Ai cerbiatti non piace scienze (I)
Il progetto sopravvivenza maturità ci tiene impegnati per l'intero pomeriggio e per il giorno successivo. Il decalogo firmato Yuri Conte ci convince ad analizzare il calendario delle verifiche, a cercare indizi per intuire le materie di simulazione. Su latino, inglese e filosofia non ci sono dubbi. L'incognita è la quarta materia. Yuri propone una tortura scientifica, Marco spera in arte, io temo scienze più della peste del 1348.
«E allora sarà scienze» profetizza Yuri in quel rettangolino di Skype che da ieri ci perseguita. «Primo punto del secondo decalogo: se desiderate anima e corpo che non esca una materia, ve la ritroverete all'esame.»
«Ma il tizio che insegna scienze è strambo!» protesta Marco. «Ride senza motivo, si lecca le labbra come se volesse mangiarci vivi e ha un'ossessione per i rettili e i corpi freddi. Quello è sicuramente un necrofilo!»
Io e Yuri, menti abbassati per lo stupore, ci chiediamo come faccia Marco a conoscere il significato di "necrofilo", lui che in passato credeva che "tassativo" e "lassativo" fossero sinonimi.
«Certo che so che vuol dire!» sbotta Marco. «È colui che si intrattiene in pratiche sessuali con i morti. E ora scusatevi con me, voi che non mi prendete mai sul serio.»
Strigliari non è un necrofilo, ma questo non lo rende un professore di larghe maniche e grandi ideali. Grasso, con il triplo mento e occhietti da topo, è stato allontanato dal servizio l'anno scorso per avere mosso delle avance a una minorenne, motivo per cui Yuri non ha avuto a che fare con le sue lune di traverso.
«Quel bastardo non segue mai il manuale» sbotta Marco. «E io ho speso tante energie a tormentare quel figo alternativo di Ulivieri che il mio quaderno è...»
«Vuoto come la tua zucca» conclude Yuri.
«Se è per il quaderno, nessun problema» mi intrometto. «Essere in banco con Anatolia è un salvavita. Puoi anche provarci a mettere le dita nella corrente, ma subito lei ti tira un cazzotto e ti costringe ad ascoltare la lezione.»
«Stai dicendo che hai gli appunti, Nanà?»
«Parola per parola, compresi gli scabrosi aneddoti inerenti al corpo docenti, con tanto di intrallazzi, i divorzi e le gocce di Xanax che si bevono prima di entrare in classe.»
«Nanà, sei un genio!»
«Piano con il genio» dice Yuri. «Punto numero 2 del secondo decalogo: la postazione. Dovete essere immersi nel P.S.M., senza che un elemento di disturbo istighi la vostra fantasia. E con elemento di disturbo intendo: qualsiasi device elettronico, animale domestico, fumetto, strumento musicale, pensiero sconveniente sui vostri partner, o peggio ancora l'uno sull'altra.»
Senza secondi pensieri, scegliamo la cucina di Marco, ma il diavolo è veloce a precludere la via del Paradiso.
«Non vedete che c'è la muffa, ragazzi? Muffa dappertutto! Grigia, verde, puzzolente» sbotta mamma Rita, quando le chiediamo di occupare la cucina. Ci sono due macchie sopra il lavandino, due punti che per vederli serve la lente di ingrandimento. «Devo spruzzare l'antimuffa e imbiancare, due mani di colore, forse tre.»
«Beh, quando hai finito...»
«Ci sarà la puzza di colore e dovrò arieggiare ed è febbraio e fa freddo e vi prenderete la broncopolmonite...»
Ce ne andiamo, lasciandola al suo monologo.
Arriviamo così a venerdì pomeriggio e ci raduniamo assieme a Stefano nel salotto di casa mia. Per annientare il pericolo tecnologia ho fatto saltare l'elettricità dell'appartamento, chiuso fumetti, dvd e videogiochi nel ripostiglio e consegnato la chiave a mio padre, prima che iniziasse il turno di lavoro.
«Nessuna distrazione» sospiro, vittoriosa.
Partiamo con inglese, il malloppo sul romanticismo, gli stramaledetti Daffodils di Wordsworth e la canzone sull'urna di Keats. Ci resta indietro Byron, ma Stefano, interrogato l'altro ieri sull'argomento, è pronto a riassumere il pensiero poetico.
«Che cos'è stato?» mi chiede. Gli rubo il libro di mano. Nel testo non c'è scritto "Che cos'è stato". «Il rumore, davvero non lo avete sentito?»
Le fondamenta della casa tremano, il libro di inglese cade dal tavolo di vetro, gli animaletti di Svarowsky sulla mensola tintinnano. Spetta a mia madre svelare l'arcano:
«Nina, non te l'avevo detto che i vicini hanno iniziato oggi i lavori di ristrutturazione?»
Ma quale pazzo trapana la propria casa in pieno inverno? I pazzi di Viacampo che, con la scusa di una tettoia rivestita d'amianto, hanno colto l'occasione per innalzare l'edificio di due piani. Il martello pneumatico continua a tormentarci fino alle otto di sera, incurante del buio della notte.
«Bisogna trovare un'altra soluzione» sbuffa Stefano. Due fazzoletti di carta intrecciati e conficcati nei lobi per ovattare il rumore. «Non si può studiare con questo chiasso.»
Ripensiamo agli imperativi di Yuri. Casa di Stefano è da escludere causa presenza di animali domestici; l'interrato del nonno di Marco è inadatto, colpa della padrona che ci vizia con piatti di dolciumi e leccornie.
«Da Biagio!» esclama Marco. «Perché non andiamo da Biagio? Marlyn è sempre in giardino e quindi non ci disturberà e Biagio potrà fare da guardiano. Chi si distrae per primo paga da bere.»
«Grandioso!» conferma Stefano. «Uno di voi due si distrarrà sicuramente e io ci guadagnerò dieci pinte di birra.»
"No, casa di Biagio, no. Fermali, Nina."
Ma come faccio, grillo? Appena schiudo le labbra, non trovo frecce da spezzare in mio favore. Non ho parlato né a Marco né a Stefano del colloquio con il signor Iachemet e da Biagio non mi sono fatta più vedere.
«Preferirei di no» borbotto.
«Perché, scusa?» mi chiede Stefano. «È il posto perfetto.»
«No. Non è il posto perfetto.»
Stefano assottiglia gli occhi, mi studia come se fossi un complicatissimo giallo da sciogliere, con tanto di assassino nascosto tra le pagine del libro. E il colpevole non è il classico maggiordomo.
«Nina, è successo qualcosa che non sappiamo?» mi chiede. La velocità con cui rispondo "no" mi tradisce.
«Sei sicura che...»
«Sono sicurissima.» Siamo in due a non voler lasciar la fune, in due a puntare i talloni nel fango e a tirare con tutte le forze, senza preoccuparci del rischio di spezzare la corda nel mezzo. «È solo che non mi sembra il caso.»
Stefano non cede, leggo una parola formarsi sulle labbra. Potrebbe replicare in mille modi: è da più di un mese che non nomino Biagio e non vado a trovarlo, ma quando la battuta sta per prendere suono, Marco sbatte il libro di Seneca sul tavolo:
«Basta! Se Nanà dice che non è il caso, allora non è il caso. E se Nanà dice che è sicurissima, allora è sicurissima. Non insistere».
E Stefano non lo fa. La fune resta però tra le sue dita. Ha allentato la presa, dichiarato tregua, non sconfitta. Un piccolo cenno del capo mi fa capire che il discorso è rinviato, ne riparleremo quando saremo soli, senza Marco a difendermi.
«In alternativa si potrebbe fare al casale del nonno» dice poi. «In fondo è stato distrutto da anarchici e comunisti, può sopravvivere a una simulazione di terza prova.»
Il casale del nonno è tutto ciò che può ammazzare la concentrazione. Ci sono caproni, conigli e oche; ci sono disegni e cartelloni sulle pareti; c'è il wireless gratis; ci sono mille ricordi su cui fantasticare.
«È perfetto» dico. Ma almeno il casale non è casa di Biagio.
«Scrivo un SMS a Yuri e gli chiedo se approva» dice Marco.
Stefano continua a guardarmi, a sfogliare le pagine del giallo in cerca del famigerato assassino. Sono mille le piste false disseminate tra l'inchiostro, ma lui non si lascia ingannare. È successo qualcosa con Biagio e vuole sapere.
«Nanà!» Marco mi chiama, mi indica il ripostiglio. Oltre ai fumetti, ai dvd e ai videogiochi, anche i nostri cellulari sono stati imprigionati nella fortezza di scope e battipanni. E le chiavi...
«Nanà, esattamente a che ora finisce il turno tuo padre?»
Dobbiamo aspettare l'una di notte, finalmente in possesso della tecnologia, per contattare Yuri. La risposta arriva senza che il diavolo ci crogioli sulle braci: la postazione è un disastro, ma ci si può lavorare. Appuntamento in Skype alle otto di mattina, orario in cui bisognerebbe essere a scuola, scuola che per l'occasione Marco e Stefano salteranno. Io no, io ho un'altra missione: recuperare il quaderno di scienze.
*
Sopportare una mattinata di scuola senza le bambinate di Marco e i Drum di Stefano equivale a conficcarsi una matita negli occhi e ostinarsi a non andare al pronto soccorso. Dopo due ore di inglese e una di fisica, arrivano i quindici minuti di ricreazione che mi permetteranno di recuperare il quaderno dall'armadietto. Quando la campanella delle 10.20 suona, mi fiondo in corridoio, chiave in pugno, eccitazione a mille.
C'è un dettaglio da confessare sul mio armadietto: è talmente in disordine che dietro quel cumulo di libri e bottigliette d'acqua potrebbe nascondersi il portale per Narnia.
«Libro di storia, niente; quaderno di matematica, niente; appunti di Quinta Ginnasio, bruciare; fumetti di Marco, via.»
Con estrema pazienza impilo cataste di libri davanti agli armadietti di Anatolia e Stefano. Nicola, appoggiato al termosifone e avvolto nel maglioncino blu da primo della classe, mi studia.
«Che stai facendo, Nina?»
«Quaderno di scienze!» rispondo e intanto la catasta di libri diventa più alta della piramide di Cheope. «Devo trovare quel maledetto quaderno di scienze.»
Mi libero delle bottigliette d'acqua, del dizionario di greco e delle scarpe da ginnastica di Marco – perché sì, lui ha perso la chiave dell'armadietto e come soluzione ha scelto di usare il mio –, e via anche a due ombrelli con le asticelle spezzate...
«Più che un armadietto sembra la borsa di Mary Poppins» commenta Nicola, lo sguardo sul tappetto di oggetti che si stende attorno a noi.
«No, no, ti assicuro che non è la borsa di Mary Poppins. Anche perché non ho né un attaccapanni né uno specchio, però il quaderno sì. Dov'è finito quel maledetto quaderno?»
Man mano che procedo con la ricerca, un particolare genera le palpitazioni del timore. Se ho usato il quaderno di scienze mercoledì, com'è possibile sia finito sotto i resti di vecchi libri e pranzi mai consumati?
«Nina, va tutto bene?» mi chiede Nicola. Ha scavalcato la muraglia di bottigliette e mi sta tenendo la spalla. E io sento il respiro che viene meno e gli occhi scoppiare, le palpebre incapaci di chiudersi, il batticuore da attacco di panico.
«Non c'è. Il mio quaderno di scienze non c'è.»
Nicola ritrae la mano, timoroso di venire contagiato dalla mia pazzia.
Scomparso, il mio quaderno, l'unico con gli appunti delle lezioni.
Scomparso a quattro giorni dalla simulazione!
«Nicola!» È il solo a poter risolvere il mistero. Da sempre, nei mesi invernali, passa le ricreazioni assieme al suo migliore amico: il termosifone. «Non è che per caso l'hai visto? È verde e sulla copertina c'è un cerbiatto con due grandi occhioni neri...»
«Sì, certo. Questa mattina» mi risponde. Il muscolo cardiaco si rilassa, godendosi la fine del tormento. «Si è fatto spuntare un paio di gambe per andarsi a bere una birra allo Yeti.»
Abbozza un sorriso strafottente, una smorfia alla Yuri. Sembra crogiolarsi di gioia sotto i raggi solari della mia disperazione.
«L'avrai lasciato in laboratorio, Nina» mi dice, quando recupera un'ombra della solita serietà. «Oppure sulla scrivania.»
«Sì, può essere.»
Per il resto della mattinata non ascolto una parola delle lezioni. Le gambe sono molle che smaniano di saltare a casa, gli occhi radar che scansionano ogni angolo dei ricordi in cerca del quaderno. Si sa poi che le brutte notizie, quando arrivano, sono un'intera legione romana con giavellotti e dardi infuocati. Niente copertina con il cerbiatto in laboratorio, niente nemmeno a casa.
Al galoppo di Pink sfreccio verso il casale di Stefano, dove l'ho lasciato con Marco per procedere al piano postazione. Il motore della vespa rimbomba sull'asfalto, ma i borbottii del mio stomaco, affamato e incattivito, lo coprono. Ad ampie falcate varco il cortile del casale. Le oche mi spiano dai fori del pollaio, allungano i colli bianchi; i conigli si rintanano nelle dune di fieno, e i caproni... i caproni dilatano le narici, intenti ad annusare l'aria.
«Cos'è questa puzza?» convengo con loro. L'odore di acetone per togliere lo smalto, pennarello indelebile, benzina. Olfatto e intelligenza associano i concetti. E qui raggelano. Benzina.
Questi idioti stanno dando fuoco al casale!
Supero un covone di fieno e su per gli scalini di pietra, dentro per il corridoio di mattoni, oltre le reti dei letti arrugginiti e la stufa scrostata; intravedo il divano trapanato dai becchi delle tarme, una cassa di bottiglie vuote e poi...
Marco canta Nella vecchia fattoria, Stefano replica che "È una tortura". Indossano magliette sgualcite, bretelle e berrettini bianchi. In mano tengono rulli e pennelli. Sulle pareti non ci sono più poster e cartelloni.
«Per quale motivo state verniciando tutto di arancione?»
«Oh Nanà, ben arrivata! Terzo punto del secondo decalogo: Tutto sarà fatto nel nome dell'arancione!»
E via di nuovo con Nella vecchia fattoria, mentre Stefano commenta che "l'arancione è il colore della concentrazione" e continua a tirare pennellate sul muro del casale.
«Siete ubriachi?»
La risposta è "Come giusto che sia, per affogare il dispiacere e l'ansia". Yuri Conte studia la scenetta dal riquadro di Skype, grasse risate soffocate dalle manciate di popcorn che si tira in bocca.
«Yuri, si può sapere cosa li stai costringendo a fare?»
Il colpevole deglutisce un boccone. Deve pensare che sia una guastafeste, vorrebbe avere un telecomando per mettere in pausa lo show, liberarsi della scocciatura e riprendere la visione.
«Quei due erano cane e gatto, Nina» si giustifica. «Continuavano a litigare e a darsi contro. Sembravano mia madre e mio padre al pranzo della domenica, con un'unica differenza.»
«Che sarebbe?»
Yuri mi fa l'occhiolino, un nuovo pugno di popcorn in bocca.
«I miei genitori non si vogliono scopare la stessa ragazza!»
Mi servono due ore per recuperare la calma. Le spendo a supplicare Marco e Stefano di smetterla con i rulli di colore, convincerli che è inutile gareggiare a chi dipinge meglio, applicarmi a far sparire le bottiglie di tequila, mettermi a piagnucolare perché...
«Ho perso il quaderno di scienze!»
Mi lascio cadere sul divano intarmato.
Non un fiato dal riquadro di Skype.
Non un soffio dal salotto del casale.
«Scusa, Nanà» sussurra Marco. «Non credo di aver capito. Potresti ripetere?»
Due gocce di vernice scivolano sul battiscopa. C'è poco da ripetere. Siamo fregati, addio sette decimi, addio viaggio in Grecia.
«Nina» mi chiama Yuri. «Ti è venuto in mente che non sei l'unica persona in quella classe e che magari qualcuno potrebbe passarti il quaderno degli appunti?»
"Punto 8 del primo decalogo del grande Yuri Conte: non fatevi ingannare dall'alleanza di classe. È un falso mito." Con quale faccia tosta mi chiede di contattare i miei compagni? Gli unici disposti ad aiutarmi sarebbero Marco – che non conosce l'espressione "prendere appunti" – e Stefano.
«Non guardare me, Nin. I miei quaderni li ha bruciati Pietro all'ultimo dell'anno.»
«Celeste!» grida Marco. «Celeste ha gli appunti. Me li invierà all'istante!»
Perché non ci sono arrivata io? Celeste è una ragazza attenta, costante, diligente.
«Scrivile, scrivile subito» gli ordino e lui esegue.
Fischietta che è fortunato a stare con lei, che sapeva di fare la scelta giusta quando ha iniziato a frequentarla. Se non avessi lo spillone a farfalla tra i capelli, lo userei per trapanarmi i timpani, almeno non dovrei ascoltare l'eterno "Elogio di Santa Celeste da Viacampo". Ma basta che arrivi la mail con il quaderno scansionato, per zittire la sofferenza.
«Che cazzo di roba è?» chiede Stefano.
Leggo ad alta voce le prime righe del capitolo chiamato "schemi per ripasso".
«La tettonica a placche consiste nel e poi ci sono le stelle che sono masse di m'ama o non m'ama. Luccicano con Marco a Nomi, ore 7.00, stazione. Lo studio dei neutrini viene effettuato grazie a un laboratorio sul Gran Sasso, domenica alle 18.00, partita basket.»
«Direi che non siete i soli ad essere fottuti» commenta Yuri.
È passato dai popcorn a una Heineken. Servirebbe anche a me annegare la coscienza in quelle bollicine gassate. Siamo fregati e la colpa è di Marco: se non avesse giocato con Celeste, lei non avrebbe smesso di essere la brava ragazza che prende appunti.
«E adesso che si fa?» chiede Stefano. Cerca un pacchetto di tabacco nelle tasche e tira un pugno al muro quando si accorge di essere a secco. La mano si macchia di arancione. «Merda. Va a finire che Marco i Dodici quindicesimi non li prende e in Grecia non ci vieni neanche tu.»
Si pulisce sui pantaloni da imbianchino. Vorrei una maschera d'Arlecchino per coprire l'imbarazzo, una frase così, detta davanti a Yuri e Marco.
«Ma bene, bene» commenta Yuri. «Ti ho sottovalutato, Nisi. Pensavo li aiutassi per bontà, e invece...»
«Sappiamo entrambi come funziona, Yuri. È così dalla Quarta Ginnasio» sospira Stefano. Dal pavimento prende due mozziconi fumati per metà, recupera qualche pizzico di tabacco e lo chiude in una nuova cartina. «Al supermercato c'era il 2x1. Se volevo Nina, dovevo comprare anche Marco.»
Parla di me, come se fossi assente. Ma io ci sono, davanti a lui, seduta sul divano del casale, e sento ogni parola scelta e ogni sottinteso, mi lascio spezzare da un discorso che rivela quel che sono, un mostro con serpenti tra i capelli e saliva che diventa veleno.
«Vado a fare qualche chiamata» dico.
Stefano non mi ferma, e nemmeno Marco mi blocca. Sul secondo pc, quello non occupato da Skype, scorre gli appunti di Celeste, li legge. Fa male anche te capire che li stiamo distruggendo, vero? I suoi occhi non mi cercano, sono attratti dalla scrittura all'antica di Celeste.
«Anatolia, ciao!» dico intanto al cellulare. Sono sulle scale del casale, libera dal tanfo di colore. «So che sei presa a studiare, ma vorrei chiederti un piacere. Ho perso il quaderno di scienze, non è che potresti...»
«Tu e quell'altro» ringhia dall'altro lato del telefono. «È tempo che paghiate per le vostre marachelle!»
Riaggancia e recide il discorso che mi ero preparata, dolci paroline che ricordavano il valore dell'amicizia, l'alleanza femminile, la complicità tra donne. Con un SMS aggiorno Marco:
Anatolia non ci passa gli appunti. Vado a fare un giro e a vedere se trovo un quaderno di scienze. Fatevi passare la sbronza e i discorsi stupidi e non ammazzatevi. Per favore.
Ho la testa che scoppia per i pensieri, un senso di colpa che prende a pugni le tempie. Anche se chiudo le palpebre, vedo il volto di Stefano, le scritte di Celeste. Sento ronzare nei timpani quel "se volevo Nina, dovevo comprare anche Marco". Quand'è che ho iniziato a sbagliare e a ferire e a non ritenerlo importante?
Una corsa su Pink mi riporta al centro di Viacampo. Parcheggio e vago a piedi, senza meta, per un'ora, il buio che accompagna i miei passi. Mi illudo che camminare alla rinfusa possa risolvere i mille guai che mi sovrastano. Forse mi basterebbe chiudere gli occhi, procedere bendata, come l'amore e la fortuna, lasciare che il destino mi indichi la via.
«Che destino burlone. Tra mille posti dovevo finire proprio qui?»
Casa Ulivieri. Le luci al primo piano sono accese. Riconosco la stanza di Nicola e, oltre la tenda tirata, la sua sagoma camminare avanti e indietro.
«Perché sono arrivata proprio qui?» continuo a chiedermi. «Per il destino, per l'istinto, per la voglia di umiliarmi?»
Per la voglia di parlare, di sentirmi dire che va tutto bene. In più di un'occasione Nicola è stato il mio confidente, un ruolo che io non ho chiesto, lui voluto; ma quello stesso destino di prima, gli ha dato due orecchie capaci di ascoltarmi e un'innata dote in grado di farmi capire i miei sbagli.
Suono il campanello. L'ombra dietro la tenda bianca si affanna a raggiungere la porta e ad abbandonare la stanza. La voce esce dal citofono con un gracchio.
«Chi è?»
«Nicola, ciao! Sono Nina, scusa se ti disturbo, è che io...»
Un'onda di imbarazzo e incertezza affoga le parole, le schiaccia nella profondità dello stomaco. È che io "cosa"? Perché ho suonato il campanello? Che cosa potrei dirgli? Che faccio sesso con Stefano e lo ferisco? Che Marco sta rendendo la dolce Celeste Innocenti l'angelo più infelice del mondo?
«Nina, è successo qualcosa?»
No, non posso confessarlo, non in un citofono, non quando Nicola mi ha vista nei momenti più imbarazzanti e disperati della mia vita. Ubriaca, in lacrime, cattiva, depressa. Non permetterò che mi veda crollare di nuovo.
«Il quaderno» rispondo. È un'ottima scusa. «Ho perso il quaderno di scienze e quindi mi chiedevo: non è che potresti prestarmelo per mezz'ora?»
È una copertura che mi sta cucita addosso alla perfezione, al punto che nemmeno mia madre sospetterebbe l'inganno. Così, nei panni di Mata Hari, una perfetta spia travestita da danzatrice, ascolto il silenzio della notte, in attesa che Nicola scenda in giardino con il quaderno.
«No.»
«Come scusa?»
«Ti ho detto di no.»
Il suo "no" è un ago sottilissimo che esce dalle fessure del citofono e trafigge il cuore. No, quel monosillabo che in cinque anni Nicola non ha mai pronunciato, non con me. Mi ha consolata, aiutata, difesa, protetta. E allora perché?
«Guarda che te lo tratto bene» insisto. Dovrei dirgli che non sono qui per il quaderno. Mi serve, certo, ma non rientrava nei piani chiederlo a lui. «Non ci faccio le orecchie.» E dovrei aggiungere che il motivo della mia presenza sfugge a me stessa. «E non ci saranno macchie di caffè.» E continuare con il classico "Non so che fare. Puoi indicarmi la via giusta, come hai sempre fatto?". «E nemmeno ditate di unto.» Ma a che scopo?
«No, Nina.» Nicola è piantato nella sua posizione. Una palla da carcerato, legata al piede, lo rende irremovibile. «Mi serve per studiare. Te la caverai anche senza.»
Un click esce dal citofono. Discorso chiuso. Anche Nicola, alla fine, mi ha girato le spalle, colpevole il gioco in cui l'ho incastrato. L'ho trascinato sulla scacchiera del binomio, mosso in qualche occasione, abbattuto con il rifiuto a una dichiarazione, ripreso a usare, convinta che gli andasse bene, e lui si è stufato. Forse un giorno anche Stefano si stuferà di me.
Dovrei suonare di nuovo il campanello e scusarmi per il disturbo, ma il cellulare vibra, un messaggio da Stefano:
Anatolia non ti presta il quaderno? E noi ce lo prendiamo. Il piano è deciso. Io la distraggo, voi le rubate gli appunti. Lunedì. A ricreazione.
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