Capitolo nono
Era una coincidenza. Una mostruosa coincidenza. Doveva esserlo.
Fu questo che si disse Adrien rientrando in casa, il cuore pesante come un macigno. Sebbene si sentisse ancora stordito da quanto aveva visto, aveva lasciato Marinette con un sorriso ed un'ultima parola di conforto, prima di sgattaiolare di nuovo via dal suo balcone e lasciare che il vento, l'altezza e le acrobazie in aria gli spazzassero via i pensieri. Gli stessi che tornarono a chiedergli il conto non appena rientrò in camera sua.
Rimase in piedi per diverso tempo, fermo al centro della stanza, gli occhi bassi e lo sguardo assente. Vedere Marinette in quello stato lo aveva fatto a pezzi. Era abituato ai suoi sorrisi, alle sue provocazioni, ai suoi cipigli corrucciati e alle sue espressioni buffe, timide e goffe; ma alle lacrime... no, quelle non le aveva mai viste. Non prima di quel pomeriggio. Faceva male, malissimo. Peggio ancora, non poteva fare nulla per aiutarla, se non risollevarle il morale con due parole dolci ed una battuta di spirito. Non poteva bastare. Avrebbe voluto fare di più e invece aveva le mani legate. Oltretutto Marinette si era confidata più volte con Chat Noir e mai con Adrien.
«Adrien?» Alzò distrattamente lo sguardo su Plagg che, il musino incurvato verso il basso, lo fissava da sotto in su con occhioni preoccupati. Abbozzò un sorriso che di allegro aveva ben poco e gli passò un'affettuosa carezza fra le orecchie con la punta di un dito.
«Alla fine... temo tu avessi ragione...» mormorò con voce quasi irriconoscibile, ammettendo implicitamente con se stesso qualcosa che fino a un'ora prima aveva spergiurato essere falsa. Non aggiunse altro, lasciando il piccolo kwami ad osservarlo mentre attraversava la stanza per andare a sedere sul letto. Tirò fuori dalla tasca l'amuleto che Marinette gli aveva regalato tempo prima e dal quale non si separava mai, e si portò l'altra mano davanti alla bocca con fare pensieroso. Doveva pur esserci un modo per aiutarla, distrarla. Avrebbe potuto chiederle di tornare al parco insieme a lui per finire l'esplorazione cominciata il giorno addietro. O avrebbe potuto chiederle di andare al cinema con gli altri loro amici. O di tornare al parco tutti insieme. O... magari... avrebbe potuto chiederle dove avesse preso la rosa e la margherita che aveva visto in camera sua...
Si tuffò all'indietro, ricadendo di spalle sul materasso, le braccia larghe ai lati del corpo e i capelli biondi spettinati attorno al viso. «Quante possibilità ci sono che quei fiori siano gli stessi che ho regalato a Ladybug?» domandò sottovoce, non aspettandosi alcuna risposta da parte di Plagg, che comunque lo aveva seguito e ora sedeva su uno dei cuscini, continuando ad osservarlo con aria preoccupata. «Se anche te lo chiedessi, non mi risponderesti, vero?»
«Ti prego», disse la creaturina nera, caricando quelle parole di disperazione, «non ricattarmi ancora con il camembert...»
Di nuovo le labbra di Adrien si incresparono in un sorriso. «Non lo farò, promesso», gli assicurò stancamente. «Tanto più che è impossibile che quei fiori siano sopravvissuti così a lungo. Sembravano quasi di plastica.» Sospirò e si diede una spinta per tirarsi su a sedere. Doveva smettere di pensarci. Doveva anche smettere di preoccuparsi troppo per Marinette, anche e soprattutto perché, prima che lui andasse via, lei gli aveva sorriso di cuore, segno che la sua presenza nel momento del bisogno le aveva fatto bene.
Si alzò con l'intento di distrarsi, perciò si avviò per recuperare la borsa della scuola e mettersi a studiare. Prima, però, si curò di lasciare fra le zampine del suo kwami una sostanziosa porzione di formaggio. «Te lo sei davvero meritato, oggi», si complimentò con lui, facendogli dono di una nuova carezza.
Felice per quella ricompensa, Plagg affondò i dentini affilati nella pasta morbida del camembert e strappò il primo morso. «Non sei pentito neanche un po'?»
Adrien rallentò i movimenti con cui stava tirando i libri fuori dalla tracolla e fissò l'amico in tralice. «Per cosa?» domandò in tono incerto, quasi come fosse sul chi va là.
«Per aver incoraggiato quel ragazzo a dichiararsi a Marinette.» La poker face che esibì il giovane in quel momento fu da manuale, ma Plagg non ci cascò neanche per un secondo. «Scemo», commentò soltanto, tornando a masticare il suo adorato formaggio.
Guardinga, avanzò piano e in silenzio nel cortile interno della scuola, sperando di non incontrarlo proprio in quel momento. Sapeva che, una volta in classe, se lo sarebbe trovato davanti e avrebbe dovuto comunque averci a che fare, ma se poteva ritardare in qualche modo il loro faccia a faccia... Era per questo che si era recata a scuola prima del solito, così che avesse più tempo per prepararsi psicologicamente. Raggiunse l'area degli armadietti e si guardò attorno attentamente, decisa a non lasciarsi sfuggire alcun particolare: quando voleva, Adrien sapeva essere più invisibile e silenzioso di un ninja ben addestrato. Accertatasi che lui non fosse lì, Marinette si sentì infine libera di tirare un primo sospiro di sollievo.
Quella notte aveva dormito poco, come c'era da aspettarsi, ma non male. Non del tutto, per lo meno, perché nel momento in cui il suo cuore si faceva prendere dallo sconforto dovuto alle parole di Adrien, subito si riscaldava ricordando quelle di Chat Noir. Alla luce di quanto successo, non dubitava più di ciò che provava per il compagno di classe, però iniziava ad ammettere con se stessa che forse la persona giusta per lei era qualcun altro. Ciò nonostante, pur con questa consapevolezza, come poteva pretendere di comandare i propri sentimenti? Era impensabile. Soprattutto perché trovava ridicolo, offensivo e riprovevole virare le proprie attenzioni verso qualcuno soltanto perché sapeva darle l'amore che cercava. Non bastava. Era come elemosinare affetto, e la ragione, prima ancora del suo amor proprio, le urlava che non era così che andavano le cose, che accontentarsi – che brutta parola, usata in quel contesto! – avrebbe reso infelice sia lei che... beh, Chat Noir. Inoltre, se anche avesse ceduto alla tentazione di farsi consolare da lui sotto tutti i punti di vista, bisognava tenere i piedi ben piantati per terra: quale relazione avrebbero potuto intessere, senza rivelarsi l'uno all'altra? Ed entrambi ben sapevano che le identità dei due eroi di Parigi erano preziose ed inviolabili per il bene dei loro cari – e per il loro in primis.
«Al diavolo tutte le citazioni che si trovano sui social network», borbottò a mezza voce, facendo ridacchiare Tikki, che era intervenuta a tirarle su il morale subito dopo che Chat Noir era andato via, il pomeriggio addietro. «Se ci pensi, anche quando tengo la mano di mio padre mi sento protetta e al sicuro, amata. Non per questo posso sposarlo.»
«Sei stranamente cinica, stamattina», le rispose, facendo capolino dalla sua borsetta. «È un modo come un altro di reagire», constatò, quando la ragazza abbassò lo sguardo su di lei.
«Non posso lasciarmi abbattere», spiegò Marinette, forte del proprio ruolo. «Ladybug non può e non deve cadere vittima di Papillon. Senza contare che non ho alcuna intenzione di far preoccupare Adrien: lui non c'entra niente. O meglio, c'entra, ma non ha alcuna colpa. Nessuno sceglie di chi innamorarsi. Ed io gli voglio troppo bene per non augurargli di essere felice, sia pure con un'altra ragazza.»
Il cuore di Tikki si sciolse letteralmente, a quelle parole, e lei la fissò da sotto in su con sincera ammirazione: il Maestro Fu aveva visto giusto, affidandole il miraculous della Coccinella. Marinette era molto più forte di quanto potesse sembrare o di quanto lei stessa credesse. E lo stesso poteva dirsi di Adrien che, pur non avendo capito di essere la causa principale delle lacrime dell'amica, non si era tirato indietro quando c'era stato bisogno di consolarla. Anzi, si era preoccupato sinceramente per lei e le aveva dato tutto il suo affetto. Era davvero terribile che quei due ragazzi non potessero vivere il loro amore senza tutte quelle bugie a fin di bene...
«Marinette...?»
Una voce timida e sconosciuta indusse il kwami a nascondersi in fretta. Marinette si affacciò incerta da dietro l'anta dell'armadietto aperto e vide che, fermo sull'uscio della stanza, c'era lo stesso ragazzo che Papillon aveva akumizzato meno di ventiquattr'ore prima. Com'è che si chiamava...? Non lo ricordava affatto – ammesso che qualcuno glielo avesse detto. Abbozzò un sorriso, rammentando però quale triste notizia avrebbe dovuto dargli semmai lui avesse deciso di farsi avanti con lei proprio in quel momento.
«Sei uno dei compagni di scherma di Adrien, vero?»
Lo vide sorridere, lieto che lei lo avesse riconosciuto. «Mi chiamo Joël», si presentò allora, avvicinandosi di qualche passo. «Io... ti ho vista alle selezioni per il corso di monsieur D'Argencourt», iniziò a spiegare.
Alle sue spalle, non visto da nessuno dei due, Adrien arrestò il passo, gli occhi sgranati che fissavano la scena, le mascelle serrate e le dita che stringevano con forza la tracolla della borsa. Si era presentato a scuola prima del solito perché voleva essere lì all'arrivo di Marinette, così da accertarsi subito che stesse bene; non si era però aspettato di non essere il primo a parlarle. Non avrebbe dovuto meravigliarsene, in realtà: era stato lui stesso a spronare Joël a farsi avanti con lei. Però...
«Io... volevo chiederti scusa», stava continuando il suo compagno di scherma, spostando il peso del corpo da un piede all'altro con evidente nervosismo. «Non so se hai saputo cos'è successo ieri...»
«Sì, a dire il vero sì», rispose Marinette, cercando di trovare le parole giuste e il tono più delicato possibile per non fargli troppo male nel caso lui avesse deciso di vuotare il sacco fino in fondo. Presa com'era dalla questione, non notò la figura che, in fondo alla stanza, sgusciò dentro e andò di corsa a nascondersi dietro gli armadietti attigui al suo. Da lì forse sarebbe riuscito ad ascoltare meglio ciò che si stavano dicendo, pensò Adrien, che non voleva saperne di lasciarli soli. Era un atteggiamento infantile e ipocrita, lo sapeva bene, ma che poteva farci?
«Se dici di nuovo che Marinette per te è soltanto un'amica, giuro che ti mordo», lo avvisò Plagg, sbucando dal taschino interno della sua giacca. Piccato, il giovane gli piantò un dito sulla testolina scura e la spinse indietro. «Zitto, non voglio che mi scoprano.»
«Ecco... immaginavo», tornò a parlare Joël. «È che... ho frainteso il tuo rapporto con Adrien e...»
«Adrien è solo un amico», rispose Marinette, atona, dovendo dichiarare a voce alta quella triste verità. Lui, Adrien, si portò una mano al petto, come se qualcosa lo avesse colpito violentemente – e a tradimento. «Però...» riprese la ragazza, facendogli drizzare di nuovo le orecchie, «posso capire perché tu abbia equivocato il nostro rapporto. Lui mi piace molto.»
Sì! Festeggiò il giovane fra sé, stringendo il pugno e tirando all'indietro il braccio piegato all'altezza del gomito, in un gesto che manifestava tutta la propria soddisfazione.
«Sei... innamorata di lui?»
Eccola lì la domanda che lo riportò con i piedi per terra. Adrien non fu del tutto certo di voler ascoltare la risposta di Marinette, anche e soprattutto perché era consapevole che sarebbe stata negativa. Lei amava già qualcuno, un ragazzo che le aveva irrimediabilmente spezzato il cuore e l'aveva ridotta in singhiozzi, facendola piangere a dirotto fra le sue braccia. Il giovane ancora ricordava il dolore sordo che aveva avvertito per ognuna di quelle dannate, preziosissime lacrime.
«Joël», prese a dire Marinette con un sospiro, facendo rabbrividire entrambi i ragazzi. «Cos'è che volevi dirmi?» chiese, sviando la domanda e sperando di non prolungare oltre quell'agonia.
Preso in contropiede da quella mossa, Joël andò in confusione e avvertì tutto il proprio coraggio sgretolarsi senza possibilità di recupero. «No... io... niente», farfugliò, facendo un passo indietro e rifuggendo lo sguardo di lei.
Come lo capiva... Marinette sospirò ancora, ma non infierì. Se una parte di lei avrebbe voluto scuoterlo e farlo reagire, pur sapendo che avrebbe finito con lo sbattere il muso contro una triste verità, l'altra parte si rendeva conto che non era il caso di forzare quel povero ragazzo a farsi avanti se davvero non se la sentiva. «Scusa», balbettò ancora lui. «Non volevo disturbarti... volevo solo chiederti scusa per aver frainteso. Più tardi lo farò anche con Adrien», concluse in fretta, prima di decidere per una ritirata strategica. «Buona... sì, buona giornata.» Detto ciò, mise in atto la sua fuga cercando di non apparire troppo disperato.
Marinette rimase a fissare per alcuni istanti il punto in cui era sparito. Poi, senza commentare alcunché, recuperò ciò che le serviva dall'armadietto e lo richiuse con un movimento lento e pesante. «La giornata non è cominciata nel migliore di modi», borbottò, avviandosi verso l'uscita.
Quando fu sicuro che anche lei fosse andata via, Adrien strisciò fuori dal suo nascondiglio, un groviglio di emozioni contrastanti a chiudergli lo stomaco. Si sentiva sollevato dalla mancata dichiarazione di Joël, sebbene sapesse che era sbagliato. Avrebbe dovuto incoraggiarlo ancora? No, non sarebbe stato onesto da parte sua intromettersi una seconda volta; tanto più che, ormai, non era più neanche sicuro di ciò che lui stesso provava per Marinette.
Trovarsi faccia a faccia con lei non era mai stato difficile come in quel momento. Fu questo che pensò quando, varcata la soglia dell'aula, la vide seduta al suo posto, da sola, con il gomito poggiato sul banco e la mano a sorreggerle il viso, lo sguardo perso oltre i vetri della finestra. Erano i primi. Erano soli. Avvertendo la sua presenza, Marinette si voltò nella sua direzione e Adrien rimase senza fiato: da quando i suoi occhi erano diventati così belli? Cioè. Che fossero belli lo aveva sempre saputo, ma... così tanto? Com'è che lui non se n'era mai accorto? Com'è che ora, con una stretta al cuore, continuava a vederli intrisi di lacrime? Prese fiato, deciso a farli splendere di gioia.
«Ehi, Marinette!» esordì con fare allegro, rispolverando il suo sorriso vincente, quello che metteva su tutte le volte che, nei panni di Chat Noir, cercava di giustificarsi agli occhi della sua buginette.
Lei sorrise appena, felice di vederlo nonostante l'animo in pezzi. «Ehi, Adrien...» rispose in tono calmo. «Sei di buon umore?» Almeno lui, pregò con tutta se stessa. Dio, fa' che almeno lui non debba soffrire come me e Chat Noir.
«Più o meno», fu vago il giovane, facendosi avanti e posando la borsa al proprio posto senza darle le spalle. Anzi, sedette sulla superficie del banco e poggiò le suole delle scarpe sulla panca, incurante di sporcarsi quando sarebbe iniziata la lezione. Braccia sulle ginocchia, mani intrecciate e sorriso sornione, i suoi occhi furono tutti per lei. «Stavo pensando ad una cosa», cominciò, cercando di non cedere alla tentazione di approfondire l'analisi dei propri sentimenti per lei. «Sei libera, dopo la scuola?»
Marinette inarcò le sopracciglia, stupita per quella domanda. «Sì... non dovrei avere impegni. Perché me lo chiedi? Hai bisogno di qualcosa?»
Ostentando un'espressione offesa, lui incrociò le braccia al petto. «Devo necessariamente aver bisogno di qualcosa, per chiederti di uscire con me?»
Fermi tutti, urlò il cervello della ragazza, benché il suo cuore fosse già partito a briglia sciolta verso la Valle Dell'Amore E Della Gioia Incontenibile. Costretta a tirarne le redini per evitare che finisse ancora una volta nel Crepaccio Delle Delusioni, Marinette prese aria e tentò di dire qualcosa. Annaspò a vuoto per qualche secondo, prima di riuscire a pronunciare delle parole di senso compiuto. «No... Non intendevo questo...»
«Mi piacerebbe continuare ciò che abbiamo lasciato in sospeso domenica», spiegò allora Adrien, che per un attimo aveva temuto che lei avesse un colpo. Aveva visto la sua espressione stravolgersi e per diversi, interminabili istanti, il suo sguardo farsi vacuo.
«Cioè... vuoi tornare a Parc des Buttes-Chaumont?»
«Esattamente», annuì, sperando che la cosa le interessasse. «Noi due da soli, però.»
Marinette si riavviò una ciocca di capelli dietro ad un orecchio e si lasciò scappare una risatina nervosa, rifuggendo il suo sguardo. Era uno scherzo? Adrien stava giocando con i suoi sentimenti o cosa? No, calma. Non sa che sono innamorata di lui, quindi non può prendersi gioco di me. Con questa consapevolezza, unita a quella che lui stesso le aveva confessato il giorno addietro, e cioè che era innamorato di un'altra ragazza, Marinette tornò a guardarlo, questa volta di sottinsù. «Ok», disse soltanto. «Speriamo solo che stavolta a nessuno salti in testa di buttarsi giù dal ponte...»
«Sì, già... brutta esperienza...» concordò il giovane, tornando con la memoria a quello spiacevole episodio. Non gli fu possibile aggiungere altro, perché i loro compagni iniziarono ad arrivare uno ad uno e ben presto l'aula si riempì. Strizzando l'occhio alla sua prediletta, scese dal banco e rivolse un gran sorriso a Nino, che era appena entrato in classe. Non sapeva e forse neanche voleva scoprire cosa si agitasse con precisione nel suo animo, ma Adrien si sentiva felice.
Quanto a Marinette, invece, era a dir poco scombussolata: il suo cuore urlava di gioia, la sua testa le diceva di mantenere i piedi ben saldi per terra. E come poteva fare altrimenti? Pur credendo di parlare con Ladybug, Adrien era stato chiaro: non ricambiava i suoi sentimenti. Sospirando, la ragazza cercò di convincersi che la verità fosse la più ovvia: l'invito che le aveva appena fatto il giovane non nascondeva alcun secondo fine, come ogni cosa che lui faceva o diceva. Un'uscita fra amici e nulla più. Forse era troppo presto, per lei, affrontare una prova tanto ardua, ma non poteva e non voleva rinunciare all'opportunità di passare del tempo con lui, sia pure in modo innocente, senza aspettarsi niente, nessun tipo di evoluzione. Le sue labbra si inarcarono appena verso l'alto quando lo vide ridere ad una battuta di Nino. Le bastava davvero quello, saperlo felice.
Alla fine Joël non si era presentato anche da lui. Se da una parte Adrien gliene fu grato per timore di sentirsi a disagio, dall'altra sapeva che non era giusto lasciare le cose a metà. Conosceva poco il suo compagno di scherma, ma aveva capito che era un ragazzo piuttosto timido – e ne aveva avuto conferma quella mattina, quando aveva tentato di avvicinarsi a Marinette e invece alla fine se l'era data a gambe senza dirle niente.
Troppo buono e puro per lavarsene le mani, Adrien si armò di un sorriso incoraggiante e lo seguì nel bagno dei maschi quando, durante l'intervallo, lo vide dirigersi lì. «Ciao, Joël», iniziò appena i loro sguardi si incrociarono.
L'altro si irrigidì e subito abbassò gli occhi. «Ciao... Adrien...»
Si sentiva in colpa per quanto successo per via dell'akuma? O era ancora geloso di lui? Qualunque fosse stata la verità, Adrien si rese conto che l'unica cosa che gli interessava davvero sapere era un'altra. «Tutto bene?»
Joël tornò a guardarlo, stupito e commosso da quella domanda. Dunque Adrien non ce l'aveva con lui per l'aggressione e tutto il resto? Strinse le labbra e annuì. «Mi... dispiace per ieri...»
Lo vide scuotere le spalle con noncuranza. «Se dovessimo tener davvero conto di ciò che ci costringe a fare Papillon quando siamo sotto l'influsso dei suoi poteri, sarebbe un bel guaio.»
«Quindi... non sei arrabbiato?»
Adrien quasi rise. «Non esiste che io possa arrabbiarmi per una cosa del genere.»
«Sul serio?» balbettò Joël, incredulo. Cos'era, un santo?
«So cosa vuol dire perdere il controllo e rischiare di fare del male a qualcun altro. Magari persino alle persone a cui vuoi bene», spiegò con calma l'altro, che più di una volta, suo malgrado, era stato manipolato dagli akumizzati e da loro costretto a scagliarsi contro la sua amata Ladybug. «Non parliamone più, d'accordo?» propose, porgendogli la mano in segno di pace.
Joël non se lo fece ripetere due volte e subito gliela strinse. Al di là dei suoi complessi di inferiorità nei confronti di Adrien, lo ammirava molto. In verità, avrebbe voluto tanto essere bravo come lui nella scherma, avere il suo stesso carisma, la sua stessa eleganza e, se possibile, anche solo un decimo del suo fascino. Adrien era sempre sulla bocca delle ragazze, che non facevano altro che decantarne le lodi, ed era molto amico di Marinette, colei che aveva ammaliato Joël durante le selezioni per l'accesso al corso di scherma. «Senti... io... Volevo chiederti scusa anche per aver equivocato il tuo rapporto con... sai...»
«Marinette?» concluse Adrien per lui. Benché fosse ancora confuso riguardo ai propri sentimenti per la compagna di classe, una cosa poteva almeno affermarla con certezza, ormai. «Non preoccuparti, non sei il primo che fraintende e... onestamente comincio a credere che voialtri abbiate l'occhio più lungo del mio.»
L'altro giovane tornò ad irrigidirsi e a perdere parte di quella sicurezza che era riuscito ad acquisire in quei pochi minuti di conversazione. «Quindi... Quindi lei... ti piace?»
Adrien si concesse un istante prima di rispondere. Non per riflettere sulla questione, quanto per convincersi che ciò che stava ammettendo non era affatto una bugia. «Sì, molto.»
Vide Joël prendere un grosso respiro e ciondolare sul posto, come se fosse sul punto di farsi prendere dal panico. «Tu... Le piaci anche tu», gli riferì, per amor di onestà.
Adrien sorrise con gratitudine e ammirazione: quel ragazzo era sincero e privo di reale malizia. «È innamorata di qualcun altro», gli rivelò, deciso ad essere altrettanto corretto. Lesse incredulità nello sguardo del suo compagno e si strinse nelle spalle con aria impotente. «Esatto, a quanto pare non basta essere un modello famoso per far breccia nel cuore di tutte le ragazze della scuola», scherzò con un pizzico di amarezza nel tono della voce. In realtà non gli dispiaceva venire apprezzato per le sue vere qualità – quelle che non riguardavano l'aspetto esteriore – perciò era felice che Marinette, così come Alya e altre loro amiche, non fosse troppo abbagliata dal suo bel faccino.
Joël abbassò di nuovo gli occhi, questa volta con fare pensieroso. «Insomma... non ha senso che io mi faccia avanti...» mormorò in tono mogio.
«Forse dovresti comunque.» Adrien avrebbe voluto mordersi la lingua, ma la sua coscienza prendeva sistematicamente il sopravvento e non poteva tacere davanti a quel cuore ferito. «Hai tutto il diritto di farle sapere ciò che provi.»
«E... E se fosse inutile?»
«Almeno non vivrai col rimpianto di non aver tentato.» Lo vide esitare. Reagì ancora. «Anch'io mi sono dichiarato ad una ragazza, non molto tempo fa.» Gli occhi di Joël saettarono di nuovo nei suoi. «Sono stato respinto.» Adrien rise nel vedere l'espressione sbigottita dell'altro. «Giuro, è successo davvero.»
«È per questo che ora hai rivolto le tue attenzioni a Marinette?»
Era una domanda ovvia, che lui stesso avrebbe potuto e dovuto porsi già da un po', e cioè da quando aveva capito che il pensiero di Marinette si era insinuato sempre più nel suo cuore. Tuttavia, se ne rese conto solo in quel momento, quando a rivolgergliela fu qualcun altro. «Non...» Tentennò, non sapendo esattamente cosa rispondere. Era ancora innamorato di Ladybug? Sì, diamine. Marinette gli piaceva? Sì, diamine. E se avesse dovuto scegliere? Se avesse avuto la possibilità di condividere qualcosa con Marinette, qualcosa che esulasse dalla soglia dell'amicizia, lo avrebbe fatto? Senza rimorso? Senza pensare di aver tradito il suo amore per colei che fino a quel momento era stata la regina incontrastata del suo cuore?
Strinse le labbra, decidendo di non arrovellarsi troppo attorno a quel pensiero. Avrebbe seguito il consiglio di Nino, procedendo un passo alla volta: con i sentimenti, che fossero suoi o di qualcun altro, non c'era da scherzare. Bastava un nulla per rovinare ogni cosa, irrimediabilmente. «Non lo so», confessò senza più esitare. «Ammetto di essere abbastanza confuso al riguardo.» Joël parve capire ciò che lui voleva dire e annuì di nuovo, senza dire alcunché. Adrien prese un respiro profondo e continuò: «Comunque andranno le cose, però, mi farebbe piacere che noi due rimanessimo in buoni rapporti.»
Pur volendo, non avrebbe potuto dirgli di no. Joël se ne rese conto all'istante, quando gli venne spontaneo sorridergli con gentilezza: non solo Adrien lo aveva perdonato per ciò che gli aveva fatto, per di più ora aveva messo a nudo tutta la propria fragilità, dimostrando di non essere poi troppo diverso da lui. «Farebbe piacere anche a me.»
«Fammi capire», cominciò Plagg quando, durante la pausa pranzo, Adrien era andato in camera sua per posare la borsa con i libri e darsi una rinfrescata. «Prima chiedi un appuntamento a Marinette e poi incoraggi un altro ragazzo a dichiararsi a lei?»
«Non è un appuntamento», chiarì il giovane, non sapendo se sentirsi sorpreso per quella domanda o vagamente infastidito. «Voglio solo tirarle su il morale. Ed io non sono nessuno per costringere Joël a tacere sui propri sentimenti.»
«Mi fa piacere che tu abbia imparato la lezione, dopo la tua disavventura con quello scultore», si congratulò con lui il kwami, assaggiando il suo adorato formaggio. «La gelosia può uccidere l'amore prima ancora che nasca.»
«L'hai letto nei cioccolatini?» s'interessò di sapere Adrien, fissandolo con aria scettica. «In ogni caso, non ho motivo di essere geloso. Non di Marinette.»
«E allora perché stamattina ti sei nascosto dietro gli armadietti per spiare lei e quel ragazzo, mentre parlavano da soli?» Preso in contropiede, lì per lì non seppe cosa rispondere e questo diede all'altro il tempo di incalzarlo. «Sei ancora convinto di essere innamorato di Ladybug?»
«Io sono innamorato di Ladybug», ci tenne a puntualizzare indispettito il giovane, recuperando il sangue freddo. «C'è una bella differenza.»
«E nel frattempo esci con un'altra.»
«Un'amica.» Plagg si avventò sulla mano con cui Adrien stava per porgergli un altro pezzo di camembert, ma il ragazzo schivò appena in tempo i suoi dentini affilati. «Sei diventato matto?!»
«Te l'avevo detto che ti avrei morso», rispose con decisione la creaturina, fissandolo dritto negli occhi con fare severo. «L'hai ammesso tu stesso che Marinette ti piace.»
«Certo, ma resta il fatto che sia anche mia amica», ribatté Adrien, testardo più di lui. Non era neanche sicuro di ciò che provava per lei, come poteva arrivare a definirla in altro modo, per di più sapendo che Marinette era innamorata di un altro? «Proprio per questo voglio che si distragga e non pensi troppo alla delusione che ha ricevuto ieri. Come Chat Noir ho già fatto la mia parte, ora tocca al suo amico Adrien», spiegò per dovere di cronaca. «Anche se in teoria non dovrei saperne nulla», aggiunse poi in un borbottio, sperando in cuor suo che Marinette si confidasse di nuovo con lui, sebbene questa volta non portasse alcuna maschera.
«Attento a non fare un passo falso o finirai per farti scoprire», lo avvertì Plagg, ammorbidendo il tono della voce e mostrando ancora una volta di tenere molto a lui, benché non glielo dicesse quasi mai.
Adrien gliene fu grato e abbozzò un sorriso. «Temo che, se capisse la verità, non me lo perdonerebbe mai.» Insieme al camembert, il suo kwami ingoiò anche una rispostaccia: possibile che quel ragazzo fosse davvero tanto ottuso da non capire che Marinette gli avrebbe perdonato qualunque cosa e che, forse, sarebbe stata persino felice di sapere che dietro la maschera di Chat Noir si nascondeva proprio lui? Avrebbe così capito che i loro problemi di cuore non erano altro che un enorme, tragicomico malinteso, e che in realtà potevano essere felici insieme senza più lacrime e bugie a fin di bene.
«Scendo di sotto. Appena finisco di pranzare, torno a prenderti. A dopo.» Seguì l'amico con lo sguardo fino a che non lo vide sparire dietro la porta della camera. Possibile che né lui né Tikki potessero fare nulla per aiutare i loro portatori? Plagg se lo era chiesto sempre, immancabilmente, nel corso dei millenni, e nonostante si fosse rassegnato ad obbedire alle regole, non riusciva però ancora a farsene una ragione.
Pur dopo eoni e in barba a mille peripezie, finalmente riesco ad aggiornare, poffarbacco!
Lavoro, impegni personali e imprevisti vari mi hanno tenuta a lungo lontana dal computer. E non è finita, sigh. Sono settimane che non riesco a buttare giù mezza riga e proprio quando mi ero ripromessa almeno di aggiornare... puff! Il computer ha iniziato a dare i numeri. Speriamo che non mi dica addio definitivamente, altrimenti so' augelli senza zucchero.
Ad ogni modo, riecco qui i nostri prosciuttini. Adrien sta iniziando ad aprire gli occhi almeno riguardo ai propri sentimenti per Marinette, mentre lei comincia a rapportarsi con lui in modo un pelino più razionale. Riusciranno i nostri eroi a far chiarezza in tutta questa confusione? Oppure la qui presente autrice della storia giocherà altre carte e scombussolerà ulteriormente il tutto? Se considerate che ho scritto altri sette capitoli e che ne mancano altri due o tre alla fine della long, suppongo che la risposta sia abbastanza scontata.
Detto ciò, vi chiedo come sempre scusa se non sono riuscita di nuovo a rispondere alle vostre recensioni, ma sono davvero in un periodo parecchio caotico, soprattutto per due questioni parecchio importanti (una delle quali spero di condividerla con voi al più presto).
Grazie ancora per essere qui a leggere le mie fantasie su questi due adorabili tontolotti e per tutto il sostegno che mi date sempre con le vostre bellissime parole. ♥
Shainareth
P.S. Chiedo scusa ai lettori di Wattpad per la formattazione di questo capitolo, diversa dai precedenti, ma con Firefox impallato e Chrome che funziona a verso suo e non collabora con il sito, ho dovuto fare copia/incolla da EFP direttamente sul cellulare. 😧
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