.
"Sapevo che avresti capito. Ogni tanto bisogna solo ricordarti il valore di quello che già hai." Le dà le spalle e si avvia verso l'angolo del negozio nel quale si trincera, i computer davanti a lui che gli mostrano i movimenti fra gli scaffali e in magazzino, lì dove il suo sguardo difettato non può arrivare.
"Jayce, se hai finito chiudi tu giù" strilla al ragazzo, che grugnisce in assenso.
Violet richiama a sé le ultime energie: afferra le forbici nella tasca posteriore della tuta e straccia lo scotch, apre le alette e trova davanti a sé una schiera di bottiglie di bagnoschiuma a forma di Pegaso, il cavallo appollaiato su una nuvoletta.
Ne afferra tre per mano e li posiziona sullo scaffale vuoto, striscia a terra con le ginocchia per muoversi lungo di esso e depositarli tutti. Con sguardo assente li raddrizza, un gesto automatico che è una parentesi di riposo in cui il cervello le chiede tregua. A un certo punto, non sa neanche lei perché, si ritrova a guardare l'ultimo più attentamente. Osserva gli occhi dorati, i brillantini sparsi lungo il dorso, e poi il suo petto bianco candido che si presterebbe così bene a una scritta. A un'iniziale.
Come colpita da una scossa sbarra gli occhi e trattiene un verso di stupore, la mano alla bocca per reprimerlo. Avvicina lentamente il capo a esso. Si sente animata da una gioia tumultuosa che le fa venire voglia di ridere, "Non ci credo! Non ci credo!" sussurra fra sé, la spossatezza spazzata via dal desiderio di condividere quel ritrovamento con qualcuno. Non lo può fare, ma la cosa non la scalfisce neanche un po'.
Sa che basterà una sola cosa per segnare quella giornata come una delle migliori degli ultimi anni.
Afferra la bottiglietta e la svita, pregustando la fragranza. Avvicina l'apertura al naso e sente il profumo delicato della camomilla mescolato a quello del sapone.
"Non ci credo..." mormora ancora, ridacchiando come una bambina, ora la guancia appoggiata sulla superficie di plastica. "Pensavo fosse andato fuori produzione".
Poggia la bottiglietta e il coperchio a terra, affonda di fretta una mano nel pantalone della tuta, mai è stato più insidioso come in quel momento, e recupera il telefono. Digita sullo schermo crepato "Bagnoschiuma pegaso bambini". Amazon si posiziona primo in classifica fra i risultati di ricerca, clicca il link ma non è lui. Torna indietro, ne clicca un secondo e poi un terzo. Guarda il retro della bottiglietta per cercare il nome del brand, ma quando lo digita nella barra di ricerca le compaiono solo foto di una manciata di rivenditori su Ebay. Non sa perché, ma il senso d'urgenza non la abbandona neppure un secondo. Come se dalla reperibilità di quel bagnoschiuma sottomarca dipendessero le sue sorti.
"Violet!" la richiama Silco "Ti muovi o dobbiamo fare notte?"
"Silco, da dove viene questo?"
Lo vede sollevare un sopracciglio, una mano che svolazza per liquidarla.
"Me li ha dati un fornitore in omaggio vicino a un altro lotto per smaltirli, diamoli in regalo a chi fa un minimo di spesa di 35 euro. Ah, a proposito", si volta di nuovo a guardarla "Toglili da lì. Dobbiamo averli vicino alla cassa."
Ma, nonostante scorga nella sua espressione il godimento di quell'ennesima tortura, lei non se ne sente intaccata. Ricambia lo sguardo e rilancia con "Quindi non è un problema se ne prendo uno?"
Silco si mostra interdetto, e nella sua sorpresa Violet individua anche una punta di delusione. "Fa' come ti pare. Basta che ti dai una mossa."
Esattamente ciò che voleva sentirsi dire.
-
Alcune volte Vi si sente la notte addosso. Come un grosso sacco di sabbia sulle spalle, un rivestimento di piombo che le grava sul corpo. Tutto il peso dei pensieri che macina durante il giorno le collassa sulla pelle. In quei giorni più degli altri sente l'esigenza fisica, più che mentale, di restituire al mondo ciò che il mondo stesso le ha presentato.
"Sei pronta?"
Annuisce, il ciuffo rosa incollato alla fronte, qualche ciocca tirata malamente indietro con delle forcine.
Si mette dapprima in posizione di guardia, le braccia tirate a sé, e poi avanza: gambe in posizione attacca con un jab al viso, poi si abbassa e sferra un diretto, un gancio laterale all'altezza della testa di Finn, una ginocchiata e un ultimo gancio per concludere la sequenza. E di nuovo. Percepisce il rumore pieno del guantone che si schianta sui colpitori entrarle nelle orecchie. Le si deposita nella testa, sulla lingua, la riempie tutta di una forza che si rinnovava a ogni colpo.
"Avanti, più veloce Violet!"
E lei incalza e incalza, ogni colpo più potente di quello precedente, serrando i denti e gridando mentre immagina che su quei pad ci sia il volto di Silco, quello di Jayce, quello del poliziotto che l'ha sbattuta e malmenata in cella, quella di tutte le ragazze con cui si è ritrovata a condividere gli spazi comuni, in cui di comune non c'era mai stato un bel niente, se non soprusi e umiliazioni. E poi, alla fine, mentre le mani diventano sempre più calde e sudate e la presa dei piedi sul terreno si fa meno intensa, quando la Vi adolescente emerge in quel diorama di ricordi, anche il suo viso diventa protagonista della lotta. Il volto di una vigliacca.
"Che c'è, già ne hai abbastanza?" la pungola Finn con un sorriso netto come una ferita.
Vaffanculo sta per rispondere lei. L'intenzione è di sicuro quella, prima che un'ombra non occupi il suo spazio visivo. Qualcuno che non è né Finn, né Renni.
La vede: è una donna. Davanti a lei Renni stringe nelle mani i bastoni imbottiti per simulare i colpi in una sequenza velocissima di jab, diretti e schivate. Renni le urla di andare più veloce e lei la asseconda, "Più veloce ho detto! Insisti! Insisti!" e lei si presta alla richiesta, sguardo fisso davanti a sé come un destriero in corsa, i fianchi che si piegano e si sollevano in movimento fluidi ma precisi.
Una pressione improvvisa sul trapezio la fa rinsavire. "Hey!" esclama Vi mentre si porta una mano alla zona colpita. "Infame." Nota che anche Finn ora sta impugnando uno degli stick da allenamento, un sopracciglio scuro alzato, i capelli lunghi e lisci che pendono da un lato come una tenda.
"Che c'è, ti senti minacciata?"
"Da chi? Da lei?" simula una risata e si impegna a non dirigere lo sguardo di nuovo in quella direzione. "Sembra che non mi conosci da una vita."
Si stanno rivolgendo un sorriso complice quando un "Sì!" esplode nella stanza, schiantandosi contro le pareti della palestra. Si voltano entrambi.
È stata Renni a urlare, a quanto può constatare l'esercizio è finito. La ragazza, coda alta e pelle lucida di sudore, sta prendendo aria mentre si slaccia i guantoni. "Hai un gran bel potenziale," Dice Renni mentre si avvicina a lei, stringendole la spalla. L'altra annuisce piano, asciugandosi la fronte col dorso della mano.
"Ma... chi è?" chiede allora Violet, stavolta senza riuscire a distogliere lo sguardo da lei. Non ha mai visto qualcuno così veloce in tutti gli anni in cui ha fatto boxe.
"Un nuovo acquisto." Risponde Finn con un velo di compiacimento nella voce, che sia per il nuovo arrivo o per l'interesse che ha palesato, questo non lo sa. "Direi che basta così per oggi." Asserisce mentre le dà le spalle.
"Di già? Non mi avevi chiesto di fare anche footwork?" lo affianca e nel mentre si slaccia i guantoni.
"Sì, l'intenzione era quella, ma stasera non ci sei con la testa. È inutile insistere quando non sei dentro l'allenamento."
"Ultima chance." Propone lei. Finn si ferma, la guarda di sottecchi. "Giuro, ultimo tentativo."
Gli fa cenno di avanzare, lo vede esitare e lei approfitta di quel momento per risistemare i guantoni. Finn cede, infila i pad abbandonati a terra e tornano al centro della pedana.
Violet si mette in posizione di guardia, riprende la sessione dal jab alto, poi il diretto, il bacino segue il movimento. Nella palestra c'è un ambiguo silenzio che la mette a disagio. Si sente sotto l'occhio di bue di un giudice esterno, e quel giudice non è Finn. Di più, di più, cazzo!
"Troppo basso!" la rimprovera Finn "Concentrati Violet, più precisa!"
Lei ci prova ma sente uno sbilanciamento interno, la forza che supera la precisione, un equilibrio che si spezza, che mette radici altrove. Di solito riesce a risalire quelle radici, a trovare un punto di contatto con sé stessa tale da farle trovare il modo, seppur a fatica, di performare bene. Sa che spingere sull'acceleratore non è la risposta giusta, ma sente la pressione esploderle nel corpo, qualcosa la divora dall'interno e non ne riconosce il volto né l'entità. Si sente esposta come un verme e più si sente un verme più aumenta il volume nella sua testa, le luci fredde della palestra che deflagrano nei suoi occhi, l'unico rumore che sente è il pulsare frenetico del suo cuore contro lo sterno, vorrebbe sfondarlo come lei vorrebbe sfondare tutto.
"Violet!" Il grido di Finn si fa strada nel bombardamento che la sta massacrando, cieca e incapace di sottrarsi. Due mani la trattengono da dietro, lei fa per divincolarsi ma si arrende presto, afflosciata su sé stessa come un brusco stop in un circuito di macchine.
Lascia andare il capo in avanti mentre arranca, le bruciano i polmoni e la gola, fa fatica a inalare correttamente aria, la nausea le sbocconcella l'intestino.
"È tutto okay, Violet." Le dice qualcuno con voce ferma ma rassicurante, riconosce il velo di preoccupazione. Renni le lascia gli avambracci solo quando i muscoli mollano il colpo sotto la sua presa.
Finn respira affannosamente, si asciuga la fronte col braccio. È spossato, ma lo sguardo resta severo come un chiodo su una parete crepata. "Torna quando ti sarai ricordata perché sei qui."
Per l'ultima volta nella serata le dà le spalle. Si sfila i pad e li getta a terra.
"Me lo ricordo tutti i giorni" sussurra lei.
Ringrazia Renni che è ancora stordita, le rughe d'espressione sono due solchi intorno alla bocca all'ingiù, lo sguardo castano annacquato dal tempo.
"Scusami" conclude. La mortificazione le brucia il collo mentre sistema l'attrezzatura nei contenitori ai margini della pedana e si dirige nello spogliatoio.
Si spoglia di fretta e getta i vestiti fradici di sudore nel borsone chiuso nell'armadietto, poi afferra l'accappatoio e le lozioni di shampoo e bagnoschiuma per portarli in una delle cabine per la doccia, tre mura ghiacciate di cemento e piastrelle monocromatiche tra cui raccogliere sé stessa. O meglio, ci prova. Solleva la manopola della doccia e l'acqua inizia a precipitare, prima fredda, poi sempre più calda, sulla schiena. Le cola sulla testa come un rivolo di lava, incolla i capelli in una pinna di squalo che le pende davanti agli occhi. Cala le palpebre.
Non vuole pensare. Non vuole pensare. Lei. Non. Vuole. Pensare. E più se lo ripete, più un volto di una bambina con una scodella in testa e due dita a coniglietto poggiate sulla fronte le sorride, ride, la chiama a gran voce. Violet inspira a pieni polmoni, si sforza di farlo fluire nell'addome, ma qualcosa di subdolo e beffardo dentro di lei dichiara insufficienti i suoi tentativi, rigettandole i pensieri davanti agli occhi, dietro le palpebre, con maggiore forza.
Nuvole di vapore si sollevano in aria. Inizia ad essere poco lucida, lo sente. Si affretta a lavare capelli e corpo, si sciacqua velocemente e si precipita fuori dalla cabina, ciabattando verso il suo armadietto.
Si blocca. Non se l'aspettava.
Lei le sorride. È seduta su una delle panchine dello spogliatoio, la soppesa con lo sguardo e Violet si sente dapprima imbarazzata, poi infastidita. Si tira su il cappuccio dell'accappatoio mentre si dirige verso i phon, friziona vigorosamente i capelli e rivolge di tanto in tanto occhiate al riflesso della ragazza nello specchio, che ora si mostra impegnata a liberarsi dal pantalone e dal reggiseno sportivo. Violet distoglie lo sguardo, più per pudore e rispetto che per disinteresse. Torna a guardarla solo quando è di spalle: un asciugamano rosa è legato sopra il seno e le accarezza le giunture delle ginocchia, Violet osserva la sinuosità del suo corpo finché non scompare dietro una parete.
Torna a guardare il suo riflesso nello specchio, come ad avere un breve confronto con esso, e lui le restituisce un'espressione tesa. Si concentra sul rumore del phon per non pensare al fatto che a breve dovrà uscire da lì, scusarsi con Finn, trascorrere una nuova notte insonne a fissare il soffitto, mentre tenterà di infilare quel giorno in cui è esplosa tra i tanti ricordi di giorni in cui è esplosa. E non le va proprio.
Una manciata di minuti più tardi i capelli sono asciutti, sparati in tutte le direzioni come al solito, ciocche fucsia intrecciate con quelle nere. Li pettina alla bell'e meglio, indossa i vestiti puliti e le scarpe e si issa il borsone in spalla. Mentre se lo carica addosso il rumore dell'acqua cessa, sostituito dal gracidare delle ciabatte.
Alla sua sinistra un'ombra penetra nel suo campo visivo, la vede avanzare nella sua direzione per poi fermarsi a sua volta. Vi la percorre tutta per risalire al corpo a cui appartiene: osserva i piedi sottili, i polpacci forti e poi una distesa di tessuto rosa che termina intorno al petto, lì dove l'acqua le lucida le curve del seno, il collo affusolato e le ciocche blu notte che sono sfuggite alla coda.
"Violet, giusto?"
Violet resta per un'istante stranita. In alcun modo credeva che le avrebbe parlato, anche se, tutto sommato, si rende conto che essersi fermata proprio quando lei è comparsa possa averle fatto intendere il contrario.
"E tu sei il nuovo acquisto."
Un angolo delle labbra piene si solleva, da quella vicinanza Vi riesce a notare persino la stortura di un canino. "Mi hanno chiamata così?"
"Non è la verità?"
"Sì, diciamo pure che lo è."
Violet annuisce appena, poi infila le mani nelle tasche della tuta. "Sei nuova di queste parti."
"Ho cambiato palestra," inizia lei "prima ero nella zona di Lambrate, ma diciamo che la gente non era nelle mie..." fa per cercare le parole giuste, ma Violet ha la sensazione che sappia esattamente cosa dire. "...corde, diciamo. Qui mi sembrano tutti abbastanza okay."
Ora è Vi a manifestare un sorriso canzonatorio. "Sei qui da neanche ventiquattr'ore e già sei certa che le persone qui siano a posto."
"Be', certo..." riprende lei, ora muovendosi per avvicinarsi a Violet. Le sembra che abbia tutta l'intenzione di parlarle volto a volto, quando poi devia verso il suo armadietto, e Violet si trova a ruotare su sé stessa per seguirla con lo sguardo. "Dopo quello che ti ho visto fare con Finn non ne sono più così sicura."
"Non so perché, ma ho la netta impressione che sia un insulto."
Lei scrolla le spalle mentre fruga nell'armadietto.
"Diciamo che lascio a te la libera interpretazione."
Vi la vede racimolare una maglietta nera che si getta sulla spalla, l'intimo, un paio di jeans e un maglione; distoglie nuovamente lo sguardo quando snoda l'asciugamano e inizia a indossare i calzini. La conversazione parrebbe conclusa, se non fosse che Violet sente premerle una frase sulla lingua. Ogni volta che sta per pronunciarla richiude la bocca e serra le labbra. Al quarto tentativo, ancora frenata dall'orgoglio che proprio non vorrebbe, asserisce un "Sei veloce."
La ragazza persiste nell'indossare gli indumenti poggiati sulla panca, anche con una certa fretta. Ciononostante, Violet ha la netta sensazione che le sue parole non l'abbiano lasciata indifferente.
"La velocità non rende un pugile un campione" dice.
"Non ho mai detto questo, ma è pur vero che in tutti questi anni non ho mai visto qualcuno veloce come te." ribatte Vi, un po' piccata perché, insomma, sta pur sempre ammettendo una sua debolezza, e persino l'orgoglio ha chinato il capo.
"Non basta essere veloci."
Ora la sta guardando. La severità con cui lo sta facendo la fa sentire a disagio. "Serve anche la forza, la prontezza e, più di tutto, l'equilibrio. Non c'è atleta che vinca senza l'equilibrio, Violet."
"Ho la sensazione che tu stia insinuando qualcosa. Di nuovo."
"In verità niente" risponde lei, ora infilandosi degli stivaletti scuri e consumati in punta. "Ma se ti senti chiamata in causa, forse un fondo di verità c'è."
"Immagino che tu l'abbia già raggiunto."
"Cosa?"
"L'equilibrio"
Lei sorride, un sorriso disteso che le si aggancia agli occhi.
"Ora però mi stai sovrastimando."
Violet emette un risolino basso.
"E comunque mi chiamo Caitlyn" dice, mentre si scioglie i capelli e se li porta dietro le orecchie. Violet intravede in quel gesto qualcosa, o meglio qualcuno, di molto diverso dalla persona che ha visto sul ring. "Ma tu puoi chiamarmi Cait".
-
Una certa leggerezza le anima il corpo mentre si dirige fuori dalla palestra, lasciandosi alle spalle le ciocche blu e liscissime di Caitlyn e l'espressione bonaria di Finn che, con una pacca sulla spalla, le ha fatto intendere che fosse tutto risolto.
Un vento anomalo per la città milanese le graffia la faccia, in cielo non c'è pure una nuvola, il che le fa sperare nel bel tempo del giorno seguente. Una giornata spesa al negozio, certo, ma pur sempre col sole.
Galleggiando ancora nei pensieri sugli ultimi accadimenti della serata, si trova a macinare rapidamente i dieci minuti che la separano dalla banchina per aspettare il pullman.
"Perfetto. Tutto come al solito, cazzo". Ma no, non sarà il tempo d'attesa del pullman a guastarle la serata, non ora che il suo umore ha preso una piega decente. Sabotatrice sì, ma con parsimonia.
E così si incammina verso Viale Molise, lì dove si nasconde il suo tugurio dove non vede l'ora di rifugiarsi. Raggiunge Piazza Lodi e prosegue, pregusta il calore del letto ad ogni passo, a ogni refolo di vento gelido che le si insinua nel pantalone e nelle maniche della giacca. Fissa l'asfalto per schiavare gli escrementi dei cani e le bottiglie di birra riverse sul suolo, finché non intercetta una macchia blu di vernice. E poi un'altra e un'altra ancora. Nota come sia colata in lunghe strisce dalla parete e si chiede, all'ennesima macchia, quanto sia grande il murales. Finché non alza gli occhi e la vede.
Due grandi piatti da orchestra sono tenuti in mano da una scimmia, i cui occhi sono tracciati da due enormi X fucsia. Violet quasi inciampa nel fare un passo indietro, le gambe tremanti e il fiato corto quando vede quell'unico, agghiacciante dettaglio in fondo al disegno: Jinx.
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