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⚜️ Ultimo saluto


La morte è bianca, pensò Eve quando aprì gli occhi.

La luce inondava ogni anfratto del cielo. Il primo impulso fu quello di ripararsi dal Demone di Fuoco, ma impiegò alcuni secondi per capire che non le avrebbe fatto del male. Non più.

Non era il sole. Era un bagliore puro e infinito.

Si tirò a sedere, ritrovandosi al centro di un campo. I colli si stendevano a perdita d'occhio coperti da un manto di pallido grano. Si era risvegliata su un blocco di marmo, una specie di altare situato nel bel mezzo del nulla. Nessun rumore, né di uccelli né di insetti, se non il fruscio del vento fra le spighe che parevano onde lontane.

Mise i piedi a terra e camminò. La meta aveva poca importanza, a quel punto.

Sentiva la pelle fatta d'aria, dandole l'impressione di mescolarsi alla corrente che scrollava la valle. Si lasciò soltanto condurre dalle proprie gambe, e lo fece per un tempo interminabile. Lì, l'astro diurno non sorgeva né tramontava. Se ne stava inchiodato alla volta celeste, simile a una stella artificiale dipinta sul grande fondale che sostava dietro il palcoscenico del mondo.

Andò avanti fino a quando, in lontananza, scorse un boschetto sacro. Tra i meli sorgeva un laghetto dalla superficie innaturalmente piatta, unico elemento del paesaggio a non essere scalfito dalle perturbazioni del vento.

Una figura in bianco sedeva sulla sponda. Indossava un lungo drappeggio, e quando la guardò le fu impossibile comprendere se fosse uomo o donna.

«Ciao» le dissero due voci, una maschile e una femminile.

«Ciao. Dove siamo?»

«Ovunque e in nessun posto.» La figura batté la mano accanto a sé, invitandola a sedersi. «Vieni, Eve.»

Eve fece quanto le era stato chiesto e, sporgendosi verso il lago, notò che non restituiva alcun riflesso.

«Sai chi sono?» domandò l'essere.

«Un fantasma?»

«Acqua.»

«La mia... guida?»

La figura le lanciò un'occhiata lunga a sufficienza da farla sentire sciocca. «Acqua» ripeté. «Io ti ho dato la vita.»

Eve raddrizzò le spalle e la fissò a bocca aperta. «Sei lo Spirito Bianco.»

Lo Spirito eseguì una riverenza, disegnando onde sinuose nell'aria con la sommità delle unghie. Erano lunghe almeno cinque centimetri e si incurvavano appena verso il basso.

«Ma non capisco... cosa ci fai qui?»

«Gli dèi mi hanno inviato a risolvere una questione burocratica.»

Eve sfarfallò le ciglia, confusa. «Burocratica.»

«Sì. C'è un'irregolarità nella tua morte.»

Lo Spirito estrasse una pergamena dalle falde della tunica e la srotolò ai suoi piedi. La carta slittò via per chilometri, svanendo verso l'orizzonte. Inforcò un paio di occhiali a mezzaluna e borbottò qualcosa, seguendo le prime righe con l'indice. Eve notò che il testo era scritto così fitto da risultarle incomprensibile.

«Ecco, come sospettavo.»

«Cosa?»

«Qui dice che è stata restituita un'altra vita durante il rito sul Dorso dei Giganti. Quella del principe Vasilis. Ti risulta?»

Eve sollevò le sopracciglia. «Non saprei dire. Ero un po' morta.»

«Giusto.» Lo Spirito si grattò la testa. Era calvo, la pelle tesa e lucida come una sfera di cristallo. «Be', a quanto pare il suo rito prevedeva la cessione di una vita. Tu hai dato la tua per Beathan, lui ha dato la tua per te.»

«Oh.» Eve non trovò niente di meglio da dire. «Allora cosa ci faccio qui? Insomma, si staranno dando un gran da fare, lassù. O laggiù.»
Ovunque fossero.

«C'è qualcosa che ti blocca.» Con uno schiocco di dita, la pergamena si arrotolò fra le mani dello Spirito. «Per la verità, non sei completamente morta. Sei nel mezzo. In transizione, diciamo.»

«In transizione.»

«Avrai notato che non è molto affollato, qui.»

Eve si guardò attorno. «In effetti.»

«Non è certo una condizione comune, la tua.»

«Mi stavi spiegando di questa... transizione.»

«Oh, giusto. Si tratta della protezione che è stata messa su di te quando sei nata. Opera di tua madre.»

«Mia madre?»

«Ha sperato fino all'ultimo che non nascesse una figlia femmina. Aveva paura di ciò che tuo padre avrebbe potuto fare di te. Così mi ha pregato e io l'ho ascoltata. Hai avuto il mio dono, ma ogni cosa ha un prezzo.» La guardò. Gli occhi dello Spirito erano due sfere cave, una coppia di biglie di ossidiana. «È morta giovane per un motivo. Ha dato se stessa per i tuoi poteri, qualcosa che potesse aiutarti a difenderti in questo mondo governato da uomini. Era certa che per te sarebbero stati indispensabili.»

«Ma...» Eve esitò. «Non capisco. Credevo fosse stata stroncata da una polmonite.»

«Polmonite, febbre, un vaso in testa, che differenza fa?»

Eve raccolse le gambe al petto e guardò in direzione dell'acqua. Poggiò il mento sulle ginocchia, sospirando. «Nessuna. È solo che questo potere è così inutile, adesso...»

«Puoi sempre restituirmelo.»

Lei gli scoccò un'occhiata interrogativa. «A che servirebbe?»

«Tu mi restituisci il potere, io ti restituisco la vita che tua madre ha dato per te. Lei ha smesso di camminare tra noi da troppi anni, ormai, ma tu sei ancora in tempo per tornare. Certo, sarà un po' strano.» Lo Spirito inclinò il capo. «Mi sembra equo, no?»

Eve fissò la creatura a bocca aperta. «Credi sia possibile?»

«Puoi sempre seguirmi e ascendere al regno degli eroi. Ma non te lo consiglio, passano le loro giornate a ubriacarsi e mangiare cinghiale arrosto. Un po' noioso, alla lunga.»

Eve rifletté in silenzio. In un certo senso la risposta avrebbe dovuto essere semplice, eppure si ritrovò a giocherellare stancamente con una spiga di grano e seguire il percorso delle nuvole.

«Cosa ti turba?» domandò lo Spirito.

«Sembrerà stupido, ma negli ultimi tempi mi ero abituata alla magia. Ero diventata più forte, avevo tanti progetti. Volevo aiutare Kytos a cambiare le cose. Se tornassi a casa sarei solo...» Eve fece spallucce. «Sarei solo me

Il tocco dello Spirito contro la spalla fu quasi inconsistente. Le due voci le parlarono in tono rassicurante. «Sei la regina di un grande paese. L'Espen è finalmente in pace. Hai un marito che ti ama e che ti ascolta. Io credo che non avrai bisogno di saper fare qualche trucchetto per riuscire a cambiare le cose.»

«Gli Uomini Grigi non rispetteranno mai una ragazzina di Fearann Sìthe.»

«Se gli Uomini Grigi dovessero avere ancora qualche dubbio sul tuo conto dopo ciò che hai fatto per Gardros, forse è il caso che si ritirino a vita privata. Lèggano un libro. Si diano, non so, alle gioie dell'agricoltura.»

Eve inarcò il sopracciglio, occhieggiandolo di sbieco. «Ti esprimi in maniera un po' troppo informale per essere una creatura eterea, non trovi?»

«Dare informazioni sibilline è passato di moda, fra le divinità. I protetti capiscono sempre fischi per fiaschi.»

Stavolta Eve non riuscì a impedirsi di ridacchiare, ma le labbra si irrigidirono in una smorfia. «E Kytos... si era abituato ad avere una guerriera come moglie. Una al suo livello.»

«Ci sono infiniti modi di combattere senza spada. Davvero credi che ciò che il Re di Gardros prova per te sia dettato unicamente dai miei doni?» Lo Spirito le assestò una schicchera in mezzo alla fronte.

«Ahia.»

«Devi decidere. Lasciarti tutto alle spalle o riprovare.»

Eve si massaggiò il punto in cui era stata colpita e per il nervoso staccò la spiga che stava torturando. Ne crebbe una identica un istante dopo. Accartocciò lo stelo fra le dita, lo lanciò verso lo specchio d'acqua e lo osservò annegare.

«E va bene» disse. «Riproviamo.»

Sul volto dello Spirito si allargò un sorriso. «Sapevo di non aver sprecato i miei doni con una sciocca. Non ti resta che tuffarti.»

Poi scomparve come se non fosse mai esistito.

Eve rimase sulla sponda ancora un po', a godere del silenzio che riempiva la valle. In un certo senso, ora che si trovava al di sopra di ogni cosa, quell'assenza di suono la confortava. Si mise in piedi con un colpo di reni e si guardò attorno un'ultima volta.

Era il momento di tornare.

Si tappò il naso e si tuffò.

⚜️

Il popolo era stato chiuso all'esterno del Sommo Decagono e il rumorio delle chiacchiere trapassava le alte finestre e la spessa porta di pietra. Al centro della sala a dieci facce, una per ogni divinità del pantheon, sostava un piccolo altare di marmo. Il corpo di Eve era disteso tra volute d'incenso che si libravano dai caldani accesi.

La statua di Madre Moira, signora della morte, stazionava in cima alle scale e circondava l'intera sala con le lunghissime braccia che procedevano lungo il muro. Sotto di essa, il sacerdote recitava preghiere che invogliassero le divinità ad aprire i cancelli dei cieli per accogliere una giovane anima, strappata alla terra prima del tempo.

Kytos, su quello scranno tanto asettico quanto scomodo, speculare alla posizione del sacerdote, udiva il martellare lontano degli scalpelli che modellavano il marmo. Gli Uomini Grigi non si erano detti d'accordo nello sprecare fondi pubblici per la realizzazione di quell'immensa statua che avrebbe ritratto le sembianze di sua moglie, ma il Re di Gardros non aveva voluto sentire ragioni.

Osservò l'asserragliamento di consiglieri in grigio che affollavano i gradoni, il loro parlottare sommesso. Prima di Eve non si era mai preoccupato di notare che, fra loro, non vi fosse neanche una donna. Era ridicolo. Perché mai il vecchio e dispotico sir Xerxes, per esempio, o l'ultracentenario sir Gyron che ormai trascorreva le riunioni a russare, erano ancora lì?

All'alba del suo regno, la classe politica avrebbe dovuto essere rinnovata.

La voce del sacerdote ebbe un sussulto e Kytos capì che avrebbe dovuto alzarsi. Il suo sguardo vagava ovunque, meno che in prossimità del corpo della ragazza. E il cervello macchinava senza sosta piani per il futuro. Non poteva fermarsi. Se l'avesse fatto, le speranze che aveva coltivato assieme a lei, anche se in silenzio, sarebbero andate in pezzi.

Tutto quello doveva essere un'immensa recita. Eve non era un ammasso di spoglie in vestiti bianchi, lei che odiava il bianco, perché la faceva assomigliare a un fantasma. E trovava insopportabile l'usanza di coprire il viso dei defunti con una maschera d'argilla, quasi l'immagine di una persona che se ne era andata non fosse più affare di quel mondo.

Qualcosa di caldo gli sfiorò la spalla e Kytos trasalì. Lysandros gli aveva appoggiato una mano contro il braccio. Non disse nulla, ma quel breve contatto gli bastò per fermare la gamba in ipertensione. Lo rassicurò con un cenno. Ce la faceva.

La funzione si concluse con le formule di rito e il silenzio fu rotto da brusii e movimenti. Era il momento di porgere gli ultimi saluti alla salma. Kytos si alzò e riassestò la casacca nera con un movimento automatico. Si sentì fatto di fumo mentre scendeva le scale. La puzza di stantio che aleggiava là dentro gli stava dando alla testa, doveva uscire da quella bolla di sacralità, ricominciare la sua vita e affrontare il lutto come meglio credeva.

Bevendo fino a svenire.

Si fermò al lato dell'altare, osservando il corpo. I drappi bianchi e le braccia candide distese lungo i fianchi, i capelli disposti a raggiera simili a dardi solari. Le ciocche erano puntellate di fiori. La corte lo lasciò solo per l'ultimo saluto, tenendosi a distanza.

«Sapevo che avresti deciso di testa tua.» Ci fu un velo di ostilità nel tono. Quando le prese la mano, rimase piuttosto sorpreso: se l'era aspettata più fredda, irrigidita dal rigor mortis, invece gli parve di stringere un bocciolo di magnolia. Persino quell'ultimo contatto doveva essere crudele. «Ma in fondo non hai fatto altro che cercare di dimostrarmi che potessi farcela da sola. Io ti credo, Eve. Mi sarei sacrificato cento volte, se avessi potuto impedirti di lasciarmi.» Le accarezzò le dita, tracciandovi scie con le punte dei polpastrelli. «Svegliarmi ogni giorno senza te al mio fianco sarà...»

Kytos si accigliò. Per un istante, gli era parso di scorgere una piccola perturbazione nel petto di sua moglie. Un respiro, impercettibile quanto quello di un colibrì.

Scosse la testa. «Sarà... impossibile. Ma necessario.»

«Quanta scena.»

Kytos sbatté lentamente le palpebre. Poi e la stanza prese a girare. Eve si sedette sull'altare e si sfilò la maschera d'argilla.

Era successo, finalmente.

Era impazzito.

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