Das ist verboten! (I)
Il faccia a faccia con Nicola è stato un incentivo a rimaneggiare la vita, ad analizzare al microscopio i difetti che la intaccano. Devo operare su me stessa sin da oggi per eliminare quelle impurità e tornare sana. Calendario alla mano, divido i giorni del binomio da quelli di Stefano, e lascio anche una nota per Marco, un asterisco che gli ricordi l'esistenza di Celeste.
Il primo aspetto a migliorare è la situazione scolastica. La simulazione passa a meraviglia. Yuri ha previsto le domande di latino, inglese e filosofia e alla fine anche scienze era fattibile. Marco non si esprime.
«Non voglio sentir parlare di quelle verifiche, finché non ce le consegneranno, Nanà!» Stiamo salendo i gradini che portano al centro benessere, uno dei più lussuosi hotel di Viacampo. «Vero che non ho lasciato in bianco, ma da qui a Dodici quindicesimi ce ne vuole! Scienze sarà un massacro.» Avanziamo verso la signorina alla reception per pagare. «Chi se lo aspettava che Strigliari entrasse con un carrello della spesa pieno di sassi e ce li facesse analizzare?»
«Minerali, Marco! Erano minerali non sassi.»
«Erano i sassi del lago, Nanà. Altro che minerali preziosi e "attenzione a non rovinarli". Ora, solo perché hai deciso di essere buona, non è che devi nobilitare anche i sassi!»
La signorina alla reception allarga le labbra in un sorriso da paresi facciale, obiettivo attirare la nostra attenzione. Marco è così preso a inveire contro Strigliari che si vede costretta a suonare il campanello per zittirlo.
«Allora, ragazzi, siete qui per una stanza?»
Hotel cinque stelle, tatto zero. Marco diventa rosso quanto la maglia della Converse che indossa sotto il giaccone. La signorina ride, la convinzione di averci smascherati e colti in fragrante.
«No, no» le dico. «Abbiamo prenotato la piscina e l'idromassaggio, fino alle sette di sera.»
Con l'affermazione smorzo il suo entusiasmo.
«Benissimo allora» dice lei, profondamente contrariata. «Scendete per le scale. Negli spogliatoi troverete accappatoi e asciugamani. Lasciate gli effetti personali nell'armadietto e non perdete la chiave. E mi raccomando» aggiunge, quando abbiamo già pagato e raggiunto le scale, un tappeto rosso che riveste il pavimento in marmo. «Spogliatoi separati!»
Per i restanti trentadue scalini, Marco ripete che raccomandarsi di non fare una cosa equivale a proporla e io protesto che non ci tengo a infrangere il regolamento. Sgommo all'interno dello spogliatoio femminile e tiro la porta verso il mio petto, mentre Marco la strattona nella direzione opposta.
«Ma Nanà! Fammi entrare, dai! Vuoi davvero rovinare il divertimento alla receptionist? Ci tiene così tanto ad averci in spogliatoio insieme!»
«Ti dico di no! Non voglio farmi cacciare ancora prima di mettere piede in acqua.»
«Sarebbe un pomeriggio alternativo e divertente. Perché non proviamo a fare il demone a quattro finché non ci sbattono fuori?»
La scarpa a scacchi scozzesi guadagna terreno, varca la soglia, un pericolosissimo tentativo di entrare nello spogliatoio.
«Devo andare in piscina per assicurarmi che il mascara che mi ha regalato Valentina sia davvero waterproof, quindi non rompere.»
«Waterproof? E che vuol dire?»
È l'attimo di indecisione a concedermi la coppa della vittoria. Marco smette di puntare la forza nelle braccia e nelle gambe. Uno strattone alla maniglia, la chiave girata, il suo naso contro la porta. E così tra un "Nanà, sei malvagia" e un "Nanà, potevi farmi male", vinco la guerra con l'astuzia.
«Cambiati, invece che lagnarti! Non abbiamo tutto il giorno!»
Quando la risposta non arriva, capisco che si è rintanato nello spogliatoio maschile. Se mi sbrigo, finirò prima di lui e mi nasconderò per fargli uno scherzo. Via le scarpe, giù i pantaloni, costume presente, pronta ad appostarmi quando... toc, toc, toc, toc.
Una signora sulla cinquantina esce dal bagno dello spogliatoio.
«Che cosa fare questo rumore?» chiede. È tedesca, lo si capisce dall'accento duro. Si sistema l'asciugamano sotto le ascelle e analizza ogni angolo dello spogliatoio.
«Qualcuno avere bussato?» Due lenti tonde alla John Lennon e un mosaico di fondotinta spalmato in faccia. La tedesca, una versione Extra Large della signorina Rottermeier, crede che sia stata io.
«Non ha bussato nessuno, Signora» le dico. La voce è tanto alta che anche un sordo mi sentirebbe. Così Marco dovrebbe capire di smetterla con gli scherzi.
Toc, toc, toc, toc.
«Qualcuno bussare su muro!» sbotta la signora. Ringhia come un mastino intenzionato a strappare i pantaloni al postino. «Qui essere per relax. Cosa servire questo baccano?»
Rimane a inveire contro il muro e a tirare manate alla parete, per convincere "chiunque ci sia di là" a donarci un attimo di silenzio. Di là c'è lo spogliatoio dei maschi e il "chiunque" è Marco.
«Nanà, Nanà!» mi chiama, appena esco nell'atrio. Sbuca da dietro una colonna. «Ero sicuro che avresti risposto al mio toc toc! Sai che di là c'era un ciccione tedesco che continuava a dirmi "Das ist verboten"?»
Premesso che a bussare non ero io, ma la Rottermeier, il ciccione nello spogliatoio maschile deve essere la sua dolce metà. E se rovineremo il loro soggiorno all'hotel, convinceranno il personale a sbatterci sul marciapiede a suon di verboten.
Lo ignoro e proseguiamo sul pavimento marrone, bucato nel centro da una modesta piscina a forma di fagiolo, lettini a idromassaggio sulla curva più stretta, spruzzi a fontana nell'ansa più larga.
«Non fare il bambino» lo supplico. «Per favore.»
Marco si toglie l'accappatoio e lo butta su un lettino.
«Nanà, adesso ci manca solo che non mi lasci fare i tuffi a bomba!» ride. E questa volta mi unisco alla risata, perché mentre ci avviciniamo alla scaletta di ferro per scendere in piscina ogni battuta suona talmente perfetta da sembrare il copione di una commedia hollywoodiana.
«Ma no, Marco. I tuffi a bomba sono da sempre al secondo posto dei miei tuffi preferiti!»
«Al secondo posto? Perché al primo cosa c'-»
Una spinta sulle scapole. Marco si ritrova con la testa sott'acqua e la fine della domanda zittita dal mio gesto improvviso. È impagabile la smorfia sul suo viso, quando riemerge.
«Al primo posto ci sono i tuffi a tradimento!»
Marco risale la scaletta, mi lascia il tempo di lanciare lontani gli accappatoi e poi splash. L'acqua sa di cloro, pizzica le palpebre chiuse. Riemergere, riemergere. Ma la vendetta di Marco è crudele. Mi intrappola al petto, mentre con i piedi si tiene ancorato alla scaletta. Rende impossibile tornare in superficie. Una gomitata nello sterno per riassaporare una boccata d'aria.
«Vuoi annegarmi?» gli chiedo. «Lo sai che odio stare con la testa sotto. Mi manca il respiro!» Uno spruzzo in faccia.
«Sei malvagia, Nanà. Se non mi avessi spinto...»
«Se non te la fossi cercata.» Un altro spruzzo.
«E così me la cerco? Vedrai che adesso ti faccio volare!»
Due bracciate per fuggire e attraccarmi al bordo piscina. Ma anche in acqua, Marco è più veloce di me, uno squalo in confronto a una lentissima stella marina che giace sui fondali oceanici. Intrappola i piedi per le caviglie e, per quanto mi dimeni, mi gira pancia all'aria.
«Ora queste belle gambe le leghiamo qui, Nanà.»
Se le avvinghia dietro la schiena e io sono attenta a tenere i piedi intrecciati tra di loro. Mi stendo a dorso nella posa del morto. E Marco gira su sé stesso, il cavallo più veloce di una giostra per bambini. Poi si ferma, incastra le braccia dietro la mia schiena e mi tira attaccata al suo petto.
«Che me ne faccio adesso di te, Nanà?»
Prima che mi getti via, gli stringo il collo in una presa degna di una piovra. E siamo vicinissimi, al punto che potrei studiare ogni gocciolina di cloro che scivola sulla sua pelle.
«Qualcosa di divertente» gli dico io. «E di rumoroso, prima che i due mastini tedeschi escano dallo spogliatoio.»
«Vediamo che mi viene in mente, allora.»
Mentre pensa, gira su sé stesso, ma questa volta non sono sdraiata su un letto d'acqua, bensì avvinghiata al mio porto sicuro. E fa freddo, perché metà schiena non è sommersa e l'aria del locale, per quanto riscaldato, punge.
«In fretta, Marco, che sto congelando!» Mi stringo di più al suo petto, alla ricerca di calore corporeo. «Pensa in fretta.»
Prende un respiro a pieni polmoni e tradisce le sue intenzioni. Sprofonda seduto sul sedime della piscina e quando riemergiamo, stretti ancora in un abbraccio, riprendiamo a infastidirci in un gioco senza fine. Ci sono pure i due mastini che masticano un verboten dietro l'altro e digrignano i denti in ruggiti animaleschi.
«Scommetto che so fare la verticale meglio di te, Nanà!»
Ci stiamo concedendo un attimo di tregua, sdraiati sui lettini dell'idromassaggio. Ed ecco che il lancio di una nuova sfida distrugge il momento di pace.
«Ma per favore! Con il mio passato da ginnasta?»
«Allora scommessa fatta, Nanà, vedrai che verticale ti faccio!»
Le mie risate risuonano per la piscina, irritano la coppia tedesca e due signori che corrono a ripararsi nella sauna finlandese per liberarsi di noi. Sdraiata sulla piastra dell'idromassaggio, mi costringo a tenere la testa alzata. Ed eccolo lì Marco, due gambe pendenti e piegate che sbucano dalla superficie, storte quanto la Torre di Pisa. Una frazione di secondo e precipita sott'acqua.
«Ti batto come niente, mi spiace. E sai che ti dico? Se vinco, la lancio io, la prossima scommessa!»
Sconfiggere Marco nell'arte delle acrobazie equivale a vincere al Superenalotto sapendo i numeri in anteprima. Testa immersa, rizzo le gambe in una verticale perfetta. L'acqua rende il corpo leggero, la vittoria un gioco da ragazzi.
«Va bene, Nanà. Tanto vinci sempre tu!»
«E allora ti chiedo che giorno è domani e scommetto che non lo sai.»
Nuoto a bordo piscina, seguita da Marco che sbatte le gambe nell'imitazione di un motoscafo. Mi tira una manata per impedirmi di uscire dall'acqua e raggiungere i lettini della zona comfort.
«Giovedì» ripete. «Ho vinto. E a proposito, dovresti venire a pranzo da me, mamma ha intenzione di fare cotolette e patatine fritte.»
«Fin lì ci arrivano tutti, zuccone. Io ti chiedo il numero del giorno e l'evento.»
Marco si fa pensieroso. Potrei approfittare dell'occasione per fuggire nel mio caldo accappatoio e nella tisana al melograno offerta dall'hotel. Ho i polpastrelli pieni di piaghette, segno che sono a mollo da troppo.
«Considerato che la simulazione era ieri e ieri era il 12, oggi 13, domani 14» risponde Marco. Ma se me ne andassi, troverei la scusa per non affrontare quel discorso che perfino io vorrei evitare. «E quindi, Nanà?»
«E quindi qual è il santo del 14 febbraio?»
Non ottengo una risposta e se la domanda pende nel silenzio, è perché Marco si è lasciato sprofondare sott'acqua, senza nessuna intenzione di riemergere. Lo afferro il braccio e lo costringo a tornare in superficie.
«Quella gran rottura di San Valentino, Nanà, ma perché me l'hai ricordato? Potevo far finta di non saperne niente e cavarmela con la scusa che sono un idiota.»
«Tu sei un finto idiota e l'ho sempre saputo. E comunque non dovresti prenderla così la festa di San Valentino. È l'occasione di dimostrare che ci tieni con i fatti, non solo con le parole.»
Un sorriso vittorioso gli curva le labbra.
«Nanà!» Con un salto si mette a sedere sull'argine della piscina. «Se vuoi dei fiori, puoi dirlo senza tanto mistero. Te li compro.»
«Celeste» sospiro. Mi tende la mano per aiutarmi a salire. «I fiori li devi comprare per Celeste, altrimenti perché le avresti regalato un vaso?»
La presa delle nostre dita scivola e la colpa non è dell'acqua clorata che rende la pelle più viscida delle squame di un pesce. La presa viene meno perché Marco stende palmo e nervi. Affondo, colpita dallo stupore sul suo viso, dagli occhioni azzurri che sbattono senza riuscire a mettere a fuoco le mie parole: so del vaso, sì, ed è una realtà che lo spiazza.
«Da quando sei la consulente amorosa di Celeste?»
«Da quando fai di tutto per costringerla a lasciarti.»
«Che dici, Nanà?» Simula una risata. Mi recupera per le braccia e mi mette seduta accanto a lui. «A Celeste voglio bene. È una brava ragazza. Credevo non piacesse a te, invece. Che disapprovassi la nostra storia.»
«La disapprovo, infatti.»
È inutile negarlo. Restando seduta al suo fianco, recupero l'accappatoio. Morbido e caldo, il contrario del discorso che sto per fare. Non sempre quel che è giusto si rivela una zolletta di zucchero facile da digerire.
«Però hai scelto di uscirci» gli ricordo. «Hai detto che all'inizio doveva essere solo qualche serata, per ripagarla di quel bacio che le avevi dato. Lo sai da quanto state insieme, invece?»
Anche Marco ha recuperato l'accappatoio e si sta asciugando i capelli e il viso. Gli occhioni pensierosi, intenti a contare il tempo della loro storia, sbucano da un brandello di stoffa bianca.
«Un paio di mesi al massimo.»
«Otto mesi, Marco.»
Quel mese di giugno, l'inizio di una catastrofica relazione per me incomprensibile, è marchiato con il fuoco e battuto con l'incudine nel calendario dei ricordi. Otto mesi e Marco non si è accorto di averli vissuti, forse nemmeno crede di essere coinvolto in una relazione seria.
«Se vuoi restare con lei, prova a farla felice.»
È un consiglio. Amaro più dello sciroppo per la tosse al rabarbaro. Amaro per me, perché Marco ha colto il segno: disapprovo la sua storia con Celeste, ma adesso che sto con Stefano non sono nella posizione di muovere critiche.
«Va bene, Nanà. Se dici che è giusto portarle dei fiori, non mi costa niente farlo.»
C'è qualcosa di sbagliato in questa affermazione, ma cosa? Non so se sia l'assenza di spontaneità o il fatto che Marco sembra spento. Non so e non ho il tempo di comprendere. Scatta in piedi, accappatoio allacciato ai fianchi, braccia spalancate per accogliermi.
«Un super ultimo tuffo in due da vestiti» propone. «Che cosa c'è di più proibito?»
L'ultima immagine prima di sparire sott'acqua sono i due mastini tedeschi, le mascelle ancora serrate, gli occhi piccoli per la cattiveria. L'ultimo suono è il loro strillo:
«Das ist verboten!»
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