Cacciavite all'arancia (I)
Da quel giorno di inizio agosto la mia vita si trasforma in un pendolo. Ci sono attimi in cui la fune oscilla nel riquadro della gioia e allora penso che io e Marco saremo felici. In altri istanti la corda si incastra nel lato del dolore. Le difficoltà che ci aspettano sono infinite, compongono un'autostrada che circonda il mondo intero e devia nei meandri più oscuri della Via Lattea.
Quando la paura si fa troppa, cerco sostegno in Marco, in un bacio, in una stretta di mano, in un semplice sguardo. E lo trovo distante, come se fosse salito su un autobus, stazione finale Saturno.
«Devo studiare, Nina. Ho il test a metà settembre e sono indietro con il programma. I posti sono pochi. Perché non sei capace di portare pazienza?»
«Ma se non mi lamento mai!»
«A parole. A sguardi invece sì. Vedrai che dopo l'esame andrà meglio.»
Marco lo ripete spesso nelle sere in cui ci vediamo. Il destino ci concede una manciata di secondi, prima che arrivi un fastidiosissimo terzo in comodo: Massimo. Ultimamente ha il brutto vizio di intromettersi nei nostri discorsi.
«Medicina è dura, Marco. Dovresti prenderla seriamente. A Bologna troverai alcuni gruppi studio che ti aiuteranno a mantenere la concentrazione e a non finire fuori corso.»
Il sermone prosegue in una sera come un'altra, quando adocchia il volantino della Corsa Matta:
«Un uomo deve sapere riconoscere quando è il momento di rinunciare a certe attività e una donna dovrebbe smetterla di creare tentazioni.»
Sa che sono stata io a nascondere il volantino nel libro di fisica. Non l'ho fatto con cattive intenzioni. Volevo ritrovare il vero Marco. Se penso a lui, vedo un giovane uomo che abbassa il freno e corre a perdifiato, fino a sentire il cuore scoppiare. Perché il binomio è così. Non assaggia una giornata e rinvia il divertimento al futuro, la divora in tutta la sua bellezza, come se non esistesse un domani.
Marco accartoccia il volantino variopinto e fa canestro nel cestino.
«Ci andremo l'anno prossimo» mi dice.
Massimo gli ha pianificato il futuro tassello per tassello. E da bravo figlio, Marco disegna il quadro, seguendo le istruzioni. La domanda è: c'è spazio anche per me in quel dipinto?
«Posso capirlo, se non hai tempo» gli dico. «Sei rimasto indietro e la colpa è mia, ma è da una settimana che non facciamo l'amore.»
Le dita di Marco si avvicinano al libro, lo staccano un millimetro dal tavolo per chiuderlo. La coda dell'occhio studia la porta della camera, il letto a castello dove tutto è iniziato.
«È che ho tantissimi argomenti da ripassare» esita. «E se non mi ammettono?»
Approfitto del momento di debolezza e avvicino il braccio al suo. Una piccola scossa elettrica ci unisce, genera il contatto. Da troppi giorni i nostri corpi non si incontrano. Abbiamo immagazzinato volt e ampere di elettricità e ora dobbiamo sfogare la tensione.
«Non fa bene nemmeno a te studiare ventiquattro ore su ventiquattro» gli dico. «Se non stacchi, ti scoppierà il cervello. Domani è domenica. Lo facciamo un giro? Mezz'ora, non un minuto di più.»
Marco barcolla sul filo dell'indecisione. Tira uno sguardo al libro di fisica, uno alla finestra, direzione libertà.
«Sì,» mi concede Marco, «una ventina di minuti si può fare. Credo.»
Sorrido vincitrice, mentre mi alzo sulle punte per un bacio. Ma appena i passi di Massimo provengono dal salotto, Marco rompe l'incanto e mi allontana. Restiamo ad ascoltare il parquet che scricchiola e la signorina del telegiornale che recita le ultime notizie.
«Anzi, vediamo» dice Marco. Lo sguardo è di nuovo sul libro di fisica. Io un'astronave scaraventata fuori orbita. «Ora è meglio se vai, Nina.»
È Marco stesso a volermi scagliare lontana dal pianeta Zuccato, a impedirmi di ruotargli attorno. Mi spinge per le scapole verso l'uscita. Da quando si vuole liberare di me, quasi fossi una zia petulante che provoca esaurimenti nervosi?
«Ti chiamo io, domani» mi saluta. Ha aperto la porta, sotto l'approvazione silenziosa di Massimo che finge di guardare il telegiornale. «Facciamo che ti chiamo quando ho tempo.»
E ora mi invita gentilmente a tuffarmi nel buio della notte e a farmi una bella camminata fino a casa. Con gentilmente intendo dire un'ulteriore spinta per liberarsi della mia presenza. La porta si sta chiudendo, i cardini da oliare che scricchiolano e i passi di Marco che tamburellano sulle assi del parquet, pronti a riportare quel corpo stanco al cospetto della fisica.
«Nina?» Marco si è fermato. La porta è di nuovo aperta e lui si staglia sulla soglia, lo sguardo colpevole, gli occhi che mi evitano. «Sto bene. Stiamo bene. Il binomio sta bene.»
Troppi bene fanno presagire il contrario. Ma annuisco, perché ho il dovere di rassicurarlo. Il pendolo è incastrato nel riquadro della felicità. Gli sembra forse che sia dal lato del dolore? Stupida illusione ottica!
«Va bene» gli sorrido.
Un altro bene che si aggiunge alla lista. Marco sospira:
«È solo che-» Cosa? Perché non ti senti più libero di parlarmi? È perché Massimo sta origliando i nostri discorsi? Ha schiacciato il tasto meno del volume e la voce del Tg giunge alle nostre orecchie come un sussurro. «È solo che mentre studio, tu puoi chiarire con Valentina.»
Non mi ha nemmeno chiesto perché abbiamo litigato. È un dettaglio sciocco, ma che dà una spinta al pendolo verso il lato del dolore. Un tempo Marco voleva sapere tutto di me, diceva di possedere la chiave per aprire la mia anima, ora invece...
«Dopo il test d'ammissione andrà meglio» mi dice. «Avrò più tempo per noi.»
Ormai ci ho fatto il callo alle sue promesse. Lo spirito è stufo di dichiarare guerra. Ha imparato a tenere la testa bassa e ad adattarsi, senza lasciarsi vincere dalla delusione.
«Allora mi chiami tu» gli concedo.
Me ne vado, senza il bacio della notte o un sorriso o una stretta di mano. Agli occhi di Marco non sono più degna di uno sguardo pieno d'amore. Mentre cammino verso casa, il freddo punge le braccia, anche se è agosto e l'afa di metà mese ha fatto capolino nella stagione estiva. Il binomio è stato sempre il primo classificato sul podio di Marco Zuccato. Ora non vincerebbe nemmeno una medaglia di legno.
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