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Insieme (II)


Quando arrivo al Porto di Punta Lunga, una conca nascosta da un boschetto di ulivi, scopro che Stefano tutta questa fretta non l'ha mai avuta: è in ritardo. E in ritardo resta per la successiva mezz'ora, trenta minuti in cui la capigliatura ricciuta e disordinata non buca la linea dell'orizzonte. Ne approfitto per prendere una granita al limone e sedermi su una panchina, a osservare le barche con le gomene attraccate al porto.

Stefano si concede altri dieci minuti di ritardo e alla fine fa capolino oltre la spiaggia di ulivi. Il passo lento e scomposto ricorda l'ultima camminata di un condannato verso la ghigliottina. Tiene le mani ficcate nelle tasche dei pantaloni troppo larghi, il capo abbassato. Mi concentro su quella crepa che gli taglia il labbro inferiore in due metà, quasi la bocca di una donna avesse giocato a morderlo in una gara di baci. E quella donna non sono io.

«Sei in ritardo» lo rimprovero. «E che hai fatto al labbro?»

Lui si accomoda sulla panchina, un metro tra i nostri corpi, gli occhi che fuggono in lontananza, in cerca della linea dell'orizzonte.

«Ho fatto sesso con Valentina.»

Cannuccia rosa tra le labbra, un sorso di granita che mi va di traverso, colpi di tosse per liberarmi da quelle acidissime gocce al limone.

«Che hai detto?»

Il vento spira tra le vele abbassate e legate agli alberi maestri, le onde sferzano contro gli scogli. Una somma di rumori che può aver sfalsato le parole di Stefano. Potrebbe aver detto: "Ho dato il resto a Valentina", "Ho fatto il sasso giù in cantina" "Ho fatto un salto sulla brina".

«Ho fatto sesso con Valentina.»

Stefano scandisce ogni vocabolo a pieni polmoni. Altro che "resto, sasso, cantina e brina"! Imbambolata mi giro a guardarlo.

«Di che colore?» gli domando.

Stefano mi fissa con il mento alto, un accenno di barba incolta, i muscoli del viso tirati e la mascella rigida. Non capisce.

«Gli slip di Valentina, di che colore erano? Se mi hai tradita con la mia migliore amica, mi devi almeno questa risposta.»

Gli occhi nocciola brillano di incertezza. Una donna tradita dovrebbe urlare, colpire il suo ragazzo con scariche di pugni e calci, piangere, disperarsi. Io invece indago sui dettagli.

«Bianchi» risponde Stefano.

Ci mette un minuto a rivelare il colore. Un minuto che è parso un'ora, ma ha ucciso il dubbio. Gli angoli della bocca si curvano all'insù. Rido a pieni polmoni, con i crampi alla pancia, le guance raggrinzite e due gocce di lacrime nelle code degli occhi. Stefano mi guarda con una mano alzata, indeciso se appoggiarla sulla mia schiena pe consolarmi.

«Ma ci credi?» gli domando, quando riesco a ricompormi. «Il geniale Stefano Nisi che compie due errori nel giro di quattro battute!»

Lui rinuncia al contatto e riadagia la mano sulle ginocchia.

«Lo sai cosa dovevi fare per essere credibile?» gli chiedo. «Scegliere un'altra donna e un diverso colore degli slip.»

«Nina, guarda che io ti ho davvero tradita con...»

«No, non l'hai fatto.»

Un grande sospiro per riprendermi. Ci sarei cascata, se Stefano avesse optato per Chiara, Marina, Anatolia, perfino Celeste. Ma Valentina?

«Valentina non mi farebbe mai del male e poi gli slip! Valentina odia gli slip bianchi. Dice che sembrano le mutande della nonna.»

Stefano schiocca la lingua sul palato. Ora che l'inganno è stato smascherato, il suo corpo si rilassa. Si siede a gambe incrociate sulla panchina, più sciolto nei nervi e nello scudo delle spalle. Sa davvero essere sciocco, il geniale re dei Drum e delle birre artigianali.

«Lo hai detto perché sarebbe stato più semplice salutarci?» gli chiedo.

Lui scuote la testa, i ricci marroni sparati in aria da un filo di vento troppo forte.

«Non so perché l'ho detto. Sarebbe stata una grande uscita di scena. Forse sarebbe stato più facile, forse volevo ferirti almeno un po', ricorda che sono umano anch'io.»

Se avesse voluto veramente farlo, avrebbe dovuto impegnarsi di più.

«Volevi farmi sentire tradita?»

L'ho tradito per l'intera durata della nostra storia. Gli sono stata fedele con il corpo, mai con il cuore. L'ho posteggiato in seconda fila come un'auto vecchia, mal funzionante e indesiderata. Gli ho preferito la Porsche del binomio e sono sfrecciata via con Marco. Per mesi Stefano è rimasto in quel parcheggio abbandonato, in attesa che la Porsche facesse un'inversione a U e mi buttassi con più convinzione nella nostra storia.

Ma non è successo.

«Mi sopravvaluti sempre, Nin. Mi credi più buono di quello che sono, ma vedi, è stato difficile trattenermi.»

«Sei tu che ti sottovaluti. Nessun altro all'infuori di te sarebbe stato capace di sopportarmi.»

Lo stimo proprio perché si è trattenuto e ha accettato ogni tortura psicologica, ogni compromesso, ogni rifiuto silenzioso. E ha avuto la pazienza di amarmi come non meritavo di essere amata.

«E il labbro?»

«L'ho solo morso troppo» mi dice. «Nessuna rissa, tradimento, scopata sadomaso all'Histoire d'O.»

«Ci sentiremo ancora?»

Mi accorgo di avere le guance bagnate solo quando la sua mano mi accarezza il viso. Sono stata davvero una stupida a non averlo saputo apprezzare per l'uomo speciale che è, ad aver pensato che fosse solo sesso, ad aver rovinato questa amicizia per il capriccio di qualche mese.

«Ci sentiremo» conferma.

Invece che proteggerlo, l'ho sfruttato per sbattere in faccia a Marco che poteva pure divertirsi con la sua Celeste, tanto io avevo Stefano. E mi divertivo. Eccome, se mi divertivo!

«Però non subito, Nina.»

La mano scende ad accarezzarmi i capelli. Stefano li tira al naso e li annusa, come se li avessi lavati con uno shampoo profumatissimo.

«Perché non subito?»

«Perché prima devo trovare un chiodo per sostituirti.»

Un chiodo. E così non sono che un appuntito e tagliente pezzo di ferro che sa ferire e tagliare e conficcarsi nella pelle fino a bucarla e arrivare all'osso. Un chiodo piccolo, di metallo, freddo, incapace di provare sentimenti, di dare amore, di sapere anche solo pronunciare un "ti voglio bene".

«Devo essere stata un chiodo davvero fastidioso.»

Stefano mi trascina a sé, convince la mia testa ad adagiarsi sopra la sua spalla, i capelli che si mischiano alla barba non rasata.

«Sei stata un chiodo importante.»

Restiamo immobili a guardare le barche prendere il largo, volare tra le creste delle onde verso nuove mete, il vento che gonfia le vele e le fa sembrare lenzuola colorate disposte sui fili da stendere. Ed è divertente vedere il lago riempirsi di uno sfavillio di colori, ma il mio umore non riesce a sintonizzarsi alla gioia della natura. Quando un battello suona l'arrivo a riva, Stefano lo prende per un segnale. Mi stringe un'ultima volta, un bacio sulla fronte, prima di rimettersi in piedi. Un passo verso il boschetto, davanti a me solo le sue spalle.

«All'incirca credo di amarti, Nin.»

La sua sagoma si confonde tra gli alberi della spiaggia. Se ne va, senza attendere la risposta, un pugno di parole indecise che tremano sulle mie labbra.

«All'incirca...» Mi dispiace. «Ti voglio bene anch'io.»

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