⚜️ Vestiti di carta
Con il Demone di Fuoco che incendiava di rosso, oro e rosa le nubi ammassate nel cielo, Eve si trovò costretta, cosa che detestava con tutta se stessa, a dar ragione a Kytos: con la luce del giorno la bellezza dei giardini travolgeva lo sguardo dello spettatore.
Statue in pose danzanti erano coperte da veli di nevischio, ed emergevano più avanti, dal labirinto di siepi che sembrava volesse attrarla fra i suoi dedali fatati. Fontane dai giochi d'acqua congelati in ragnatele ad archi parabolici scintillavano alla luce del crepuscolo. Passeggiando sul camminamento, dall'alto aveva scorto la piazza della meridiana. Poco lontano, un lago di neve era dominato dal profilo di una torretta orlata di bandiere che doveva avere per lo più funzione decorativa.
Era sola, ancora in tempo per voltarsi e scomparire nei meandri del castello. Non voleva che accadesse davvero quel che stava per accadere, giusto?
Scalpitò internamente, a disagio.
Solo un altro minuto.
Tuttavia, Kytos non era ancora lì. Di nuovo. Se credeva che sarebbe stata disposta ad attenderlo sul portico come una vedova addolorata, sbagliava di grosso.
Fece per tuffarsi nel corridoio da cui era venuta quando una voce la fece immobilizzare sul posto.
«Andate da qualche parte?»
Eve approfittò del fatto che fosse di spalle per chiudere gli occhi. Trasse un sospiro e si girò, incrociando lo sguardo dell'Ammazzalupi.«Eravate in ritardo, motivo per cui avevo deciso di tornare nelle mie stanze. Non tutti sono disposti a stare ai vostri comodi.»
«Vi chiedo di perdonarmi. Ancora questioni urgenti.»
«Di che genere?»
«Vi interessa?»
Eve appoggiò le mani sui fianchi, simulando una sicurezza che, al momento, non possedeva affatto. «Mi ritenete incapace di discutere con voi di argomenti al di fuori del matrimonio?»
Non le piacque la piega accondiscendete che prese il sorriso di lui. Le ricordò, in qualche modo, che nonostante tutti i suoi sforzi fosse in grado di carpire ognuna delle sue emozioni come se dovesse limitarsi a leggere un libro aperto.
«Io e mio padre stavamo presiedendo l'assemblea degli Uomini Grigi. Discutevamo dell'amministrazione del contado per l'anno successivo dal momento che le ultime due estati si sono rivelate molto dure per gli agricoltori. E di come spartire il grano delle riserve per la popolazione. Potremo discutere di politica quando più vi aggrada, comunque. Vi è sufficiente?»
Eve annuì, dopo una prolungata esitazione. «Per adesso, sì.»
«Bene. Andiamo, dunque.» Il principe la affiancò, appoggiandole la mano al centro della schiena. Il palmo aderente alla curva della colonna vertebrale, le dita ben aperte. Quel contatto le diffuse calore lungo la spina dorsale. La invitò gentilmente a proseguire.
«D'accordo, facciamo in fretta.»
«Avete qualche faccenda da sbrigare?»
Eve preferì mangiarsi la lingua. Avanzarono lungo i viali, con la sensazione che persino il suono dei respiri fosse stato assorbito dalla coltre. Immerse l'indice nello strato di neve ammassato sul corrimano di un ponticello che sovrastava il canale ghiacciato. Il freddo le infuse una sicurezza che, dalla faccenda della Panenka, credeva di aver perso. Benché non fosse abituata, percepiva una certa affinità con la rigidità del clima di Gardros.
Le falde dei mantelli oscillavano contro le loro gambe, frusciando nel silenzio. Raggiunsero l'ingresso del labirinto dove due ninfe di marmo, ai lati, invitavano gli avventori ad addentrarsi.
Seguirono quel richiamo. Il fatto che continuassero a non parlare la imbarazzò abbastanza da dirigere uno sguardo furtivo, di taglio, verso di lui. Il principe guardava avanti a sé. Era così alto e massiccio che dinanzi a Imes Eve sarebbe sembrata un pallido scricciolo. Senza contare che l'erede al trono di Gardros doveva essere un uomo fatto e finito, con un bagaglio di esperienze sulle spalle molto diverso dal suo. Chissà quante volte aveva percorso quei meandri in dolce compagnia.
«C'è qualcosa che volete dirmi?»
Eve tornò a fissare di scatto la strada. «Io?»
«Mi stavate fissando.»
«Avete preso un abbaglio.»
«Ne dubito.»
«Kytos!» sbottò.
Se ne pentì immediatamente. Era la prima volta che lo chiamava per nome e si rigirò quelle sillabe sulla lingua come se fossero troppo spinose per inghiottirle. Avevano il gusto qualcosa che si sarebbe sempre trovato un passo avanti a lei.
Il principe si voltò, le sopracciglia nere che disegnavano un paio di arcate lievemente sorprese. Forse non era stata l'unica a sbrogliare quella considerazione nella propria testa.
«Sì?»
«Smettetela di prendermi in giro.»
«Credevo foste in grado di tener testa a chiunque.»
«Osate mettere in dubbio le mie capacità?»
«Affatto.»
«E piantatela di assecondarmi come se fossi un'oca isterica.»
«D'accordo.»
Eve sentì la nuca formicolare per l'irritazione. Poi, un'idea le sfrecciò nella mente: se Kytos voleva davvero provare a rendere le cose meno detestabili per entrambi, avrebbe quantomeno dovuto impegnarsi di più.
«Cos'era quel rumore?»
«Quale rumore?»
Non appena Kytos girò la testa, gli diede le spalle e si lanciò in corsa attraverso i dedali vorticosi del labirinto. Udì a malapena il richiamo del principe mentre sganciava la cordicella al collo e si liberava del fardello della pelliccia, che si afflosciò nella neve.
Il freddo le brulicava sotto la pelle. Un freddo gentile che le ricordò il periodo delle feste di Fearann Sìthe, l'odore del pan di zucchero appena sfornato e i fuochi che ardevano nei camini nella stagione delle grandi tempeste.
Le sfuggì una breve risata all'idea dell'espressione di Kytos quando se l'era vista svanire davanti agli occhi. Si sentiva così, evanescente, una driade di cristalli di brina che quel giorno aveva acconsentito all'idea di indossare una veste bianca: semplicemente, scomparve.
Corse come accadeva nelle valli ventose di Fearann Sìthe, quando lei e i suoi fratelli cavalcavano sulle rive del Fiume Quieto dalle correnti scure e i maelstrom gorgheggianti. Agguantò i lembi dell'abito e lo tirò fin sopra le ginocchia, svelando le calze di lana che le avvolgevano le gambe. Giunse ai piedi di un grande albero dal tronco spesso e i rami che si aprivano a ventaglio verso il cielo. Le stalattiti, zanne di ghiaccio che agghindavano il legno, scintillavano nel tramonto. Si arrampicò come uno scoiattolo, mani e piedi aggrappati alla corteccia friabile che lasciò tracce dello sgretolio sulla stoffa della veste e sotto le unghie. Con un ultimo sforzo, si issò sul primo ramo e vi si sistemò sopra, appoggiando la schiena contro il tronco. Un piede oscillava nel vuoto.
Aveva il fiatone, il calore della corsa che le incendiava i polmoni e il Demone di Fuoco che le lambiva gli zigomi.
Lo scricchiolio di passi soffocati dalla coltre annunciò l'arrivo dell'Ammazzalupi, che si fermò ai piedi dell'albero. Stringeva il suo mantello in una mano e aveva uno sguardo di pura disapprovazione tutto per lei.
«Avete impiegato poco a trovarmi.»
«Succede, quando vi lasciate dietro delle impronte. Perché siete scappata?»
«Perché non ho alcuna intenzione di rendervi le cose facili.»
«La fate piuttosto lunga, per essere una persona che non ha alcun tipo di alternativa. Venite giù.»
«Mi date ordini, adesso?»
«No. Ma quell'albero sta emettendo dei suoni preoccupanti.»
«E con questo cosa vorreste insinuare?»
«Smettetela di cogliere l'offesa ovunque.» Kytos sembrò sul punto di uscire fuori dai gangheri, e la cosa non le dispiacque. «Avete corso e fa molto freddo, dovreste coprirvi. Non vorrete ammalarvi il giorno delle nozze.»
«Essere indisposta in una così lieta occasione? Sarebbe un peccato.»
«Temo che mio padre sarebbe capace di obbligarvi anche se doveste presentarvi all'altare senza un arto.»
«Chi vi dice che non abbia già spedito una missiva a Fearann Sìthe o che non troverò il modo di scappare all'ultimo momento?»
«Se così fosse, non sareste davvero così sciocca da informarmi.»
Tra i cigolii emessi dall'attaccatura del ramo, il principe sospirò. Eve attese che proferisse dell'altro, ma una sottile patina di delusione si fece strada in lei quando lo vide lasciar cadere il mantello a terra, sciogliere i legamenti delle spalle con un paio di circonduzioni e poggiare le mani sui fianchi. E dire che iniziava a prenderci gusto con quel botta e risposta.
Poi, la delusione fece posto alla confusione.
«Tre» scandì. «Due. Uno.»
Un ultimo gemito e il ramo si spezzò con uno schiocco. Eve lanciò un urlo più stridulo di quanto avesse voluto e precipitò per quel paio di metri che la separavano dal terreno. Attese il momento in cui sarebbe affondata nella neve, ma si sentì afferrare da un paio di braccia e si aggrappò d'istinto al collo del principe, nascondendogli il volto contro la clavicola. Il cuore le rimbombò nelle tempie.
Rimasero immobili per un tempo abbastanza lungo da divenire inaccettabile.
Per gli dèi, che stupida.
«Principessa.»
«Non azzardatevi. Non. Una. Parola.»
«D'accordo, non dirò che ve l'avevo detto.»
Eve ritirò il capo all'indietro, accigliandosi, ma la protesta le si incagliò tra le corde vocali. Kytos aveva un ginocchio in terra e l'altro piegato in modo tale che lei vi si potesse appoggiare. Un braccio sotto le sue gambe, l'altro attorno al suo busto, la mano che le premeva contro il fianco per stringerla addosso a sé. Il corpo di Eve era incollato al suo, un insignificante strato di vestiti a separarli. Il lento ritmo di quel respiro le arroventava il collo e le guance.
Era come se i suoi vestiti fossero fatti di carta: non potevano davvero proteggerla.
Sbatté le palpebre e le ciglia le sfiorarono gli zigomi congestionati. Sollevò la mano, piano, e la portò al viso del principe. Seguì il profilo della mascella con le punte dei polpastrelli, con la paura di invalidare uno spazio che non era il suo.
Kytos si pietrificò. Nei suoi occhi si agitava una lotta difficile da comprendere. Per un attimo, fu certa che si sarebbe tirato indietro di scatto.
Invece, sussurrò: «Principessa».
«Sì?»
«Chiudete gli occhi.»
Eve lo assecondò. Tutto divenne buio, come quando era sul punto di addormentarsi. Il bacio fu il lampo di un sogno.
Qualcosa di morbido e ruvido premette contro le sue labbra, e bastò quello, l'anticamera di un gioco dalle regole sconosciute, ad annullare qualunque altro pensiero che possedesse un briciolo di senso. Non si mosse, se non per stringere tra le dita la stoffa della casacca.
Aveva letto di baci appassionati un'infinità di volte e fantasticato di un'altra principessa Eve di Vallevento libera da un destino programmato, che si rotolava sulle sponde del Fiume Quieto nella brughiera dei Mathan con un giovane delle campagne, semplice e gentile, qualcuno che suo padre non avrebbe mai approvato. Ma non era rimasta che una frivola fantasia. Cosa poteva saperne, lei, di come baciare qualcuno?
La bocca di Kytos la invitò a schiudere la propria. Le poggiò la mano dal palmo coriaceo contro la guancia e gliela fece scivolare fino alla mandibola e al collo, poi verso la nuca, dove le dita si insinuarono tra i capelli di neve. Carezzò la lingua con la sua, le sfiorò il viso con il pollice in lievi movimenti circolari. Eve fremette da capo a piedi e la presa sulla sua casacca si rinsaldò, come se temesse di scivolare.
Kytos si allontanò, ma non le diede il tempo di respirare: le catturò di nuovo le labbra in un bacio più irruente e assetato del primo. A Eve scappò un basso mormorio e inarcò la schiena, spingendogli i seni contro il corpo. Ansimò tra una pausa e l'altra, sfruttando quelle parentesi di tregua per riprendere fiato. Quando si ancorò alla pelliccia scura che ricopriva la cappa, l'Ammazzalupi gliela avvolse attorno.
Tra le nubi di condensa, le labbra del principe abbandonarono le sue e scesero alla mandibola, alla gola e alla scollatura del vestito. Dai capelli, la mano di Kytos le scivolò verso il petto, le esplorò il busto e la schiena, le si ancorò ai fianchi e scorse tra le pieghe dell'abito fino all'inguine. Le dita di Eve si aggrovigliarono in quel covo di rovi corvini che le solleticavano il mento.
Il suo corpo scattò appena, con uno squittio che suonò osceno persino a lei, nel momento in cui, da sopra la stoffa, il palmo di Kytos le si insinuò in mezzo alle cosce.
«Aspettate» ansò, con un filo di voce.
Kytos alzò lo sguardo fino al suo. Le girava la testa.
«Basta... basta così.» Si sforzò di recuperare un briciolo di lucidità. Il nervosismo prese lentamente il posto del tepore che le aveva scaldato il ventre. «Insomma, se dobbiamo... unirci dovrei rispettare il mio corpo. Questo è il volere di Imes. Ho letto che i matrimoni reali prevedono la totale illibatezza della sposa, il rito non funzionerebbe se...»
Sto parlando troppo.
Lui la osservò a lungo. Aveva recuperato il fiato e ora la scrutava con una piccola ruga che gli scavava la pelle nel mezzo delle sopracciglia, l'espressione impenetrabile. Nell'unico spiraglio che intravide in quella armatura, Eve vi trovò l'ultima cosa a cui avrebbe voluto assistere: fastidio.
«Il rito non funzionerebbe» ripeté Eve.
Ora capiva.
«Allora non siete così sciocca come volete far credere.»
Eve desiderò inabissarsi nella neve.
«Avete ragione, mi sono spinto troppo oltre.»
La aiutò a mettersi in piedi con un movimento un po' troppo brusco, poi recuperò il mantello e glielo porse. Stordita, se lo lasciò allacciare attorno al collo. Lo scrutò di soppiatto nel tentativo di decifrarne l'espressione, ma il principe si comportava come se quello che era appena avvenuto fosse soltanto frutto della sua immaginazione.
Eppure, la pelle le bruciava ancora, aveva la mente leggera e il sangue le pulsava nelle tempie.
Non riuscì a tenere a freno la lingua. «Mi odiate a tal punto?»
«Non siate ridicola.»
«Siete ingiusto. Non siete l'unica vittima di tutta questa situazione.» Eve tremò di rabbia. «Rispondetemi e basta.»
«Ritengo l'odio un sentimento troppo forte. Mi siete per lo più indifferente.»
«Anche se non so cosa vi è accaduto l'anno scorso, non credo di meritare un simile trattamento.»
Finalmente, Kytos alzò lo sguardo dal nodo del mantello fino a inchiodarlo nel suo. La forza della sua ostilità la costrinse a indietreggiare.
Eccolo lì, il silenzioso muro di intolleranza che li divideva. Il tepore si tramutò in gelo ed Eve comprese di aver parlato a sproposito. Non attese una risposta, era sufficiente: si congedò con un inchino sbrigativo e corse via.
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