Fiore da imperatore (II)
Prima di salutarmi Marco lascia scivolare tra le mie braccia un mazzo di girasoli, tra le labbra scuse per giustificare l'acquisto. Sì, non doveva e non serviva, ma sono i miei fiori preferiti e quando li ha visti non ha potuto fare a meno di comprarli. San Valentino non c'entra niente, lo giura, infatti me li ha regalati il 15, non il 14. In più devo promettere che non mi preoccuperò, perché insieme possiamo vincere contro il mondo interno.
E vinciamo. 22 febbraio. Prima ora. Consegna delle simulazioni di terza prova. Nina Adami: 14/15. Marco Zuccato: 12/15. Il liceo di Viacampo – con due 15/15, firmati Anatolia Zuccato e Nicola Ulivieri – distrugge le classi di Rovere e Verona.
«Il binomio va in Grecia!»
Marco lo urla per una settimana. In piedi sul termosifone, finestra aperta, abbracciato all'imposta per mantenere l'equilibrio.
«Il binomio va in Grecia! Nessuno ferma il binomio!»
E poi a bordo di Floyd, in due, senza casco, con le strombazzate di clacson e il volume della voce a mille. Tutti lo devono sapere.
«Grecia! Il binomio va in Grecia!»
Con questo ritornello, arriva marzo. Smetto di preoccuparmi, aderendo alla filosofia di Marco. Non è un problema mio, se Celeste è infelice, e Stefano... È stato o non è stato lui a voler uscire con me? Resta il problema di Biagio, un enorme masso che rischia di schiacciarmi a sogliola contro il terreno, ma non mi preoccupo, cullata dall'attesa che un segnale divino spiani la via.
E il segnale divino arriva, dritto dal cielo, nella forma di un miliardo di fiocchi di neve che rivestono i tetti e le strade di Viacampo. Neve il dieci di marzo, quando ormai è primavera. Volevo forse un segnale divino più esplicito?
Dicono non esistano fiocchi di neve uguali tra loro. Se osservati al caleidoscopio, tutti possiedono un'impronta che li rende unici. Mentre cammino per le vie del paese, li trovo però identici: rotondi, umidi, grandi pompon soffici che danzano nel cielo uggioso. Sono sola sul marciapiede e gioco ad afferrarli con la punta della lingua, quasi fossero marshmallow gratis.
Meta del pellegrinaggio è la scuola, chiusa, causa quei trenta centimetri che hanno messo fuori uso il servizio corriere.
Chiusa, se non per il preside che si occupa di burocrazia.
Chiusa, ma con tutti i miei libri di testo stipati nell'armadietto.
Nonostante il "Primo decalogo del grande Yuri Conte" dica che studiare è sopravvalutato, non c'è miglior occasione delle lezioni saltate per recuperare qualche arretrato. A Marco che mi bombarda di messaggi, rispondo che mi serve un attimo di tregua.
Pazienta, Marco. Un paio di libri e avremo tutto il pomeriggio per noi.
Ma quando apro a forza il cancello del liceo, mi scontro con una presenza inattesa. Nicola Ulivieri è seduto sulla panchina di fronte alla palestra, lo zaino di scuola abbandonato al suo fianco.
Nicola Ulivieri. Colui che mi ha spinta a diventare migliore.
Gli scarponcini rossi battono il tacco sul tappeto di neve, il segnale della ritirata, ma proprio in quell'istante Nicola smette di studiare la finestra del liceo e sposta lo sguardo su di me.
«Sono venuta a recuperare i libri di greco» mi giustifico.
«Tanto non ci fanno entrare.»
"Ci" e non "ti", il che vuol dire che anche Nicola ha sfidato la bufera nel nome dell'amato greco. Ha fatto un viaggio a vuoto, come l'ho fatto io, e ora mi trovo a fissare i dieci metri che ci dividono, una terra di nessuno cosparsa di mine.
«Posso sedermi?» gli domando, senza violare lo spazio che ci separa.
Nicola annuisce e sposta lo zaino per lasciarmi un posticino sulla panchina. Si muove a rallentatore, perché quando si traffica con materiale infiammabile e fuoco, bisogna indossare guanti di velluto per evitare di ferirsi. E se io sono la benzina, Nicola è la fiamma capace di incenerire la filosofia di Marco.
«Che fai seduto fuori da scuola?»
«Devi dirmi qualcosa, Nina?»
Sulla panchina, mantengo trenta centimetri tra i nostri corpi. Se i giacconi si sfiorassero, Nicola potrebbe leggere tutta l'esitazione di intavolare la conversazione.
«Sì, vedi, io. Insomma, ho pensato molto alle tue parole...»
«Lascia stare.»
Nicola getta sabbia sul materiale infiammabile, chiarisce che per oggi non vuole appiccare fuoco alla mia coscienza. E io lo guardo, ignorando quale pensiero confuso gli vortichi in testa. Ha qualcosa di nuovo rispetto al solito Nicola, un dettaglio che mi sfugge. È come se la sua personalità stia spiccando il volo.
«No, sul serio. Mi dispiace se in passato ti ho trattato male, soprattutto quando ti ho rifiutato, perché non sapevo come reagire e comportarmi e qualsiasi parola ti avrebbe offeso.»
Nicola sospira, mette le mani sulle ginocchia e preme per alzarsi e fuggire. Proprio lui che un mese prima ha scelto di confrontarsi con me, cala i panni di un'anguilla scivolosa, l'innata abilità di scappare ai pescatori.
«Aspetta, io sono negata a parlare, dico sempre quel che non dovrei, ma forse visto che ci siamo incontrati...»
Lascio il discorso in sospeso. Per quale motivo ho deciso di riesumare una confessione di due anni prima, seppellita sotto macerie di neve e ghiaccio? Forse perché non ho mai avuto il coraggio di cercare il perdono occhi negli occhi?
«La sai una cosa, Nina?»
Occhi. Ecco il dettaglio che sfuggiva, la novità che ha trasformato il timido anatroccolo in un cigno reale di stirpe Ulivieri. Gli occhiali, i fondi di bottiglia della Quarta Ginnasio, sostituiti in Quinta da due rettangoli dalla montatura sottile, hanno detto addio al viso di Nicola.
«Hai iniziato a mettere le lenti?»
Lui mi ignora, quasi dalle labbra non sia sfuggito il sussurro di un suono.
«Rifiutarmi è stato il piacere più grande che qualcuno mi abbia mai fatto.»
Un nuovo dardo saettato dal suo sguardo, una freccia di ghiaccio che trasforma gli atri e i ventricoli del cuore in statuette di cristallo. E ora capisco perché Nicola indossava gli occhiali. Se la sua lingua è da sempre tagliente, i suoi occhi sono una mannaia che squarta l'anima.
«Perché non ti sarebbe piaciuto stare con me? Per questo dici che ti ho fatto un favore?»
Nicola si concede un lungo sospiro. È lontano cinque metri, destinazione cancello, obiettivo allontanarsi.
«Non in quel senso» mi dice. Ci ripensa e si risiede sulla panchina, ancora due spanne tra di noi.
«Sei il degno fratello di Ivan, lo sai?» Nicola sussulta. «In quale senso? Intendi dire che non ti sarebbe piaciuto stare con me in quel senso, o che non volevi dire in quel senso?»
Brutta bestia i giochi di parole.
«Nel senso che ti ho detto» sentenzia lui.
Non lo sa nascondere, il sorrisetto della vittoria. E io mi barcameno nella stessa domanda: quand'è che Nicola è cambiato? Mi dico che è sempre lui, freddo e spinoso, eppure con il dono di rassicurarmi grazie alla sua presenza; lontano e irraggiungibile, con quei trenta centimetri che ci fanno sembrare due estranei, seduti per un gioco del destino alla stessa panchina.
«Ivan ti sta per caso dando ripetizioni di confusione mentale?»
Di nuovo sussulta, quasi il nome del fratello sia un pizzicotto sotto la protezione della giacca. E se i suoi occhi mi sono sempre sembrati cioccolato extra-fondente, ora si trasformano in un abisso di astio.
«Non sono mio fratello, Nina. Nemmeno gli assomiglio e quindi dovresti smetterla di farmi perdere tempo e di scambiarmi con lui.»
Dietro i denti digrignati e lo scatto che lo fa saltare in piedi, intuisco il sentore del disagio. Crede che lo abbia avvicinato nella speranza di trovare in lui un ricordo di Ivan.
«Lo so che siete diversi.» Sono in piedi anch'io, a un passo dalla sua schiena. Diversi, con un però: ora che Nicola ha rinunciato agli occhiali, la somiglianza è impressionante. «E guarda che non vi ho mai scambiati, proprio perché siete troppo diversi.»
Al di là dei lineamenti del viso, i caratteri sono distanti quanto i poli della Terra. Ivan è scaltro, è un seduttore, un prodigio della parola. Nicola è sincero, spigoloso, ruvido, puro come un diamante grezzo.
«Rigido» commento a voce alta. Nicola piega il collo all'indietro, mi fulmina tra la confusione e il fastidio. «Tu sei rigido, schematico e Ivan invece non lo è.»
«Che discorso assurdo. Io non sono...»
«Rigido?» È bastato questo aggettivo a convincerlo a restare. Mi fissa con aria di sfida, le braccia intrecciate al petto e il sopracciglio alzato. «Ma certo che sei rigido. E ho una prova che lo potrà dimostrare.»
«Nina, per favore, fa freddo.»
Ed è pure pigro, un rovina-divertimenti, nato! Accucciata a terra, raduno una zolla di neve e la plasmo in una pallina, goccioline di ghiaccio che oltrepassano i buchi nei guanti di lana. Mentre mi raddrizzo, pigio la sfera perché non si sfaldi prima del lancio.
«Ecco e ora guarda che faccio!»
Una pallonata dritta sul suo petto, contro il giaccone nero in piume d'oca. Nicola riprende a curvare il sopracciglio, lo stupore è tanto che rischia di imitare un perfetto arco a tutto sesto.
«E sarebbe questa la dimostrazione, Nina?»
Certo che lo è! Qualsiasi altra persona avrebbe strillato o risposto alla palla di neve!
«Se non sei rigido, allora prendi una palla e tiramela» gli dico. Due granelli di neve sono rimasti attaccati alla cerniera. Nicola li spazzola via e torna a essere il classico e arcinoto modello del "primo della classe, mai un capello fuori posto". «Che aspetti, dai!»
Ho già un'altra palla di neve pronta al lancio.
«No.»
A partire dal nuovo anno mi sta dicendo no troppo spesso. A quanto pare, quando si diventa cigni, ci si monta la testa di superbia.
«Perché no?»
«Perché non ho i guanti.»
«Ma non è vero. Li stai indossando. Neri. Li vedo.»
«Sono quelli di lana, non vanno bene per la neve.»
È davvero rigido, diverso da Ivan, perché Ivan per quanto maturo e serio amava i giochi, si divertiva a provocarmi e a darmi corda. Era lui stesso a porgermi la corda.
«Ed ecco la dimostrazione che sei rigido, ma oggi mi sento buona e voglio aiutarti a evitare un fatto gravissimo.»
«Che sarebbe?»
«Questo giorno non passerà alla storia come l'attimo in cui Nicola Ulivieri uccise il divertimento! Ti passo la mia palla di neve, va bene? Tu devi solo tirarla!»
Nicola studia i dintorni con estrema attenzione, quasi fosse uno spacciatore nel pieno della sua attività, poi studia la palla di neve. E di nuovo i dintorni. E di nuovo la palla di neve.
«Tirata, contenta?»
Sì, sui miei scarponcini rossi, a un millimetro da terra.
«Il giorno passerà davvero alla storia come l'attimo in cui Nicola Ulivieri uccise il divertimento» bofonchio, ma lui non mi sente. «Puoi fare di meglio, direi!»
Se non vuole difendersi, peggio per lui. Più veloce di un elfo di Babbo Natale, accumulo una decina di palline e come una mitragliatrice gliele tiro contro. Capita dove capita. Ora il giaccone, ora i pantaloni, ora il braccio, ora il collo, ora la faccia...
«L'hai voluto tu, Nina!»
Finalmente!
Nicola si butta in guerra e addio al classico e arcinoto "modello del primo della classe, mai un capello fuori posto". Non ha pietà nell'affondare le dita nella neve e nel tirarmela contro come sabbia, senza prendersi il tempo di assemblarla in una pallina. Una pioggia di sali e cristalli mi riveste il viso. Quando rallento, Nicola ne approfitta per un contrattacco più efficace e arrivano le palle di neve vere, che mi inseguono per tutto il piazzale. Per una frazione di secondo, giurerei di sentirlo ridere con me, ma deve essere un effetto sonoro della neve che fende l'aria, finché...
«Merda.»
Sono io a dirlo, non Nicola. Nicola ha tirato la palla di neve, io l'ho schivata. Io. Battisti no. Ci guarda dall'interno del liceo, finestra aperta, un velo di neve spalmato sulla punta del nasone.
«Corri! Corri! Corri!»
Prima che ci venga a prendere, prima che focalizzi lo sguardo sulle due sagome in fuga e dia loro un nome. Agguanto il polso di Nicola e tiro, attenta a non scivolare sullo spuntone di ghiaccio che blocca il cancello a metà. D'improvviso ci trasformiamo in due criminali, una corsa verso la libertà, per le viuzze di Viacampo meno note, aggrappati ai lampioni e ai cartelli stradali che ci sostengono quando rischiamo di spremerci a terra.
Finché non arriviamo al campetto da calcio, un manto di neve inviolato da impronte che non siano le nostre. Mi lascio cadere senza preavviso e costringo Nicola a precipitare al mio fianco.
«Battisti» mormoro tra una boccata d'aria e un'altra. «Hai visto che faccia Battisti? Spera che non ci abbia riconosciuti, oppure quello, appena riapre la scuola... Che c'è?»
Nicola, nella posa del cadavere, ha la testa piegata verso il mio lato. Non guarda il cielo ormai vuoto di marshmallow. Guarda me, e mi studia, quasi fossi una scultura antichissima recuperata dal profondo del Mar Mediterraneo, la Venere di un tempio greco.
«Che c'è?» gli chiedo di nuovo. La domanda rompe l'incanto. E allora Nicola lo fissa davvero, il cielo. Mi chiedo a che cosa stia pensando, se abbia sentito la scarica che spezza ogni rigidità, l'ebbrezza di vivere a mille.
«Niente» mi dice, un sorriso sulle labbra. Lo immagino sbocciare in una risata, ma invece Nicola lo costringe a tornare un germoglio. «Sai, Nina, ho espresso un tuo desiderio, ora tocca a te esaudire una mia volontà.»
Un mio desiderio, la battaglia a palle di neve. Il mio silenzio viene interpretato come un invito a inoltrare la richiesta.
«Che cosa è successo con Iachemet?»
Mi mozza il fiato in gola. Il desiderio di Nicola è sapere che è successo con Biagio. E così capisco che il segno del destino non era la neve, ma Nicola stesso, perché abbiamo un patto, noi due, dai tempi in cui trovai il suo quadernetto dei pensieri. "Un segreto per un segreto"; "Un torto per un torto"; "Un desiderio per un desiderio".
Ho paura a parlare, perfino con lui. Nemmeno con Marco me la sono sentita. E Yuri sta continuando a tessere trappole che scattano a vuoto. Mordicchio il labbro, spingo le iridi nell'alto dell'occhio, sperando che fuggano, perché non voglio vedere il viso di Nicola quando confesserò. Perché so già che cosa mi dirà: "Non sei una bella persona". Parlo e a fine narrazione, mi appiattisco ancor di più sul manto di neve, con il desiderio di sparire nel nulla.
«Non doveva permettersi di dirti quelle cose.» Nicola è nato con il dono di sorprendermi. Ruoto la testa nella sua direzione, i denti smettono di martoriare il labbro, le iridi sbarrate. «Quell'uomo potrà anche essere suo padre, ma non aveva il diritto di parlarti così.»
Ha il viso nero, una rabbia che non pensavo potesse provare. Scatta in piedi e mi costringe ad abbandonare quel letto di neve che, oltre il tessuto della giacca rossa, stava iniziando a penetrare nelle ossa.
«Vieni con me» mi ordina.
«Per andare dove?» La voce trema, si fa piccola.
«Da Iachemet. Ti accompagno io.»
Questa volta è lui a prendermi la mano e sono io a restare intrappolata nella corazza da guerra. Con Nicola al comando non posso far altro che lasciarmi trascinare dalla corrente degli eventi.
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