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E lei tra noi (III)


Nei giorni successivi, quelle manciate di ore che ci separano dal Natale e da un nuovo anno, uno strano senso di angoscia mi chiude lo stomaco in una morsa. E la colpa non è della lavanda gastrica e del coma etilico che mia madre continua a ricordarmi ogni due per quattro. Marco è tornato a Viacampo, seppur per poco, e nella sua valigia, scarsa di indumenti e manuali di testo, ha portato con sé grandi progetti per il nostro futuro.

Vieni con me, andiamocene insieme, noi due.

È incredibile quanto la vita ti sappia scombussolare e rigirare come un calzino spaiato, da elastico a punta, sul più bello della tua storia: passi due anni di università a pianificare il futuro, a programmare la tesi, a diventare la superstar del corso, e tutto a un tratto arriva un imprevisto a convincerti che forse Nomi non è mai stato il posto adatto a te.

Restare in zona significherebbe compiere un'impresa titanica, fronteggiare più mostri che Ercole alle prese con le dodici fatiche. E altro che uccidere l'Idra di Lerna o catturare vivo un cane a tre teste! La sottoscritta se la deve vedere con un aspirante suicida, un consulente in fuga e una migliore amica svanita nel nulla. Sono sicura che perfino i più grandi guerrieri del passato, da Achille a Gengis Khan, salperebbero per la Germania e direbbero: "A mai più, gente! Chi si è visto si è visto! Bon voyage!"

Se me ne andassi con Marco, d'altra parte, sembrerebbe che qualche pieno di benzina nel serbatoio di una Mitsubishi potesse uccidere tutti i passi mossi in avanti fino a questo istante, tutti i progressi che mi hanno allontanata dal binomio. Il gioco del "Non ci vedremo per...", i periodi forzati di separazione, il lavoro su me stessa per rendermi indipendente... una faticaccia buttata al vento.

Tra una fetta di pandoro a casa di Marco e una cioccolata calda che beviamo al Torcia, mi lascio lacerare da questa decisione. So perfettamente che cosa mi consiglierebbero familiari e amici, ma mi astengo dal ricercare un confronto: voglio che restino in terra neutra, sapere che qualsiasi scelta farò la dovrò imputare solo e soltanto a me stessa. Anche Marco non insiste.

«Io ci spero» mi dice un pomeriggio, quando abbiamo smesso di pattinare sulla pista del paese. «Ma devi essere tu a volerlo. So di non poterti forzare, perché se venissi a Friburgo senza esserne convinta, non potrebbe funzionare.»

Ecco, per una buona volta siamo sinceri: mettiamoci davanti allo specchio e parliamone seriamente. "Non potrebbe funzionare cosa di preciso?". Una persona intelligente si aspetterebbe che uno studente di medicina al secondo anno, forgiato dalla preparazione di un liceo classico, sappia mettere un soggetto al verbo della frase. Invece, Marco preferisce l'impersonalità, il generico e così, quel cosa resta una nuvoletta indistinta, uno stato gassoso che non sa che forma assumere. Spetta a me scegliere in che contenitore metterla, se schiacciarla in una bottiglia con l'etichetta "Storia d'amore 2.0", pigiarla in un barattolo dal titolo "Vecchio binomio scaduto", relegarla in una scatola targata "Solo amici e basta". Il problema nasce nel momento in cui persino la protagonista non sa quale decisione prendere, ora che la bottiglia sembra una minestra riscaldata, il barattolo l'ossessione di una vita, la scatola una sciocchezza da ipocriti.

Solo allora realizzo che la frase di Marco è corretta e non è necessario anteporre un soggetto al verbo. Per quel che siamo, l'unica soluzione possibile è lasciare la relazione che ci lega una nuvola di gas astratta, che per una volta siano gli eventi – Friburgo, se proprio partirò – a scegliere di quale aspetto dotarci.

«Fermi tutti» tuona Valentina. Ci troviamo al mercatino dell'usato, nel capannone di periferia, ai piedi della Val d'Ora, nonché alla ricerca di un paio di orecchini smeraldo da abbinare a una borsetta di paillettes. «Fermi tutti!» mi ripete, impuntata come un asino davanti a un vecchio grammofono. «No, dico io? Ma è possibile? Mi sarò appartata in Tibet per questioni spirituali e monastiche per quanto? Tre, quattro mesi? E al mio ritorno che cosa trovo? Carlo si traferisce in Spagna, Giacomo si è dato all'uncinetto e sforna tutine rosa per la nascitura, e tu vai a convivere in suolo germanico con quel polpettone trito e ritrito del binomio?»

Esausta si lascia cadere su un bongo, lo sfrutta alla maniera di uno sgabello, sotto lo sguardo da rapace dell'indiano che spera di venderglielo a cinquanta euro suonati.

«Giacomo sa fare l'uncinetto?» mi stupisco io. Sorvolo sulla storia del Tibet e della sua "breve" sparizione degna di "Chi l'ha visto". È un altro il succo del discorso: «E come fa a sapere che sarà femmina? Marina ha detto di volerlo scoprire alla nascita!»

Valentina smette di sorseggiare la cioccolata fumante che abbiamo comprato al bar e che ci stiamo scarrozzando dietro da un paio di minuti:

«Il radar, Nina». Tamburella un dito sulla tempia, nel punto dove, secondo le nostre antiche teorie, si nasconde la ricetrasmittente. «Il rivelatore sessuale è aggiornato all'ultima versione e ora predice anche il sesso degli embrioni.»

Ci credo poco. Valuterò la correttezza dell'ipotesi solo quando la nascitura proverà di essere femmina, ossia il grande giorno del parto. Riprendo a sfilare tra le bancarelle, sperando che Valentina e il suo culone pesante si decidano a seguirmi, ma all'improvviso un brivido mi mette sull'attenti.

«Ehi! Io e Marco non andiamo a convivere!» Lo preciso con uno strillo tanto alto che tutta la gente nei paraggi si gira per fissarmi. Come ha potuto sfuggirmi questa insinuazione? «Lui è ancora in pausa di riflessione con Celeste e...»

«E tu vorresti farmi credere che la loro già mezza morta relazione sopravvivrà alla tua martellante onnipresenza a Friburgo?» Valentina me lo chiede, mentre mi trascina sul bongo vicino al suo. Gli occhi dell'indiano si trasformano in banconote da cento euro di fronte alla prospettiva di raddoppiare la vendita. In realtà a raddoppiare sono solo le sciocchezze della mia migliore amica:

«Celeste... la poveretta è spacciata!»

«Vale, non è una proposta di matrimonio.» Lei rotea gli occhi al cielo, come a dire che il matrimonio è superato, demodé, che andare a vivere insieme equivale a mettere su famiglia. «Lui non intendeva in quel senso, non in quello che intendi tu, insomma. È solo che...» Lei smette di trangugiare cioccolata con tanto di gorgheggio, giusto per assaporare la cazzata che sto per sparare. «È stato un periodo difficile. Con il tranello di Celeste, la storia di Biagio, Nicola. Vuole essere solo sicuro che io stia bene, farmi staccare un attimo la spina da Viacampo, perché qui, sembra che dietro ogni angolo ci siano un miliardo di casini.»

E adesso Valentina mi fa pat-pat sulla schiena. «Non ve l'hanno insegnato a lettere che un attimo e per sempre non sono sinonimi?» La maledetta è tornata più carica che mai dalla spedizione in Tibet. La preferivo quando era casta e immacolata. «Tu gli hai chiesto "Per quanto?" e lui ha detto "Sempre". Nina, che doveva fare? Invitarti a cena e metterti la richiesta di convivenza in un biscotto cinese a fine pranzo?»

Direi di no, anche perché, fortunata come sono, me lo sarei sicuramente mangiato.

«Non sto dicendo che non devi partire» dice Valentina, d'improvviso seria. «Solo che è un passo importante, che potrebbe cambiare per sempre le vostre vite.» Non fa che ribadire un concetto noto: forse quella nuvola di gas indistinta prenderà una forma stabile, nel bene o nel male. «Nina, io dico solo che, se hai anche un solo possibile ripensamento, un solo motivo per restare, forse non dovresti salire su quella Mitsubishi.»

Eccola la domanda da terno al Lotto: ho un motivo per restare? Gli occhi di Valentina si liberano di divertimento e battute sarcastiche e mi scrutano severi. Sono una maestra rigida che vuole una risposta definitiva. E io, da brava studentessa, ripercorro tutte le piste per evitare un errore.

L'università non è un problema. Ho anticipato due esami a dicembre, potrei dare quello a inizio gennaio e lavorare per la tesi a distanza. Crodelia ha sempre elogiato l'eccelsa biblioteca e la vasta tradizione di studi classici offerta da Friburgo.

Tania se la caverà, tutti vivranno più leggeri senza i miei drammi. E Nicola.

"Nicola è tabù."

Giusto, grillo!

«No, non ho un vero motivo per restare» confermo.

E poi non devo avere paura di muovere questo passo: non sarà un vero per sempre. Prima o poi Marco finirà il suo Erasmus e ce ne torneremo a Viacampo, insieme, io avrò comunque la magistrale, ma sì, sto correndo troppo. E ho bisogno di staccare la spina, di non pensare a Biagio e a tutto il resto, a quello strano senso di vomito che volteggia nello stomaco quando ripenso agli ultimi eventi.

«Il Tibet ti ha resa saggia, Vale» le dico, appena ci rimettiamo in piedi e riprendiamo la caccia agli orecchini di smeraldo.

L'indiano blatera qualche insulto in lingua sconosciuta per avergli occupato i bonghi senza sganciare i famigerati cento euro. Valentina manco se ne accorge:

«Il Tibet» esclama con sguardo sognante. «Non ci crederai, ma quando l'ho scalato non facevo che cantare. Cazzo, cantavo perfino mentre lo scalavo, tutte quante le volte! Facevo degli acuti che manco Mina e Celine Dion.» Non urlare, Vale, va beh che metà dei presenti non coglieranno la metafora, però... «Sei ingiusta, Nina, perché non me lo avevi detto che era così.»

Mi fermo di punto in bianco tra una bancarella di francobolli e una di Topolino.

«Vale, io non sono mai stata in Tibet.»

Che fatica trattenere una risata a fior di labbra! Valentina si gira con indosso uno sguardo da civetta:

«Non ti ricordavo così idiota» sbotta.

E via, di nuovo alla ricerca di questi dannati orecchini introvabili. Di qui a un attimo ci metteremo un annuncio sulle magliette: A.A.A. Cercasi bancarella di pietre, non di robaccia e rifiuti di antiquariato.

«Tanto per la cronaca» inizio a dire, quando proprio in lontananza si intravede il luccichio di qualche cristallo. «Credi che riuscirai ad ammettere prima dei diciotto anni di tua nipote che esci con Alex?»

Valentina si fionda sul banchetto, adocchia gli orecchini perfetti, li poggia sul lobo per valutare la corretta gradazione di verde. Poi, dopo aver sganciato i soldi per l'acquisto, trova anche la risposta giusta: «Te lo scriverò in un biscotto cinese, idiota. Però la cena la paghi tu!»

Per il resto del pomeriggio, spettegoliamo su vari argomenti, finché non arriviamo a parlare di Nicola e allora Valentina si spazientisce.

«Nina, seriamente. Non capisco come tu possa trovarlo un problema, quando sembra essere uscito dalla provetta di un esperimento chimico solo per guardarti le spalle!»

Me lo chiedo anch'io, tutte le sere dopo Natale e Capodanno, i pochi giorni prima degli esami a Nomi e della partenza. Eppure, ogni volta che il suo nome compare nei pensieri, il grillo mi mette in guardia:

"Tabù, perché complicarti la vita ora che hai preso una decisione?"

Partire, sì, mettermi in gioco al cento per cento, rischiare me stessa, il binomio, Marco. Eppure, quando faccio per chiudere la zip del trolley, le dita sembrano incapaci di dare lo strattone definitivo. Mi manca una spinta, un consiglio sincero. La tentazione di scrivere un sms a Nicola, di domandargli un'opinione sulla mia fuga a Friburgo, mi costringe a massacrare le unghie a suon di morsi.

"È inutile che ti assilli, ragazzina. Te lo ha già dato, il suo ultimo consiglio. Non ricordi?"

"Prendi un treno e raggiungilo."

E allora va bene, arrivati a questo punto, non mi resta che partire.

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