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Bibbidi-bobbidi-boo (I)


«Ti prego, Vale! Dimmelo!»

«Staccati dal mio braccio e lasciami guidare!»

«Non puoi fantasticare su Yuri e non dirmelo!»

«Stupida genialoide, vuoi farci finire fuori strada?»

«Dimmelo!»

«Hai fumato con Psyduck prima di uscire da quella casa?»

«Ma Vale, io ti ho sempre detto tutto!»

Momento di gelo, marcia che gratta, pulsante Rewind e riassunto delle ultime puntate: piccola omissione sul sesso con Stefano, enorme dimenticanza sulla storia con Nessuno, ancor più tragico bel tacere sulla fine della storia con Nessuno.

«Prima o poi. Prima o poi io ti ho sempre raccontato tutto!»

Valentina sale con la ruota dell'utilitaria sul marciapiede, schiaccia contro il lampione tre punkettari in fuga dagli anni Settanta, sorpassa sulla destra la colonna di auto: missione "trovare parcheggio" attivata.

«Vale? Mi puoi considerare?» La presa a koala si fa più salda. Quando Valentina curva per raggiungere lo spiazzo sterrato, mi trovo spremuta contro la bretella del suo reggiseno borchiato. «E perché ti sei messa questo osceno profumo al cocco? Sembri una attira-zanzare più che una micidiale Catwoman!»

Zanzare a novembre, a Viacampo. Valentina si imbufalisce e nel top leopardato si improvvisa un vigile all'incrocio. Le mancano solo paletta e fischietto. In compenso suona il clacson.

«Un parcheggio, un parcheggio!» strilla. «Scendi e prendi il posto! Veloce!»

«Lo dici solo per liberarti di me e non parlare, ma non credere...»

«Veloce, stupida gallina!»

Non c'è nessun parcheggio, solo, come direbbe Tania, un maldestro GGS (Grande Gigante Stupido) con la coda di cavallo che si vuole liberare della sua tanto premurosa migliore amica. Valentina mi butta fuori dall'abitacolo dell'auto.

«Il parcheggio, razza di bradipo! Corri!»

Lei è il direttore del traffico, io un'automobilina impazzita che schizza seguendo le indicazioni, tra una coppia di fornicatori, uno specchietto nello stomaco e un idiota che, pur di rubarmi il posto, minaccia di regalarmi un biglietto di sola andata per l'aldilà.

«Ti vuoi svegliare, Adami! Se la stronza fucsia è Psyduck, tu sei peggio di Snorlax! Schnell! Eins, zwei, drei

Intravedo un posticino libero, premo sui talloni, scavalco cinque Audi, rotolo sul parabrezza di una Jaguar, piroetto che nemmeno Lara Croft in Tom Raider, affondo in un ritaglio rettangolare libero e...

«Idiota! Quello è il parcheggio dei disabili! Non quella destra, all'altra tua destra! Corri!»

Ma Vale, io ho solo una destra...

La missione parcheggio si conclude con un esito talmente becero che mi sento un catorcio umano funzionante a sudore, non a benzina.

«Vale, sono già stanca prima di iniziare. Non credo di avere più l'età per divertirmi!»

Lei, chiavi gettate nella pochette, mi incita con una "gentile" ginocchiata a muovere il sedere.

«Ascolta, Miss Marple. Non ti permetterò di rovinare la nottata in cui perderò la verginità. La camomilla della buonanotte te la bevi domani, mentre fili la lana con l'artista frustrato. E ora cammina. Non lo senti il richiamo della musica?»


Maybe I'm the one, maybe I'm the one, who is the schizophrenic psycho, yeah. Maybe I'm the one, maybe I'm the one, who is the schizophrenic psycho.


E se invece che di richiamo parlassimo di profezia? Voce seminascosta dalle casse acustiche, pare che sia Valentina a recitare il famoso ritornello della canzone. E vogliamo negare che la nostra GGS preferita sia una schizofrenica psicopatica?

«Devi ancora dirmi...»

«Muta!» Approdo definitivo al lungolago, campo da calcio riempito da un gigantesco palcoscenico in metallo, luci a led e una sbilenca strobosfera che mi acceca. «Sia chiaro, Nina. Stasera io sono la star, tu l'assistente che si spacca la schiena per soddisfarmi. Io sono l'architrave e tu il pilastro. Io la protagonista e tu la spalla comica. E tu...»

«Te lo devo, lo so. E non intendo fare casini, ma Vale, come puoi pensare che questa sia l'occasione giusta?»

Sul led illuminato c'è la foto di un visino da topo, grandi occhiali stile Nicola Ulivieri quarta ginnasio. E ovunque, sui palloncini gonfiati a elio, sui cartelloni decorati da boccali di birra, sulle magliette nere create per l'occasione, la scritta: To remember.

«Credi che a questa gente gliene freghi qualcosa del vero motivo per cui siamo qui?» mi chiede Valentina. Si aggira tra la folla, come in cerca del suo pusher personale. Io invece voglio solo una panchina dove bere la mia camomilla da Miss Marple e filare la lana.

«Non ti facevo così...» ci pensa. Ruba due birre a un tredicenne e me le porta. «Com'è quella parola che inizia con la M e indica una persona talmente paranoica da scervellarsi se sia giusto fare qualcosa oppure no?»

«Moralista.»

«Ecco, non ti facevo così moralista. E ora tieni. Usa le tue doti da segugio e rintraccia le mie prede. Tanto ormai l'hai già letto.»

Bigliettino estratto dal bunker del reggiseno borchiato e io dritta dritta a sedermi su una panchina, senza bere dal bicchiere di plastica, perché c'è un'altra parola che inizia per M e di cui Valentina forse ignora l'esistenza: mononucleosi, e non ci tengo a prendermela.

«Dio, come può essere lui?» Valentina e l'arte del melodramma, solo in "Binomio", volume 3, capitolo 2. «Non te lo ricordi? Guarda! Quello con la maglia nera e il disegno del cane bordeaux, il biondino. Ma che gli è successo? Era così carino l'ultima volta che l'ho visto...»

«Che sarebbe?»

«Il terzo anno di asilo. Sembrava tanto un angioletto e ora, ora sembra che Lucifero gli abbia tirato un cesso addosso e glielo abbia cucito al posto della testa!»

Regola numero 1 per flirtare secondo il manuale di Valentina Santoni: fissare in cagnesco il candidato e strillargli contro insulti tra il "letterario livello base" acquisito da Tania e il volgare. Seguono Cerbero il Pidocchio, Omino Michellin in salsa grassa, Leopardi il Dromedario.

«Vuoi vedere che l'unico candidato decente su quella lista era davvero lo stronzetto megalomane che si piastra i capelli fino al culo?»

E rieccoci con i filmini porno serie Z su Yuri! Non posso reggere che Valentina venga arpionata da quel seminatore di zizzania e malefatte.

«Balliamo» ordino. È l'unica soluzione per uscire dal ciclone di disperazione che ci ha imprigionate: Valentina perché i candidati della lista stanno evaporando come una pozzanghera sotto il sole di agosto; io perché non reggo le sue lamentele. In realtà mi sento a mio agio. Sono venuta a questa festa con il timore che Nessuno si fosse nascosto su una nuvoletta in cielo, smanioso di gettare un'incudine tra i batuffoli ovattati, unico bersaglio la mia testa.

Con la piccola eccezione che Nina Adami è di uno scalino più intelligente rispetto a Wile E. Coyote. E sa di non dover andare in campo aperto, prima di aver eseguito un sopralluogo. Ora che ho terminato le indagini, mi sento libera di divertirmi, ma Valentina si è trasformata in un bastian contrario e il fatto che la band sta suonando Stairway to Heaven aiuta... a tagliarsi le vene!

«Forza, Vale! Non eravamo qui per una serata megagalattica come Psyduck non se l'è mai sognata?»

Sono sulla striscia di porfido che dà accesso al palco, ora di buttarsi nella mischia. Ma Valentina si sta dilettando a personificare un vecchio mulo scontroso.

«Non so ballare. Nin. Non so fare niente che non sia tirare cazzotti o saltare in maniera scomposta per sfogare la mia ira.»

«E allora saltiamo!»

Io lo sto già facendo, con i riflessi della strobosfera che, nonostante la lontananza, arrivano sulla punta del naso. E si sa il potere della strobosfera e delle luci da discoteca. Puoi ballare come un cavallo sotto stupefacenti: nessuno lo noterà!

«Nin, non sta saltando nessuno!»

La trascino sotto il palco, nel campo da calcio, gli stand del cibo alla nostra destra, quelli di birra a sinistra.

«Se non ballano, è solo perché tutti bevono o si appartano come ricci in calore in una sorgente termale.» E per fortuna che questa doveva essere la serata nel nome di Valentina Santoni. «Ascolta me, Vale! Se vuoi rimorchiare, non puoi stare impalata come una biscia incazzata. Sculetta e strusciati contro di me. Non c'è niente di più provocante». Tania docet. «Vedrai che avremo non una conquista, ma un'orgia con l'intera Viacampo.»

Valentina si rifugia dietro la sua lista spiegazzata.

«E basta con quel foglietto! Che se passi la serata a guardare i nomi, invece che la gente, non rimorchierai manco l'ultimo single di Viacampo! Dai, è il momento di saltare!»

La canzone non aiuta... Hello, hello the sun is gone, Mosquito's song, to suck your blood. Ci mancava solo una deprimente canzone su una zanzara a rinfrescare la serata.

«Maybe I'm the one! Maybe I'm the one, who is the schizophrenic psycho, yeah!»

Canto a perdifiato e giro su me stessa, come quando da piccola giocavo a fare il girotondo e ruotavo per minuti interi, fino a cadere sul tappeto del salotto completamente stordita.

«Nin, ti prego!»

«Salta, ti ho detto! Salta e gira; gira e salta! Maybe I'm the one, who is the schizophrenic psycho!»

«Ma ti guardano tutti, come se fossi per davvero una psicopatica schizzata!»

«Salta!»

«Sì, salta!» urla un tizio con una Forst in mano. È il primo a eseguire il mio ordine, dimentico del bicchiere pieno e del liquido ambrato che gli offre una lavata di faccia gratis.

Un'altra ombra si aggiunge al salto, un altro tizio poga al mio fianco, un altro ancora preme il suo gomito contro il mio fianco. E dopo un'aggiunta e un'altra ancora, anche il titano Valentina abbassa le difese e si concede un saltello sul posto.

La band segue la massa. Rinuncia alla zanzara, intona Psycho dei Puddle of Mudd. Di tanto in tanto mi guardo intorno. Il sopralluogo sarà pure terminato, ma la versione intelligente di Wile E. Coyote deve stare attenta a crepacci e false piste. Quel bastardo di Beep Beep potrebbe tendergli un agguato! Aprire gli occhi e studiare la calca di gente che poga mi rincuora. Sono tutti ragazzi più giovani di me, le nuove leve di Viacampo. Io facevo parte dei vecchi Marines che hanno sciolto il servizio, chi per una licenza, chi per la fine del mandato. E ora siamo in missione a esplorare il mondo.

«Fanculo la lista di papabili!» grida Vale, dopo un'ora di salti. Di tutte le persone che ci circondano, lei e i super cazzotti sono la regina e i re del pogo. «E fanculo lo stronzetto! Guarda quanta roba si sta avvicinando a noi!»

«Ho già guardata abbastanza, grazie!» Grondo sudore e per fortuna mi sono risparmiata il trucco, altrimenti sembrerei il quinto dei Kiss in concerto. «E nessun pericolo all'orizzonte!»

«Che me ne frega dei pericoli? Stasera è la mia sera e quando abborderò uno di questi gnoccoloni tu, mia cara, dovrai fare una foto per l'aspide fucsia e per quel delinquente di mio fratello e per l'artista sociopatico... per tutti quelli che non ci crederebbero mai!»

«Vale, per una nottata non potresti dimenticarti di Tania e-»

Dodicesimo rintocco di mezzanotte. Le campane suonano e gli ammonimenti della Fata Madrina tornano alla mente di Cenerentola. L'incantesimo è finito e la realtà ha squarciato il velo della finzione. La zucca non è più una carrozza e i topi non sono che topi. Il rintocco si zittisce, mangiato da un colpo nello stomaco, e assieme a zucche, topi e scarpette di cristallo, scompare dalle mie orecchie anche il grido ripetuto della band. Non c'è più nessun Maybe I'm the one, ma una frase che conosco benissimo:

«Ehilà, cugina! Come ti butta?»

Donatello Spinelli stava pogando al mio fianco. È il tizio che si è lavato la faccia con la Forst, i capelli alla Dorian Gray tagliati corti e la solita camicia Hawaiana sostituita da un maglioncino verde pisello.

«Tu non sei mio cugino.»

Lui fa il labbruccio e si finge trafitto al petto:

«Antipaticona! Per questo non mi hai salutato?»

Passi il cambiamento estetico, ma come posso non aver riconosciuto Donatello Spinelli? È stato lui ad appoggiare l'inizio del pogo, il primo fan della bravata, e da più di un'ora saltiamo come indemoniati fianco a fianco.

«Bibbidi bobbidi bu!» ride Donatello. Applaude e sculetta che nemmeno la Carrà nei suoi balletti platinati. «E guarda chi altro stai per vedere a tu per tu?»

Mio cugino, immancabile per completare l'antico duo Simone Gatto e Donatello Volpe. E tra i tizi che pogavano contro di me e Valentina ci sono anche Chris e Tiziano, i due storici amici di Ivan, vecchie conoscenze della mia prima vera festa.

«Una cannetta per i tuoi pensieri?» mi chiede Donatello. Abbiamo smesso di pogare e la band ha ripreso a commemorare il defunto con la canzone della zanzara.

«No, non fumo.»

«Cerchi Ivan, cugina di Simone?»

Sarebbe proprio bello questo Bibbidi bobbidi bu, se avesse oscurato anche il cavaliere Dieci e Lode! Ma Donatello e Simone non hanno voglia di perdere tempo.

«Non c'è, cugina» ride Donatello. Mi tira una pacca sulla schiena. «Promessa del re degli Spinelli che comunque ti divertirai! E ricordati che in questa serata non c'è nulla di più artistico dell'amour

Si inginocchia a terra e recupera una zolla d'erba che spaccia per un fiore. Mi lancia una scarica di baci immaginari, mentre Simone ride e se lo trascina via, Tiziano e Chris a chiudere la fila.

«Che diavolo è appena successo?» chiede Valentina, pronta a chiudere la parentesi tragicomica e a rilanciare il pogo.

«Fate l'amore non fate la guerra!» grida Donatello dalle retrovie. «Tutti i secchioni della ex III classico in piedi! Avete capito? Fate l'amour

«Quello è più fuori di quanto ricordassi» sospiro.

Valentina invece che annuire salta sul posto, dimentica che la canzone non si adatta al pogo. Vorrebbe riprendere a dimenarsi in preda alle convulsioni, ma non fa partire il gruppo e io... Io mi sento beffata da quella maledetta fata cicciona con la ricrescita bianca e la camicia da notte blu! Donatello e Simone non saranno stati i protagonisti della mia adolescenza, ma la comparsa di quei due svitati mi ha scagliata nel buco temporale del passato: festa in Val d'Ora, tartarughe ninja, io e Mar-

«Ora ho capito che intendeva quel tizio con ex secchioni della III classico!» ride Valentina. «Ore tre dietro di te! Non ti sembra di conoscerlo?»

Le è bastato seguire le impronte di Donatello e Simone, tante briciole alla Pollicino, per arrivare alla tana dell'orco. Chi lo avrebbe mai detto che un giorno avrei chiamato Nicola Ulivieri "orco"?

«Grandioso» esclamo. Contatto visivo di un nanosecondo, lui appoggiato allo stand della birra con tanto di bicchiere plastificato, io che mi improvviso una ballerina classica e roteo sulle punte per dargli la schiena e ignorarlo. «Vale, ce ne andiamo? Ho fatto una figura di merda con sua madre, dal parrucchiere, che se lei gliel'ha riferita io...»

E appena Wile E. Coyote abbassa le difese, Beep Beep si prepara al lancio. Incudine dritta dal cielo, mayday mayday, nessun margine di preavviso per correre ai ripari e raggiungere il rifugio anti-bomba. L'incudine fora le nubi di una notte un tempo stellata, e i piedi scordano i passi di danza classica, non sanno ruotare e tornare a fissare Nicola. Il cervello... tabula rasa.

«Nin, va tutto bene?»

Basterebbe seguire la traiettoria del mio sguardo, per rispondere alla domanda. Deve essere una magia, è inutile tremare. Quella svampita della Fata Madrina deve avere preso il libretto degli incantesimi sbagliato o recitato Bibbidi bobbidi bu al contrario. Così invece che farlo sparire, ha materializzato davanti ai miei occhi l'Incubo Sovrano. Un'illusione, non è che un'illusione, maledettamente identica a lui, eppure diversa, con quei mocassini che fanno tanto medico e la giacca color cammello da bravo ragazzo e i capelli sistemati dal gel e dal pettine.

«Gli assomiglia solo. Non può essere lui, non conciato come un damerino» dice Valentina. «Calma.»

"Calma" è la parola chiave per aumentare l'ira; calma non si può dire quando le braccia di Marco sono avvinghiate attorno ai fianchi di Celeste; "calma" è una fottutissima presa in giro, quando le loro bocche giocano ad accarezzarsi, un poco in disparte dal vivo della folla, eppure nel centro del mio campo visivo.

«Ma come si permette?» domando.

Con che faccia tosta ritorna a Viacampo e si presenta a una festa pubblica con lei, quando sapeva benissimo che ci sarei potuta essere io?

Mi guarda. E la bocca si stacca dalle labbra di Celeste, manco la mia apparizione avesse destato la sua coscienza, un sussurro di pietà: "Dai, Marco, trattieni i bollenti ardori, perlomeno davanti a quella poveretta di Nina!"

E io dovrei trattenere i pensieri e correre a casa e fingere di aver assistito a un ologramma proiettato dalla strobosfera. Invece il grillo della coscienza frinisce invano e un cieco fiume rosso mi impedisce di pensare lucido. È impetuoso, al punto che sterminerebbe anche il miglior nuotatore delle Olimpiadi, da quanto è incazzato. Non ci vedo più, i freni della ragione abbassati, la pazzia che corre a briglia sciolta nelle vene.

Piroetto sulle punte e osservo Nicola, il bicchiere di birra che, da quando mi ha vista, non ha più sfiorato. Improvvisamente non mi fa paura confrontarmi con lui, sapere che cosa gli abbia detto sua madre. Mi getto in una corsa a perdifiato e blocco i passi solo quando mi trovo a un palmo dal suo viso.

Pochi metri, ma il fiatone preme già nel petto ed è la consapevolezza che non dovrei essere qui. La lingua sta imbastendo un elenco di scemenze. Parlo e parlo e – Dio! – non riesco nemmeno a sentire che cosa gli sto dicendo! So solo che Nicola mi guarda, il bicchiere poggiato sul bancone dello stand.

«Non sono ubriaca.» Ma già lo sa. Ora che i suoi occhi non si nascondono dietro due fondi di bottiglia, mi vede per come sono. «E non essere ubriaca rende il fatto ancora più imbarazzante, perché mi priva dell'attenuante.»

Lui non libera un suono e asciuga sulla felpa grigia le mani, bagnate dalla condensa del bicchiere. Il suo silenzio mi spinge a parlare:

«So di non avere il diritto di chiedertelo e che ti uso sempre. È insensato. Tutto il corpo mi dice che è una pessima idea e il cervello mi sta mandando segnali chiari: prendere un grande respiro, girare i tacchi e andare a seppellirmi con la dignità che mi sono appena bruciata.» Anche la mia gola brucia, brucia così tanto che vorrei strapparmela dal collo. «Però, anche se i segnali sono inequivocabili, c'è qualcosa che ribolle nella mia testa e genera un'interferenza. E quel qualcosa, piccolo come un granello di sale, vale più del resto del cervello, quindi non è che potresti...»

La mano di Nicola, ancora umida, si è appoggiata alla mia nuca. E umide sono le sue labbra. Tremano come le mie, quando le nostre bocche si sfiorano. Birra, il liquido degli dèi che Nicola diceva di disprezzare e che, adesso, si è trasformato in un collante tra le nostre salive. Non so dare un tempo a questa pazzia, non credo duri più di un minuto, perché il mio cuore ha smesso di fare bum. E quanto potrebbe resistere una persona con il cuore bloccato?

Nicola si muove con lentezza. La mano dietro la nuca imbriglia le ciocche rosso sbiadito, tiene il mio capo sollevato, gli dona la giusta angolazione perché non si sciolga l'incastro di bocche che abbiamo creato. E adesso il granello di sale, il responsabile di questa pazzia, sta gettando dubbi nel cervello: wow, che bacio, ma non è forse sbagliato trarre piacere da un errore?

O forse dovrei lasciare che questo bacio mi rapisca e non pensare, né al dopo, né a Marco. Ma è tardi e Nicola ha deciso che è giunto il momento di dividerci.

«Ti ho aiutata e tu hai aiutato me» sussurra, il suo respiro un ultimo soffio sulle labbra, il mio ancora disperso.

«Grazie.»

Anche se lo dico, non capisco. Non ho la percezione della folla che ci circonda, unico suono la voce di Donatello che imita lo strimpellare di una chitarra, con tanto di portatovaglioli e cannucce rubate allo stand.

Nicola mi guarda e io sono nella posa dello stoccafisso, con gli occhi che bruciano perché non li posso chiudere. Ma alla fine, per quante bocche possano donare un attimo di piacere, la mia anima cerca sempre Lui. Scomparso nel nulla, un buco vuoto che fora la notte e i riflessi argentei della strobosfera. È solo quando affondo lo sguardo nel To remember che comprendo le parole di Nicola.

A meno di cinque metri da noi, una ragazza dai capelli fiammeggianti, nella mia stessa posa da stoccafisso, un bicchiere di birra che le è caduto sulle ballerine nuove di zecca.

"Ti ho aiutata" ha detto Nicola. Parlava di Marco. "E tu hai aiutato me". Anatolia.

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