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Brooklyn e caffè (II)


In questi mesi fatico a capire quali pazzie frullino per il cervello di Valentina. E se fatico a comprendere la sua mente, è perché la mia resta una selva di enigmi irrisolvibili. La trovo nella nostra stanza, seduta alla mia scrivania, davanti al mio computer e sulla mia pagina di Messenger, intenta a sfogliare i nomi dei contatti in cerca di una buona chat.

L'ho seguita per parlarle di Yuri, ma ora che sono in questa stanza, ho di nuovo le gambe che tremano e il fiato corto e il nome di Marco che preme sulle labbra. Il tarlo è sceso dal cervello e ha raggiunto la lingua; la punzecchia, genera il bisogno di parlare del binomio, la necessità di piangere, ma Valentina non lo merita.

«Ascolta, Vale. Si può sapere quando ti è venuta questa colossale cotta per Yuri?» lo chiedo senza mettermi comoda.

Lei non risponde, ma clicca sul nome di Yuri, scrive un "ciao", non lo invia. Sonda invece una reazione, sbirciando con la coda dell'occhio da sopra la spalla.

«Da quando ho iniziato a gestire i tuoi contatti Messenger, suppongo, anche se lui crede che io sia tu.»

Invasione di privacy, furto di personalità, diffamazione via web. Non so che nome dare al gesto di Valentina.

«Di' alla tua testa di piantarla con il melodramma!» sbotta lei. «Non gli ho scritto niente di provocante, solo informazioni sui giorni in cui era a Viacampo.»

«Per questo sapevi che non sarebbe stato a casa per il To remember

Valentina ammicca, ghigno colpevole, pizzico di malizia e soddisfazione: distratta dal malessere, il genio Nina Adami ha impiegato quasi un mese per risolvere il cruciverba.

«Comunque non è una cotta» precisa Valentina. Sguardo sulle ginocchia, dito su canc per eliminare quel "ciao". «È solo che per la mia prima volta vorrei qualcuno in grado di scopare dignitosamente senza fecondarmi, qualcuno con cui godermela.»

«Dovresti cambiare vittima allora, è un ex di Tania.»

Non voglio assistere a una faida tra amiche.

«Chi se ne frega di Psyduck. Mi merito una prima volta decente.»

Sta per riattaccare con l'arcinoto discorso del "la prima volta fa sempre schifo". E la mia mente vola a quel pomeriggio, sul poggiolo di Stefano, tra i resti di una sigaretta spenta e una bottiglia di scotch mezza vuota. Un battito di ali e i pensieri tornano a Marco: la sua reazione, la nostra lite, i piccoli passi che abbiamo fatto per fortificare il binomio. Avevo diciotto anni e il potere di salvarci, perché adesso sto fallendo?

«È passato l'idraulico?»

Valentina me lo chiede, quando mi vede seduta a bordo letto. Le gambe si sono piegate in automatico, sferzate dal ricordo di questa mattina. È successo tutto così in fretta da sembrare un miraggio, una proiezione della mente tanto potente da avere nebulizzato il resto del mondo, idraulico compreso.

«Maledizione! Potrebbe essere passato, potrebbe aver suonato il campanello, ma io...» Valentina inarca un sopracciglio. «Io avevo la testa da un'altra parte e non ci ho fatto caso. Mi dispiace.»

Sospiriamo assieme, io di colpa, lei di rassegnazione.

«No, Nin, dispiace a me.»

Si è dipinta sul viso un'espressione di pentimento.

«Perché ti dispiace? Sono io che non ti sono stata vicina. Sono sempre io la pessima ed egocentrica migliore amica.»

«Sì, ma sono stata io a nascondere il diario dell'Irlanda nella tua valigia.»

Ripeto le parole di Valentina: valigia, diario, lei?

«Credevo fosse stato Yuri. Tu odi il binomio. Perché?»

Valentina si scrolla le spalle, recupera il cuscino a forma di papera, proprietà Tania Zocca, e se lo porta al petto, nella speranza che inizi a starnazzare, a evitarle un'amara confessione:

«Perché stavi andando a pezzi, senza nemmeno accorgertene.» E a pezzi rischia di andare il cuscino, se non mollerà la presa. «E volevo aiutarti e credevo di avercela fatta, nella maniera giusta, che il diario fosse abbastanza per svegliarti.» Invece è stato il colpo di scure che ha reciso l'ultimo brandello di pelle tra capo e collo. «Però mi sbagliavo. E l'ho capito quando mi ha chiamata Nicola e mi ha detto che stavi male.»

«Aspetta, chi?»

Il cuore inizia a correre una maratona di angoscia. E all'improvviso mi tornano in mente le parole di Nicola: "Starai bene, te lo prometto", poi la mia accusa di non poterle mantenere, un errore. Perché Nicola Ulivieri non regala discorsi a vuoto, Nicola Ulivieri passa dritto all'azione.

«Mi ha spiegato che era per Marco» confessa Valentina. «E allora mi sono detta che questo casino l'ho combinato io, io ero quella che demonizzava il binomio e forse, se ti avessi sostenuta...»

Si interrompe e pizzica alcuni peli dalla papera. Per ogni filo che taglia, intreccio una matassa di pensieri. E metto in ordine i fatti degli ultimi giorni: Valentina che nasconde il diario, Nicola che mi sostiene, i due che si alleano e poi... smetto di arrotolare la matassa.

«Che è successo poi?»

Valentina sbotta: deve proprio chiarire tutto, anche se ormai è limpido e cristallino il finale di questa storia.

«Ho nascosto delle pastiglie di cloro e fosforo nel filtro del rubinetto. E quando si sono sciolte, l'acqua è diventata bianca.» Limpido e cristallino per una mente deviata come la sua. «E ti ho costretta a stare a casa perché quel cerebroleso di uno zuccone doveva venire da te.»

Mi lancia la papera.

«Come facevi a sapere che sarebbe venuto?»

«Perché l'ho chiamato io, genio!» Adesso Valentina potrebbe usarmi come sacco da boxe per scaricare la sua frustrazione. «Lo vedi o no che sto gestendo i tuoi contatti in Messenger? Spettava a me fare qualcosa, altro che a quella Winx in miniatura!»

Mi arrotolo sul letto con la papera che mi copre il viso. Potrei piangere per ore: per non aver capito quanto Valentina odiasse la mia amicizia con Tania, per non aver saputo cogliere l'occasione che mi ha regalato, per aver perso Marco.

«Apprezzo il gesto» bofonchio, le parole schiacciate contro la stoffa gialla.

«Non ha funzionato, vero?»

Valentina lo dice con un accento di colpa, e io rotolo supina, fisso il lucernario nel centro della stanza, un pugno di stelle che iniziano a puntellare il cielo.

«Non riesce più a guardarmi» confesso. Riavvolgo la bobina dei ricordi, rivivo le sue parole filo per segno. «Gli facevo paura. Il binomio gli faceva paura, dover lottare per riaverlo.»

Gli occhi si inumidiscono, ma non voglio che Valentina mi veda piangere, che si senta in colpa per avere tentato un gesto estremo di salvataggio. Allora schiaccio di nuovo la papera sul viso, completamente consapevole:

«Se n'è andato di nuovo».


*


«È stato stabilito dalla Costituzione Italiana che gli uomini prettamente viacampiani siano il male dell'anima» dice Tania. «E noi avveleneremo l'anima di Anima Nera per impedire che ci distruggano.»

Con questo emendamento Tania Zocca mi costringe a uscire di casa per una nottata brava. Temporale che ha allagato via delle Suore, bottiglie di liquore alla liquirizia sottobraccio, navighiamo per i locali più in di Nomi.

E mi sforzo di ridere troppo, di divertirmi troppo, di sentirmi felice troppo. Perché forse tutti quei "troppo" riusciranno a riempire il vuoto che ho dentro. Più ballo, più bevo, più urlo, più mi convinco che la comparsa di Marco sia stata un inganno. E spero che la pioggia sappia lavare gli ultimi resti di quella finzione.

Quando torniamo a casa, mezzanotte, barcollanti, alticce e ancora vinte da quei "troppo", capisco che è impossibile. Ettolitri d'acqua si sono riversati sulla mia testa, ma la pelle è ancora marchiata dall'esistenza di Marco e lui...

Lui è qui. Fradicio quanto me, smarrito quanto me, disperato quanto me. Entrambi di nuovo e forse per l'ultima volta, cavalchiamo la stessa onda di sensazioni e sentimenti. E ci fissiamo, convinti che le nostre reciproche immagini siano uno scherzo dovuto a quei pugni d'acqua gettati negli occhi.

Lo vedo oltre la cortina di pioggia, illuminato dal lampione della Benetton. Boccheggia, infreddolito, senza che le parole prendano suono. E si tuffa sotto il nostro diluvio universale, per non lasciarmi sola, per dirmi che è tornato finalmente da me.

«Sono un idiota!» Grida e lo fa così forte da coprire il ticchettio dell'acqua sull'acciottolato della via. «Sono un grandissimo idiota, un cretino. Il re dei cretini e degli idioti.» Ride o piange, solo un metro di distanza tra le nostre ombre, ma non capisco. «Un povero scemo, un imbecille!»

«Bisogno di aiuto per un sinonimo?»

Tania mi pizzica il braccio, mi ricorda che devo respirare e sbattere le palpebre e muovermi. Perché Marco è qui, non è l'effetto di un gioco avviato dall'Anima Nera. Nemmeno il liquore più scuro può liberarmi dalla sua luce.

«Scemo, sono un grandissimo scemo.»

E io sono spaccata a metà. Da un lato la voglia di corrergli incontro e gridargli che è vero, è uno stupido e un idiota; dall'altro la paura di ributtarmi a capofitto nell'abisso dei sentimenti.

«Io me ne vado, scricciolo!»

Tania sussurra qualcosa del genere, ma io vedo e sento solo lui. A una spanna da me, così vicino da assaporare il suo respiro sulla pelle, un soffio che rimuove dalle ciglia le gocce d'acqua liberate dai capelli.

«Dio, se sono stupido» ride. E tiene le mani alzate, davanti al petto, all'altezza del mio viso. Sembrerebbe volerle appoggiare alle guance, toccarmi, convincersi che sono reale, non un sogno in una notte d'inferno. «Ho dovuto guidare fino a Bologna per rendermene conto. Sono un coglione!»

Non mi sfiora, né io mi avvicino per un abbraccio. Ricordo benissimo la sensazione di quel contatto. È sempre stato caldo il corpo di Marco e mi sono sempre sentita sicura, quando si chiudeva a guscio sopra di me.

«Ero venuto qui per rimediare, perché mi mancavi e alla prima difficoltà ho avuto paura e sono scappato come un coniglio, un vigliacco!»

Però adesso quella presa potrebbe sbriciolarmi in polvere e con tutta quest'acqua nessuno sarebbe in grado di salvarmi.

«Mi dispiace, Nina.» Due scie di lacrime gli colano dagli occhi, si confondono con la pioggia, muoiono sulle labbra. «Io non lo so perché i miei genitori mi hanno fatto tanto deficiente.» Quelle labbra che amavo toccare, nei nostri baci rubati, nei nostri baci veri. «È che non ci arrivo e che non posso perderti. E ho guidato come un pazzo per tornare da te, perché dovevo dirtelo.»

«Sei bagnato fradicio.»

Lo sono anch'io. E piango con lui, su quell'onda di sensazioni e sentimenti. Perché mai come ora il sentiero del binomio mi è sembrato impercorribile.

Vorrei avere nuove pietre da aggiungere, nuovi ponti per superare il baratro.

«Vieni su, dai.»

Ci voglio provare.

«Ti presto un asciugamano.»

Ci devo provare.

«E costringerò Saul a darti dei vestiti.»

Mi serve solo del tempo.

«Lo so, sono stato avventato!»

Marco non è mai capace di rispettare gli spazi. Si getta contro di me, per stabilire un contatto. Ma io arretro d'istinto.

«Avrei dovuto portarti dei fiori.» Insiste, maleducato e prepotente, un nuovo passo in avanti. «Dei girasoli, o dei cioccolatini, così mangi. Cazzo, se sei diventata magra.»

Non così però, così in fretta non ci riesco.

«Marco...»

«E pensare che è colpa mia!»

«Marco!»

Adesso sono io a gridare. L'ho fatto a pieni polmoni, al punto da aver spaventato anche il cielo. E infatti la pioggia fitta si dirada in qualche goccia e un silenzio tombale aleggia sulla via.

«Va bene così» gli dico. Abbi pazienza. «Non devi forzare le cose.» Voglio che tra di noi ogni gesto sia naturale, spontaneo. «Va bene così.»

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