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Il coraggio.


"Un guerriero della luce non è mai codardo. [...] il guerriero preferisce affrontare la sconfitta e poi curarsi le ferite, perché sa che, se fuggisse, darebbe all'aggressore un potere maggiore di quanto meriti"

Paulo Coelho.


Ben non sapeva se odiare il suo amico o ridere per la sua genialità. Non gli aveva più dato risposta quando lui gli aveva offerto il suo aiuto, ma Dan doveva aver preso il suo silenzio come un invito a procedere. Mentre Deva continuava a imprecare e cercare una via d'uscita, talvolta minacciando di lanciarsi giù piuttosto che trascorrere un altro minuto in sua compagnia, Ben andò alla ricerca del vino. Trovò nascoste dietro una parabola due bottiglie, due coperte piegate una sopra l'altra e due cuscini quadrati. Già le cose si complicavano: lui non era affatto un tipo romantico. Solo in quel momento si accorse che il cielo invernale era limpido sopra di loro e ricoperto di stelle.

«Invece di lamentarti dammi una mano» urlò verso l'altro lato del terrazzo, dove Deva tentava ancora di aprire la porta blindata.

Ben prese una delle due coperte pesanti e la stese per terra, poi avvicinò i due cuscini e infine stappò la prima bottiglia.

«Non ho intenzione di fare tutto ciò» protestò la ragazza, che si era avvicinata silenziosa.

«Bene. Allora non frignare».

Non sapeva come aveva potuto fare, ma Dan aveva pensato proprio a tutto: lì dove aveva trovato le altre cose, andò a pescare anche due bicchieri di vetro. Ben versò il vino in un bicchiere, poi lasciò la bottiglia al centro della coperta, dove Deva si era già seduta senza protestare ma dandogli le spalle. Lui rimase in piedi, improvvisamente divertito da quello che sembrava un vero e proprio secondo round del gioco che avevano iniziato una settimana prima.

«Il tuo ragazzo lo sa che ci provi con gli altri?».

«E i tuoi genitori lo sanno che hanno fatto un figlio stronzo?».

Ben non rise, anzi si sentì profondamente imbarazzato. Posò il bicchiere e si sedette accanto a lei.

«Non ho mai chiesto scusa a nessuno, Deva, ma con te mi sono comportato davvero male e lo ammetto» disse dopo aver preso un bel respiro, «e ti prometto che non c'è nessun secondo fine in tutto questo. Non è nemmeno opera mia» aggiunse sdrammatizzando, ma non ottenne più di una mezza smorfia.

«Bene» rispose senza guardarlo, invece si versò da bere e si strinse nel cappotto, «tu sei convinto di avere tutte le persone che incontri in pugno, non è vero? Si vede che non sei abituato a faticarle le cose».

«Non è assolutamente vero!» protestò Ben, «io fatico e come!».

Deva si girò a guardarlo. Era la prima volta che i loro occhi si incontravano così da vicino dalla scorsa domenica, ma il suo viso era molto più rilassato dopo aver ricevuto le scuse che addirittura quasi sorrideva.

«Chi sei?» gli chiese di botto, poi vedendolo confuso aggiunse: «chi sei tu quando non hai nessuno intorno? Cosa ti è successo?».

Ben sapeva che la ragazza non si sarebbe ammorbidita fin quando lui non si fosse aperto con lei. Sapeva che parlare era la condizione necessaria perché gli perdonasse la sua arroganza, sapeva che non le interessava discutere di quanto bello e lussuoso il suo albergo fosse, sapeva che voleva entrare nella sua mente. Anche se non aveva deciso lui di trovarsi intrappolato sul tetto con lei, non aveva via d'uscita e le soluzioni erano due: costruire un muro o abbassare le difese. Poi improvvisamente Ben si ricordò del bigliettino della dottoressa Mitchell... non poteva più fuggire. Parlare era l'unico modo per guarire, e adesso Ben non poteva essere codardo.

«Io sono uno che ha sofferto, Deva».

«Dimmene una».

Ben sorrise, poi sorseggiò il vino che man mano lo riscaldava. «Vuoi saperne una? Va bene, vediamo... la più recente. Questa estate è morto il mio migliore amico. Eravamo in macchina insieme, io guidavo e ridevo. Lui invece è morto». Quando Ben aveva formulato quelle parole, nella sua testa erano risuonate molto più leggere di quando le aveva pronunciate, e se ne accorse dall'espressione sconvolta di Deva davanti al suo sorriso.

«Ben...» iniziò lei pacata, posando il bicchiere, «Sai che non è colpa tua, non è vero?».

Ben non rispose, e il sorriso gli si spense. Era assolutamente convinto che la colpa fosse soltanto sua. Era questo che non riusciva a farlo andare avanti, il fatto di essere sopravvissuto quando non doveva.

«Punti di vista».

«Avevi bevuto?».

«No. E forse questo mi fa incazzare ancora di più, sono responsabile perché ero lucido».

«So che fa male, credimi, lo so» rispose Deva quando lui tornò silenzioso, «ma non per questo devi pensare che sia tutta colpa tua. Certe cose non le puoi controllare, e quando succedono non puoi farci niente. Puoi solo accettare il dolore e andare avanti».

Ben non era turbato e riusciva ancora a respirare, cosa che gli veniva difficile persino quando solo pensava a questo argomento. In più, le parole della ragazza erano di conforto ma allo stesso tempo prive del tono compassionevole che a lui lo faceva andare fuori di testa, per questo non gli pesò continuare a parlarne.

«Puoi anche non credermi, visto l'idea che ti sei fatta di me, ma io non sono uno che se ne lava le mani. Mi sentirò sempre responsabile di tutto questo».

Mentre osservava il cielo pieno di stelle si tolse il cappotto: l'alcol in circolo nel sangue lo aveva riscaldato abbastanza.

«So che non sei uno che se ne lava le mani» replicò la ragazza ammiccando, poi si alzò da terra senza spiegazioni e iniziò a girare intorno al terrazzo. Ben la guardava sbirciare giù dal parapetto, poi seguire con gli occhi le stelle e la seguì.

«E come lo sai?».

«Perché io so leggere le persone, Ben Barnes. Credi che sarei uscita con te se avessi tenuto in conto solo la tua reputazione? Non mi piacciono i prepotenti. Ho accettato solo perché so che c'è qualcosa in più. Ma adesso sono io che ti dico che non ho intenzione di perdere tempo con te, quindi valuta bene. O mi lasci entrare, oppure io me ne vado definitivamente».

Ben era spiazzato, non si aspettava che Deva pensasse di aver trovato qualcosa in più dentro di lui. Le ragazze che aveva conosciuto fino a quel momento lo differenziavano dagli altri per il livello economico, nessuno gli aveva mai letto dentro ancora prima di averlo conosciuto davvero. Non era certo se la ragazza di fronte a lui avesse già scoperto tutti i segreti della sua anima o se fosse solo l'ennesima presuntuosa.

«Non farti troppe aspettative su cosa potresti trovare qui dentro» le rispose, picchiettandosi la tempia, «potresti rimanere delusa».

Le aveva dato il permesso. Non sapeva a cosa lo avrebbe portato quello che a lui sembrava un altro dei tanti giochi, sapeva soltanto che non poteva farne a meno e voleva spingersi al limite.

«Chi te lo dice che non sia già delusa?» replicò lei ironica, sorridendo mentre correva a prendere i due calici posati sul pavimento vicino la grande coperta.

Due ore passarono in fretta sul tetto del Bittersweet Hotel, dal quale si ammirava la distesa di piccole luci che era Londra di notte. Ben e Deva, quasi ubriachi, continuarono a parlare ancora più sciolti delle loro vite, come se si conoscessero da molto tempo. A Ben sembrava molto più facile parlare con lei al posto della dottoressa Mitchell, si chiese perché dopo tanti mesi di terapia l'avesse conosciuta solo in quel momento.

«Ora voglio sapere la tua più grande paura» le chiese, giocando con i suoi capelli. Lei lo guardava sorridendo timidamente e Ben sapeva che stava morendo dalla voglia di baciarlo, ma decise di non rischiare un'altra volta: voleva mettere alla prova la sua capacità di sopportazione.

«La mia più grande paura è quella di essere dimenticata» rispose pensierosa. Impossibile, pensò Ben. Come si può dimenticare una persona che riesce a tirare fuori il meglio di te? Si voleva maledire quando pensava queste cose, ma era impossibile non farlo.

Vennero interrotti da un rumore metallico alle loro spalle che li fece sobbalzare. Solo qualche istante dopo Ben capì che era il rumore della porta blindata che si apriva, e sulla soglia apparve un Daniel sorridente e brillo. Era come se il tempo sul tetto dell'albergo si fosse congelato, e fosse tornato alla normalità solo con l'arrivo del suo amico. Adesso iniziavano a sentire freddo e ad avvertire la stanchezza della giornata appena trascorsa.

Decisero di rientrare e prima di chiudersi la porta blindata alle spalle, Ben lanciò un'ultima occhiata a quel posto che sembrava avvolto da un'aura magica e che da quel momento in poi sarebbe stato per lui un angolo di paradiso, fuori dal tempo e dallo spazio.

Promisero di rivedersi i giorni seguenti e Ben non la accompagnò fino al suo piano, ma filò dritto verso la suite senza provare a darle nemmeno un bacio sulla fronte. Sentiva di aver instaurato una connessione più profonda con la ragazza e, anche se non sapeva dove l'avrebbe portato, non voleva sprecarla. Si addormentò quasi subito quella notte, ma solo qualche ora dopo si svegliò in preda all'ansia. Aveva fatto bene ad aprirsi con Deva? Le aveva appena fornito armi letali per ferirlo e il dubbio lo tenne sveglio tutta la notte. Forse si era fatto prendere troppo dal momento, lì sul tetto panoramico del Bittersweet, ma i giorni seguenti cosa sarebbe successo? Da quello che stava iniziando a capire della ragazza, sapeva che se un giorno avesse voluto fargli del male, lo avrebbe fatto con stile e in modo doloroso.

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HOLA! Finalmente i nostri protagonisti sono entrati più in confidenza, e quale migliore situazione di trovarsi bloccati sul tetto poteva aiutarli a sciogliersi? Beh in verità avevo molte altre idee ma ho deciso di sintetizzare per non fare sembrare il tutto troppo forzato. Avremo tempo per vederli più vicini, intanto bisogna conoscersi. Che ne pensate? Avete un preferito tra Ben e Deva? Secondo voi come andrà a finire questa storia? Io sono combattuta... a presto, fatemi sapere!

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