Capitolo 3
Da quel giorno non avevo messo più piede in quel locale, nonostante la tentazione fosse stata molto spesso così forte da risultare mostruosa, non avevo più visto quel ragazzo strano e non mi erano più capitate cose strane.
Si poteva quasi dire, insomma, che fossi tornato alla mia solita monotona vita di sempre...se non fosse stato per un solo, piccolissimo, dettaglio: i suoi occhi rossi continuavano a perseguitarmi. Ormai, ero arrivato ad un punto tale che li vedevo ovunque!
Avevo pensato più volte di star impazzendo ma il giorno dopo, esattamente il quarto giorno successivo a quello in cui avevo scoperto quel locale maledetto, ebbi la conferma che non era così.
Avevo appena finito il mio turno serale di lavoro al bar, perciò mi incamminai per le vie quasi deserte, accendendomi una sigaretta per rilassarmi dopo aver passato una giornata stressante.
Pensavo solo alla gioia che avrei provato nel tornare a casa e godermi un bel bagno caldo e rinvigorente quando i miei occhi furono, improvvisamente, catturati da qualcosa.
Da un vicolo poco lontano si sentì provenire un baccano assurdo, come se qualcosa di metallico fosse caduto rumorosamente a terra con violenza.
Gettai la sigaretta, ormai terminata, e praticamente le mie gambe si mossero da sole verso la fonte di tutto quel frastuono.
Giunto di fronte al vicolo constatai che, effettivamente, a cadere a terra era stato qualcosa di metallico: il coperchio di un bidone della spazzatura. Con la coda dell'occhio registrai il guizzo di qualcosa muoversi nell'ombra e, senza pensare, mi lanciai in avanti,inchiodando chiunque ci fosse con le spalle al muro. Non appena lo avevo toccato ero stato sicuro che si trattasse di un uomo.
Qualunque altra persona con un po' di sale in zucca avrebbe lasciato perdere ma non io, io volevo sapere perché quel tizio, chiunque fosse, si aggirava furtivo nell'ombra. Ero consapevole che fosse una curiosità malsana la mia, avrei dovuto farmi gli affari miei e tirare dritto per la mia strada ma semplicemente non ci ero riuscito. Andava a finire sempre così.
-Chi sei?- sibilai a denti stretti, il volto a pochi centimetri da quello dello sconosciuto che ancora tentava di liberarsi. Non appena udì la mia voce, però, si bloccò subito. Potei avvertire distintamente i muscoli del suo corpo contrarsi ed irrigidirsi sotto le mie mani, che lo tenevano immobilizzato.
Nel momento in cui alzò il volto mi pentii immediatamente di aver lasciato che la curiosità mi spingesse ad indagare: quegli occhi che tanto mi avevano tormentato in quei giorni erano lì, davanti a me, e mi fissavano tesi, agitati. Nelle iridi color del sangue non brillava più quella scintilla sfacciata e ribelle che vi avevo scorto al locale, il suo sguardo sembrava essere quasi sottomesso in quel momento. Attorno al collo pallido indossava ancora quella collana.
Perché non l'ha tolta se non la vuole? Non capisco...
-Lasciami- Fu poco più di un sussurro, il suo. Non si ribellava più come aveva fatto quel giorno, lo tenevo inchiodato al muro, utilizzando tutto il mio peso, e lui nemmeno stava provando a liberarsi.
Arrendevole, questo pensai. Era diventato improvvisamente arrendevole.
Tuttavia, non lo lasciai andare. Rimasi a fissare i suoi occhi che, anche se portatori di un colore così insolito, erano dannatamente profondi. Sembrava quasi che volessero risucchiare al loro interno tutto quanto ciò che vi si specchiasse, me compreso. Mi sentivo così inesorabilmente attratto da essi e non riuscivo a capacitarmi di come fosse possibile.
-Lasciarti? Perché dovrei? Cosa stavi facendo qui da solo? È pericoloso per un moccioso come te andare in giro da solo a quest'ora di notte -Non seppi dire perché mi stessi preoccupando in quel modo per lui né seppi dire il perché mi incuriosisse la sua destinazione, non erano affari miei dopotutto. Era stato più forte di me, però, chiederglielo.
Lui non rispose, in compenso mi mostrò quelli che dovevano essere dei canini che erano troppo affilati per essere quelli di un essere umano...
Mi allontanai da lui di scatto, lasciandolo andare -Tutto questo è assurdo! C-cosa diavolo sei? È uno scherzo?!- la mia voce tradì il panico che stavo provando, ci mancò poco che mi mettessi ad urlare.
-Potrei farti la stessa domanda. Come hai fatto a mettermi questa collana?Nessuno poteva...perché tu, un semplice umano, si? Sei come loro...Perché?- Lui invece urlava sul serio e sembrava essere profondamente scosso, spaventato, come se davvero gli avessi fatto qualcosa di orribile.
Pretendeva che io gli dessi risposte... ma come poteva pretenderlo se nemmeno io sapevo cosa diamine stava succedendo?
-Che cazzo ne so io!- sbottai -Tu mi hai provocato e io ho semplicemente vinto quella stupida sfida mettendoti quella dannata collana! Non capisco perché ti agiti tanto a causa di una cosa così stupida!- ringhiai, guardandolo di nuovo freddamente come quella volta al locale. Lo vidi spalancare gli occhi, sembrava uno che aveva appena visto un fantasma.
-Tu... Non ci credo! Sei uno di loro... - sussurrò mentre le sue dita correvano a toccare la collana e la stringevano, nel vano tentativo di togliersela.
-Loro chi? Tu sei sciroccato! Che cazzo vuoi da me?- gli chiesi alterato.
Perché trema quando sente la mia voce? Che ho di così spaventoso?
Mi guardò in silenzio, acquistando forse finalmente consapevolezza del fatto che io non sapessi di cosa diavolo stava parlando.
-Io...devo andare!- disse, voltandosi. Lo raggiunsi subito e lo afferrai per un braccio, forse troppo bruscamente perché lo sentii gemere di dolore.
Non si voltò, rimase fermo, mansueto e immobile. Provò solo una volta a divincolarsi ma, dato che io non avevo alcuna intenzione di desistere e farlo andar via, lasciò perdere.
-Se non lo sai, allora devi scoprirlo da solo. Però sappi che... tu mi hai messo la collana e ora sarò leggermente dipendente da te.-
Dipendente? A che gioco assurdo sta giocando?!
Lo lasciai ridendo e scossi il capo -Okay okay, si tratta di un qualche tipo di giochetto erotico? No perché in quel caso vedi di farti curare, e da uno bravo- borbottai.
Mi guardò male e di riflesso inarcai un sopracciglio, confuso.
-Non faccio robe di quel genere. È qualcosa di serio, qualcosa che devi capire da solo. Ah, e...non aspettarti che venga a cercarti io!- disse per poi correre via di nuovo, prima che io potessi fermarlo.
Rimasi fermo lì, sbigottito.
Che diavolo devo capire da solo?!
Ero talmente confuso che non riuscivo a mettere insieme un pensiero in grado di darmi una risposta logica.
Lo osservai sparire tra due palazzi, poco più avanti, poi decisi che per quella giornata ne avevo avuto abbastanza di scervellarmi per capire cose che comunque alla fine non riuscivo a capire lo stesso, perciò uscii dal vicolo e ripresi la strada di casa.
Arrivai poco più tardi e, appesa la giacca sull'appendiabiti, andai incucina per prepararmi qualcosina di veloce da mettere sotto i denti, poi il bagno fu la mia meta. La meta che avevo tanto agognato quella sera...
Riempii la vasca con dell'acqua calda e raggiunsi la camera da letto, dove posai la borsa con la divisa da lavoro all'interno e misi in carica il cellulare, per poi tornare di nuovo in bagno, spogliarmi ed entrare finalmente in acqua. Un mugolio estasiato abbandonò all'istante le mie labbra, chiusi gli occhi e mi beai di quel torpore,che fu come un balsamo lenitivo per i miei muscoli doloranti.
Mi rilassai così tanto che nemmeno mi accorsi delle palpebre che, divenute più pesanti, a poco a poco si chiudevano da sole. Sprofondai nel sonno dolcemente, come quando qualcuno ti coccola perfarti dormire. Per me, ormai, quella era una sensazione da tempo perduta perché nessuno, dopo la morte dei miei, si era più preso la briga di rivolgermi anche soltanto un gesto dolce.
Non era chiedere tanto quello, dopotutto, l'avevo sempre pensato e continuo a farlo tutt'ora, però evidentemente ciò che per me non era tanto ma significava il mondo per gli altri era tanto e non significava assolutamente nulla.
Il mio, tuttavia, fu un sonno agitato, tormentato da molti volti e voci che non seppi distinguere.
Era tutto scuro, buio e indistinto. Le voci confusionarie, si sovrapponevano tra loro come se stessero facendo a gara per farsi sentire per prime. Poi... calò il silenzio, e lo scenario, finalmente, si fece chiaro: tutto era comunque immerso in una semi oscurità ma in essa riuscii a distinguere una stanza angusta, fatta interamente in pietra, con solo una brandina in legno putrido come arredamento.
Al centro della stanza si trovava una donna dai lunghi capelli corvini e gli occhi del blu più brillante che avessi mai visto. Era una donna bellissima, il volto dolce e dai tratti delicati, il portamento elegante, nonostante le condizioni in cui si trovava: il suo bellissimo abito verde giada era logoro e strappato in alcuni punti, aveva numerosi tagli sanguinanti sul viso, le labbra spaccate e tinte di rosso vermiglio.
Capii subito che non fosse in una bella posizione ma il suo sguardo... il suo sguardo era fiero e indomabile, splendeva della stessa scintilla ribelle che avevo visto negli occhi di quel ragazzo del locale eppure, in qualche modo, era diversa.
Lei voltò il viso nella mia direzione e sorrise -Samael...- lo disse con una voce melodiosa, che ti accarezzava le orecchie dolcemente, e il suo sorriso si addolcì mentre gli occhi rifulgevano di luce. Se non avessi avuto la certezza che mi stava guardando, non lo avrei capito che era proprio me che aveva chiamato.
Corrugai la fronte. Il mio nome non era Samael e quella donna non la conoscevo affatto, anche se lei sembrava conoscermi molto bene.
Chi sei...? Chi è Samael? Dove siamo e perché siamo qui?
Non potevo sapere, però, che non avrei mai avuto il tempo o la possibilità di rivolgerle quelle domande...
Davanti a noi una porta, composta da fredde sbarre di ferro nero, si aprì all'improvviso e un uomo in cotta di maglia afferrò la donna per un braccio, strattonandola violentemente -Venite, vostra maestà- disse con un ghigno beffardo sul volto -Presto la vostra sofferenza avrà fine, non temete- e la trascinò via con sé.
Gli occhi di lei non avevano smesso per un solo istante di guardarmi, splendevano nonostante fosse palesemente condannata a morte, e le sue labbra si piegarono di nuovo in un sorriso -Salvali, Samael. Torna a casa figlio mio...è giunto il momento. Salvali!- poi tutto fu inghiottito di nuovo dal buio.
Avrei voluto poter correre lì ed aiutarla ma non riuscivo a muovermi, così tentai di urlare -Fermo! Non lo fare!- ma dalle mie labbra non uscì alcun suono e fui ben presto nuovamente preda del nulla, le parole di lei che continuavano a rimbombarmi prepotenti nella testa.
Torna a casa... Salvali, figlio mio...
Mi svegliai di soprassalto, scoprendo che la gola mi doleva e bruciava come se sul serio avessi urlato, ma non era possibile. Ero a casa mia ancora nella vasca, tra l'altro l'acqua si era anche raffreddata, e senza ombra di dubbio tutto ciò che avevo visto faceva parte soltanto di uno strano, brutto, incubo.
Non esisteva quel posto, così come non esisteva quella donna e i suoi sorrisi amorevoli.
Uscii dalla vasca, mi asciugai e tornai in camera, dove velocemente indossai dei vestiti comodi per dormire. Mi sedetti sul letto e sospirai, sfregandomi la faccia con le dita mentre cercavo di dimenticare quelle immagini e quella voce, ancora così straordinariamente vivide nella mia testa.
Rimasi lì, su quel letto, per non so quanto tempo. Pensai, pensai moltissimo ma non riuscii a venire a capo di nulla; più pensavo e più ero confuso, più ero confuso e più il mal di testa aumentava, perciò decisi di mettermi a letto.
Un improvviso rumore attirò la mia attenzione. Proveniva da fuori...
Stetti in silenzio, le orecchie impegnate a captare ogni altro eventuale suono, i muscoli tesi e pronti a scattare. Lo sentii di nuovo. Stavolta, però, si era fatto più vicino: era dentro.
Mi alzai con l'intento di andare a controllare, pensando subito che si trattasse di un ladro, e mi armai della prima cosa che trovai a portata di mano: un bastone che usavo per prendere i vestiti nel ripiano più alto dell'armadio.
Mi diressi al piano di sotto, scendendo le scale lentamente, mentre mi guardavo attorno, ansioso, fin quando non notai una figura ferma in mezzo al salotto.
Assottigliai gli occhi ma l'unica cosa che riuscii a distinguere, in quel buio, fu la sua testa che si muoveva da una parte all'altra quasi freneticamente, probabilmente alla ricerca di qualcosa.
Mi avvicinai lentamente e colpii con il bastone chiunque ci fosse, spedendolo a terra, poi alzai nuovamente il bastone con impeto ma, prima che potessi colpire, alle mie orecchie giunse un debole gemito di dolore e una voce familiare -Vaffanculo, mi hai fatto malissimo!- urlò. Abbassai lo sguardo e, nell'accorgermi che si trattava dello stesso strano ragazzo che avevo conosciuto in quel locale e che poco prima avevo incontrato nel vicolo, restai di sasso.
Che cazzo ci fa questo qua in casa mia?!
-Che diavolo ci fai qui?- urlai di rimando mentre, con ancora il bastone tra le mani, lo guardavo alzarsi e massaggiarsi la gamba destra, là dove lo avevo colpito.
Gli sarebbe uscito un bel livido come minimo ma sarebbe stata la sua giusta punizione per essersi introdotto di nascosto a quel modo in casa mia.
Indossava ancora la collana, notai, ma proprio come quando lo avevo sorpreso nel vicolo quella scintilla ribelle nei suoi occhi, quella sua sfacciataggine, era sparita. Era come se, tutto d'un tratto, quel ragazzo così provocatorio e tremendamente sicuro di sé avesse lasciato il posto ad un cucciolo spaurito.
Non diceva niente, né sembrava volermi attaccare con quelle curiose zanne che comunque si ostinava a mostrare quando mi vedeva.
Feci per parlare di nuovo ma lui mi precedette -Adesso la sento. La tua aura... - sussurrò, avvicinandosi a me. Il suo sguardo era carico d'odio, ingiustificato, nei miei confronti.
Cosa gli ho fatto? E poi cosa sente? Non credo di puzzare così tanto, insomma ho appena finito di fare il bagno perciò non me lo spiego...
-Che cavolo senti, scusa?- Inarcai un sopracciglio, sempre più confuso.Lui mi sorpassò e si sedette sul divano, accavallando le gambe e incrociando le braccia al petto. Sembrò sorprendersi della mia domanda ma sinceramente non mi importava molto né di lui né di quello che aveva detto, ero solo stanco e avevo il cervello completamente annebbiato. Non ci capivo nulla e avevo solamente voglia di tornarmene a letto ma ciò quel ragazzo sembrava non volerlo comprendere affatto.
-Sento la tua aura. E' potente...- disse di nuovo - Io mi chiamo Axel- aggiunse poi, come se davvero potesse interessarmi il suo nome. A me che, in quel momento, desideravo solo vederlo sparire all'improvviso così come era arrivato!
Mi sedetti di fronte a lui e fu strano: nell'esatto momento in cui i miei occhi si specchiarono nei suoi, vi vidi come riflessa la mia figura. Attorno a me cadevano molte piume nere. Mi parve come di essere risucchiato da quell'immagine speculare di me stesso; era come se mi stesse richiamando in un mondo segreto, innaturale. Riflesso in quegli occhi sentii montarmi dentro una strana sensazione, come di libertà, come se per tutti quegli anni il mio vero io fosse rimasto intrappolato lì dentro.
La forza, quella stessa forza che avevo imparato a non usare spesso e a temere, pervase tutto il mio essere e in quell'istante, forse per la prima volta, davanti a quegli occhi cremisi mi sentii davvero vivo.
Poi il ragazzo mi mostrò di nuovo i canini, tra i suoi capelli comparvero un paio di piccole corna ricurve, e fu proprio allora che il sogno che avevo fatto nella vasca da bagno tornò a tormentare la mia mente già troppo provata.
In che razza di guaio sono andato a cacciarmi?!
Quel pensiero fu l'ultima cosa che ricordai, in seguito, essere accaduta quella notte.
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