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Cacciavite all'arancia (III)


Quando il grande Yuri Conte dice che si farà qualcosa nel weekend, non ci sono santi che tengano. Niente ribellioni, niente buche dell'ultimo minuto, niente finti mal di testa. Perfino il meteo che metteva pioggia si piega al suo volere. Il programma è semplice e arriva via sms, alle dieci di sabato mattina, invio a tutti i partecipanti:

Il grande Yuri Conte è tornato. Stasera campeggio alla Scalinata del Re, operazione stelle cadenti. E me ne frego se San Lorenzo è già passato. Stelle cadenti vuol dire birra. Portate l'alcol, le tende e i sacchi a pelo. Scateneremo l'Inferno.

Sul serio Yuri pensa di convincere Marco, sfruttando un'attività da giovani lupetti, con fuoco da accendere e orsi che ci sbraneranno nel cuore della notte? A quanto pare sì. Gli bastano poche parole per persuaderlo: grigliata, chitarre, ma soprattutto... birra, birra e ancora birra.

Io e Marco siamo a bordo della Panda e seguiamo le stradine sterrate che costeggiano le pareti rocciose della montagna. Marcia seconda e copertoni che arrampicano in salita, sento il cuore ticchettare d'ansia. A breve abbatterò quel muro che si sta innalzando tra di noi.

Ho provato il discorso allo specchio. In caso di perdita della parola, ho addirittura escogitato il piano B che consiste semplicemente nel baciarlo. E dovrò baciarlo da dio, per far rinascere la scintilla nel binomio.

Ora che Marco è al mio fianco, però, un opprimente silenzio annienta ogni sicurezza.

«Guarda che hai sbagliato strada» borbotta. «Dovevamo andare con Yuri. Ci siamo persi.»

Peccato che Yuri sia partito alle cinque e tu, mio caro Marco, ti sia rifiutato di staccare il naso dai libri prima delle sette. Così ci troviamo a vagare per i sentieri che costeggiano la Scalinata del Re, una montagna di roccia composta da crepacci e dirupi.

«Perché non guardi sulla cartina?» gli suggerisco.

«Sì, perché sulla cartina c'è un punto rosso con scritto "voi siete qui". Abbassa il finestrino che Yuri avrà attaccato l'amplificatore alla macchina.»

Quando resto incollata al volante, timorosa di perdere il controllo, abbassa il finestrino da sé. I Queens of the Stone Age infrangono la quiete del bosco, un tunz tunz prima leggero, poi sempre più forte.

«Avevi ragione» gli dico. «Se seguo la musica, dovrei riuscire ad arrivare.»

E infatti arriviamo, un parcheggio costellato di macchine, disposte in doppia e terza fila. La Golf di Yuri troneggia nel centro. Accanto a lei vi è l'amplificatore acceso, la musica sparata a mille, le pinze della batteria appoggiate sul sedile del guidatore, perché prima o poi anche la stratosferica Golf del grande Yuri Conte finirà la riserva elettrica.

Scendiamo dalla Panda e ispezioniamo il parcheggio in cerca di un'anima viva.

«Macchine, macchine, ma io non vedo nessuno» strilla Marco. Il suono arriva alle orecchie come un sibilo, coperto da 3's & 7's. «Dov'è finito quel coglione?»

E da quando Marco chiama il grande Yuri Conte coglione? Con gli occhi strabuzzati, lo guardo sistemarsi il sacco in spalla e tornare alla macchina.

«Aspetta!» Niente. «Marco, dove vai? Yuri sarà qui nei dintorni.»

Ma lui ha già aperto lo sportello del bagagliaio per ributtarci dentro il sacco a pelo. Succede tutto alla velocità della luce e io mi sento un bradipo, una mano sul cellulare per scrivere a Yuri, le All Star che scivolano nella poltiglia del parcheggio per fermare Marco. È senza chiavi e senza patente, ma l'idea che fugga è una sassata al cuore.

Per fortuna Yuri è veloce a rispondere:

Sentiero a destra. Mozziconi di sigarette stile briciole di Pollicino. Sbrigatevi!

«Marco!» Lui richiude il bagaglio. Braccia incrociate al petto mi squadra, in attesa di una nuova cavolata. «Yuri ha detto che la festa è qui vicino, dobbiamo scendere a piedi per quel sentiero.»

Marco schiocca la lingua contro il palato. Avesse davanti Yuri lo prederebbe a cazzotti. Per cosa poi? Non ha fatto nulla di sbagliato, ma Marco si cimenta in un piccolo monologo: con Yuri è sempre così, non sa organizzarsi, è un perditempo.

Sembra che i pori della pelle trasudino un vapore che sa di rabbia e quello stesso fumo mi sta soffocando in una bolla di gas. Il mio corpo, a contatto con la sua ira, si adegua al momento.

«Fa' quello che vuoi, stupido zuccone. Io vado da Yuri. Se preferisci restartene in macchina a lamentarti, libero di farlo. Vorrà dire che passerai la notte con un libro di fisica!»

Ecco, l'ho detto. Altro che chiarire e spiegargli la mia posizione. Marco mi fissa con gli occhi sparati all'infuori, quasi gli avessi tirato uno schiaffo in faccia. Dio, quanto se lo meriterebbe! Ma non voglio abbassarmi al suo livello e così, sacco a pelo in spalla, seguo la scia che i mozziconi di Yuri disegnano.

Mi portano in una stradina fangosa, larga due passi. Il percorso scende ripido e curva pericolosamente a destra. Corro tra sassi e radici, le suole che aderiscono alle pietre ricoperte di muschio e alle foglie bagnate dall'umidità dal bosco.

Via da Marco. Stupido, stupido, stupido Marco.

«Nina! Nina, aspettami! Ma dove corri?»

Mi chiama, la voce coperta da un miscuglio di suoni: The truth hurts so bad, wouldn't you say?, il tonfo dei miei piedi, il cuore che batte all'impazzata.

«Nina, ti puoi fermare un attimo?»

Il sacco a pelo mi sbilancia e mi ritrovo inginocchiata nella poltiglia, un ramo di pino per raddrizzarmi e riprendere la fuga. E intanto Marco mi grida di aspettare. Zigzago tra due pareti di pietra. Il sacco a pelo si incastra in uno sperone e devo strattonarlo per sbrigliarlo dall'impiglio. La tela si taglia e un pugno di piume d'oca finisce sopra i mozziconi lasciati da Yuri.

«Nina!»

Scorgo un buco fra le fronde della foresta. E dentro quel tondo c'è uno sfarfallio di colori: tende rosse, gialle, blu; barili di birra posizionati a piramide; lampade a led conficcate nel terreno, torce accese, perché l'arrivo della notte non ci condanni al buio.

«Nina, adesso ti fermi e mi ascolti!»

Marco mi strattona per il gomito e sono costretta ad affrontare uno sguardo indecifrabile. È l'ora del discorso, è l'ora di sputargli in faccia che non posso andare avanti così, non sopporto l'idea di vederci andare a fondo.

Però il discorso... maledizione, come iniziava?

«Mi dispiace» dice Marco. «Ultimamente sono intrattabile. Un vero stronzo e non lo meriti.»

Ha gli occhi bassi di vergogna, il fiatone che gli alza il petto, sotto la maglietta rossa della Converse, una striscia di muschio sui jeans. Un vero stronzo, sì, lo è. Perché mi tratta come se fossi la peggior seccatura della sua vita, un imprevisto che sta distruggendo la perfezione.

Marco mi stringe le spalle e mi dà una scossa per costringermi ad ascoltarlo.

«Ascolta, Nina, non ce l'ho con te o con Yuri per il campeggio. È solo che il quiz di oggi è andato malissimo. Io ci provo a studiare, ma penso sempre a noi, mi chiedo se sarò abbastanza forte. E so che non dovrei scaricare l'ansia su di te, però...»

Piano B! Le mie labbra sulle sue. Basta. Questo dover scappare e inseguirci, scusarci e perdonarci sta prosciugando le forze. Allargo le labbra e accarezzo quelle di Marco. E ogni bacio è un nuovo "basta".

«Non dire niente» lo prego, quando mi stacco per riprendere fiato. «Non ci pensare. Almeno per stasera. Domani avrai la mente lucida e non sbaglierai nemmeno una risposta.»

Ti lascerò studiare. Mi accontento di poco, di toccarti e baciarti un secondo al giorno. Sono stufa di sentire la tua mancanza e di averti così distante. E mi sento impotente, quando ti chiudi a riccio e non mi lasci entrare nel tuo mondo. Mi sento come se valessi meno di una lira nel secolo degli euro.

«Sai che cosa?» gli dico. «Io e te passeremo questa notte da soli, in una tenda tutta per noi, e ho in mente un paio di cosette da fare per renderti felice.»

Marco forza un sorriso. La preoccupazione per medicina è ancora lì, il terrore di deludere suo padre scritto in fronte.

«Via cattivi pensieri» gli ordino. «Per stasera ci siamo solo noi.»

Intrappolo un pugno d'aria. Ho imprigionato i dissapori che ci impediscono di amarci. E ora soffio nel pugno e lo stendo a palmo, perché il nostro dolore prenda il volo e si disperda come uno sciame di moscerini.

«Via cattivi pensieri» ripete Marco. «Per stasera ci siamo solo noi.»

Mi porge il braccio. È un gesto semplice, ma sufficiente a rendermi felice. Mentre raggiungiamo Yuri, siamo di nuovo due numeri che sommati formano un binomio, non due cifre che tirano in direzioni opposte per dividerci. Usciamo dal tondo tra le fronde, uniti da un potentissimo segno di addizione, e ci tuffiamo nel delirio.

«Yuri ha fatto davvero le cose in grande» esclamo ad occhi aperti.

Con la musica che proviene da lontano, la gente che sventola bottiglie di birra e canta brani a caso, pare di stare a Woodstock. Le ragazzette sono mezze nude, sfidano coraggiose lo sbalzo termico. Appena le stelle bucano il cielo, si tuffano nelle tende con i loro accompagnatori, le zip delle zanzariere chiuse, perché sguardi indiscreti non le disturbino.

«Boom delle nascite previsto a Viacampo nei prossimi mesi.»

Yuri ci ha rintracciati, le guance arrossate e gli occhi azzurri appannati dall'alcol. Procede barcollando, quasi avesse passato la sua esistenza a bordo di una nave e ora, per la prima vota sulla terra ferma, non sapesse adattarsi all'assenza delle onde.

«Ce ne avete messo di tempo per arrivare» ci rimprovera. Ha qualche foglia incastrata nella chioma castana, segno che anche lui si è appena imboscato in dolce compagnia. «Troppo occupati a fare altro?»

Lo chiede con un ghigno malefico sulle labbra. E so che non potrei contraddirlo, la scritta sulla sua maglietta nera recita "I'm God" e stasera Yuri sembra crederlo sul serio.

«Occupatissimi» confermo.

A litigare e a fare la pace, però. Niente sesso. Ma non c'è bisogno di precisare e anche Marco mantiene il segreto, mentre Yuri studia le nostre braccia intrecciate.

«Tenete.» Ci allunga una bottiglia di birra a testa. Poi solleva i palmi in alto, cala i panni del prete che dall'altare recita la messa. «Prendete e bevetene tutti. Questo è il mio alcol offerto in sacrificio per voi. Questo è il calice del mio Dio, versato in remissione degli astemi.»

«Stai già fuori, Yuri?» ride Marco.

«Sei tu che stai troppo dentro, pivello! Cos'è questa cazzata che vuoi diventare un bravo ragazzo?»

Marco mi scruta con la coda dell'occhio. Sospetta che abbia confabulato con Yuri alle sue spalle. E io vorrei sparire nella maglietta rosa, che il coccodrillo della Lacoste mi mangiasse in un boccone, perché sono dannatamente colpevole.

«Cercate la vostra tenda» taglia corto Yuri. «Io cercherò la mia bionda. E ricordate, fate questo in memoria di me.»

Che la bionda sia una donna e non una birra lo capisco quando una ragazza, boccoli d'oro, orecchini a cerchio e trucco impeccabile, intrappola Yuri per la maglietta e gli ficca la lingua in bocca. Davanti a tutti, quasi fossero due animali in calore o due cadaveri, visto che non hanno bisogno di respirare.

«Forse dovremmo davvero andare a cercare la nostra tenda» sussurra Marco.

O forse dovresti anche tu baciarmi così. Non lo ha ordinato Yuri? Ma Marco fissa schifato la bionda che si dà da fare e cerca di nascondere l'imbarazzo, quando incontra lo sguardo del suo mentore.

«Ancora qui, binomio?» sbotta lui. «Vi ho o non vi ho detto che laggiù c'è una tenda che vi aspetta? Sgommare! Veloci!»

Io e Marco ci tiriamo un'occhiata complice. Potrà cambiare città, titolo di studi, età, ma Yuri Conte resterà sempre Yuri Conte. Lo guardiamo dirigersi verso un cerchio di pietre e creare una cascina di legna. La bionda gli passa un fiammifero per accendere il falò.

«Non sono mai venuto qui, prima» ammette Marco. «È un bel posto.»

Un grande prato, circondato da alberi, talmente vasto da consentire al cielo di essere libero e aperto, senza che le punte dei pini lo taglino in più riquadri.

«Guarda!» scoppio a ridere. «Laggiù! Yuri non scherzava!»

La tenda. O meglio la tenda di Nina e Marco. Appartata dieci metri rispetto al resto dell'accampamento. È una cupola verde scuro, le canne che la tengono in piedi montate storte, i picchetti conficcati a metà nel terreno roccioso.

«Ci ha anche messo un cartello perché le coppie in calore non ce la soffino!» dice Marco.

Indice alzato punta un foglio attaccato alla zanzariera: "Proprietà privata di Nina e Marco. Non disturbare". Sotto la scritta, la caricatura di un cane con i denti digrignati e la bava alla bocca. Il braccio di Marco mi accarezza la schiena, piccole spinte che mi invitano a procedere verso la tenda. Quando sono più vicina, noto il disegno di una striscia di preservativi nell'angolo del foglio.

Marco legge il commento in pennarello nero:

«Be safe

«Che pervertito che è Yuri!» rido.

In realtà altri pensieri attraversano la mente: grazie, Yuri. Il suo disegno spazza via le ultime tracce di tristezza. Marco mi spinge nella tenda e cadiamo sui sacchi a pelo arrotolati, uniti da un bacio e da un mare di risate.

«Sono felice che tu sia tornato da me» sussurro, quando inizia a giocare con le punte dei miei capelli. Marco non risponde, ma i suoi occhi, di nuovo accesi e scintillanti di gioia, parlano per lui: anch'io.

«Raggiungiamo Yuri?» mi chiede poi. «Ho davvero voglia di suonare e stare in compagnia. Come i vecchi tempi. Bere e gridare così tanto che mi sentirò vivo per sempre.»

Per il resto della sera sembra che la Fata del Tempo mi abbia tolto due anni di età. Mi sento una diciassettenne che pensa solo a ballare, bere, baciare, cantare stonata. Yuri strimpella la chitarra. Ora che la batteria della Golf si è scaricata e l'amplificatore non pompa più musica a tutto volume, è lui la colonna sonora della festa.

Il binomio sembra di nuovo quella potenza della natura che non conosce limiti. Io e Marco restiamo seduti davanti al falò, disposti a cerchio assieme a Yuri, alla bionda e ad alcuni ragazzi che conosco di vista. Beviamo tra mille risate, barzellette sconce e storie per metà inventate. Seduta tra le gambe di Marco, con la schiena adagiata al suo petto, tocco il cielo con un dito. E potrei prendere il volo e afferrare tutte le stelle, giocare a farle saltare quasi fossero tessere nel gioco delle pulci.

Perché si ostinano a non cadere? Ho un desiderio da esprimere. Voglio che io e Marco resteremo sempre così, felici e innamorati, senza giornate buie di fulmini e saette. E quindi ho bisogno che una maledetta stella cada dal cielo, adesso, e mi faccia esprimere il desiderio.

«Perché le stelle, se sono cadenti, non cadono?» sbotto.

E Marco ride sul mio collo che abbiamo tutto quello che ci serve per essere felici.

«Le stelle cadenti sono inutili, Nina.»

«Stasera ho tutto quel che voglio per essere felice» lo correggo. «Domani non so.»

Poche frasi di una mezza ubriaca, ma non credo di essere stata mai tanto sincera. Con Marco e con me stessa. Potremmo parlarne seriamente, ricordo a sprazzi il discorso che ho preparato, saprei con quale battuta iniziare, ma un urlo in lontananza mi fa perdere il filo.

«Dovete sapere!» strilla una ragazza. Esce da una tenda rossa in reggiseno e slip, un preservativo consumato, incastrato sotto l'elastico delle mutande, i capelli in disordine e le mani bagnate di sperma.

«Ce l'ha piccolo!» urla. «Paolo ce l'ha piccolo!»

Corre a perdifiato per tutto il prato, la pelle diafana illuminata dalle torce a led e dai bagliori screziati del fuoco. Poi un ragazzo, bello e tenebroso, esce piegato a metà dalla stessa tenda e si unisce alle strilla:

«Una vacca! Francesca, sei una vacca!»

Io e Marco ridiamo.

«Yuri, ma che gente conosci?» gli chiedo.

Lui sbuffa, infastidito dagli schiamazzi. Stava cantando e strimpellando Brianstorm degli Artic Monkeys e quei due plebei hanno interrotto la sua performance. È una gara a chi strilla di più. Francesca grida "Ce l'ha piccolo", Paolo "Vacca", Yuri: "Some want to kiss you, some want to kick you".

E io e Marco, scaldati dal fuoco e dall'alcol, ci baciamo sotto le stelle, quelle che non cadono, perché il 23 agosto non è San Lorenzo, ma forse lui ha ragione. Non ci serve un desiderio per essere felici. Tra i baci ci sono le risate che ci sfuggono perché la situazione è oscena e ora Francesca piange, perché si è presa della vacca e Paolo sta ripiegando sulla sua migliore amica.

«Finitela tutti!» urla Yuri. «State rovinando l'era delle Scimmie Artiche!»

La verità è che vorrei rintanarmi nella tenda con Marco, sfogare la tensione che per più di una settimana abbiamo accumulato. Marco, la mano che scende nei jeans, la bocca che morde il lobo dell'orecchio, sembra avere più voglia di me.

«Andiamocene» mi sussurra.

, ma un nuovo urlo precede la mia affermazione.

«Che cazzo di merda suoni, Conte! Vogliamo qualcosa da cantare e ballare! Bandiera Rossa, compagni! In alto la Bandiera Rossa!»

Bandiera Rossa. Il gruppo di Stefano. Il pensiero spegne la voglia. Rigida come un cubetto di ghiaccio, studio gli uomini sul prato. Yuri salta in piedi, barcollando. Qualche pazzo ha appena insultato la sua musica e corre il rischio di trovarsi una certa chitarra spaccata in testa.

«Ficcatelo nel culo il tuo comunismo del cazzo!» grida Yuri. «Qui la musica la scelgo io!»

Oggetto della sua ira sono dieci ragazzi a una ventina di metri da noi. L'Astratta indossa il sacco di patate che si ostina a spacciare per pantaloni. Pietro si abbuffa con manciate di patatine e tracanna grandi sorsi di birra. Due loro amici giocano alla Morra. Un tipetto minuto mantiene l'equilibrio su un barile di birra vuoto e strilla contro Yuri.

«E tu ficcati nel culo la tua anarchia del cazzo!»

E poi c'è lui, Stefano, leggermente in disparte, le braccia incrociate al petto e l'espressione di chi vorrebbe trovarsi ovunque, ma non qui. Tiene la schiena appoggiata a un capitello in pietra, vicino alla nicchia dentro la quale è seduto il Re, la statuetta del sovrano che, secondo la leggenda, aveva costruito un castello magico in cima alla Scalinata.

«C'è Stefano» dico a Marco, ma lui non mi ascolta, troppo preso a strillare a Yuri di farsi valere.

«Forza, compagni» replica il comunista, ancora in piedi sul barile. «Facciamo sentire a quell'ignorante qual è la vera musica!»

Tira fuori la voce e canta a pieni polmoni:

I ragazzi bevevano forte nell'angolo dell'orchestra.

La compagnia di Stefano risponde all'attacco della canzone:

Bevevano roba pesa e andavano fuori di testa.

Chi mena i pugni in aria:

Se ne stavano sopra il palco ad accordare gli strumenti,

Chi sui barili di birra per dare il ritmo:

con le loro giacche scure e lo spino in mezzo ai denti.

Stefano non canta. Indaga la mano di Marco che si infila sotto la maglietta e mi massaggia la pancia. Sono in trappola, prigioniera di un abbraccio e di uno sguardo deluso. Deglutisco il senso di colpa. Magari Stefano è solo un miraggio. Se chiudo gli occhi, svanirà nella notte.

Ma le voci dei suoi amici sono vere:

Le lucertole del Folk giravano le balere, giravano per suonare, ma pensavano solo a bere.

E come loro anche Stefano è reale. Devo scappare, sbloccare la situazione, gettarmi nel falò e bruciare viva tra le fiamme. Mi manca l'aria con Marco sempre più stretto a me e Stefano che mi incendia a sguardi.

Mi libero dell'abbraccio in malo modo e balzo in piedi, Marco che mi fissa a occhi sgranati. Scambia il mio gesto per un rifiuto. Crede non voglia baciarlo, concedermi a lui, che il tocco delle sue dita sulla pelle mi provochi disgusto. Ma non è così. È la situazione che non lo permette. Tutto mi pesa addosso. Marco che è deluso, Stefano che è sconvolto, l'odore di birra all'improvviso troppo acre, le strilla spacca-timpani dei comunisti che ripetono il ritornello:

E dammi un tre, dammi un tre, che la gente vuole ballare. Le lucertole del Folk adesso stanno per cominciare.

Mischiate al rock degli Artic Monkeys:

'Cause you're smooth and you're wet and she's not aware.

Ho bisogno di andare via da qui, di sentirmi libera di respirare, senza fare del male a nessuno.

«Non c'è più birra» mi invento.

È una balla stratosferica. Mi gira la testa e nello stomaco non c'è spazio per una sola goccia di alcol. Ma non voglio sentire quegli sguardi su di me. Marco stizzito perché l'ho allontanato; Stefano che mi annega nei sensi di colpa.

«Non importa, Nanà. Non importa, se la birra è finita. Resta qui.»

Batte il palmo sul prato, mi fa capire che vuole me, non la birra. E da brava altra metà del binomio dovrei ubbidire e sdraiarmi di nuovo sul suo petto. Ma non posso. Ho il cuore che scoppia, l'aria che è sempre meno. E mi sembra che ci siano troppe persone attorno a me, quasi Yuri avesse organizzato la festa al chiuso, in una stanza per dieci invitati quando noi siamo il quintuplo.

«Ho sete» mento.

«Non stavamo bene io e te qui, insieme?» mi chiede Marco. «Adesso sei improvvisamente lontana e per una volta credo di non aver fatto niente di male.»

Marco, come puoi non accorgerti di niente? Anche se non ho mai amato Stefano, ho condiviso con lui delle bellissime esperienze. Non posso cancellare i mesi della nostra storia. Intanto i comunisti hanno ripreso a cantare il ritornello:

E versa qui, versa qui. Versa un goccio e sentirai. Le lucertole bevono forte, ma non sbagliano quasi mai.

Il resto degli invitati apprezza la canzone dei Modena City Ramblers. Il ritmo dei barili battuti a tamburo è coinvolgente e le ragazzette iniziano a ballare a piedi scalzi, sulla cenere fresca caduta dai Drum.

«Te ne vai senza nemmeno un bacio?» mi chiede Marco.

Lo ha visto eccome, Stefano, e per la durata della conversazione non ha smesso di fulminarlo. Hanno iniziato una sfida di sguardi e la posta in palio sono io, la coppa che entrambi vorrebbero sollevare. Se gli concederò un bacio, Marco vincerà.

«Non adesso» gli dico. «Scusa.»

L'importante è non cadere dal palco! Cantano i comunisti.

Altro che palco. Sono appena sprofondata in una voragine. Corro tra le tende, il più lontana possibile da Marco e da Stefano. Non ho il coraggio di affrontarli. Mi fermo a riprendere fiato, solo quando mi sono lasciata alle spalle le tende, il falò, il coro. Mi asciugo una scia di sudore e assaporo l'aria pura.

Fuggire non è stata una buona idea. Non so come tornare da Marco e con Stefano prima o poi dovrò chiarire. Caso dei casi ho trovato la birra. Per tenerla in fresco Yuri ha gonfiato una piscina per bambini. Doveva essere piena di ghiaccio, prima che i cubetti si squagliassero.

Afferro una birra fredda e l'appoggio alla fronte per rinfrescare i pensieri.

«Nina?»

Salto sul posto, colta di sorpresa. Credevo di essergli scappata e invece...

«Stefano, io...» E adesso? «Ciao.»

«Ciao» risponde lui.

Si avvicina di un metro, con troppa decisione e un sorriso di circostanza appiccicato in faccia. Vorrebbe baciarmi le guance, il classico saluto di due amici che non si vedono da molto. Quando è a una spanna di distanza dal mio viso, si ferma. Entrambi stiamo dondolando la testa prima a destra e poi a sinistra e balbettiamo degli "scusa".

Ridiamo, imbarazzati, e ci concediamo una semplice stretta di mano.

«Stai bene?» mi chiede.

Durante la stretta ho tenuto il fiato in sospeso. Stefano, i palmi sudaticci, le dita che tremavano, è spaventato più di me. Si rificca le mani in tasca e tiene le spalle alzate, in quella maglietta verde militare che gli ho visto più volte addosso.

«Sei scappata di corsa e non mi sembrava stessi proprio bene, quindi...»

Prova a giustificare la sua presenza, ma si interrompe da solo.

«Sto bene, grazie.» Non avrebbe dovuto seguirmi, non sono più un suo problema. «Però c'è una cosa che devo dirti.»

Deglutisco per prendere coraggio e attendo che Stefano mi domandi un "cosa", un minimo gesto per aiutarmi a parlare. Guardo le torce a led al nostro fianco, vicino alla piscina con la birra a mollo. La luce bianca illumina il viso abbronzato di Stefano, le labbra inarcate in un leggero sorriso:

«Di te e di Marco? Guarda che lo so.»

Mi ha facilitato il gioco. Non ho dovuto sganciare la palla bollente, perché Stefano è informato sulle novità del binomio. Sa che io e Marco stiamo insieme, ufficialmente.

«Ci sono arrivato per una logica consapevolezza di come si sarebbero evoluti i fatti. E poi perché lo so da sempre» ammette Stefano. «Sei un'egoista, Nina.»

Lo guardo con gli occhi che faticano a metterlo a fuoco, abbagliata dalla luce del led. E dovrei scusarmi, ma le corde vocali si sono mangiate le parole e si rifiutano di liberarle.

Stefano scuote la testa, rassegnato: «Ma anche se sei una grandissima egoista, Marco ti batte su tutta la linea.»

Ingarbuglia ulteriormente la matassa del discorso. Conosco benissimo Stefano, la sua voce, l'odore di Drum, i capelli ricci spettinati. Ma per quanto lo conosca, non lo comprendo.

«Vedi, Nina, è brutto da dire, ma pur di ottenere la sua felicità, Marco è pronto a schiacciare la tua. Ti ama sul serio, se non per lo stupido errore di darti per scontata.»

«Perché mi dici questo? Perché ti dovrebbe interessare ancora?» Ha sputato un'amara verità. La sua verità, una rivelazione che non coincide con la mia. Stefano parla per controsensi e ne ho la prova. «Se ami una persona, non la ferisci e io so che Marco mi ama, quindi non mi ferirebbe mai.»

«È logica» ride lui.

«Logica insegnata dal tuo Sinistri, o hai forse scordato il tuo professore preferito?»

«Ma cazzo, Nin, la logica non si applica all'amore.» Fruga nelle tasche in cerca del tabacco, ma l'Astratta deve avergli fregato di nuovo il pacchetto. Lo ha lasciato a secco. «Tu sei l'esempio di come in amore non ci sia logica. Marco potrebbe anche piantarti in asso, ma tra dieci anni tu saresti comunque qui, ad aspettarlo.»

Faccio di no con la testa, non sono così patetica. Stefano mima il verso contrario, un convintissimo, sussurra che ha ragione lui. E gli fa un male cane dovermelo dire, perché i suoi sentimenti sono sempre lì e mi avrebbe trattata come una principessa, se glielo avessi permesso.

«Hai un'altra?» gli chiedo.

Nemmeno io so perché. Per curiosità, per cambiare discorso, perché Marco mi ama e lui è solo geloso. Stefano ha gli occhi sbarrati. La domanda diretta l'ha colto in contropiede.

«Avventura sì, relazione no.»

Con la coda dell'occhio, studio il centro della festa. Sia Yuri sia i comunisti hanno smesso di cantare e l'unico rumore nella foresta è il chiacchiericcio degli invitati.

«È meglio che torni da Pietro e dagli altri» dice Stefano. «Non avrei dovuto cercarti.»

Vedermi non gli ha fatto bene. In questo mese deve essersi impegnato a sigillare i ricordi della nostra storia in una bottiglia. E poi arrivo io e ci impiego un secondo a rimuovere il tappo, a rigenerare quei vecchi sentimenti mai dimenticati. Ha ragione, sono una grandissima egoista. Perché mi ha fatto piacere vederlo e ora che gli ho parlato i nervi si distendono.

«Scusa» sussurro. «Non volevo metterti in difficoltà.»

Stefano alza una spalla e ride che lo scemo è lui: «Quando si tratta di Nina Adami, vince sempre l'istinto!»

Non mi dà il tempo di cercare una battuta che si infila nel sentiero tra due tende blu. Prima di tornare al capitello, si blocca. È una scena che ho già visto. Tutti fuggono da me, ma prima di scappare mi mettono sull'attenti.

«Nin?» "Nina" aveva detto Giacomo. «Non permettergli di distruggerti.» "Penso che tu sia così felice da non vedere le avversità." «Distruggeresti anche a lui.»

"Epenso che questa volta ti farai male sul serio."

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