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Deva.


"Così è la vita:

cadere sette volte e rialzarsi otto".


Deva aveva ventisette anni, il lavoro dei suoi sogni e la propria vita in mano dopo tanto tempo. Era una designer, nello specifico progettava esposizioni e ambienti, aveva fatto della sua passione il suo lavoro: l'idea che tutto fosse al posto giusto e creasse la giusta atmosfera la faceva sentire realizzata e in pace con sé stessa. Contrariamente a ciò che faceva vedere, era una ragazza estremamente pacifica, continuamente avvolta da un'aura che attraeva tutte le persone che le stavano intorno. D'altronde il suo nome, dal sanscrito, significava "divinità". E il suo carattere altalenante lo aveva sempre giustificato dicendo che quello era lo stesso nome della dea hindu della luna, quindi non era in fondo tutta colpa sua. Deva aveva sofferto, ma non voleva fare pagare la pena delle sue sofferenze ad altri: da sola aveva vissuto dall'età di diciotto anni, da sola aveva dovuto fare i conti troppo presto con il mondo degli adulti, da sola aveva imparato a cadere e rialzarsi. Una volta capito il meccanismo, iniziò a sentirsi come un gatto equilibrista che, camminando sul filo del rasoio, ogni tanto inciampava ma cadeva sempre in piedi.

Con la maggior parte delle persone da lei giudicate pericolose si mostrava aggressiva e sfuggente, ma la verità era che aveva imparato a sue spese a doversi difendere e a non fidarsi più di nessuno. Ad eccezione di quelle persone in cui riusciva a intravedere qualcosa di più: era il caso di Ben Barnes, entrato nella sua vita proprio quando aveva deciso di restare alla larga dagli uomini per tempo indefinito. Conosceva quel ragazzo ancor prima di incontrarsi al Bittersweer per la sua notorietà in tutta Londra - chi, tra le sue conoscenti, non avrebbe desiderato fare un giro sulla ruota panoramica del signor Barnes? Non Deva, in verità. Sapeva che fosse attraente, ma purtroppo non le bastava.

Tutto cambiò quando lo incontrò al Bittersweet Hotel. Non solo le si presentò davanti il ragazzo più affascinante e carismatico che avesse conosciuto, ma riuscì anche ad avvertire qualcos'altro dietro la corazza, e questo la lasciò colpita. Certo, non si aspettava di essere scoperta a fare la spogliarellista per il suo compleanno, tanto meno di essere ricattata da lui in persona, ma dopo qualche tentativo riuscì a scavare più a fondo. Una cosa inizialmente li accomunava: un segreto. Deva scoprì che il motivo delle misteriose passeggiate del signor Barnes non era nient'altro che una visita alla sua terapista, ma Ben non sapeva ancora niente di lei e del suo passato. E adesso che lui si era aperto con Deva si sarebbe aspettato la stessa cosa da lei, ma come dirglielo? Da dove iniziare, come spiegare quale fosse il segreto che si portava dietro da anni e che non aveva mai confidato a nessuno? Temeva che il ragazzo si sarebbe allontanato da lei, proprio quando iniziava a piacerle davvero.

Deva decise di tacere per il momento. Dopo la folle notte passata bloccati sul tetto dell'albergo, ubriachi e insensibili al freddo, avevano deciso di continuare a vedersi, e lei era sicura di avere ancora tante occasioni per dire la verità.

Era un giovedì pomeriggio di fine novembre e i due ragazzi decisero di andare nel quartiere di Soho, dove in un'edificio storico si teneva una mostra d'arte moderna con degustazione di vini - evento più che azzeccato per entrambi. Quando arrivarono al portone d'ingresso non ci fu nemmeno bisogno di fornire i nominativi al buttafuori come si aspettava Deva, essendo un evento privato. Bastò semplicemente che vedesse Ben, e li fecero entrare senza esitare. L'organizzatrice della mostra era una sua amica, niente di nuovo, e quella corsia preferenziale da un lato a Deva piaceva, dall'altro la infastidiva terribilmente. "L'arte dovrebbe essere accessibile a tutti", continuava a ripetere salendo le vecchie scale in pietra dell'edificio, mentre Ben le faceva il solletico per farla tacere.

Quando entrarono nell'appartamento vennero accolti da una donna alta, con i capelli biondi raccolti in uno stretto chignon, che gettò con prepotenza le braccia attorno al collo di Ben non appena lo vide, lasciandogli con un bacio lo stampo del rossetto rosso fuoco sulla guancia.

«Benjamin, ce l'hai fatta!» esclamò entusiasta, poi il suo sguardo indugiò qualche secondo su Deva, inarcando le sopracciglia. «Hai portato un'amica».

«Eccome se l'ha portata» ribatté Deva con un ghigno, mentre sentì Ben trattenere a stento una risata. Allungò la mano verso la donna dagli occhi color ghiaccio che emanavano lo stesso freddo, aspettando invano che la stringesse.

«Vedo» commentò con una smorfia, per poi rivolgere di nuovo tutte le sue attenzioni verso Ben, «caro, vieni a bere qualcosa». Afferrò il ragazzo per un braccio e lo trascinò con sé, noncurante della presenza di Deva, e lui borbottò un "torno subito" prima di sparire tra la folla. "Iniziamo bene", pensò Deva sbuffando. Avevano appena varcato la soglia e lei era già sola; si trovava in un ampio salone dai soffitti alti, le pareti bianche decorate in alto da affreschi scrostati dal tempo, gruppi di persone ammassate lungo i tavoli della degustazione.

Deva decise di proseguire da sola ed entrò in una stanza dalle pareti piene di quadri di ogni dimensione, ognuno con la sua targhetta sotto con il nome dell'opera e dell'autore. Era l'unica persona della stanza senza un calice in mano e, quando si avvicinò ad uno dei quadri per osservarlo, sentì diversi occhi indiscreti alle sue spalle scrutarla. Non era di certo quello il suo ambiente, anzi, tutte queste persone dall'aria altezzosa la irritavano da sempre... come se il reddito rendesse una persona meglio di un'altra. Nonostante adesso fosse una ragazza indipendente e benestante Deva conosceva la discriminazione, ma si sforzò di non farsi condizionare e sentirsi a suo agio mentre si aggirava tra le opere.

Di tanto in tanto scoccava un'occhiata verso la porta, ma non vedeva arrivare Ben. Forse avrebbe dovuto seguirlo e non darla vinta a quella simpatica sconosciuta. Decise di lasciare la stanza e andarlo a cercare ma tornando nel salotto non lo trovò neanche lì, quindi entrò in un'altra stanza. Molto più ampia della prima, l'unica differenza era una grande poltrona antica dove, sul retro dello schienale, vi era trafitto un coltello - dopo l'ansia iniziale, Deva capì che era un'altra opera. In mezzo alla folla, riuscì a vedere Ben con due calici di vino in mano che si guardava in torno e si avvicinò a lui. Mentre Deva lo raggiungeva, il ragazzo - forse rassegnato - gettò lo sguardo sulla poltrona, ma prima che qualcuno lo potesse fermare si sedette.

«Ben, no! È un'installazione!» gli urlò arrivandogli alle spalle, ma era troppo tardi: scattò un allarme assordante che lo fece saltare in aria, mentre molti ospiti impauriti lasciarono cadere il proprio bicchiere, uno di questi proprio sulla poltrona dove un istante prima era seduto Ben.

«Ma che ne so, sembrava solo una sedia!» si giustificò lui, cercando di asciugare invano la macchia di vino sul tessuto, mentre Deva a malapena respirava dalle risate.

«Il mio capolavoro!» strillò una voce isterica alle loro spalle, che fece cadere un altro paio di bicchieri dalle mani degli invitati. Deva e Ben si scambiarono uno sguardo complice e si allontanarono in fretta dalla poltrona, mescolandosi alla folla che si era creata attorno a loro mentre la donna dallo sguardo glaciale si faceva strada più infuocata che mai.

Purtroppo per lei, i ragazzi si erano già dati alla fuga. Corsero giù dalle scale rischiando di cadere, mentre Ben stringeva la mano di Deva e la tirava fuori dall'edificio. Si calmarono solo per passare inosservati davanti il buttafuori, ma dopo aver voltato l'angolo ripresero a correre come se fossero inseguiti da qualcuno, ma era solo la loro euforia a spingerli. Quando si fermarono, entrambi dovettero riprendere fiato prima di parlare.

«A che ora hai il volo per Nizza stasera?» gli chiese Deva, sciogliendo i capelli allentati dalla corsa.

«Alle undici» rispose Ben, raccogliendo un fiore da un'aiuola e porgendolo alla ragazza con un mezzo inchino. Si vedeva che non era abituato a gesti romantici, ma quel suo fare impacciato a lei piaceva ancora di più perché sapeva che era spontaneo.

«Allora facciamo così» iniziò lei, prendendo il fiore e incastrandolo dietro l'orecchio, «ceniamo a casa mia, e poi ti accompagno all'aeroporto».

Il suo appartamento si trovava a Bloomsbury, il quartiere di Londra noto per essere centro di arte e cultura della città, al secondo piano di un vecchio palazzo che dava sul Russell Square Garden. Quell'area verde era stata per Deva il suo rifugio segreto per tanti anni, nonostante tanto segreto non fosse, ma lì si sentiva sempre al sicuro. La casa era stata arredata da lei in persona, a partire dalla scelta dei colori delle parenti fino all'ultimo soprammobile, e anche se era più piccola della suite di Ben non se ne vergognava, ma fu felice di accoglierlo nel suo salotto.

«Chi era quella donna?» gli chiese, togliendosi le scarpe e lasciandosi cadere sul divano accanto a lui.

«Si chiama Crudelia Storm, anche se io non credo sia il suo vero nome. Le piace intimidire la gente».

«È così diversa...».

Deva allungò le gambe sulle ginocchia di Ben, che prese a massaggiarle le caviglie d'istinto.

«Diversa da cosa?».

«Da te» rispose lei con semplicità. Era quello che pensava veramente, fin dal momento in cui aveva messo piede in quella stanza piena di persone, cioè che nessuno dei presenti fosse alla stessa altezza di Ben.

Fuori dall'appartamento di Bloomsbury pioveva forte e il freddo appannava le finestre, ma era bloccato dal calore e dall'allegria che riempivano la casa all'interno. Deva e Ben risero del casino che aveva combinato lui a casa di Crudelia, cenarono, misero la musica e ballarono a piedi scalzi per tutta la sera, fin quando si accorsero che il tempo stringeva e bisognava correre in aeroporto per non perdere il volo. Era come se il tempo nell'appartamento di Deva si fosse bloccato e fosse tornato alla normalità solo quando si accorse che Ben doveva andare via: la stessa cosa che era successa la sera prima sul tetto del Bittersweet Hotel.

Mentre guidava non poteva fare a meno di lanciargli qualche occhiata quando lui distratto canticchiava le canzoni che passavano alla radio, e si chiese se era il caso di fidarsi di questo sconosciuto che aveva la fama da donnaiolo. Era disposta, nell'eventualità, a cadere un'altra volta? Ma soprattutto, era disposta a rivelargli il segreto che la torturava e non la faceva dormire la notte?

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Sorpresaaaaaa! Ho deciso di scrivere questo capitolo osservando più da vicino Deva, finalmente, non ne posso più di Ben. Come tutti, anche lei ha degli scheletri nell'armadio che non sa se rivelare o meno. Sarà Ben la persona con cui si confiderà dopo anni? Le vite dei nostri personaggi si intrecciano sempre di più, e man mano escono fuori nuovi enigmi. Vorrei sentire le vostre teorie! E sono sempre ben accettate critiche, pareri, consigli sulla trama o sul mio modo di scrivere in generale. Con amore, a presto!

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