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Il troppo stroppia (II)


Yuri non entra in Skype per tutto il pomeriggio. La casella del via, il punto di partenza da cui muovere il "progetto Capodanno", è allora Biagio. È passata una settimana e mezza dall'ultima visita a casa Iachemet e il cuore macina granuli di colpa. Quando entro nel giardino, temo che Marlyn non mi riconosca e mi sbrani senza pietà.

«Cucciolone!» gli sorrido. Inizia a leccarmi la faccia e il collo, cancella dal viso ogni traccia di trucco e la sostituisce con la bava. «Giù, da bravo che mi sporchi tutta.» Non ne vuole sapere. «Ma sì che poi ci gioco con te. È solo che adesso devo vedere Biagio!»

Marlyn si issa alla manica del cappotto, mi impedisce di entrare. Fa le feste, scodinzola gioioso, ma non vuole che suoni il campanello e varchi la soglia d'ingresso.

«Come mai sei così dispettoso, oggi?» Una veloce grattata dietro le orecchie pelose. «Mi vuoi punire per essere stata via troppo? Guarda che ti faccio il solletico, se non la smetti. Dai, Marlyn. Devo parlare con Biagio, è importante!»

Finalmente cede, ma quando il muso si stacca dalle mani, un altro ostacolo si frappone tra me e Biagio. Il signor Iachemet è sull'uscio e mi guarda con occhi che saettano accuse.

«Signor Iachemet, salve!» lo saluto sentendo nuovi acini di colpa navigare nel sangue. «Sono venuta a trovare Biagio, mi spiace se non mi sono fatta sentire in questi giorni. Sono stata un po' occupata». "Sì, certo," mi dice il grillo, "a scopare con Stefano." «Ecco... non ho avuto molto tempo.»

Il padre di Biagio è una mummia. Sembra che un'intera confezione di carta igienica lo abbia intrappolato in un carcere di bende e non sia più in grado di proferire parola.

«A volte per fare del bene, si finisce con il fare del male, Nina.» Quasi a sorpresa parla, ma i vocaboli scelti fanno suonare il discorso come la profezia della Sibilla cumana.

Boccheggio due sillabe di incomprensione. «Non capisco» confesso. «Non potremmo parlare dentro? Fa freddo e dovrei dire una cosa a Biagio...»

Ma quando la mano fa per stringere il pomolo della porta, il signor Iachemet si trasforma in uno scudo umano, un muro che mi impedisce di entrare in casa. Non vuole che veda suo figlio?

«È successo qualcosa? Biagio non vuole vedermi?»

Il signor Iachemet serra la mascella e scuote il capo in segno di diniego. "Biagio vuole sempre vederti. Non capisci proprio niente" dice il silenzio, e io mi chiedo di quale misfatto si sia macchiata la coscienza, se sono artefice di un torto, e per questo motivo dovrò essere punita.

«Sei una donna, Nina, non te ne accorgi quando sei davanti allo specchio?» Il padre di Biagio srotola la benda immaginaria che gli tappava la bocca. È sulle mie labbra, invece, che ora preme quel lembo di carta, sono io a ritrovarmi sigillata nell'assenza di parole.

Sono una donna. Sì, lo so, o forse non ancora, una ragazza con davanti troppi errori per dirsi grande e matura, ma che significa?

«Sei una bella donna, Nina» ripete il signor Iachemet. Sospira con le palpebre chiuse, quasi il solo vedermi gli desse il mal di mare, ma sono io a naufragare in una tempesta di confusione.

«Perché me lo sta dicendo?» E perché la mia voce trema?

«Perché sei sempre presente, Nina, ogni attimo libero, ogni ricorrenza. Tu ci sei sempre.» Lo fa sembrare come un delitto contro le Nazioni Unite e l'intero genere umano, come se per il solo fatto di esistere dovessi essere incarcerata in una prigione turca tra roditori e scarafaggi.

«Tutti i suoi amici se ne sono andati» insiste. «Ricordi l'ultima volta che Marco è stato qui?»

No, ma Marco ha sempre avuto la testa tra le nuvole. In genere ci penso io ad afferrarlo per le All Star e a farlo scendere a terra, a ricordargli che i veri valori della vita sono al nostro fianco, non nel cielo o nei sogni a occhi aperti. Solo che adesso ci sono Celeste e Stefano e siamo di un soffio più lontani.

«E Monica?»

È rimasta al fianco di Biagio finché ha potuto e forse per lei è stato più distruttivo andarsene che restare.

«Per non parlare di Yuri.»

È all'università per studiare. A Milano. Tornerà per Natale e si fionderà a casa Iachemet ogni sacrosanto giorno, selezionerà della buona musica, racconterà le ultime bravate, aspetterà che ogni essere vivente – mosche comprese – elogi la sua geniale persona.

«Di che cosa ci sta accusando?» gli chiedo. «Perché ce l'ha tanto con noi, Signore?»

«Perché tutti lo hanno lasciato, ma non tu.»

Dovrei essere l'eccezione, l'unica imputata prosciolta dalle accuse, e invece il signor Iachemet pronuncia una sentenza che fa sembrare la mia colpa omicidio di primo grado con tanto di premeditazione. Mi darà il massimo della pena, quasi nel suo sistema di valori lasciare Biagio corrisponda al giusto, restare all'errore.

«Tu non li vedi i momenti di buio, Nina, le crisi nevrotiche, i pianti. Lo sa benissimo che non tornerà mai normale. Niente esame di stato, niente università, niente fidanzate. Per sempre solo.»

Non è quello che hanno detto i medici, non è quello che ha detto Anna. Quattro anni e sarà pronto a recuperare il passato che si è lasciato alle spalle. E i pianti, le crisi di nervi, i momenti di buio, io sono pronta a farli sparire, a dare ogni goccia di sangue, sudore e lacrime per restituire colore alla sua vita.

«Le farà» dico. Di nuovo l'ugola trema, incapace di articolare una parola stabile. Si può risolvere tutto, e allora perché il corpo agisce da sé senza ascoltare la ragione? «Tutte quelle cose Biagio le farà. Lo aiuterò io...»

«Già tu.» Il signor Iachemet mi interrompe. «Basta che arrivi tu. Tutte le volte che varchi quella soglia, schiacci un pulsante nei suoi occhi e il buio se ne va. Sembra che le crisi di nervi, i vasi lanciati contro i muri, quelle strilla da animale siano soltanto un incubo passeggero.»

Nuove prove e testimonianze aggravano l'accusa che pende sulla mia testa. Il giudice è risoluto a optare per la condanna e non ci sarà nessun colpo di scena a salvarmi dalla ghigliottina. L'incomprensione è talmente immensa da cancellare il freddo della sera, resta solo un senso di nausea a stordirmi.

«Io continuo a non capire» ammetto. Devo sembrare davvero stupida. Adesso ho le guance bagnate. Quand'è che ho iniziato a piangere? E perché? Non sta succedendo niente. Va tutto bene. Ma il giudice del mio processo ha appoggiato la schiena al portoncino blindato, irremovibile.

«Sei la sua àncora, Nina, e Biagio si sta aggrappando a te con le unghie e i denti per non affondare, ma che succederà quando si romperà l'illusione? Quando scoprirà che esci con un ragazzo, che andrai all'università, che ti sposerai, che avrai un figlio?»

Il testone di Marlyn si strofina contro il cappotto rosso, mi consola. C'è una ragione dietro le lacrime lungo il mento e il corpo l'ha compresa prima del cervello.

«Dove sarai tu, mentre lui sarà ancora qui?»

Si sbaglia. Non lo lascerò indietro, mi deve dare solo una possibilità e non lo deluderò.

«Tu non potrai mai essere quella che lui vorrebbe.»

È un mattone dritto in testa. Le gambe tremano dietro le ginocchia, i singhiozzi bloccati in gola per lo stupore. Le retine bruciano a contatto con l'aria, le palpebre incapaci di chiudersi. Muovo le labbra per proferire parola, ma i nervi sono anestetizzati da una siringa invisibile, perché l'accusa ormai è cristallina.

Sono una delusione, non sono abbastanza.

Il signor Iachemet mi stringe la spalla in un saluto di dispiacere. Ha già la mano sul pomolo per tornare dal figlio.

«Se lo ami davvero, lascialo andare.»

La porta sbatte contro la punta del naso,simbolo forte di una realtà impossibile da accettare: non sono più labenvenuta.  

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