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Fu-sio-ne (I)


Merito di una banconota da venti euro, strappo a Giacomo la promessa di mantenere il segreto con Valentina, fino a quando Marco non avrà richiamato Celeste. I suoi consigli fin troppo premurosi restano vivi nella memoria, un fastidiosissimo pugno di sabbia negli occhi.

"Gli uomini sono semplici, Nina. Se vogliono ufficializzare, lo fanno. Questa volta ti farai male sul serio."

Il ricordo di queste parole è sufficiente perché le ali del nostro amore si trasformino in un sottile foglio di cartapesta. Altro che farfalle capaci di svettare nel cielo! Con mille dubbi scendo i gradini verso il garage.

Quando alzo la saracinesca, temo di avere preso un abbaglio, che questa storia appena nata sia l'illusione di un'ubriaca. Non so con quale espressione Marco mi accoglierà, se incontrerò un silenzio di pentimento o un sorriso finto per rassicurarmi.

«Nanà, che fai lì sulla porta? Vieni dentro che ti faccio vedere come ho sistemato le cose!»

La sua voce soffia via la sabbia dagli occhi. Mentre sceglievo le lenzuola per la brandina, si è asciugato le lacrime versate per la lite con suo padre, e ora salta da angolo ad angolo.

«Guarda, Nanà! Per essere un garage, la mia prima casa è davvero una figata.»

Ho superato di un passo la soglia, i piedi incollati a terra da uno strato di Attak invisibile. Non mi fido a fiatare. Un minimo movimento potrebbe rompere quest'atmosfera di spensieratezza.

«Lo vedi quel palco lì?» mi chiede. Indica un rialzo vicino alla porta del bagno. «Ho deciso che ci mettiamo l'amplificatore di Yuri, appena torna da Milano. Conoscendolo, starà svaligiando i migliori negozi di dischi per rinnovare il suo eccelso gusto musicale.»

Conoscendolo ti prenderà a scarpate, quando scoprirà che hai rinunciato a medicina. Yuri potrà essere un ribelle, ma ha sempre ritenuto che nessuna relazione debba compromettere il futuro professionale.

«E poi, Nanà, ho trovato questi tondi nel baule dove ho messo i vestiti. Li ho collaudati e sono degli ottimi apribottiglie.»

Mi concentro sui tondi che Marco sta sventolando alla maniera di accendini, le fiamme che brillano nel buio durante un concerto.

«Quelli sono i cerchi della mola a disco, zuccone. Altro che apribottiglie!»

«Oh, Nanà! Come sei convenzionale!» ride lui. «Bisogna pure sapersi innovare di tanto in tanto. D'ora in poi serviranno per aprire le birre. Una l'ho già aperta, guarda lì! E adesso ti faccio vedere con le altre due!»

Recupera dallo zaino due Forst risparmiate la sera precedente al fienile. Troppo calde, troppo scosse, troppo poco alcoliche. O forse eravamo io e Marco ad avere troppa fretta e troppa voglia di noi per bere. Il cerchio del disco si incastra alla perfezione nel tappo di alluminio. Un tac e l'aroma di birra calda si mescola all'odore di motori e grasso.

«E se giro questa scatola, adesso ho anche un comodino» dice. È una normale cassa in plastica nera, ma quando Marco la capovolge si trasforma in un mobiletto basso e barcollante. Sistema le tre birre sul "comodino". «Perfetto per appoggiarci i Rayban e il cellulare non trovi?»

No, non trovo. È grottesco il tentativo di far sembrare il garage una reggia. È un buco che puzza di vernice fresca e copertoni bruciati. Il grande Yuri Conte non entrerebbe in questa topaia, nemmeno se minacciassi di bruciare la sua collezione di vinili.

«Nanà, perché mi guardi così?»

«Io non lo so. Tu stai facendo sembrare tutto normale, ma io non lo so se è davvero così.»

O se ti stai autoconvincendo, perché in fondo vuoi convincere me. Marco lascia cadere il disco della mola sulla brandina e muove un passo nella mia direzione. Studio le punte delle sue All Star, mentre avanzano verso di me, i cordoni slacciati e sporchi di fanghiglia.

«Ti ha fatto qualcosa Giacomo?» mi chiede. «Ti ha detto qualcosa? Ci ha spudoratamente provato?»

«Ma che stai dicendo?» Alla fine, l'ho staccato, lo sguardo dalle scarpe. «È il fratello della mia migliore amica!»

Marco tira le labbra in uno spicchio di luna, un sorriso divertito.

«Lo so, Nanà, lo so benissimo! Tu ami solo me. Lui ama solo la puzza dei suoi motori e i tatuaggi con cui si imbratta il corpo. È che se non fossi così seria, non dovrei procurarmi delle battute stupide per farti ridere.»

Plico di lenzuola strette al petto, tendo i muscoli del corpo. Quando Marco si fa a una spanna da me, gli solletico il naso con il lembo della federa. Dovrebbe essere lui a comprendere che il tempo delle battute stupide è scaduto.

«Ho paura che tutto questo non duri» gli dico.

E ora che il lembo della federa non gli solletica più il naso e le sue palpebre si sono aperte, spero che capirà perché ho il cuore pesante, incapace di volare leggero. Marco, con un movimento circolare del mento, indica l'intera stanza.

«Con "tutto questo" intendi vivere in un garage?»

«Con "tutto questo" intendo noi, zuccone!»

Gli lancio contro l'intero set di lenzuola. I suoi riflessi prevedono l'attacco e intrappolano un telo per gli angoli. Quando mi salta addosso, mi trovo circondata come una mummia che non riesce a srotolarsi dal groviglio di bende. E Marco è attento ad avvolgermi per bene e a tirarmi incastrata contro il suo petto.

«Perché non dovrebbe durare, Nanà?»

Come fa a ignorare quella folla di problemi che si addensano all'orizzonte? Giro il bacino per liberarmi del lenzuolo, ma mi sento uno yo-yo: per quanto sia forte il lancio, il cerchio di metallo è legato al filo, costretto a tornare tra le mani del giocatore.

«Tu la fai sempre troppo facile» lo critico.

«E tu la fai sempre troppo difficile» sbotta lui.

«E in genere chi ha ragione?»

«Io! Stiamo o non stiamo insieme?»

Alcune ciocche di capelli mi si appicciano alle guance.

«Io voglio pensare ai problemi prima che arrivino» mi giustifico. «Così sarò capace di risolverli e riuscirò a salvarci.»

Marco fissa le ciocche di capelli sulle guance. E giurerei che vorrebbe scostarle e accarezzarmi il viso, ma si ritrova con le mani occupate a impedirmi di disfare il cartonato della mummia. Allora soffia sul mio viso, con la stessa forza che impiega quando a ottobre deve spegnere le candeline della torta di compleanno.

«Di cosa so?» mi chiede.

La sua bocca si poggia sulla mia. A rallentatore, riassapora il gusto della mia bocca, quasi fossi un cono vaniglia e cioccolato, lui il cliente incaricato di testare se la nuova gelateria sia valida.

«Ora lo senti meglio?» mi chiede. «Di che cosa so?»

Dovrei esplodere in tutta la mia ira. Sta inventando stupidi giochi per rinviare la conversazione. Invece mi trovo a inumidire le labbra, a catturare con la punta della lingua ogni gocciolina di saliva lasciata dal bacio.

«Birra» rispondo.

«Errore!»

I baci dovrebbero sapere di cose dolci. E invece Marco sa di birra. E non è un errore.

«Birra» ripeto. Ostinata come un mulo.

«Al terzo tentativo paghi penitenza, Nanà!»

«Come posso azzeccare al primo tentativo? Ho solo avuto un assaggio molto, molto, molto veloce. Non dovresti concedermi un secondo indizio?»

Marco prova a ponderare un "sì" o un "no", ma l'immaginaria lancetta dei secondi non batte i sessanta che la sua bocca si fionda sulla mia. E questo bacio non è l'assaggio di un cliente alla nuova gelateria del paese. Questo bacio è la fame di divorare quel cono alla vaniglia e al cioccolato, perché l'unione di dolce e amaro è perfettamente calibrata, manda in estasi le papille gustative, crea dipendenza.

E così le nostre bocche si cercano, io il dolce della vaniglia, i resti di un lucidalabbra indossato quella mattina, lui l'amaro del cioccolato che... aspetta, cioccolato?

«Cioccolato!» grido.

So di aver annullato un bel bacio, uno di quelli che cancellano spazio e tempo, però...

Marco allenta la presa ai lembi del lenzuolo e approfitto dell'attimo per liberarmi di lui. Corro alla brandina e svuoto le tasche del borsone da basket in cerca di una barretta di cioccolato al latte o di un quadratino fondente per provare la mia vittoria.

«Nanà, dove fuggi? Guarda che la risposta è sbagliata! Ti ho detto che non è né birra né cioccolato.»

Salta per recuperare il borsone e impedirmi di continuare con l'ispezione da poliziotta. Balzo sulla brandina.

«Quello è l'unico letto che ho, Nanà, e lo stai distruggendo.»

Infatti le molle cigolano sotto il peso dei talloni pigiati e io barcollo. Il materasso è un campo minato di conche ed è difficile mantenere l'equilibrio. Mi sembra perfino di sentire le piume che lo compongono fuggire dalle cuciture.

Marco sale sul letto accanto a me e allora salto per non fargli recuperare il borsone. Prima cade una doga; poi cade il borsone; un secondo dopo cadiamo io e Marco. Lui sopra di me.

«Ti ho fatto male, Nanà?»

Inumidisco di nuovo le labbra e riassaporo il gusto del nostro bacio per un'ulteriore conferma.

«Cioccolato!»

Ormai è sera, Valentina tornerà dall'allenamento di pallavolo a breve; Giacomo busserà alla saracinesca per tormentarci; i signori Santoni, terminati i giorni di vacanza al mare, parcheggeranno l'utilitaria sotto la tettoia all'aperto. Ma anche se sguardi indiscreti minacciano di rompere la nostra intimità, Marco appoggia le sue labbra sulle mie.

«No» nega. Alza un sopracciglio in direzione della scatola girata a comodino. «Birra al cioccolato!»

Prima di chiudere gli occhi e di lasciarmi trasportare dal tocco delle sue mani, studio la Forst sulla cassa nera, bottiglia al centro, due cubetti di cioccolato fondente, premuti nel collo di vetro, che navigano tra le bollicine ambrate.

«Che schifo!»

Rido.

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