Picasso balla il tango (II)
Quando arriviamo nell'appartamento delle Suore in cerca delle mie coinquiline, assistiamo ai resti di un'esplosione atomica. Sembra che un tifone sia passato di qui e abbia spazzato via qualunque ostacolo bloccasse la sua corsa.
La porta d'ingresso è aperta, le luci dimenticate accese, l'atrio e il salotto sono costellati di oggetti in mille pezzi. Il vaso dei fiori giace sminuzzato ai piedi del divano, il bongo capovolto e con la cappella forata, il telo di velluto dei sofà infagottato contro il battiscopa. Per non parlare di ciabatte e scarpe: tappezzano l'intero appartamento, spaiate, al punto che trovo uno stivaletto invernale sotto il termosifone, un altro in doccia.
E poi, sul muro della cucina, ci sono schizzi di ketchup e maionese, un pomodoro spiccicato sul lampadario, un décolleté con il tacco conficcato nel centro di un quadro di Saul.
«Qui ci sono stati i ladri» commenta Stefano. Fa per chiudere l'anta del microonde, ma si blocca quando al suo interno trova la carcassa di un fon. «Ladri sopra le righe. Passi per il disastro, ma che senso ha sbattere un fon nel microonde?»
«E hanno rubato poco e niente» gli faccio notare.
Il cellulare di Tania si trova accanto alla griglia del lavandino, acceso e con il display lampeggiante, colpa delle duecento chiamate che le ho lasciato.
«Quale ladro dimenticherebbe di rubare un I-phone di ultima generazione?»
«Lo stesso che non noterebbe trecento euro sopra un pacchetto di spaghetti scaduti» nota Stefano.
Due indizi ci danno una conferma: nessun ladro è stato in questa casa; nella peggiore delle ipotesi si tratta solo di una lite tra Psyduck e il GGS. Forse Saul potrebbe sapere qualcosa. Dalla sua stanza proviene il ticchettio del pennello sulla tavolozza dei colori. Il regolamento vuole che nessuno lo disturbi quando sulla porta è appesa la targhetta "Artista al lavoro", ma la preoccupazione mi spinge a rompere la legge.
«Saul! Lo so che ci sei! Mi sai dire che è successo con Tania e Vale? Pare che sia passato un uragano! Giuro sulla Madonna del Boccaccino che poi ti lascerò in pace!»
Nessuna risposta.
«Guarda, la riconosci?» mi chiede Stefano, porgendomi una tracolla in pelle, spilla degli ACDC incollata al portachiavi e all'interno un libro di architettura.
«Valentina non studia architettura» nota Stefano nei panni di Sherlock.
«E Tania non è ossessionata dagli ACDC» concludo da brava Watson.
Ancora due indizi per un'unica conclusione: Yuri è stato qui.
«Li dobbiamo trovare» ordino.
Quel trio demoniaco ha la potenzialità di incenerire l'intera Nomi, altro che singola palazzina!
«Sì, ma dove? Nin, aspetta...»
Scendo le scale, senza premurarmi di chiudere casa o spegnere le luci. Non può capire la mia agitazione, lui che è rimasto indietro nella love story di via delle Suore.
Non sa che Yuri e Tania si conoscono dai tempi di Milano.
Non sa che Valentina si è fissata con Yuri.
Non sa che Yuri vuole cogliere la palla al balzo per una botta di divertimento.
«Scusa, Nina» mi chiama una voce.
La Signora Pozzi ci spia dalla fessura della porta, un battipanni in mano e la sua proverbiale curiosità che la spinge a ficcare il naso negli affari dell'intero quartiere.
«Sei Nina, vero?» lo chiede con retorica, visto che conosce anche il mio codice fiscale, la password del bancomat e il numero di targa della Panda di mia madre. Di norma la snobberei, ma considerata la gravità della situazione la classifico come "testimone di primaria importanza".
«Un pandemonio, lassù» squittisce. «Va tutto bene, cara?»
Questo dovrebbe dirmelo Lei. Io non ero in casa, mentre Satana e le due Diavolesse scatenavano l'Inferno.
«È stato terribile» piagnucola la Signora Pozzi con una mano davanti alla bocca. «La gente in strada si è allarmata da tante erano le grida.» Si fa il segno della croce. «C'era rumore di vetri rotti e tonfi che non vi potete immaginare. E quella voce di donna così disperata che io mi sono detta: quel delinquente la sta ammazzando.»
Io e Stefano rimpiangiamo la teoria dei ladri.
«E che è successo poi, Signora?» indaga Stefano con gentilezza.
«Ma ho chiamato i carabinieri, ovvio» recita lei. «Un duo davvero distinto e per bene. Li hanno portati via tutti e tre, quei pazzi. E poi dicono che i vicini si disinteressano sempre delle disgrazie altrui.»
In un batter d'occhio corriamo verso la centrale di polizia, il grande edificio di fronte al Picasso.
«Tu lo sai che Yuri sarà la vittima e non il carnefice, vero?» chiedo a Stefano, affrettando il passo.
Lui pare sorpreso dalla domanda e in effetti chi mai definirebbe quel seminatore di zizzania una possibile vittima?
«Ho racimolato quattrocento euro, credi che bastino?» gli domando poi, forte dei trecento che ho recuperato dal pacchetto di spaghetti. Siamo fermi al semaforo e sto rigirando le banconote tra le dita, come se quei ritagli di carta colorata fossero la nostra unica fonte di salvezza.
Stefano scuote la testa senza capire.
«Per la cauzione, no?» gli spiego. «Credi che con quattrocento euro riuscirò a tirarne fuori almeno uno?»
«E chi sceglieresti dei tre?» mi chiede lui, divertito dall'assurdità della domanda.
Mi convince a far sparire i soldi nella borsetta. Tre messicani, appollaiati sui tavolini del Picasso, li stanno adocchiando. Masticano nachos al peperoncino piccante da un sacchetto accartocciato e ogni due sorsi si rinfrescano la gola con un sorso di birra annacquata.
«Non metterò mai più piede in quel locale» sospiro, smaniosa di sfuggire dai loro sguardi.
Il semaforo si fa verde.
«Andiamo» mi dice Stefano, prendendomi sottobraccio.
«Fermo!»
Mi rimangio tutto quello che ho appena detto. Altro che non mettere mai più piede in quel locale! Adesso è arrivato il momento di tornarci! Seduto sotto la veranda che lo smog ha annerito, un uomo dai lunghi capelli Oreal de Paris conversa divertito con due sconosciuti.
«Ma quello non è Yuri?» mi chiede Stefano. «Non doveva essere in carcere?»
«Che fine hanno fatto Valentina e Tania?»
Yuri non ha l'aria di una "povera vittima appena sopravvissuta a una perquisizione dei carabinieri". Si beve le sue medie e ride a crepapelle, quando uno dei due sconosciuti azzarda una battuta.
«Yuri!» lo chiamo.
Lui toglie i piedi dal tavolo e, quando si raddrizza, dà una stiracchiata alla camicia azzurra.
«Oh la mia mammina!» ride, il labbro superiore tagliato da un graffio. «Ve l'avevo detto che sarebbe venuta a salvarmi!»
I due, da bravi sudditi, rispondono che lui è il grande Yuri Conte e tutto il resto.
«Ti sei per caso scordato della mia conferenza?» gli chiede Stefano.
Ecco il vero motivo per cui si è rifiutato di prendere il treno con Pietro e Camilla e ha scelto di accompagnarmi a casa, trovare Yuri e rinfacciargli di avere dato buca.
«Oh, ma dai» minimizza Yuri. Si allunga per tirare una sedia accanto a lui e convincere Stefano a sedersi e a bere una bella birra in santa pace. «Pietro me l'ha già spedita per mail, la guarderò quando sarò sobrio.»
Se Stefano fosse donna, ci sarebbero gli estremi per un divorzio, ma visto che Stefano è dotato di genitali maschili – e lo confermo per diretta esperienza – il tutto si conclude con una pacca sulla spalla e un filosofico "beviamoci su!".
«Solo perché lui ti ha già perdonato, non pensare di liberarti di me!» sbotto. Braccia incrociate al petto, mi affretto a scioglierle, quando mi accorgo che Yuri mi sta fissando il seno. «Dove sono Tania e Valentina e perché sono dovuti intervenire i carabinieri?»
«Ve l'avevo detto che me l'avrebbe chiesto!» ride Yuri, indicando i due tizi alle mie spalle. «Sappi, fratello, che io l'ho fatto anche per te!» dice a Stefano. «Ma sai quanto avrei movimentato la conferenza con del sano catfight?»
Stefano rompe l'alleanza alcolica e cerca il mio aiuto.
«Yuri, sintetizza con chiarezza!» gli ordino.
Lui alza le mani rassegnato, quasi volessi arrestarlo con le manette e buttarlo un'altra volta nella volante dei carabinieri. «Sono solo venuto prima di quel che mi hai detto» confessa. Ecco perché non si è presentato da Picasso per il nostro appuntamento! «Nel nome del sano divertimento. Tania voleva rivedermi, Valentina deflorarsi e chi sono io per dire no?»
Gli sconosciuti alle mie spalle non trattengono commenti osceni e risate. Tra un "Vai, fratello!" e un "Ma quanto ce l'hai duro?", si comprano tutto il mio disprezzo, nonché la voglia di zittirli con un cazzotto.
«Io l'ho studiata la rivoluzione francese, sai, Nin?» continua intanto Yuri. «Liberté, Egalité, Fraternité... non volevo fare un torto a nessuno e mi sono sacrificato per il loro bene proponendo un menage a troi.»
Spero non sia una battuta riciclata dalla conversazione con Tania e Valentina.
«Chi per prima ha iniziato a tirarti oggetti?» gli chiedo.
Il volto di Yuri è tumefatto da piccoli graffi e botte violacee.
«La schizzata fucsia» mi risponde. «Non la ricordavo tanto focosa, sai? Ma credimi, il tuo gigante isterico non è stato da meno!»
«Aveva ragione Anatolia!» gli dico. «Sei proprio un misogino e un bastardo, egocentrico...»
«Oh, ma Nin!» taglia corto lui. «Non ti ho ancora presentato i miei due nuovi amici!» I due avanzi di galera alle mie spalle. «Loro due sono Pablo e Picasso!»
Sono chi?
Mi giro stranita dall'assurda combinazione di nomi e appena roteo il busto di centottanta gradi il morso di una tarantola mi paralizza i nervi. Davanti a me ci sono due giovani uomini in una normalissima felpa da relax, non due delinquenti fuggiti dalla stazione di Nomi. Il primo ha un viso ignoto, con scuri capelli tagliati a spazzola e un naso stretto e aquilino.
«Io non mi chiamo Picasso» ridacchia, senza porgermi la mano. «E adesso, se non schizzo in bagno, me la faccio pure addosso, cazzo.»
Il secondo purtroppo non ha un viso altrettanto ignoto. Impossibile scordare la ciocca tinta di bianco all'altezza dell'orecchio sinistro, o i ricci castano chiari che in una notte di alcol e Xanax avevo scambiato per il biondo del grano.
«E ovviamente io non sono Pablo» dice. Lui sì che mi porge la mano e lo fa con cortesia, perché ha impiegato un battito di ciglia a riconoscermi. «E nemmeno Pulcinella.»
Yuri e Stefano sono a secco di parole e perfino io ho la bocca asciutta dalla sorpresa.
«Piacere» dico. Piacere un bel niente. «Io sono Nina.»
Lui ha un sorriso che gli taglia il viso come un grande spicchio di arancia caramellata.
«Zeno Dante London» si presenta. Era quasi meglio Pablo Pulcinella. «Caso clinico, caso letterario e pittore con le tasche bucate in cerca di successo.»
E nel tempo libero tiratore di cazzotti a individui muscolosi e molesti. Ritiro la mano senza dargli il tempo di baciare il palmo.
«Nome interessante» commento, prima di tornare a fissare Yuri. Non voglio avere niente a che fare con Pulcinella: è il simbolo di un periodo di crisi, una parentesi che vorrei condannare alla damnatio memoriae.
«Ritieni interessante il mio nome solo perché non hai sentito la storia della mia nascita» dice lui, quando ormai gli do le spalle. «È sbalorditiva e credo proprio che te la dovrei raccontare.»
«Sì, beh, lo immagino» azzardo. «Ma io credo proprio di no, dovrei andare.»
Zeno non sembra dispiaciuto dall'acidità che gli sto schizzando in faccia. Più assumo un tono scontroso, più sale di giri. Ringrazio Yuri per lo spirito di iniziativa quando va a pagare il conto. Picasso, intanto, in fila per il bagno, saltella sul posto e volteggia quasi stesse ballando il tango.
«Va' pure» mi concede Pulcinella. «Tanto noi due siamo destinati a ritrovarci.»
Se Yuri fosse qui, risponderebbe con una citazione dal libro del destino: è scritto nelle stelle; io, per educazione, mi trattengo dal replicare con un "nemmeno nei tuoi sogni".
Mi basta uscire dal Picasso in compagnia di Stefano eYuri, per capire che questo Zeno Dante London, nome di caso clinico e letterario, è un osso davvero duro. Il cellulare emette il beep di un sms, numero sconosciuto, mittente certo:
Mercoledì, ore 9.00, atrio di Lettere.
Note d'autrice
Lo so, sono scandalosa! Sei mesi per aggiornare una storia che mi richiederebbe solo una semplice attività di copia e incolla. Non mi impegnerò nemmeno per cercare una giustificazione adeguata. Semplicemente non ne avevo voglia (viva la sincerità!). So che sarebbe stato opportuno un recap o un "dove c'eravamo lasciati", ma (sempre viva la sincerità) non lo so nemmeno io . Grazie a chi continua a seguirmi, nonostante tutto, e ancor più grazie a chi mi aiuta a trovare i refusi. So perfettamente che Binomio non è una storia da pubblicazione, ma un giorno mi piacerebbe stampare una copia per me e la vorrei il più pulita possibile.
A presto (sul serio, giuro che finirò di aggiornare entro l'estare)
Odiblue
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