Guerra tra titani (II)
Lo sai, Nanà? Ti sto per confessare un segreto che non potrai condividere con anima viva. Non ha nulla a che fare con le tue scappatelle con Stefano. Permettimi di non parlare di "storia", perché le relazioni non sono così. Lo stesso discorso vale per me e Celeste. Nelle storie d'amore ci deve essere il cuore ed entrambi sappiamo che i nostri cuori non sono con loro.
Ci sono delle volte in cui mi permetto di ascoltare quel segreto. È un segreto potentissimo, Nanà, capace di distruggere il mondo e capirai che devo tenerlo segreto anche a me stesso, altrimenti non riuscirei a fermarmi. Quel segreto non può trasformarsi in realtà, te l'ho detto, è potentissimo: vorrei non aver creato il binomio. L'ho confessato, ma ora dimentica subito le mie parole, perché i segreti potentissimi fanno male, a te, a me, al binomio. E il binomio è troppo importante per entrambi. È la spinta che ci ha permesso di saltare oltre l'ostacolo delle difficoltà, il motivo per cui ogni giorno mi alzo dal letto con una certezza: "Sarà un bel giorno. Non importa se c'è matematica o la prova di greco. C'è il binomio ed è un motivo sufficiente per essere felici".
Tu sei il mio motivo sufficiente per essere felici, Nanà. E mi chiedo: ci saresti stata? Ti avrei conosciuta così a fondo, nelle ansie e nelle paure, nei cassetti più remoti della tua essenza? Avrei avuto l'onore di aprirli ed esplorarli, senza la chiave del binomio? Non credo ed è per questo che quel segreto potentissimo e pericolosissimo non si può confessare. Ed è per questo che lo devi dimenticare. Dimenticalo subito, Nanà!
Al tuo fianco vorrei che ci fosse un uomo degno, con il dono di amarti quanto ti amerei io, se potessi. Stefano non è così, Stefano non ti conosce come me, in ogni sfumatura della tua bellezza, della tua bontà. Di te ama solo un'immagine, ai suoi occhi perfetta, mentre io di te amerei tutti i capricci e le insensate paranoie, il tuo preoccuparti troppo, i disastri che combini, i difetti, i maldestri tentativi di rimetterti in piedi. Non accetto che un uomo, uno che non ti ama come meriti di essere amata, abbia addirittura la presunzione di lasciarti. L'ho sentito nel bagno del museo: "Scusa per aver detto che ti volevo lasciare". E tu non hai preso la palla al balzo, non ti sei liberata di lui. Come potevo non difenderti prima che ti ferisse? Doveva essere solo un pugno su quella faccia da schiaffi che si ritrova, il comunista, un pugno assestato sulla punta del naso. Perché me l'ha confermato: "Prima o poi io e Nina ci lasceremo, è inevitabile, lo sai anche tu".
Lo credevo lento di riflessi e forse avevo troppa rabbia dentro. Si è spostato all'ultimo. E poi l'impatto contro il vetro dell'estintore e le schegge che squarciavano la pelle, le ossa che si frantumavano.
Ecco il mio segreto. Fai finta di dormire, Nanà? Lo so quando menti. Menti malissimo, perché nessuno piange mentre dorme. Ma fingi di dormire, va bene. Devi dimenticare quel che ti ho detto. Ora ho della polvere magica nel pugno della mano.
Al tre stendo il palmo e soffio.
E tu dimenticherai.
Promettimi che dimenticherai tutto.
*
Non si confessa un segreto potentissimo e pericolosissimo, per poi pretendere che lo si dimentichi, ma Marco lo fa, perché è egoista e ha sentito sulle spalle il bisogno di svuotarsi di un carico che lo stava schiacciando a terra. Ora quel sacco di sassi è diviso tra i membri del binomio, appesantito da una duplice bugia: lui finge di non aver parlato, io sentito.
Non dovrei allarmarmi: le parole di Marco non sono un tesoro custodito in uno scrigno magico, inaccessibile a intere squadre di archeologi. Se non lo sono, è perché nei meandri più remoti dell'anima le conosco da sempre. Quel segreto è stato tradito da ogni abbraccio, strofinata di naso, carezza, bacio rubato, smorfia imbronciata quando mi stringo a Stefano.
A volte non servono grandi discorsi per dichiarare un sentimento. A volte è il corpo a parlare, il bisogno di cercarsi, quel magnetismo che ci richiama come calamite con un unico polo: quello dell'attrazione. Il problema è che a volte, in storie come la nostra, c'è un binomio di troppo e, nonostante la maggiore età, si ha paura di spezzarlo.
Mi chiedo se arriverà il momento in cui il binomio resterà davvero su una spiaggia in Grecia, sdraiato sulla battigia, a sorseggiare un bicchiere di Martini con tanto di oliva. E mi domando come reagirò, se sarò pronta a diventare semplicemente Nina, non la parte di un'unità, se Marco avrà la forza di mantenerci unici e speciali, per quanto diversi. Il segreto è che quell'attimo non è adesso, l'amarezza è che quell'attimo non sarà mai.
Dimenticare è la scelta giusta. Fingere di non aver sentito quel segreto che Marco, in un momento di fragilità, ha rivelato. La polvere dell'oblio mi avvolge, caccia la confessione in un angolo remoto della mente, dà la forza di continuare la recita.
Così mi concentro sul resto della vita. Ho infiniti problemi che guerreggiano per salire sul piedistallo delle priorità. In prima linea Stefano, una veloce conversazione in Skype, domenica, dopo due giorni senza sentirci.
«Passi da me, oggi?» mi chiede. La routine lo vorrebbe.
«Meglio di no.»
Mascella serrata, sguardo duro, Stefano deglutisce un boccone di parole. Tra di noi, oltre una quindicina di chilometri che ci separano e il vetro del computer, c'è ancora quell'accusa: "Che gli hai fatto?" Mancano invece le mie scuse.
«Se vuoi che ti chieda scusa per quel che è successo con Marco, posso farlo.» Eccole le scuse. Peccato che a pronunciarle sia stato Stefano, non io. «Se ti fa stare meglio, posso farlo. Posso ingoiare l'orgoglio e dirti che mi dispiace, anche se non è vero. Lo sai, Nin. Tu non sei né sua, né mia, né del binomio.»
Ancora questo discorso. Stefano è testardo, un'ombra di determinazione che gli scurisce il viso.
«Io e Marco possiamo proteggerti, corteggiarti, amarti, ma non impedirti di fare le tue scelte.»
Amarti. Stefano non lo ha mai detto prima. Non abbiamo mai parlato di sentimenti, ma solo di alchimia e posizioni.
«Se vuoi stare con me, Marco se ne deve fare una ragione» insiste. «Se vuoi che ci lasciamo...»
Interrompe la frase. Si ferma alla prima parte del periodo ipotetico. Nel quadratino del pc sonda ogni mia espressione, ma sono una maschera priva di emozioni.
«Se vuoi che ci lasciamo» ripete. «Ad accettarlo dovrò essere io.»
*
Dopo aver fatto rissa nella stazione delle corriere, Stefano e Marco continuano a fare a pugni nella mia testa. Sono rumorosissimi con le loro strilla intimidatorie, le ossa delle dita che cozzano contro le mascelle, i calci che tonfano sulle mura del cranio quando mancano il bersaglio. A chi dei due pensare? Perché Marco, nonostante quel soffio di polvere magica, non resta nell'angolino dei ricordi, ma si ostina ad arrampicarsi sul famigerato piedistallo delle priorità? È maleducato ed egocentrico, lui che dice dimentica e fa a pugni per ricordarmi la sua esistenza.
Stefano, buono come il pane, si rivela un osso duro. Drum tra le labbra, movimenti a rallentatore, piazza un gancio dopo l'altro per ritagliarsi uno spazio d'attenzione. Appena chiudo gli occhi, un tonf e uno sbang mi fanno saltare sul letto, in preda dell'ansia. Anno della maturità e tre notti passate nel tormento.
«Va tutto bene, Nanà?» mi chiede Marco ogni tanto. Il sottotesto lo posso leggere nella domanda taciuta: hai dimenticato, vero?
«Nella norma, perché?»
E allora Marco constata l'ovvio.
«Hai la faccia di chi non dorme da notti.»
Anche io vorrei rispondere a un'ovvietà con un'ovvietà, ma renderei questo capitolo del binomio un collage di frasi banali e soporifere. Se ho la faccia di chi non dorme da notti, è perché non dormo da notti.
«Penso all'università.»
Una bella menzogna, una di quelle che non richiede anni di recitazione per risultare credibile. Perché tra i guerrieri che combattono nella mia testa c'è anche lei, l'università. Solo che la scelta più importante, che fare del futuro, è un omino alto un centimetro, Marco e Stefano due titani.
«Potresti fare di tutto, Nanà. Sei così intelligente che qualsiasi università la finiresti con il massimo dei voti e gli applausi dalla platea.»
Il problema è proprio questo. Io vorrei fare tutto! Un mese medico, un mese avvocato, un mese insegnante di matematica, un mese ingegnere, un mese archeologa, un mese traduttrice.
Nei pomeriggi che segnano l'ingresso nel mese di maggio, alleno l'omino dell'università a difendersi dai titani. È piccino, ma ha lo sguardo da tigre e, quando Stefano e Marco sembrano avere la meglio, digrigna i denti e li rimprovera:
"Nina deve pensare soltanto a Nina".
Sfoglio i dépliant delle università, consulto i siti internet, mi iscrivo ai pomeriggi di orientamento e scarto le possibilità: il sangue mi disgusta, gli avvocati pensano sono a far fruttare le disgrazie altrui, i numeri... Voglio davvero diventare una Battisti in gonnella che fuma canne, beve Irish Coffe e socializza con le prostitute nelle gite scolastiche?
No, voglio seguire la passione, continuare con una disciplina che mi entusiasma. E d'improvviso lo so cosa vorrei studiare. Voglio far rivivere il passato, trasportarlo nella modernità, presentarlo alle nuove generazioni, farle innamorare dell'antichità quanto me ne sono innamorata io, ascoltando i grandi miti del passato, lasciandomi ammaliare dal pensiero filosofico. Ma a che servirebbe tutto questo, quando siamo in un mondo che dà importanza alla praticità e non alla conoscenza?
«Ciao, ti disturbo?» Aspetto una risposta dall'altro lato del telefono, un suono che alla fine arriva.
«Sei nei paraggi?» Un'affermazione. Ho le labbra pronte a pronunciare il terzo interrogativo. Ho bisogno di vederlo. La sua voce interrompe la domanda sul nascere.
«Sì, lo so dove si trova. Mi ci vorrà mezz'ora per arrivare.»
Mi aspetterà, è una bella giornata ed è in compagnia di vecchi amici con cui passare il tempo. Recupero la bicicletta arancione e mi avvio verso la meta: lago, la cosiddetta Baia Azzurra, dove si riuniscono i più raffinati cittadini di Viacampo.
Quando lego la bici a un palo della luce, scandaglio ogni uomo in costume. Ma tra i barattoli di crema solare mezzi vuoti, le borse frigo nascoste sotto i cespugli e qualche anatra che si avventura in un campo di asciugamani alla ricerca di cibo, non vi è traccia di Ivan Ulivieri.
«Alle tue spalle» dice nel telefono. «Bar, tavolo rotondo nell'angolo. E se non vedi me, riconoscerai i due idioti che ti salutano. Purtroppo per te, uno ha il tuo stesso sangue.»
Donatello e Simone, colui con il quale dovrei condividere globuli e piastrine, sembrano il Gatto e la Volpe mentre sfoggiano quel sorrisetto da "Una nuova vittima da truffare".
Ondeggio tra la schiera di turisti, un traffico di biciclette talmente inteso che attraversare la stradina potrebbe sembrare un tentato suicidio. Ivan non è cambiato di una virgola. È sempre il perfetto Cavaliere Dieci e Lode che ha assediato i miei sogni da quindicenne.
Maglietta grigia, jeans e scarpe scure, abbandona i suoi compari per recuperarmi. Il Gatto e la Volpe restano a trafficare con cubetti di ghiaccio, pezzi di carota e patatine. Creano una delle loro opere d'arte sul tavolo.
«Cugina di Simone!» grida Donatello.
«Amica di Ivan!» gli dà manforte il ritrovato parente.
«Andiamo da un'altra parte?» mi chiede Ivan. Piantato assieme a me nel mezzo del passaggio pedonale, entra nel club degli "Aspiranti suicidi in Baia Azzurra". «Parlare con quei due equivale a uscire in barca a vela senza un filo di vento. Dovremmo cercare un posto più tranquillo.»
«Scusa per averti chiamato di punto in bianco.»
«Ti volevo parlare anch'io» dice lui.
Stavo giusto per dire che entrambi siamo cresciuti, abbiamo superato la linea di doppi sensi e false speranze. Stavo per dire che Ivan, per quanto ottimo consigliere, non è più il complicato filosofo capace di mandarmi in blackout con un solo respiro, però...
«Parlarmi? Perché?»
«Ti dico dopo, ora...»
«Ma vi muovete?» Donatello strilla, camicia hawaiana a tinte pastello, montato in piedi sul palco di legno dove il sabato sera fanno musica dal vivo. «Si scioglie tutto, se non venite a vedere subito. Ivan, almeno tu!»
Gli sto rubando l'amichetto del cuore, distraendolo dall'opera d'arte riprodotta sul tavolo. Ecco perché Donatello ha le guance arrossate, due nuvolette di fumo che sembrano uscire dalle orecchie.
«Perdonali, continuano a essere due idioti» mi dice Ivan.
«Non ci daranno tregua finché non li raggiungeremo» convengo con lui. «E poi quanto odio la spiaggia in questa stagione. C'è sempre troppa gente e non ci si può muovere senza...»
Appunto, cucciolo di cane che si attacca alla mia gamba e poi bimbo che si spalma a terra con tanto di cono al cioccolato, signora che per farsi un autoscatto sbatte contro Ivan.
«Credo che farò come Nicola» rivelo, mentre ci sediamo al tavolo di Donatello e Simone. Primo giro di Corona. «Diventerò demofobica, mi chiuderò in casa e non uscirò mai più.»
«Aggiornati, cugina!» ride Donatello che mio cugino non è. Il tavolo rotondo è in alluminio, una superficie che, nonostante la tenda beige del bar, cattura i raggi del sole e li proietta sul mio viso. Al centro cubetti di ghiaccio e pezzi di carota imitano una variante del Bacco di Caravaggio.
"Bello" direi "Condannato a morire quando l'ultimo cubetto si scioglierà, ma comunque bello."
«Aggiornarmi in che senso?» dico invece.
Nicola Ulivieri non mi interessa, le sue avventure private non sono affare mio. Però...
«Nicola Ulivieri ultimamente esce» riprende a dire Donatello, un sorriso da gatto trionfante sul viso pallido. Due pezzetti di patatine che si uniscono alla capigliatura di Bacco. «Ed esce anche con ottime compagnie a quel che si dice in giro. Mi sa proprio che è stato iniziato alla sublime arte del sex&petting!»
«O petting&sex!» ride Simone. Con lo stuzzicadenti ritaglia due cubetti di olive nere e crea le pupille di Bacco.
«Asociale com'è, lo credevo più una mente perversa da furring» aggiunge Simone, la volpe. Eh no, adesso stiamo superando davvero il confine della decenza.
Dicasi furring: sesso alternativo praticato da appassionati di peluche e animaletti, che si travestono da conigli e topolini per raggiungere l'apice del piacere. E io dovrei davvero immaginarmi Nicola Ulivieri nascosto in un costume da gorilla e intento ad allietarsi con una donna vestita da pecora?
«Ma che state dicendo?» mi trovo a chiedere.
E intanto il Nicola della mia fantasia, si toglie la maschera da gorilla, un ingombrante casco che imita il faccione di una scimmia. Strizza perfino l'occhiolino, con quel ghigno sghembo che ultimamente indossa: "Che pensavi, Nina? Che restassi asserragliato ad aspettare una che mi sfrutta e non si concede mai?"
Ma da qui al furring ne passa di acqua sotto i ponti, talmente tanta da creare un intero oceano! Finché anche la pecora si toglie la maschera e la chioma rossa di Anatolia ingombra lo schermo della mia fantasia.
"Andiamo, Nina. Credi di essere la sola a spassartela l'ultimo anno di liceo?"
«Niente occhiali» mi fa notare Donatello.
«E sguardo insuperbito» aggiunge Simone.
«Petto in fuori da pallone gonfiato» dice il Gatto.
«Uscite frequenti.» Il turno della Volpe. Simone alza le dita in un due, seguito da un altro due. Due più due, Nina, quanto fa?
«Meno biblioteche e più bar» chiude in bellezza Donatello. «Si vede spesso all'Hdemia. Lo senti il campanellino, principessa?»
E mio cugino, il viso mangiato da una smorfia sadica, più malvagio di mio zio con la lingua dall'insulto facile, gli dà man forte: «Oppure se non hai fretta, ti facciamo il disegnino».
Devo essere diventata cadaverica, una triglia morta, sdraiata sul bancone del pescivendolo tra cubetti di ghiaccio, gamberi, trote e salmoni. E c'è pure un polipo che mi punzecchia con il tentacolo e mi deride. Ma sto davvero ascoltando il Gatto e la Volpe?
«Ce ne andiamo.» Ivan è scattato in piedi. Ha il respiro gonfio in petto e il viso tirato. Mai prendere in giro Nicola davanti al fratello maggiore! «Vergognatevi, più di vent'anni e ancora non sapete comportavi da persone civili.»
Non si lascia impietosire dai bronci del Gatto e della Volpe e li mette in punizione. Niente complimenti per quel Bacco commestibile che meriterebbe una fotografia.
«Ce ne siamo liberati, finalmente» sospira poi.
Abbandoniamo la passerella pedonale e ripieghiamo sul bagnasciuga, distanziandoci dalla Baia Azzurra. Il bar resta un puntino alle spalle, i turisti si diradano.
«Da che cosa scappi, oggi?» mi chiede Ivan. Si sistema su uno scoglio, secco per il sole pomeridiano.
Il lago bofonchia in un andirivieni di onde, le pagliuzze dorate sulla superficie ammiccano.
«Forse oggi cerco qualcosa, invece di scappare» borbotto. Scelgo uno scoglio più piccolo, un metro di distanza, due gocce d'acqua che schizzano sulla gonna azzurra, quando un'onda si infrange sulla roccia. «Perché hai voluto fare filosofia all'università?»
Assieme a qualche piccola forma in più dovuta alla crescita, ho maturato anche il dono di stupire Ivan. Un raggio di sole gli illumina il viso in un lampo di sorpresa, ma è un flash che si oscura con il ticchettio di un secondo.
«Così mi hai chiamato per un consiglio universitario?» mi chiede.
Di sicuro non volevo informazioni su Nicola e il furring!
«Ti voglio fare una domanda» dice poi. Perché rispondere a una domanda con una risposta e non un ulteriore interrogativo rovinerebbe il fascino del filosofo. «Saresti capace di sacrificare la tua libertà, incarcerarla in una gabbia di libri che odi e concetti che non riesci ad assorbire perché ti disgustano?»
Un pazzo direbbe sì, un incosciente no. La risposta di Ivan si nasconde dietro le righe di quella domanda. "Ho scelto filosofia perché filosofia era la mia passione." Motivo per cui dovrei scegliere Lettere senza farmi ridurre a brandelli dai troppi pensieri.
«Qualsiasi scelta farai, non ci starai solo cinque anni in quella gabbia» aggiunge Ivan. «Intrappoleresti i tuoi giorni in un lavoro che ti annoia, un impiego durante il quale le lancette dell'orologio sembrano andare indietro?»
E di nuovo la risposta di un pazzo sarebbe sì, quella di un incosciente no. Perché ci sono altri elementi da vagliare prima di buttarsi a capofitto in una caccia alla passione. Sì, mi piace il passato; sì, mi ci vedo a tradurre i testi dei più antichi pensatori e a recensire spettacoli teatrali. Ma che possibilità di lavoro avrei?
«Se vuoi lavorare, un lavoro lo trovi, Nina.» E come sempre Ivan è troppo bravo a leggere i dubbi che mi attanagliano. «E sono sicuro che riuscirai a trovare anche un lavoro che ti piace.»
«Temo tu mi stia sopravvalutando, soprattutto perché vorrei restare nella ricerca filologica.»
Un lavoro che solo un incosciente sceglierebbe, appunto. Che paga può fruttare studiare i testi in greco antico e cercare di risalire alla versione originale? Tentare di colmare i buchi nei papiri e ipotizzare cosa ci fosse scritto?
«Nomi» mi suggerisce Ivan. «Molte borse di studio, vicina, tasse accessibili, professori tosti e preparati. Tornassi indietro, sceglierei di andare a Nomi. Non per niente è il primo Ateneo per le materie letterarie.»
Un calcio secco sul cranio da Stefano. Nomi? Non si era detto Bologna?
Nomi con le vie strette, il K3 dove io e Marco volevamo festeggiare, l'appartamento che sognavamo di avere. Nomi dove non ci si perde, ma la sera, tra la nebbia si balla nella piazzetta del Duomo. Nomi dove tutti conoscono tutti. Nomi che assomiglia a Viacampo. E a me Viacampo è sempre piaciuta. Nomi che è un incantesimo che ammalia, un filtro d'amore.
«Ci penserò» concludo. Ho ottenuto le mie informazioni, un punteruolo che ha solleticato il desiderio di iscrivermi all'università, di avere la tessera dello studente, di non essere più una liceale senza ambizioni.
«Perché credevi stessi scappando da qualcosa?» chiedo a Ivan. Il sole si avvicina alla punta del monte. «Perché è l'unica cosa che mi riesce bene?»
Ivan mi ha sempre vista scappare, da Marco, da Stefano, dal futuro, dalle mie paure. Aggomitolata sullo scoglio, un filo di vento che alza la gonna e una tempesta di gocce, lo vedo assorto.
«Scappare non ti riesce bene, Nina. Ci provi spesso, ma, per restare in tema, non sei che una piccola matricola inesperta. Alla fine, i guai ti trovano. Ti stanano sempre.»
Smetterà mai di nascondersi dietro metafore? Ivan Ulivieri è un affabulatore che per arrivare dalla lettera A alla B passa per la Z e l'intero alfabeto. Di che guai parla?
«Quando siete tornati dalla Grecia, ero alla stazione a prendere Nicola e ho visto tutto.»
«Un maldestro tentativo di picchiare un estintore?»
«Un disperato tentativo di dichiarati sua» mi corregge lui. Tagliente nel momento in cui rifiuta l'ironia. Non ci saranno discorsi addolciti da battutine comiche. Ivan vuole sbattermi in faccia la realtà nuda e cruda, un cazzotto così forte da spaccare i denti e scagliarli in gola.
«E lo sei, Nina.» Il cazzotto arriva. Sembra quasi che i denti tremino, colpiti da quel pugno immaginario. Non è vero, mi sento di replicare. Stefano ha detto che io non sono di nessuno, se non di me stessa.
«Sei sua» ripete Ivan. Un altro destro in faccia. Un colpo tanto convinto che il titano Stefano vacilla e si accascia al suolo. «Sei sua come nessuno dovrebbe esserlo.»
Rialzati, Stefano. Serra i pugni e combatti. Non lasciare che Marco salga sul piedistallo delle priorità. Ivan gli sta porgendo una scala per vincere la competizione, sta barando.
«Questo binomio è una schiavitù reciproca, è dipendenza.»
Ivan non cede. Il sole è ormai tramontato e una brezza di lago scivola tra i salti dei pesci e i sassi piatti che un ragazzino lancia da riva, la speranza che facciano più di tre balzi. Stretta nelle mie braccia, cerco i tappi anti-ramanzina che dovrei chiamare tappi anti-verità. Perché se Ivan Ulivieri ha un pregio, è quello di non mentire.
«Non dire così» lo supplico.
«Ti dirò le cose come stanno, Nina.» Volevo solo un consiglio universitario e allora perché Ivan si sta interessando al binomio?
«È anche colpa mia» ammette. «Forse avrei potuto salvarti.»
Cerca il riflesso del suo viso nel lago, scappa da me, da un passato che vorrebbe cambiare. Ora che vedo il suo profilo, fatico ancor di più a sciogliere gli enigmi del filosofo. Salvarmi? Avrebbe davvero potuto farlo? In lontananza cerco la linea dell'orizzonte e immagino che lì ci sia il nostro passato, che il flebile confine tra acqua e cielo sia lo schermo di un cinema dove si proietta la vita del binomio.
«Tre anni fa il binomio era fresco» dice Ivan. «Non era ancora un'entità vissuta, fatta di cocci di dolori, amori e ricordi, incollati per rendere quel manufatto un'opera d'arte. Avrei potuto spezzare il binomio, se mi fossi fatto avanti.»
C'è rammarico nella sua voce e colpa per non aver accettato quello che all'epoca credevo amore e amore non era. Sarebbe bastato un sentimento così debole a rompere il binomio? No, il binomio esisterebbe comunque, sullo schermo del cielo.
«Adesso è tardi, Nina. Devi evitare che il binomio ti distrugga.»
Ivan è saltato sul mio scoglio, troppo piccolo per due, ma lui è agile e mantiene l'equilibrio. Accucciato di fronte a me, mi accarezza la guancia.
«E arrivati a questo punto, sei la sola a poterti salvare.»
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Confessione! Ultimamente ho un po' la testa da altre mille parti e, presa com'ero a saltellare di qua e di là, non trovavo mai un briciolo di voglia per aggiornare "Binomio".
È stato un mese intenso: il lavoro è ripartito a mille; ho scoperto – che gioia! – di dover dare ancora qualche esamino; e soprattutto è uscito "Come vento", con tutte le ansie annesse al caso, ma non vi annoierò qui con le mie paranoie da aspirascribacchina!
I capitoli demenziali di "Binomio" stanno andando verso una direzione certa e credo che ormai tutti l'abbiano capita. Va beh, tutti tranne Nina, mi sembra ovvio! XD
Confessione numero 2! Al mio solito non ho riletto, quindi un grande grazie a chi mi aiuterà con i refusi. Lo apprezzo moltissimo.
Buona giornata a tutti! <3
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