Fiore da imperatore (III)
Nicola mi sta trascinando verso il burrone di una tragedia. Possibile non riesca a vederlo? Sta correndo troppo, senza darmi il tempo di mettere in fila i pensieri. Non sono pronta. Non ho una lista con i punti per sostenere la difesa, non ho considerato come affrontare il signor Iachemet, se sarà presente; non so nemmeno con che faccia tosta salutare Biagio.
Un boccone di vomito preme fino al palato. Mentre Nicola procede, passo dopo passo, lo spingo nello stomaco insieme a un grumo di saliva.
«Nicola, io non penso sia una buona idea.»
Non posso sopportare la frustata di uno sguardo deluso, tollerare la sferzata di un odio che merito.
«Ascolta, Nicola» lo supplico. E intanto lui continua a trascinarmi verso casa Iachemet, quasi fossi un asino indisciplinato e testardo. «Forse suo padre ha ragione, forse gli faccio sempre e solo del male...»
«Codarda. Se Biagio non ti vuole nella sua vita, spetta a lui dirtelo.»
Il panico mi inghiotte. Non credo che Biagio alzerà le mani su di me, come ha fatto con Yuri. Magari lo facesse! Non ho mai temuto il dolore fisico, né gli sfoghi d'ira. Le parole sono un'arma più affilata, il silenzio una sciabola capace di tranciare teste e braccia.
«A chi scrivi?» chiedo.
Nicola schiaccia i trenta centimetri di neve con i doposcì e di tanto in tanto consulta il cellulare alla maniera di una bussola. Preme qualche tasto e se lo rificca nella tasca del giaccone.
«Avviso» mormora lui. Sicuramente un messaggio per sua madre, per comunicare che arriverà tardi, anche solo raggiungere casa Iachemet a piedi richiede del tempo e il colloquio-scontro con Biagio non si prospetta breve, soprattutto perché appena varcherò la soglia, pietre di insulti mi lapideranno e proverranno da ogni direzione.
Mi chiedo se le spalle di Nicola saranno abbastanza grandi da proteggermi o se al primo colpo di spada se ne uscirà con un "Te lo meriti" e mi lascerà in balia di me stessa.
«Finalmente, Ulivieri. È da un quarto d'ora che ti aspetto.»
Le spalle di Nicola sono grandi, ne ho la conferma. Con la collaborazione del buio, di un lampione rotto e del nevischio, bloccano la visuale, la tenda di un teatro tirata per nascondere gli attori. Ma la voce del protagonista tradisce la presenza e non c'è tenda che possa camuffarlo.
Marco.
«Perché mi hai scritto di venire qui? Devo uscire con Nina e mi farai fare tardi. Perché tieni il braccio dietro la schiena, Ulivieri? Hai detto che era importante.»
Marco è arrogante, stralunato, la voce che salta, quando i denti battono per il freddo.
"A chi scrivi?"
"Avviso."
Tante frasi si proiettano nella mente e diventa chiaro che cosa stesse facendo Nicola quando consultava la bussola.
«Hai scritto a Marco. Gli hai scritto di venire qui.»
«Nanà? Ulivieri, perché sei con Nanà?»
La neve scricchiola sotto i passi di Marco, ora più vicino. Quando il lampione rotto si accende e Nicola si sposta di lato, riesco a metterlo a fuoco. Ha le guance rosse, il taglio degli occhi severo.
«Dovresti essere al suo fianco, ad aiutarla» lo rimprovera Nicola. Sembra darsi un ordine mentale di stare calmo, di non accendere una lite con il suo compagno di banco. «Ma ho qualche dubbio che tu ne sia all'altezza, zuccone.»
Svincola di lato, il capo abbassato per preannunciare la sua partenza. Se ne va così, in silenzio, con la discrezione che da sempre contraddistingue il suo personaggio. E io resto a guardare il giaccone nero scomparire all'orizzonte, mentre sento la figura di Marco farsi di passo in passo più vicina.
«Che sta succedendo, Nina? Perché Nicola Ulivieri mi ha costretto a venire qui?»
Non sa niente. Nicola non gli ha scritto di me e di Biagio. È l'occasione d'oro, l'ora di tagliare la corda, lo insegna anche l'Iliade: il vile Paride sopravvive più a lungo del coraggioso Ettore.
«Niente, io credo che dovremmo...»
Andare. Ma poi vedo la luce accesa nel salotto e lo schermo azzurro della televisione, programmi di varietà da donne. Anna cammina dalla mensola dei libri al divano. E anche se gli occhi non arrivano a tanto, l'immaginazione contempla Biagio seduto tra i cuscini, le pupille dilatate di un ragazzo che non esiste più; la voce rotta, incapace di suonare fluida; i nervi tesi, irrigiditi dalla ferita del tradimento. E mi dico che dovrei essere lì, sulla poltrona davanti a lui, a sfogliare vecchi album di foto, a raccontare storie del passato, a immaginare un futuro che, forse, un giorno, diventerà realtà.
«Nanà, che succede?» La voce di Marco ha perso ogni traccia di arroganza. Mi ritrovo con il guanto di lana appoggiato alla guancia in una carezza. «Mi dici che succede?»
Lo vedrà quando varcheremo il piazzale e ci tufferemo in una nube di sassi. Gli spiegherò quando usciremo da quella casa, ammaccati e feriti.
«Dovremmo entrare.»
«Siamo qui per questo, no? Così forse ci capirò qualche cosa anche io.»
Il cancelletto di casa Iachemet è accostato. Basta un secondo per suonare il campanello, ne servono due alla signora Iachemet per aprirci. Grembiule azzurro allacciato in vita, un mestolo di legno in mano, ci fissa come una belva inferocita.
«Che siete venuti fare?»
«A trovare Biagio?» tira a indovinare Marco.
Non nota le rughe più spesse attorno agli occhi, né la presa stringersi attorno al mestolo fino a rendere le nocche bianche. Non si insospettisce nemmeno quando Marlyn ci ringhia, le fauci in bella vista.
«Perché il gigante di pulci ci guarda così?» mi chiede Marco. «Vuoi un osso? Una palla? Va beh dai, ho capito. Spostati che sei in mezzo!»
Allunga la gamba per smuoverlo, ma Marlyn azzanna la punta della scarpa. Ignoro i "Nanà, mi attacca! Nanà, aiutami!", aggiro l'ostacolo ed entro in salotto. Incredibile quanto l'immaginazione possa corrispondere alla realtà! La televisione è accesa sui programmi di varietà, Biagio seduto sui cuscini del divano. Gli occhi dilatati, i nervi tesi...
«Via!» La voce rotta. «Via, via, via. Andate via!»
Le parole si trasformano in pietre. Il volume sempre più alto, l'intensità maggiore del lancio. E fa male e al tempo stesso straordinariamente bene. Quando ogni "via" taglia la pelle, quando colpisce le orecchie, quando sgretola le ossa, sento di essere nel posto giusto.
«Via!» grida Biagio. Le vene del collo tirate. «Via!» Piccole gocce di saliva sputate assieme alla rabbia. «Via!» Il viso paonazzo per lo sforzo. «Via!» E alla fine un lancio, il cellulare, dritto sulla spalla. Il libro sul petto, tra i bottoni dorati del cappotto rosso.
«Mi dispiace» sussurro. «Ho sbagliato.»
«Via!»
E ora il bicchiere. E questo farà male sul serio, lo penso mentre vola contro il viso.
«Sei scemo, razza di imbecille?» Marco. Una tirata di braccio per schiacciarmi contro il suo petto. Il bicchiere si infrange sulla parete, sotto l'orologio da muro e una foto di famiglia. Frammenti di vetro riempiono l'aria.
«Via!» Un altro bicchiere. «Via!» Un altro ancora. «Via!» Un piatto. Schegge, come fiocchi di neve, rimbalzano sopra la credenza in ciliegio, contro lo schermo della tv, sopra lo stereo e la custodia in plastica di un disco dei Queen, attorno ai corpi miei e di Marco, abbracciati, nell'attesa che i bombardamenti finiscano. «Via!»
Finché sul tavolo di fronte al divano non c'è più niente da tirare.
«Biagio, ho sbagliato. So che dire mi dispiace non basta.»
L'essere a corto di pallottole non rende la pistola meno pericolosa. Biagio preme sulle ginocchia e si alza di una spanna dal divano, la mano attorno al collo di una lampada.
«Che succede?» Anna esce dalla cucina, Marlyn alle calcagna, i denti pronti a mordere. «Voi due.»
Anna si concede la risata di chi non crede alle proprie orecchie. Occhiaie violacee si uniscono alle borse sotto gli occhi nocciola, non un filo di trucco a nascondere il frutto di notti insonni.
«Avete dell'incredibile, lo sapete?» ci dice. Biagio si lascia cadere sui cuscini. Perché ora c'è Anna a difenderlo. «In effetti lui non lo considero nemmeno.» Un'alzata di mento per indicare Marco. «Il futuro medico di Viacampo, il giocatore di basket, il musicista.»
Tesse un titolo dietro l'altro, un elenco di lodi che suonano come "assassino", "truffatore", "bastardo". E questa volta l'ignoranza di Marco non lo protegge dall'accusa. Scatta sulle punte, a una spanna da Anna, il petto in fuori.
«Hai per caso qualcosa contro di noi?»
Noi che siamo venuti all'ospedale da Biagio, noi che siamo suoi amici, noi che siamo andati fino al canile per portargli Marlyn. Ma proprio quel noi raddoppia il peso dell'errore.
«E perché mai?» chiede Anna. Sarà una donna, ma i movimenti del corpo incutono soggezione quanto i muscoli di Marco. «Perché mai dovrei avercela con voi, quando sarai resistito qualche mese prima di sparire?»
Importanti. Ecco cos'eravamo. Per Biagio eravamo troppo importanti, al punto che nemmeno la malattia ha cancellato il nostro ricordo, e importante è lui. Lo è sempre stato, l'angelo custode del binomio.
«Tu» dice Anna. Lo sguardo esclude Marco, fugge nelle retrovie, mi trova ancorata alla credenza, tra i frammenti di vetro che costellano il pavimento, assieme alle gocce di bagnato lasciate dagli scarponcini. «Tu come hai potuto? Tu sei una donna e le donne le sentono queste cose. Le donne non scappano.»
Io sì, vorrei dirle. Ho passato una vita a scappare da quel che poteva ferirmi. Per scoprire poi che scappare è inutile, perché ciò che può nuocermi riesce sempre a stanarmi. Anna muove un passo in avanti e lascia Marco nelle retrovie.
«Non sei stata che un grandissimo abbaglio, Nina.»
Una delusione. Ha detto suo padre. Se resterai con Biagio, in futuro, non sarai che una delusione. E così resto piccola e impotente, abbaglio e delusione. Solo che adesso il desiderio di rimediare scalpita nel petto.
«Non ti permettere» si intromette Marco. «È vero, io sono sparito da un po', ma Nanà è sempre stata qui, estate, autunno e inverno, e se ultimamente non c'è stata, è perché abbiamo la maturità.»
Non è per questo. Credo di dirlo. Ma Anna e Marco sono prigionieri di un duello a suon di parole, nessuna interferenza dall'esterno.
«Mi sembra che il tempo per andare a giocare con la neve non vi manchi» dice Anna. Indica il cappotto rosso, reduce dalla battaglia con Nicola nel cortile del liceo. «E nemmeno per passare i pomeriggi al centro benessere o per farvi i giri in vespa.»
Viacampo è piccola, l'ho sempre saputo. Un quarto dei cittadini sono parenti di un altro quarto e, nel nome del vincolo di parentela, si aggiornano su pettegolezzi e invenzioni di quinta o sesta mano.
Anna e Marco continuano a litigare:
"Siamo qui adesso, non è abbastanza? Di che ti lamenti, donna?" "No, non è abbastanza". "Tu non sei nessuno per dirlo." "Io sono sua sorella. Tu non sei nessuno". "Ringrazia il cielo che sei una donna" "Perché sennò che cosa?" "Perché ti avrei spaccato la faccia, brutta str-"
«Basta!»
22 gradi nella stanza, segnati dal termostato sulla credenza. Un brivido di freddo, la pelle delle braccia coperta di puntini, lo stesso effetto di un gesso che stride sulla lavagna. Basta. Biagio. Non una voce spezzata, ma un raglio. Un verso da animale, aveva detto il signor Iachemet, quand'era dicembre. E adesso l'ho sentito con le mie stesse orecchie ed è un tremore che serpeggia lungo la spina dorsale.
La chiave gira nella toppa. Il portone d'ingresso sbatte e il signor Iachemet compare sulla soglia del salotto. Giacca da lavoro, viso grigio, una mummia che potrebbe gettare su di me una maledizione senza rimedi.
«Che succede qui? Chi stava urlando?» Guarda Anna.
«Papà, niente. Stavamo solo parlando...»
«Ancora tu?» E questa volta la domanda non è per Anna. Sono io il centro del mirino, un ragno velenoso che vorrebbe uccidere a badilate. Il Signor Iachemet mi fissa, ingessato nel completo da lavoro. «Mi sembrava di averti chiesto di non tornare.»
Forse sono davvero un ragno velenoso, con il dono di paralizzare la gente, me stessa compresa. Biagio diventa una statua di cemento, Anna e Marco due manichini di plastica.
«Nina? Cos'è questa storia?» mi chiede Marco, la stessa rabbia buia che ha scurito il viso di Nicola. Anna, prima sua acerrima nemica, si trasforma in alleata con un "Già, cos'è questa storia?". La paralisi continua a vincere il mio corpo. È Biagio a possedere l'antidoto per curarci, i lineamenti distesi, quasi stesse viaggiando in un dolce sogno dopo infinite notti di incubi.
«Papà?» Il signor Iachemet trasalisce. «Vai.»
Il viso del padre si contrae. Si ricompone appena la lancetta fa scattare il secondo, perché Biagio ha scelto e, come ha detto Nicola, spetta a lui decidere se avermi nella sua vita. Stringo le labbra screpolate dal gelo di marzo. Quel "vai", detto a suo padre, per me significa: "Ora capisco, ti perdono, puoi restare".
«Tra qualche anno, quando ti spezzerà il cuore, non dire che non te l'avevo detto.»
Se ne va così, il Signor Iachemet, tallonato da una figlia che pretende spiegazioni e da un cane che non intende più mordere.
«Mi dispiace» ripeto quando Marco, Biagio e io restiamo soli. Punto la poltrona sulla quale ho passato molti pomeriggi. «Credevo di essere troppo presente e non volevo soffocarti...»
«Ho imparato» dice Biagio. Gli occhi chiusi, la testa appoggiata sul poggiatesta del divano. "Ho imparato" non vuol dire niente, forse "ho capito". «Sono caduto, poi ho imparato.»
Gli occhi si aprono, guardano quella poltrona vuota che sembra reclamare il mio stampo. Ma non adesso, adesso devo sforzarmi di capire. Biagio indica il sopracciglio sinistro, piccoli punti, ormai cicatrizzati, che chiudono una ferita. È caduto, si è ferito, si è rialzato.
«A camminare» spiega.
E ora capisco: quel ragazzo che aveva imparato a muovere pochi passi, se accompagnato dalla sorella, sta riprendendo il controllo del proprio corpo. Lui, soldato di una battaglia più crudele della mia, non ha paura di combattere. Non scappa.
«Ci vieni domani?» mi chiede. «Dal Torcia al campanile.»
È il suo tragitto, il percorso che si sforza di compiere senza cadere. Cento metri che per un comune adolescente sono una banalità, per Biagio la conquista di una medaglia olimpionica.
«E quando siamo al campanile che facciamo?» gli domando. È il mio "Sì, voglio esserci". In futuro sbaglierò, sarò un abbaglio e una delusione, ma mi impegnerò per recuperare il terreno perso e rimediare agli errori.
Biagio alza una spalla, riconosce la stupidità della domanda.
«Torniamo indietro.» Dal campanile al Torcia. «Se mi aiuti e mi impegno, torno indietro.»
Se mi aiuti e mi impegno, tornerò a essere quel che ero. Sommersa dal suo coraggio, gli credo, un sorriso di nuovo sulle labbra. Resta con me quando io e Marco salutiamo Anna e raggiungiamo il cancello; quando scrivo a Nicola per ringraziarlo; quando riconosco la suoneria del suo cellulare e lo vedo, nascosto dietro il lampione mezzo rotto; perfino quando Nicola mi risponde:
"Sei stata brava".
Anche se il merito non è mio.
_
Ultimo aggiornamento del periodo "vacanze". Con il prossimo sarò di nuovo al lavoro, ma è già scritto (ovviamente) quindi spero di trovare la voglia di caricarlo online. Tra l'altro sarà il più lungo del secondo volume, forse dell'intera storia, e rispetto alla prima versione l'ho anche accorciato. Forse dovrei darvi un indizio, ma no, mi sa che non lo farò!
Vi auguro una buona giornata, e grazie per essere ancora qui a sopportarmi! <3
P.S. A questo giro Wattpad è stato così simpatico da mettermi mille "invii" tra ogni paragrafo e ho dovuto rimuoverli manualmente. Spero non me ne siano sfuggiti troppi :(
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