Compagni di cervello (I)
Le parole di Ivan sono consigli che entrano da un orecchio ed escono dall'altro. Quando arriva l'imbrunire ed è il momento di salutarci, il Cavaliere Dieci e Lode mi prega di telefonargli, senza lasciar passare mesi di silenzio. Gli mancano le nostre conversazioni, i pensieri complessi, degni del genere umano.
«Per quanto riguarda il binomio, pensaci, Nina. Non volevo rattristarti o sembrare invadente» mi dice. «Ma ho paura che un giorno ti sveglierai e ti accorgerai di non aver provato nessuna esperienza, se non il binomio. Allora odierai tutto e ti sembrerà di avere vissuto in una gabbia. E rimprovererai me, Stefano, Nicola, chiunque per non averti aiutata a uscirne.»
«Ci penserò, promesso.»
«Non sei come i cleptomani che danno la loro parola e appena giri l'occhio cercano un centro commerciale da svaligiare, vero?»
Ivan e le sue assurde metafore!
«Sei ancora in tempo per vivere, Nina.»
Lo dice come se fino a oggi mi fossi tirata indietro. Il binomio è la somma di mille esperienze, avventure, giochi, giorni vissuti all'insegna del divertimento. È un liquido che ha riempito ogni spazio vuoto.
Come potrei ritenere "poco" qualcosa di tanto grande?
«Non diventerò una cleptomane, se è questo che ti preoccupa.» Sguardo di rimprovero. «Promesso, Ivan. Ora vuoi anche stringermi il mignolino e rendere il giuramento inviolabile?»
Ivan non stringe il mignolino.
In compenso il titano Marco impiega due minuti a marciare contro la promessa e a polverizzarla. Del resto... Nina Adami libera dal binomio? Sarei masochista a volerlo, adesso che la maturità mi saluta con il frustino in una mano e il revolver nell'altra.
"Cara la mia Nina" sembra dirmi "Hai passato cinque anni di liceo a divertirti e darti alla pazza gioia? Dicevi che ti importava solo del tuo Marco e del binomio? Ride bene chi ride ultimo e adesso a ridere sarò io."
Ecco il cordiale saluto mi porge, quando ci infiliamo nel mese di giugno. Mi ritrovo sommersa da libri mai aperti, traduzioni dal greco ignorate e obbligatorie per l'esame, approfondimento individuale ancora da scegliere. All'elenco di disgrazie, si aggiungono i messaggi e le visite a sorpresa della mia migliore amica, considerato che...
«L'anno scorso, cara la mia Nanà, c'ero io nei tuoi panni, disperata perché avevo troppi arretrati e temevo di non farcela, e tu che hai fatto nel bel mezzo degli esami?»
Valentina, accompagnata da Giacomo e da propositi di vendetta, si accomoda in cucina. Lui frulla centrifughe di carote e mele, lei accende la tv su Uomini e Donne, la barra del volume al massimo.
«Guarda che è stato Giacomo a dirti che non ero più vergine» borbotto in mia difesa.
Anche lui quest'anno ha la maturità, con una differenza: intenzionato ad aprire un'officina di moto, non si lascia tormentare dagli spettri degli esami.
«Giacomo ha avuto la sua parte» concorda Valentina. «Ma poi tu mi hai detto di lui e di Marina.»
«Vale, mi dispiace tantissimo per la tua maturità, ma non credi sia arrivato il momento di seppellire l'ascia di guerra? Io faccio il classico ed è un indirizzo di studi molto più tosto di ragioneria.»
Ora tra le mani della mia migliore amica non c'è solo l'ascia di guerra, ma un intero arsenale di bombe a mano, catapulte e balestre. Le armi più pericolose restano il cellulare e quelle dita smaltate che pigiano sulla testiera. Messaggi a Marina e Chiara di raggiungerci per un pomeriggio tra amiche. Ma io devo studiare!
Valentina ordina a Giacomo di mettere la tv in silenzioso e di zittire la centrifuga.
«Vedi, Nina, prima che arrivino Chiara e Marina, c'è una confessione che devo farti» rivela. «Esco con il cameriere dello Yeti!»
Dovrei spalancare la bocca e fare la faccia da triglia, dare alla mia migliore amica questa piccola soddisfazione, ma dopo i discorsi sul furring, Nicola e Anatolia nulla può più sorprendermi.
«Ma chi? Alex?»
«Perché? Si chiama Alex?» mi domanda Valentina.
Un interrogativo che farebbe mangiare la foglia anche a Marco. Il problema è che la mia Valentina non sa mentire.
«Non è necessario sapere il suo nome per farci sesso!» aggiunge.
È caduta da sola nella trappola che ha nascosto sotto un manto di foglie secche, e ora si dimena per liberarsi dalla tagliola, prima che il cacciatore la catturi. E indovinate chi è il cacciatore? Io.
«Mia sorella è casta e illibata, Nina» dice Giacomo. Telecomando alla mano, fa zapping sulla televisione in silenzioso. «Casta e illibata. Non come una piccoletta qui presente e di mia conoscenza.»
Ho sbagliato tutto. Io sono la preda caduta nella trappola, Giacomo è il cacciatore, e Valentina è un semplice cerbiatto confuso che si trova al posto sbagliato nel momento sbagliato.
«Ma da che pulpito» ribatto. Chiudo il libro di greco con uno scatto. «Parli proprio tu che rubi la macchina di tuo fratello e ti imbuchi in campagna, tra le vigne di tuo nonno, dietro il gazebo degli attrezzi, con Marina, per...»
«Perché io questa non la so?» mi interrompe Valentina. Un pugno di metallo fa tremare il tavolo. La povera Valentina, nonostante il costante smanettare con il cellulare, è l'ultimo anello della rete di gossip, io invece...
«E chi te l'avrebbe detto?» domanda Giacomo. Ho come maestri il grande Yuri Conte e il Cavaliere Dieci e lode. Sono un vero squalo, quando si arriva a masticare frecciatine sessuali e dibattiti verbali.
«Ivan. Lo sa da Carlo» spiffero con il petto in fuori.
Io e Ivan non ci siamo limitati a parlare di università e binomio, ma abbiamo allietato il resto del pomeriggio con aneddoti sull'intera Viacampo. E una giovane coppia beccata con la macchina in panne, mentre fa sesso nella campagna del nonno...
«Carlo ha dovuto pagare il carro-attrezzi» conferma Giacomo.
Uno squalo, che vi dicevo? Ottimo lavoro di pinne e denti aguzzi per dilaniare un pesce grosso quanto Giacomo. Allora perché ha il labbro piegato in una smorfia?
«Lo vuoi sapere un vecchio detto, Nanà?» dice in tono canzonatorio, la televisione in silenzioso l'ultimo dei suoi interessi. È con me che vuole giocare. In tutta risposta riapro il libro di greco.
«Allora ti faccio una domanda» insiste lui. «Visto che ti impicci dei fatti miei e di Marina... Secondo te è più utile una chiave che apre tutte le serrature o una serratura che si apre con tutte le chiavi?»
Libro di greco. Antologia di 450 pagine con copertina rigida. L'angolo che vola verso la tempia di Giacomo. Giacomo che lo schiva. Il campanello che suona. Marina e Chiara alla porta. Dovranno aspettare. Bombardo quel delinquente con un pezzo di carota dietro l'altro. Come osa insinuare che la mia serratura si apra con tutte le chiavi?
«Andiamo, Nanà!» ride lui. «E Stefano e Marco e Ivan. Tanto vale lasciare la porta spalancata che almeno favorisci l'areazione!»
Io lo uccido! È una guerra di ortaggi che volano nella cucina, un corpo a corpo, Nina contro Giacomo. Lui risponde al fuoco. E il campanello suona. Immagino il dito di Chiara appiccicato al bottone, intravedo il viso scocciato nel display azzurrino del videocitofono. Valentina potrebbe almeno rispondere, però...
«È ingiusto» sbotta, amareggiata. «Perché lui è maledettamente più bravo di me a farti perdere la pazienza?»
Finisce così il pomeriggio del quattro giugno, meno sei giorni al termine della scuola. Gli ortaggi sbattono contro il battiscopa, sulle mensole, dentro il lavandino. Valentina si unisce alla guerra, un conflitto aperto senza alleati. Il campanello, alla fine, non suona più e Marco si indispettisce per i messaggi ignorati. Mi telefona:
Nanà, ho bisogno di parlarti. La smetti di giocare con Valentina e Giacomo? Ma no, lascia stare i verbi. Me li spieghi stasera. Devo parlarti prima e non di cose di scuola. È urgente. Sono qui sotto, quindi scendi ad aprirmi. Comunque, Marina e Chiara se ne sono appena andate!
"Devo dirti una cosa." È lo squillo di tromba che segna la fine del conflitto. Valentina e Giacomo sono degli invasori difficili da cacciare, ma alla fine riesco nell'impresa. Che dovrà dirmi Marco? Da quando gli hanno messo il gesso, è diventato l'essere più viziato del pianeta.
«Che mi devi dire?» gli domando. Tallonata dai fratelli Santoni, qualche truciolo di carota tra i capelli, apro il cancelletto e permetto a Marco di entrare in giardino. È talmente "ammalato" da infischiarsene del gesso e da continuare a guidare Floyd.
«Perché hai dei pezzi di carota in testa, Nanà?»
Bofonchio un "lascia stare", mentre lui mi guarda con le guance gonfie di una. Con la mano sinistra accarezza le ciocche e le libera dai coriandoli arancioni. Inutile dire che Giacomo riprende a lanciare frecciatine velate. Quando sale con Valentina sulla macchina di Carlo, abbassa il finestrino:
«Con questo caldo, Nina, dovrai aprirla la porta. Ricorda che arieggiare è importante!»
Marco deve usare tutta la sua forza per evitare che mi getti nell'abitacolo della macchina e lo strangoli come il galletto che è. Per fortuna Valentina comprende il pericolo. Frizione schiacciata, sgomma fino al cartello dello stop, il freno a mano abbassato per metà, odore di bruciato e nubi di fumo. Taglia la strada a un camioncino, si immette nella via principale e scompare dietro l'angolo.
*
Sdraiati sull'amaca del giardino, un pezzo di stoffa rosa ombreggiato da una grande palma, io e Marco restiamo accoccolati ad assaporare la brezza che si è alzata dal lago. Quante volte in passato ci siamo appisolati su quell'amaca? Ora in compagnia di un mojito, ora di una birra fresca, ora di un frappé alla frutta. Negli anni passati gli ultimi pomeriggi di scuola erano animati dal desiderio di tuffarci nelle vacanze estive.
Oggi invece ho il cuore pesante.
«Non ha senso essere tristi, Nanà.»
Anche se non ho detto niente, ha visto un grande nuvolone ricoprire il sole del buon umore.
«È solo nostalgia» gli dico. «Si avvicina l'ultima estate di liceo, l'ultimo anno in cui saremo in classe insieme, l'ultima volta che attenderemo qui la fine della scuola.»
Ci sono troppi "ultimi" nelle mie parole.
«Non siamo troppo giovani per preoccuparci, Nanà? La nostalgia è un sentimento da vecchi.»
Ma lo siamo, vecchi rispetto a quando è iniziata la nostra storia alle superiori. Tra qualche mese saremo all'università. E ricordo che mio cugino Simone studiava anche l'estate, prima di mollare l'Accademia d'Arte per l'Hdemia bar.
«Voglio tornare in Quarta Ginnasio, Marco, e rivivere il liceo da capo.»
«Ma sei impazzita, Nanà? Vuoi mettere l'università? Studiare quando ne hai voglia, rientrare quando ti pare, fregartene dei compiti e delle interrogazioni? Il liceo è stato un inferno!»
Ma se dobbiamo ancora iscriverci e iniziare a frequentare i corsi! Il suo è un luogo comune. E poi dire che è l'inferno... con le sue parole ha attraversato il mio petto e stretto il cuore in un pugno.
«Non dico noi. Per noi non cambia niente, Nanà.»
Per noi cambia tutto.
«Liceo o non liceo, noi siamo sempre noi» insiste. «E poi andremo a vivere insieme. Non lo abbiamo deciso l'anno scorso?»
Già, lui ubriaco di tequila, io sobria di tè alla pesca. In un bar di studenti universitari a Nomi, mentre sui tovaglioli elencavamo gli oggetti indispensabili per la nostra reggia.
«Ci sveglieremo ogni giorno nella stessa casa, faremo insieme la spesa, staremo fino a notte fonda in discoteca. E ti accompagnerò anche ai tuoi noiosissimi cineforum per farti felice, Nanà. E a teatro. Anche se lì, credo che dormirò. Saremo insieme più di adesso.»
Mi sento una stupida, io che ho gli occhi umidi e il groppo alla gola. Cambierà tutto, ma in meglio.
«Se ti addormenterai a teatro, ti tirerò uno scappellotto sulla nuca. Zuccone, non lo sai che è da maleducati russare quando gli attori recitano? E se mi mancherà vederti, sgommerò su una bicicletta e pedalerò come un razzo in università, da te.»
Per intrufolarmi in aula, accanto a lui.
«Saremo felici, vero?» gli chiedo.
«Felici e inseparabili. Per sempre.»
Suona come una promessa. In passato me ne sarei preoccupata: Marco non è bravo a mantenerle. Si lascia trascinare dalla sindrome del supereroe e si dimentica di essere un normale ragazzo di diciotto anni, senza il dono di appiattire gli ostacoli del mondo, ma con tutti i nostri trascorsi, sento di potergli credere.
«A proposito» dice. «Non ti ho detto il motivo per cui sono qui. Tu lo sai che giorno è domani, Nanà?»
Non San Valentino. La domanda mi ricorda quel pomeriggio passato insieme al centro benessere, a ruoli invertiti. La risposta è diversa. Non San Valentino, non il compleanno di Celeste, non il compleanno di Stefano, in standby, fino alla scelta universitaria.
"Continuiamo come abbiamo iniziato" gli ho detto in un pomeriggio di maggio. Il merito della riappacificazione andava a un preservativo fosforescente, un regalo di un vecchietto dell'ospizio.
"Ho la testa che scoppia di pensieri e quindi..." Un dubbio nella mia voce, la colpa di non sapere prendere una decisione netta. "Per il momento a me va bene così. Restare quel che siamo. Non ti devo dare una risposta subito, vero?"
Per Bologna, per Marco, per quel "se mi vuoi lasciare". Stefano, troppo preso dal preservativo giallo, talmente luccicante da brillare nonostante le tapparelle abbassate, mi ha dato della truffatrice.
"Mi stai mettendo in standby, Nin."
"La fai sembrare una cosa brutta!" In fondo non stavamo parlando di una pausa di riflessione. Una strofinata sul petto, due miagolii, il miglior trucco per sedurre un amante dei felini.
"Maledetto standby" ha imprecato lui. Un nuovo preservativo fosforescente a illuminare il buio della camera da letto, un bacio di Stefano sul mento. "Mi ci potrei abituare."
«Allora, Nanà! Non sognare a occhi aperti! Che giorno è domani?»
Marco, giusto. La domanda. Quell'interrogativo che ha messo in movimento la catena dei pensieri. Giorno, San Valentino, Celeste, standby, Stefano, sesso. Mentre io vagavo nella dimensione dei ricordi, Marco attendeva una risposta.
«L'annuario, Nanà! Domani è il giorno in cui scattiamo la foto per l'annuario! Come hai fatto a dimenticarlo? Dobbiamo organizzarci e rendere il binomio eccezionale!»
Già, come ho fatto a dimenticarlo? La foto dell'annuario, quel veloce scatto che ritrae le classi con le facce più imbarazzanti e viene poi pubblicato sul sito online dell'istituto. Un attimo... organizzarci?
Marco salta giù dall'amaca e io mi ritrovo cappottata a terra, le scapole sul tappeto d'erba, il rombo dei suoi passi che salgono le scale, puntano la mia stanza. Meglio affrettarsi prima che l'appartamento diventi terra bruciata.
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