Fujiko vive a Nomi (I)
Primo anno di Università
Autunno
Quando si viene lasciati, il segreto per non soffrire è bloccare i pensieri che ci fanno male, impedire che il cervello li completi, spegnerli sul nascere. Appena un sussurro, binomio, si insinua nella mente, abbandono quel sentiero e devio per le stradicciole più disparate: cucina, università, pulizie, giardinaggio. La mattina aiuto Yuri a studiare architettura, parlo di argomenti che non capisco. Il fatto che li ignori stuzzica la mia curiosità, mi dà la convinzione che possa dimenticarmi di Marco.
Ecco, errore. Ho pronunciato il nome, non ho intercettato il pensiero prima che diventasse completo. E così mi ricordo di come mi abbia lasciata per Celeste. Marco non ha più chiamato, è il primo di settembre, più di una settimana senza aver sentito la sua voce e io non so... per scegliere un luogo sano bisogna tenere conto di quattro cose: la posizione, il clima, l'aria e l'acqua. E questo era il libro di architettura di Yuri. Pensiero intercettato.
«Quanto alla posizione, l'aria è la più sana possibile se il luogo è elevato, non nuvoloso, né coperto di brina» recito. «Quanto al clima, il sito riuscirà salubre se il territorio non sarà né caldo, né freddo, ma mitigato.»
«Per quale motivo stai declamando la parte più inutile del libro di architettura?» mi chiede Yuri. Seduto di fronte a me, incollato alla girandola del ventilatore, svuota un vecchio baule che mio padre teneva in soffitta. L'abbiamo trovato ieri, quando cercavamo alcune bombolette spray per imbrattare i mattoni del fienile.
"Bruciare è fuori discussione. Imprimere il tuo dissenso con un lieve e anarchico gesto vandalico considerabile." Parola di Yuri Conte.
Una scusa campata in aria per vedere se tra i vecchi effetti di mio padre fosse rimasto qualche vinile d'alta qualità.
«Credo che potrei dare l'esame al posto tuo, visto che non sei minimamente intenzionato a studiare» gli faccio notare.
Yuri svuota sulla tovaglia cerata una scatoletta dei cotton fioc, colma dei gettoni che si usavano per chiamare dalle cabine del telefono.
«Non arriveresti nemmeno a un diciotto, studiando quella merda» ribatte. Osserva i disegni su alcune tessere telefoniche. Sono catalogate in buste di plastica a seconda dell'anno. Yuri recupera una schedina rettangolare raffigurante l'Incubo di Füssli.
«Si parla di incubi e spunta la bionda» sghignazza. Bionda. Dieci di mattina e quell'alcolizzato ha già voglia di bere.
«Non è proprio il caso di concedersi una birra a quest'ora» commento, senza staccare lo sguardo dalle scritte del libro. «Ho promesso di rigare dritto, Yuri. L'ho promesso proprio a te, e darsi all'alcol non rientra nelle abitudini di una brava ragazza.»
«Di che cazzo parli, Adami? Ti ho forse offerto una birra?»
«Mi hai detto che si parla di incubi e spunta una bionda quindi...»
Oh. "Bionda" non in quel senso. Niente dita di schiuma, bollicine scoppiettanti, niente olezzo di malto che inebria il cervello, né calice appannato dal contrasto caldo - freddo.
«Oh» ripeto. Ho fatto la terribile battuta bionda birra / bionda donna che Yuri tanto odia. Nonostante le premesse della vita, proprio ora che credevo di averla conosciuta nei meandri della disperazione e nelle vette della gioia, mi sono fatta sorprendere.
Bionda birra o bionda donna?
Bionda Valentina. Capelli color cenere lisciati con la piastra, è in tiro come per una cerimonia a casa Santoni, con tanto di orecchini di perla. Il che chiarisce il motivo che l'ha portata qui: uccidermi e assistere al mio funerale.
«Ho provato a cercarti» le dico. Chissà se ricorda per quale motivo abbiamo litigato? E gli appostamenti sotto casa per elemosinare il suo perdono? Ma questo era prima. Poi sono scomparsa nel nulla, senza una spiegazione. «È vero negli ultimi giorni non mi sono fatta sentire. Ma non vuol dire che ho rinunciato a noi.»
Lei, completino viola da matrimonio e trucco che sembra uscita da un tutorial su Youtube, io, che mi sento un catorcio ammaccato, vittima di un incidente in autostrada. E questo è il dopo.
«Ho saputo di Marco» dice Valentina. Ha pronunciato il nome maledetto.
«Non dirlo» la supplico. «Ti prego.» Vale, aggiungerei, se fossi di nuovo un architrave e lei il pilastro che mi sorregge. «Lo chiamo Nessuno adesso, perché lui non può più esistere, non può più farmi del male.»
È davvero per un funerale che Valentina si è agghindata. Ha l'espressione di circostanza che si indossa mentre si sfila verso la bara funebre, prima di lanciare goccioline d'acqua benedetta sulla cassa del morto.
«Va bene» dice. Condoglianze. «Se è quello che vuoi.»
Accetta la mia richiesta con il capo basso, incantata da una piastrella del pavimento che è la stessa da vent'anni.
«Peggio di quanto pensassi» commenta una voce vicina vicina. Yuri. Da quando Valentina è entrata in cucina gli ho buttato addosso il mantello dell'invisibilità e ho rimosso la sua esistenza.
«Che ci fa lui qui?» mi chiede Valentina. Anche lei – Nobel per lo spirito d'osservazione – lo ha ignorato. E sì che Yuri si trova seduto nell'esatto mezzo tra i nostri corpi!
«Ci sono da prima di te, bionda» ride lui. Butta le gambe sul tavolo e si mette il vecchio baule di mio padre in grembo. Recupera una pipa dal fondo. Nonostante sia spenta e scarica, se la ficca in bocca.
«Yuri, non è che potresti...» Lasciarci sole?
«Vuoi fingere che Nessuno non esista, Nina?» borbotta con la cannuccia della pipa nell'angolo delle labbra. «Secondo un'attenta analisi freudiana, siamo nel pieno di un processo di rimozione e ciò sarà la fonte da cui scaturirà una nevrosi che ti porterà in manicomio.»
«La smetti di fare lo psicologo?» lo supplico. È da quella notte alla Scalinata del Re che mi costringe a pensare secondo il suo schema mentale. «Ho solo bisogno di tempo. E poi scusa, non studiavi architettura? Che ne vuoi sapere di psicologia?»
Gli tiro il libro che stavo imparando a memoria, quella palla mortale sulla conformazione del luogo e tutto il resto. Lui si schiaccia a sogliola sullo scatolone di mio padre ed evita il colpo.
«Erba» esulta, quando trova una bustina trasparente contenente delle pagliuzze color cenere. «Il vecchio Adami sì che ragiona, altro che la figlia!»
È grazie a Yuri che lo strappo si ricuce. Tra me e Valentina si era creata una fenditura larga quanto un crepaccio del Gran Canyon. E non pensavo di avere abbastanza terra per colmare la depressione, legname per creare un ponte e riunirmi a lei. Ma di fronte all'idiozia di Yuri, ci scambiamo uno sguardo complice.
Ma guarda te questo stronzetto con i capelli piastrati fino al culo!
E come nelle amicizie vere, quelle che non si lasciano logorare dal tempo, dai silenzi e dai messaggi non risposti, basta un secondo per riattivare la connessione. In un attimo torno a essere l'inutile architrave di un tempio greco, Valentina il pilastro che mi trasmette la sua forza.
«Fate pure, fate pure» dice Yuri. Ha caricato il fornello di erba, sfruttato un vecchio fiammifero per accendere la pipa. «Tranquille che non vi guardo. Fate pure la vostra commediola strappalacrime da donne che si riappacificano. Io, intanto, me la fumo.»
«Deve essere davvero forte quella roba» commenta Valentina.
No, è solo Yuri Conte che si atteggia a Yuri Conte. Ma in questo istante non è importante analizzare i suoi difetti caratteriali. Finalmente è arrivata l'occasione d'oro per chiedere scusa e non posso buttarla al vento.
«Avevi ragione, Vale. Quel pomeriggio, nel garage di casa tua, avevi ragione su tutta la linea.»
Valentina scosta il ciuffo da dietro l'orecchio e copre il lato sinistro del viso, nasconde l'abbozzo di un sorriso.
«No, non è vero. Ho agito d'impulso, solo perché ero arrabbiata. Non potevo credere che ti stesse trattando così.»
Se ti avessi dato ascolto, se avessi saputo vedere oltre quella muraglia di bugie e finte promesse, invece che lasciarmi abbindolare da un "ti amo" detto senza cuore...
«Lo odio, Vale. Lo odio così tanto che non posso sopportare nemmeno di averlo avuto nella mia vita.»
«Non ne parliamo» taglia corto lei. Si è seduta accanto a Yuri e con disapprovazione sta scrutando il contenuto del baule. «Costa niente fingere che quello stronzo non esista.»
«Ehi bionda, ascolta!» Yuri butta i piedi giù dal tavolo. La suola delle Adidas rimbomba sulle piastrelle. «Il problema Nessuno va affrontato e subito. Non si può fingere che non esista. Quindi facciamo che non le dai consigli scemi e te ne torni a giocare con le Barbie.»
«Senti, razza di psicanalista del cazzo!» strilla Valentina. La mia sanità mentale aveva giusto bisogno di una lite tre il salvatore e la migliore amica. «Nina vuole dimenticare e se la aiuta...»
Le parole le muoiono in gola. E non perché la parlantina del grande Conte abbia preso il sopravvento. Yuri ha lasciato la pipa sulla tovaglia cerata e recuperato dal baule una lente d'ingrandimento. Studia Valentina, manco fosse Sherlock Holmes alla ricerca di un indizio.
«Sospetto un certo astio nei confronti della mia autorità e del genere maschile. Da quanto non scopi, bionda?»
Valentina scatta in piedi, pugno chiuso a noce, anello sul dito medio, un prisma in acciaio al posto di un diamante, decorazione che a contatto con la guancia di Yuri potrebbe...
«Adami, lascia perdere la bionda. C'è una cosa che ti devo dire.»
Niente cazzotto. Yuri si salva, quando pronuncia il mio cognome. Sia io sia Valentina pendiamo dalle sue labbra: una cosa che mi deve dire? In quanto amanti delle serie tv, sappiamo entrambe che non si può uccidere il regista dello show, se si vuole sapere il finale.
«Dirmi che cosa?» gli chiedo. Tutt'al più lo si può uccidere dopo, quando il finale si rivela una grandissima scemenza.
Yuri prende un grande respiro:
«Marco.» Rigido e timoroso di aver innescato il pulsante di distruzione. Ma io sto zitta e il silenzio viene scambiato per un invito a procedere. «Marco oggi è partito per Bologna. Ha l'esame tra qualche giorno e ha affittato un appartamento con due ragazzi dello scientifico.»
Altro che uccidere il regista. Uccidere, far resuscitare e uccidere di nuovo, fino a sperimentare quanti modi esistano per ammazzare un traditore. Decapitarlo, bruciarlo vivo, scuoiarlo, affettarlo alla julienne e bollirlo in pentola. Lo ritenevo mio amico e invece... il discendete di Giuda Iscaia mi fissa in tutto il suo splendore. Siede composto sulla sedia, senza più pipa e lente d'ingrandimento.
Come ha osato? Ha finto di essere mio amico, ha sparlato di Nessuno. Invece non ha mai smesso di sentirlo. E adesso che si è barcamenato tra un cuore spezzato e uno spezzatore di cuori, decide di divertirsi ancora un po', sbattendomi in faccia le sue scoperte.
«Ci sarà anche Celeste con loro» aggiunge.
Giuda! Lui e Nessuno! Tutti e due! Yuri che sputa informazioni che non voglio sentire e Nessuno. Celeste sarà con lui. In appartamento. La bile bolle, ustiona la cistifellea e fa male, dannatamente male. Celeste mi ha preso tutto. Nessuno le ha permesso di farlo. Ma io ho imparato a bloccarlo, a gettare il suo nome nella casella degli spam, a resistere alla sua pubblicità aggressiva.
«Allora che facciamo stasera?» chiedo. Yuri crede di avermi appena lanciato contro un elefante da guerra. Io gli farò pensare di avere incrociato di svista un topolino. «Sei libera, Vale? E tu, Yuri? Idee?»
«Nina, per favore» mi supplica lui. «Puoi avere una qualsiasi reazione che non sia l'indifferenza?»
No. L'indifferenza è la terza pedina da muovere sulla scacchiera per sopravvivere alla tragedia. Prima c'era la disperazione, poi la rabbia. E dopo l'indifferenza, ci sarà la normalità, la banale vita di tutti i giorni, come Massimo ritiene giusto che sia. Nessuno passerà l'esame di medicina, traslocherà, amerà Celeste.
E io... io ho Nomi che mi aspetta.
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