Capitolo X
Rimasi a guardarla per un po', indecisa su cosa fare.
Capii che la mia unica alternativa era quella di scappare: sentivo in me stessa che guardare non sarebbe stato efficace con lei; non so il perché, ma lo sentivo.
Sgusciai per il dormitorio, schivando le mani di Misses Clarke che cercarono di acchiapparmi, ed uscii dal portone della camerata.
Ansimavo tra corridoi sempre più bui e stretti; un'ansia crescente mi assaliva, mentre mi inabisso nel dedalo di passaggi.
Continuai a correre, fin quando non sentii le mie gambe bruciare dal dolore ed il mio cervello urlare di fermarmi.
Ad un certo punto mi sentii mancare, fui costretta a fermarmi.
Cominciai a scorgere delle macchioline nere alle estremità del mio campo visivo, segno che i miei sensi stavano per abbandonarmi.
La testa mi girava come una trottola e vidi il mondo ruotare attorno a me, come in una giostra.
Persi l'equilibrio e caddi a terra, perdendo i sensi.
Oscurità.
Mi sono svegliata questa mattina con un dolore pulsante alla testa.
Mi sono ritrovata su un divano antico ed un po' polveroso, in una stanza che pareva uno studio.
L'arredamento consisteva in alcuni panciuti mobiletti di legno scuro dalle forme barocche, sormontati da candelabri in ferro battuto o soprammobili esotici, da un'ampia libreria piena di volumi e da una scrivania di fattura pregiata, con intarsi e finiture di magnifica maestria.
Su di un'elegante sedia antica, posta dietro la stupenda scrivania, sedeva Misses Clarke, in un impeccabile vestito scarlatto, intenta a leggere e compilare moduli, con occhialini dalla montatura di ottone sul naso adunco. In una mano aveva una penna stilografica d'oro.
Si volta verso di me, con aria severa. Ma poi, la sua espressione si addolcisce e si tramuta in un sorriso pensoso.
<<Misses Clarke... Non sono stata io... Non sono stata io ad ucciderla...>> cerco di giustificarmi.
<<Non c'è bisogno di giustificarti. So quello che è successo e so che l'assassino, se così si può chiamare, sei tu... E so anche un'altra cosa, anzi, so anche la cosa più importante, cioè che tu sai guardare!>> dice, con lo sguardo poggiato sulla superficie lustra della scrivania, la faccia dall'aria grave.
<<Io... Io... Non so di cosa stia parlando>> fingo.
<<Per favore, Big Eyes, non fare la finta tonta... So quello che ho visto e non sono ancora così tanto vecchia da non comprendere quello che vedo...>>
<<Lei... Come fa a sapere del mio dono?!>> chiedo, incuriosita e spaventata allo stesso tempo.
<<Dono? È questo che credi che sia? Un dono?>> esclama, lasciandosi andare ad una risatina isterica.
<<Questo non è un dono... È una vera e propria maledizione!>> continua.
<<Lei possiede il don... Ehm... La maledizione?>> chiedo.
<<Prima sì! Come avrei fatto a capirlo, altrimenti. Ora, dopo la purificazione, finalmente sono libera da quel tormento...>>
<<Non capisco...>>
<<Ci credo, piccola. Deve essere un choc per te apprendere queste nozioni... Ci sono tante cose che non capisci e che dovrai capire, per ritornare ad essere... Normale>>spiega.
<<Ogni giorno, da domani dopo lezione, vieni da me, in questo studio. Dovrai capire molte cose sulle tue... Sulle nostre origini. Ora, ritorna al dormitorio e fingi che non sia successo niente. Cerca di non guardare, soprattutto...>>
Mi alzo dal divano e faccio per uscire dallo studio, quando Misses Clarke mi blocca.
<<Un'altra cosa... Dì a Sir Ollivander di non istigarti all'omicidio, la prossima volta...>> mi dice, quasi sorridendo.
<<Sarà fatto!>> esclamo, con un sorriso complice stampato sulle labbra.
Chiudo le pesanti porte e riconosco il corridoio sul quale si affaccia lo studio di Misses Clarke, non è poi così lontano dalla mia camerata. Ritorno al dormitorio e mi preparo per andare a lezione...
Come se niente fosse accaduto...
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