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Bianconigli sotto esame (I)


Io e Marco abbiamo mosso il passo oltre il gradino della sfiga con decisione. Ci siamo gettati nei progetti da vita universitaria: l'appartamento da condividere, gli happy hour, le nottate in discoteca. Finché il filo del passato ci ha tirati indietro e catapultati al liceo. È stato l'attimo di una terribile realizzazione:

«La maturità, Marco! Abbiamo gli esami di maturità!»

È la sera dell'11 giugno e siamo in spiaggia. Aperitivo con spritz concluso in compagnia di Valentina e Stefano, partita di calcio saponato in fase d'avvio. Valentina è tornata alla gelateria a sfornare coni; Stefano ad affondare il naso in piramidi di libri.

«Perché io e te non stiamo studiando?» continuo a ripetere.

Ripetere è il verbo perfetto. Come il Bianconiglio di Alice nel Paese delle Meraviglie suonava monotono a forza di "è tardi, è tardi, è tardi devo andar", così lo sono io con i miei "studiare, studiare, maturità".

«Ma Nanà, andiamo!» Marco salta nel ring che delimita il campo da calcio. Batuffoli di schiuma e bolle di sapone coprono il suolo. «Ti preoccupi sempre troppo. Mancano ancora otto giorni alla maturità.»

L'arbitro suona il fischietto. È appollaiato sulla torretta del bagnino, sulle ginocchia una lavagna nera per segnare i punti. Anche se è sera, il cielo si mantiene luminoso, un grigio schiarito dai lampioni lungo la passeggiata.

«Ma che vuole quello?» chiede Marco. L'arbitro tamburella il dito nel punto dove si indossa l'orologio.

Marco solleva un indice per elemosinare un minuto. È un giocatore della squadra e senza di lui il match non può iniziare. Christian della Prima Classico, tutina arancione, grida per richiamare la sua attenzione:

«Vieni a giocare e lascia che Nina muova il suo bel sederino a fare il tifo per noi!»

«Ma io lo azzoppo quel coglione!» ringhia Marco. «Come si permette di parlarti come a una discotecara senza cervello?»

E giù sguardi di astio contro il povero Christian. Già piccolino di suo, sbuca appena dal pavimento di bolle, i capelli marroni sparati in aria in un'acconciatura a porcospino.

«Dai è solo un ragazzino» gli dico.

Il povero Christian mi fa pena, ma Marco ripete che lo azzopperà.

«Se non sono riuscito a difenderti dal comunista, ce la farò sicuramente da quel tappo. Pedate a gogò, Nanà! E per quanto riguarda la maturità, non ti preoccupare. Fino alla terza prova abbiamo tutto il tempo del mondo per godercela!»

Chiude così la questione, dandomi un bacio sulla guancia e saltando nel ring, pronto a vincere la partita. Quando l'arbitro fischia l'inizio del match, le labbra di Marco si piegano in un "rilassati".

Ma sì, Nina, rilassati.

Se mia madre mi avesse generata con un minimo di buon senso, mi immergerei in un bagno di studio. E invece uno scalmanato Lucignolo rapisce i neuroni e li porta nel Paese dei Balocchi, li usa per giocare a ping-pong. Quando arriva il 14 giugno, continuo a restare imprigionata nella bolla del binomio.

«Rilassati, Nanà. C'è tempo. Mancano ancora sette giorni alla terza prova!»

Questa mattina mi sono svegliata alle sei, ho lavato tre volte la faccia e caricato quattro caffettiere; poi ho pedalato in direzione della biblioteca, sono entrata nell'edificio dove ho tessuto un elogio dell'aria condizionata, diviso le penne per colore, disposto le gomme in ordine di lunghezza.

E dove sono ora? Con Marco, in mezzo al lago, sdraiata all'interno di una barca in legno che abbiamo noleggiato al pontile. Ho la testa a prua, i piedi a poppa, incastrati sotto le ascelle di Marco, i Rayban che consentono di sonnecchiare, nonostante i raggi di sole puntati in viso. Possibile che cinque caffè possano svegliare un cadavere all'obitorio e non la mia voglia di studiare?

Marco mastica un boccone di saliva, il respiro pesante di chi se la dorme alla grande. Con i remi tirati in barca lasciamo che la corrente ci trasporti e il vento guidi la scialuppa verso mete sconosciute.

«Faremo la fine del cadavere» dico a Marco. Lui risponde con uno sbadiglio. «Te l'ha mai raccontata tuo padre la storia del cadavere nel sacco blu?»

«Leggenda!»

«Non è una leggenda. C'era scritto sui giornali di trent'anni fa. Era il corpo di una giovane donna. Dicono che l'abbia uccisa un tizio conosciuto in discoteca, in un parcheggio. E poi, a notte fonda, l'assassino ha avvolto il corpo in un sacco blu e l'ha gettato in mezzo al lago.»

Marco cede, uno sbadiglio da orso, una stropicciata agli occhi e due pacche sulle guance.

«Nanà, per quale motivo dovremmo fare la fine del cadavere nel sacco?»

«Ma che domande?» Affondo la mano nell'acqua e gli tiro una spruzzata. «Il cadavere lo hanno ritrovato a Rovere, trascinato dalle correnti del lago. Se io e te non remiamo, chissà dove andremo a finire?»

Una smorfia birbante gli attraversa il viso. A sorpresa, mi intrappola per le caviglie e mi trascina a sé. E io replico di fare piano, che ci rovesceremo, non ho sotto il costume e nello zaino ci sono i libri di scuola.

«A proposito di remi, Nanà. Potremmo prendere spunto dalla storia del cadavere e perderli.»

«E a che vantaggio?»

Marco schiocca la lingua contro il palato. E intanto la barca prende il largo, spinta da un alito di vento che si infila sotto la canotta nera.

«Se siamo morti, non possiamo fare la maturità!» mi fa notare. «Guarda che poi rispuntiamo! Quando sono finiti gli esami, risorgiamo e tutti saranno così felici di rivederci che ci promuoveranno gratis!»

«Ci toccherà ripetere la quinta, zuccone!»

«E che problema c'è? Non eri tu la romantica e intrepida eroina che voleva rifare il liceo dalla Quarta Ginnasio?»

«Ti stai prendendo gioco di me?»

Mi alzo in piedi e ora la barca in legno traballa e davvero rischiamo di trovarci capottati, ma Marco non si preoccupa di affogare tra le correnti del lago. Ride che sono permalosa.

«Ultimamente lo sei troppissimo, Nanà!»

E lui è sempre uno zuccone. I miei appunti di inglese vengono lanciati in mezzo al lago e ora tocca a me. Faccio lo stesso con il suo diario. Non ce la prendiamo l'uno con l'altra, divertiti dal gioco, ma poi il cellulare suona.

«Nanà, è un messaggio, ignoralo. Sarà sicuramente una scocciatura!»

Recupero il Nokia e leggo l'sms appena arrivato. Il cuore dà un colpo, poi si blocca. Spingo i Rayban sulla testa alla maniera di un cerchietto, perché magari le lenti verdi hanno creato un'allucinazione. No, nessuna incomprensione. C'è proprio scritto che...

«Nanà, va tutto bene?» Marco allunga il viso in avanti per adocchiare il display. «Chi era? È successo qualcosa? Sei pallidissima, insomma, mi preoccupo, mi dici per favore...»

«Rema!»

«Come scusa?»

«Ti ho detto di remare! Devo andare a casa! Subito!»

Tracolla sulle gambe, frugo tra i libri di testo, come se quella piccola azione potesse tranquillizzarmi. E Marco mi guarda con gli occhioni sgranati, una cappa di gelo calata addosso, il terrore che sia capitata una tragedia. Rema in silenzio. Una volta a terra, corriamo alla rastrelliera.

«Io vado.»

«Nanà, aspetta vengo anch'io. Ma che ti è preso?»

Non c'è tempo. Marco pedala e io, montata in piedi sul portapacchi, non ne vengo a capo. Quando arriviamo a casa, Marco gronda di sudore. Deve avere stabilito un record di velocità, tanto che potrebbe iscriversi al triathlon olimpionico e verrebbe ammesso senza la tappa delle selezioni.

«Nanà, adesso basta.» Mi vede volare in camera e accendere il modem, il computer sul motore di ricerca. «Mi stai facendo preoccupare!»

Ho il cuore che esplode di paura e mi viene da piangere, perché sono una stupida e mi sopravvaluto sempre, quando in realtà sono la più grande nullità dell'universo. E forse sto per piangere sul serio, perché Marco è terrorizzato e sembra sul punto di piangere anche lui. E io mi sento troppo idiota a confessare.

«Leggi!» gli ordino, sbattendogli il cellulare in mano. Gli basterà vedere l'SMS per comprendere. Le lucette del modem si fermano sul verde, internet accesso.

«Un messaggio di Nicola?» mi chiede Marco. «Perché sei così allarmata per un messaggio del figo alternativo?»

Quando gli ho detto di leggere, non intendevo il mittente, ma il messaggio.

«Quale autore secondo Nietzsche ha portato alla morte della tragedia greca?» Marco legge la domanda di Nicola e mi fissa con le sopracciglia aggrottate.

«Non la so, capisci? La risposta alla domanda di Nicola. Io la sapevo, so che la sapevo, ma ora non la so. Non riesco a ricordarmela! E nel quaderno di filosofia, sotto Nietzsche, non ho nemmeno un appunto!»

Per fortuna esiste Wikipedia. A breve saprò la soluzione e dopo questa tutte le altre soluzioni a tutte le altre domande che Nicola mi scriverà. E pensare che Marco non riesce a comprendere il mio tormento.

«Nanà, calmati! Mi hai fatto prendere un colpo. È solo una stupida domanda di filosofia su un certo Nietzsche.»

Lo dice sbagliato, così come si scrive. Nietzsche, nella maniera impronunciabile.

«Nice, si legge Nice» lo correggo. «Marco, io amo la filosofia. La capisco anche senza studiarla, ma non so quella risposta che potrebbe benissimo uscire in terza prova e allora come faccio a passare la maturità?»

Marco può permettersi di essere ignorante. È la sua arma forte. Io però devo essere quella intelligente. E nel leggere il messaggio di Nicola, mi sono sentita piccola e inadatta.

«Se ti dico di rilassarti, ti arrabbi vero?» mi chiede Marco.

Rilassati, Nina. Così mi sono lasciata trascinare in quel vortice di divertimenti e spensieratezze. Proprio io, da sempre con la testa sulle spalle, ho deciso di tagliarmela e di andarci a passeggi in piena maturità. E Marco...

«Ti odio.»

Grandissima, eterna bugia. Però è lui che riesce a plagiarmi con una sola parola mimata dalle labbra.

«Nanà, Nanà.» Strofina il naso sul mio. «Non lo sai, Nanà, che le bugie fanno venire le gambe corte? E a me piacciono tantissimo queste tue gambette snelle. Come faremo, se non le avessi più?»

Veloce, rompo il contatto dei nasi. Ci manca solo di restare intrappolati nella rete di un nuovo bacio, un semplice incontro di labbra e lingua che sì, anatomicamente parlando, sono parti di un corpo, però quando c'è di mezzo il cuore... Stop. Mi tiro una manata sulla fronte.

«Vado a cercare la valeriana che la camomilla qui non basta» sussurra Marco. «E poi vado dal figo alternativo e lo gonfio. Come si permette di farti sentire inferiore a lui?»

Dovrebbe andare a ringraziarlo. Nicola conosce le mie debolezze e invece che criticarle, è sempre pronto a soccorrermi. Deve avere immaginato i miei ultimi giorni, passati all'insegna della bella vita, e deve aver deciso di rimettermi in carreggiata.

Recupero il cellulare e gli scrivo, mentre Marco smanetta nel mobiletto della farmacia.

"Grazie".

Non mi aspetto una risposta, ma il cellulare suona e la bustina gialla del messaggio lampeggia sul display. Nicola.

"Anatolia è andata a studiare da Celeste, in montagna."

Perché informarmi di un fatto che già conosco? Preoccupato dal drastico calo dei voti, Antonio Innocenti ha affittato un appartamento sopra la Val d'Ora per far studiare la figlia senza distrazioni. E Anatolia ha colto la palla al balzo per auto-invitarsi.

"Ci vai anche tu?" scrivo a Nicola.

Ultimamente lui e Anatolia sembrano vicini.

"Io no. Come farei con la demofobia? Tu però..."

La risposta mi strappa un sorriso. Io però... Anatolia è la prima della classe, Celeste è diligente. Mi sgriderebbero se sgarrassi.

"Forse. Non lo so" digito sulla tastiera.

Perché no? Mi chiedo invece. Quando Marco rientra, flaconcino della valeriana e bicchiere d'acqua, diventa verde asparago e rischia di svenire sul parquet. Colpevole la valigia carica di vestiti sul letto, colpevole il mio "Vado da Anatolia", crolla a terra e mi immobilizza per le ginocchia.

«Nanà, no! Nanà, dove vuoi andare? Nanà, che faccio senza di te? Sotto maturità? Ti prego, resta! Abbi pietà di questo misero essere ignorante! Non mi lasciare!»

«Sei un commediante» lo sgrido. L'abbraccio risale ai fianchi. Ancora uno strattone agli shorts di jeans e mi troverò in mutande. «Voglio uscire con 95 e voglio studiare. Se mi prometti che ti impegni...»

Resto.

«Chiamo Yuri!»

Non Yuri! Voglio una promessa di studio. Yuri non sa far altro che annaffiare incendi con taniche di benzina! Perfetto, il gruppo studio per la mia maturità è una foresta in fiamme senza via di salvezza, ma devo essere sincera: non vorrei essere in altro posto.

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