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Fujiko vive a Nomi (II)


Una volta alla tv hanno passato un servizio sulla città di Nomi. Un elicottero volava sopra le mura e la conduttrice ci invitava ad ammirare questa spettacolare cittadina, l'ansa del fiume che si piega in una u, i tetti delle case a ridosso dell'acqua, i comignoli che sfuggono a uno strato di nebbia, per gli abitanti una condanna, per i turisti un'atmosfera da fiaba.

Se avessi le tasche traboccanti di soldi e un aereo privato, potrei ammirare lo spettacolo di cui parlava la conduttrice. Purtroppo, le tasse universitarie e il bonifico dell'affitto mi hanno prosciugata. Io e Valentina procediamo verso il centro di Nomi sulla corriera di linea, schiacciate tra trolley troppo pieni e infastidite da un ragazzetto che canta a squarciagola la Canzone del Capitano Uncino.

Altro che visuale su una spettacolare cittadina da fiaba! Davanti a me non ci sono che chilometri e chilometri di coda stradale. L'unica nube è un misto di smog e afa che trasuda dal cemento e dai cubetti di porfido. Sì, cubetti di porfido. Quando scendiamo in stazione e ci inoltriamo nel centro storico, ci imbattiamo in questa piaga divina, un segnale di avvertimento inviato dal cielo per convincerci a tornare a Viacampo.

Per citare Gandalf il Grigio: "Fuggite, sciocchi!".

Con una mia aggiunta: "Siete ancora in tempo".

Tutto quello che raccontano sul magico reame della vita universitaria è falso. Le ruote dei trolley si incastrano tra le fessure dei sampietrini. E no, non compare nessun corteo di aitanti cavalieri a salvare la fanciulla in difficoltà!

La mia unica rassicurazione è Valentina. Utilizza il tredicesimo fazzolettino Tempo per asciugarsi la fronte. Ruota del trolley incastrata, presente; 40° centigradi, presenti; indirizzo dell'appartamento, presente; cartina di Nomi, assente.

Ci siamo perse.

«Ti voglio confessare una cosa, Nin.»

«E lo devi proprio fare quand'è pieno mezzogiorno e rischio di collassare a terra?»

Valentina strattona il trolley e svolta nel vicolo a sinistra, basandosi su un tom-tom convenzionalmente chiamato "istinto".

«Te lo dico adesso, perché non supereremo la missione.» Il vicolo che ha scelto è stretto e ombreggiato. «Morirò di fame e di stenti, quindi devi sapere che io nella mia vita ti ho sempre perdonato tutto, Nin.»

Il cuore mi si scioglie di commozione. Ammetto che ci aveva già pensato il caldo a fonderlo, ma fosse stato un cubetto di ghiaccio, la confessione della mia migliore amica lo avrebbe liquefatto.

«Ma non questo» conclude. «Ti ho perdonato tutto, ma non questo.» Approfitta della penombra del viottolo per fermarsi, sedersi sul trolley e riprendere fiato. «Perché mi hai convinta a iscrivermi all'università? Come hai potuto?»

Non le ho mai chiesto di seguirmi all'università, è stata lei a cucirsi addosso la sua stessa rovina. Ma non faccio in tempo a prendere fiato che... bum.

«Razza di idiota! Maledetto moccioso!»

Un ragazzino corre per il viottolo e sfiora il trolley di Valentina. Le ruote della valigia non si incastrano modalità freno nei cubetti di porfido e Valentina si ritrova con il sedere a terra.

«Me la pagherai, Nina. Tutto ti ho perdonato, perfino l'ultima storia, perfino avermi rinfacciato la mia verginità, ma avermi trascinata in questo inferno...»

La seguente minaccia viene ripetuta a intervalli di cinque minuti, nel lungo tragitto che ci porta all'appartamento. La marcia viene interrotta da un volontario dell'Unicef, da un suonatore ambulante, da una vecchietta che ci obbliga a portarle la spesa, dal trolley di Valentina che ruzzola fino a fondovalle.

Ma come nei migliori romanzi d'avventura, le gesta degli eroi vengono premiate con la corona della vittoria: Nomi, Via delle Suore Orsoline 7, appartamento del signor Ravelli.

Io e Valentina grondiamo venti litri di sudore a testa e abbiamo le magliette attaccate al corpo stile seconda pelle. Aspettiamo il signor Ravelli, in ritardo, sedute davanti al portoncino in legno, nella speranza che i davanzali dei piani superiori ci regalino un ritaglio di ombra.

«Ho sete» si lamenta Valentina. «Per colpa tua morirò disidratata. Farò la fine di quel pesce rosso che viveva nello stagno del tuo giardino, quello morto essiccato perché è andata via l'acqua. Hai fatto morire lui e ora farai morire me.»

«Vale, ti prego...»

Ho la saliva talmente calda da non riuscire ad aggiungere altro.

«Dov'è quel tipo?» chiede Valentina. Si attacca allo stipite del portoncino, sperando che il marmo trasudi due gocce di umidità per salvarci dal supplizio. «Ravelli, Ravanelli o come diavolo si chiama. Perché è in ritardo? Io non li sopporto i ritardatari.»

«Forse è già salito e non ha sentito il campanello.»

Valentina assottiglia le palpebre, inoltra un messaggio mentale: io non ci penso proprio ad alzarmi per suonare di nuovo. Tu mi hai messa in questa situazione, tu mi ci fai uscire.

Un gracchio esce dal citofono, una vocetta di donna.

«Sì?»

«Adami e Santoni. Siamo qui per l'appartamento.»

Chiunque tu sia, aprici! E invece il minuto successivo è seguito da un rigoroso silenzio. Niente clack metallico della serratura che scatta, niente vocetta in risposta.

«Puoi aprirci?» preciso.

Forse la donna non ha capito le nostre intenzioni. Che poi, donna è un'esagerazione. La voce sembra appartenere a una bambina. Ora sta ridendo:

«No».

Come? Valentina si trasforma in un K2 umano, con una parrucca di ricci biondi appicciati sulla cima. Ogni capello minaccia di trasformarsi in una vipera e di avvelenare la nostra interlocutrice.

«Sarà meglio per te che quel no equivalga a un , mocciosa» sbraita. Un pugno sul citofono, due manate sul portoncino.

«No vuol dire no» sospira la bambina. «Pensavo che una studentessa universitaria fosse all'altezza di comprendere una banale tautologia. A = A, B = B, sì = sì, no = no. Il diploma lo danno davvero a cani e porci di questi tempi.»

Dal citofono giunge il rumore della cornetta agganciata: la nostra conversazione è appena terminata. Valentina indica il campanello, quasi avesse appena parlato con un Umpa Lumpa e scoperto che la canzone della cioccolata, se ascoltata all'incontrario, contiene un messaggio satanico.

«Che ha detto quella?» mi domanda.

«Non credo sia una bambina. Se lo fosse, bisognerebbe rinchiuderla in un centro per lo studio sugli alieni.»

A dare sostegno alla mia ipotesi è il signor Ravelli. Arriva con mezz'ora di ritardo, quando io e Valentina ci siamo squagliate come due budini in una sauna finlandese. Sventola una busta gialla e impreca contro la fila allo sportello della posta.

«Speravo mia nipote vi avesse fatte salire, ragazze. Mi scuso infinitamente per il disagio e per il ritardo» ci dice. Minuto e con il faccione rosso per la corsa, sfodera un mazzo più pesante delle chiavi di San Pietro per l'ingresso al Paradiso.

«Sua nipote?» tuona Valentina. «Sua nipote come la nostra futura coinquilina? Quella con cui dovremmo convivere per tutto l'anno?»

Ossia quella grandissima cafona che ha risposto al telefono, spacciandosi per un dizionario di lingua italiana o un'enciclopedia stile Treccani? Già convivere con Valentina equivale a fiondarsi nel cuore dell'uragano Katrina. Ci mancava dover sopportare una ragazzetta acida e con la lingua troppo lunga!

«Vedrete che Tania è adorabile» esclama il signor Ravelli. Ha aperto il portoncino e ci invita ad accomodarci nel corridoio d'ingresso, un vano stretto con scale in pietra che si avvolgono per quattro piani.

E indovinate un po'? Niente ascensore, niente corteo di giovani cavalieri a portarci i bagagli, niente aiuto del signor Ravelli che lamenta un recente principio d'artrosi.

«Mia nipote è un angelo, massimi voti al liceo, silenziosa, discreta. La persona su cui fare affidamento nel momento del bisogno.»

Ora è il momento del bisogno. Ora che le valigie si incagliano nei gradini e mi sballottano tra Valentina e la ringhiera in acciaio nero. Ora che l'acido lattico si sta diffondendo in ogni angolino del corpo, manco fossi appena uscita da una seduta di hard yoga. E allora dov'è quell'angelo di Tania Ravelli che dovrebbe soccorrerci?

«Non potevate trovare sistemazione migliore» continua a dire il signor Ravelli. Ci scarta e raggiunge l'ultimo piano della palazzina. E giù con un elenco di elogi:

«Tania è un'ottima cuoca.» Seconda chiave dal mazzo di San Pietro.

«Un'eccellente violinista e flautista.» Pronta ad aprire la porta del Paradiso.

«Un'amante della letteratura.» Odore di incenso e nubi di fumo.

«Parla cinque lingue.» Forse, forse non è il Paradiso.

«E ha già pubblicato un libro con una casa editrice.» Forse, forse è l'Inferno.

Tossisco due nubi e spingo il trolley sulle piastrelle chiare. La valigia fende l'aria e consente una breve visione del salotto, prima di ricomporsi in un manto di nebbia.

«Ma non approfittatevi di lei» conclude. «Dopotutto da domani sarà una matricola alla facoltà di Lettere!»

Il signor Ravelli scompare inghiottito dal profumo di incenso e dalle nubi di fumo. Mi abbandona nel mezzo della disperazione, con lo stomaco che borbotta di terrore e Valentina che inciampa in un gradino alto mezzo centimetro tra atrio e salotto:

«Chi è il coglione che ha messo uno scalino lì?»

Fisso il grande arco d'accesso al salotto. Sulla volta in mattone rosso mi sembra di intravedere un avvertimento: "Lasciate ogni speranza o voi che entrate".

«Vale, hai sentito? La nipote di Ravelli è una specie di prodigio e fa lettere. Sarà in corso con me!»

Come potrò reggere il confronto con un simile mostro di bravura? Mi sento tanto Alice nel Paese delle Meraviglie, nel momento in cui mangia il biscotto della riduzione e diventa grande un soldino.

«Di' quel che ti pare, ma a me questa Tania sta già sulle palle» sbotta Valentina.

«Almeno tu non verrai disintegrata dalla sua magnificenza in facoltà!»

Muovo un passo verso il salotto, ma le gambe sono due blocchi di cemento e, anche se nell'appartamento del Signor Ravelli non ci sono sampietrini, il trolley si rifiuta di procedere. In mezzo a questo Inferno, fatto di due divani con teli di seta e un bongo girato alla maniera di un tavolino da drink, Valentina diventa la mia guida. Mi costringe a lasciare la valigia sotto l'arco e mi fa svoltare a sinistra, nella stanza dove è appena sparito il signor Ravelli.

Lì, sul letto, circondata da bastoncini d'incenso e con le gambe incrociate all'indiana, siede Tania Ravelli.

«Ma come si è conciata 'sta scema?» chiede Valentina.

Tania tiene i gomiti sulle ginocchia nella posa del Budda e prende grandi respiri per immagazzinare la maggior quantità d'incenso.

«Manco la Sibilla Cumana» sussurro.

«Shhh» mi rimprovera il signor Ravelli. «Tania sta meditando, ricercando la pace dei sensi per fondersi con il punto O della Terra.»

Il punto O della Terra? Gli occhi della ragazza sono chiusi, quelli miei e di Valentina spalancati dallo stupore. Ora si capisce perché l'appartamento fosse a buon prezzo. È abitato da una adepta di qualche setta satanica! Tania resta immobile, alla ricerca di un inesistente punto O, posto al centro del Terra, con un turbante da sciamano arrotolato sulla cima della testa, così da coprire ogni singola ciocca di capelli.

«Ci sono ottanta gradi in questa stanza» sussurro, attenta a non rompere il silenzio di meditazione. «Come fa a resistere intabarrata con sciarpa, turbante e tunica da prete francescano?»

«A me interessa di più sapere perché in questa stanza ci sono tre letti» dice Valentina. «Io e Nina non dovevamo essere in una doppia e sua nipote in una singola?»

Il signor Ravelli alza lo sguardo, alla ricerca di un qualche dio nascosto nel soffitto dell'appartamento, tra la lampada a forma di luna e il lucernario appannato dal fumo.

«Mia nipote dovrà avere molta pazienza con voi. Per raggiungere il punto O, Tania necessita di un'alleanza di energie e le pareti vi impedirebbero di collaborare.»

«E lei ha abbattuto un muro per una simile cretinata?» strilla Valentina, ancorata alla porta. Tania sussulta sul posto. Il grido deve aver interrotto la meditazione.

«Ho semplicemente distrutto una parete in cartongesso» replica il Signor Ravelli. Dal mazzo di San Pietro estrae quattro chiavi. Ne lascia due a me, due a Valentina. «Vi troverete bene, vedrete.»

Studio la stanza, i tre letti disposti a ferro di cavallo, gli armadi addossati alle pareti, due scrivanie sotto le finestre con le tapparelle alzate per metà. Dietro una libreria, vicina al letto di Tania, intravedo i resti di una seconda porta.

«Voglio tornare a Viacampo» mormora Valentina. «Troviamoci un monolocale io e te, Nin-»

«Mmmmmmmm!» Tania intramezza lunghi mmmmmmm a gargarismi di saliva. Poi due colpi di tosse e una scossa alle spalle, quasi fosse colpita da un attacco di epilessia.

«Sta entrando in contatto con il punto O, mi raccomando, non disturbatela» si raccomanda il signor Ravelli. Se ne va, inghiottito dalla coltre d'incenso.

"Non ci lasci qui, la prego!" Ma la supplica viene zittita dallo sbattere della porta.

«1» dice Tania. Ha smesso di mugugnare. Il viso pallido, alla Morticia Addams, si dipinge di un mezzo sorriso.

«2.» Sarà la gioia dei sensi di cui parlava il signor Ravelli?

«3.» I passi dello zio rimbombano sugli scalini di pietra.

«4.» Tania porta la mano alla sciarpa e la srotola.

«5.» Via sul pavimento, a scoprire un seno alto e sodo, un reggiseno di pizzo nero che fuoriesce per metà dalla canotta bianca.

«6.» Fucsia.

«7.» Il turbante raggiunge la sciarpa sulle assi del parquet. Capelli tinti di fucsia cadono sulle spalle.

«8.» Uno strappo per liberarsi della tunica da francescano. Calze a rete, maglia larga.

«9.» Minigonna di jeans lunga una spanna e mezza.

«10.» Il portoncino al pianoterra sbatte, il signor Ravelli è ormai fuori dai giochi. E il pacato e composto Dr Jekyll ha appena completato la sua trasformazione in Mr. Hyde. Tania gonfia i polmoni, la mano che scosta il copriletto rosa e scivola sotto il cuscino, in cerca di chissà che.

«Ammazzatemi!» Salta in piedi, un balzo felino, un coltello affilato in mano, le guance rosse di rabbia, sputacchi di saliva sul viso di Valentina. «Ammazzatemi qui, tra le bestie!» E avanza. «Che piacere può dare un giorno che si aggiunge a un giorno, vicino e lontano dalla morte?»

È attaccata a Valentina. E sventola il coltello sotto lo sguardo sgranato della mia migliore amica. Lei si schiaccia contro lo stipite della porta. Tania, alta sì e no un metro e cinquantacinque, è talmente rossa in faccia da rischiare l'implosione.

«O vivere gloriosamente o morire gloriosamente» strilla, il canino puntato nel labbro privo di rossetto. E il coltello premuto a forza nella mano di Valentina. «Questo è il dovere di chi vale.»

Valentina lascia l'impugnatura e fa cadere il coltello a terra. Si libera della furia in miniatura e ripara verso la finestra.

«Pazza, matta, polizia, Nina, chiama la polizia, manicomio!»

Mi sono accomodata sulla scrivania e ora tengo le gambe accavallate. Mi sento tanto Yuri quando provava a psicanalizzare Valentina che provava a psicanalizzare me. Osservo la scintilla omicida negli occhi neri di Tania. Altro che santarellina buddista alla ricerca del punto O!

Trattengo una risata nelle guance.

«Sofocle» la sfido.

Anche Tania gonfia le guance di una risata. Si inumidisce le labbra per nascondere un sorriso.

«Sofocle?» chiede Valentina. Si sta aggrovigliando attorno al mio braccio nella perfetta imitazione di un koala. «Deve essere una malattia grave.»

«È teatro, Vale» la informo. «Alcuni versi dall'Aiace. Alla nostra coinquilina piace fare l'attrice!»

Valentina ha fatto la battuta scema, un'uscita di scena tipica di Mar... bloccare il pensiero. Fattibilissimo con un personaggio del calibro di Tania Ravelli a portata di mano. Lei mi studia, mi trova una preda deliziosa, una sfida degna di allietare le sue giornate. Sotto il suo sguardo da psicopatica, non mi sento più Alice, piccola per colpa di un morso di pane.

«Vita di merda» esclama Tania. Fruga nella tasca della minigonna e se ne esce con un pacchetto di Camel. Porta la sigaretta alla bocca e mi fa segno di accendergliela. Non ho nemmeno un fiammifero e allora Tania recupera un accendino dalla scrivania.

«L'incenso serviva per coprire la puzza di sigaretta» noto.

Lei non risponde. Una scia di fumo esce dalle labbra unite in una O. E questa sì che è davvero una O, altro che il fantomatico punto al centro della Terra. Quello se lo è inventato per manipolare suo zio.

«Hai messo su una bella scenetta» commento. Il coltello era di plastica. Non ha emesso nessun tintinnio metallico, quando è caduto a terra.

«Se ho fallito con te, almeno ho fatto divertire la tua amichetta» ride Tania. Con la coda dell'occhio scruta Valentina. «Vergine e pure stupida.»

Scosta lo sguardo, schifata e per nulla convinta. Pur essendo piccina quanto un folletto dei boschi, ritiene "Valentina il Titano" più insignificante di un granello di polvere. E ora guarda me.

«E qui chi abbiamo?» mi chiede.

Ignora Valentina che boccheggia a pesce, "come ha fatto a capirlo?", "stupida?", "ma come?", "chi si crede di essere?". La ignoro anch'io e salto giù dalla scrivania, la fronteggio, determinata a vincere.

«Nina» mi presento.

Niente stretta di mano. Siamo due lottatrici che si preparano nel centro del ring, si studiano prima del fischio di inizio gara. La testa di Tania arriva all'attaccatura del mio naso, ma le sue unghiette sono affilate, le braccia toniche.

«Tania Zocca» si presenta. «E badate a non chiamarmi Ravelli come quel plebeo di mio zio, altrimenti vi brucio le orbite con un sigaro.»

Rompe la sfida di sguardi. Forse non dovremo lottare nel centro del ring, forse saremo alleate, faremo parte della stessa squadra. O forse Tania ha preso alla lettera il detto: "tieniti vicini gli amici e ancor più vicini i nemici".

«Di dove sei?» mi chiede. Valentina, prima un granello di polvere, è diventata per lei un fantasma.

«Viacampo.»

Tania è un'attrice, eccentrica ed esagerata nei gesti. Fa la faccia della Madonna Addolorata. E da lì capisco che la risposta non le è piaciuta. Ho sempre amato Viacampo, piccola, confortevole, magnetica. Perché Tania sembra disprezzarla tanto?

Mi consola con una pacca sulla spalla.

«Tranquilla» dice. «Conosco la cura.»

Se la cura mi renderà matta la metà di quanto è pazza lei, non voglio guarire.

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