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⚜️ Non voglio essere pronto

Suo marito era sempre lo stesso, ma qualcosa era cambiato. L'uomo brusco e taciturno che l'aveva accolta ubriaco nel giorno in cui era stata portata a Gardros si era svestito di quella pelle per indossarne un'altra: una in grado di ammettere una possibilità.

Eve si chiese se anche lui non la trovasse diversa dalla ragazzina irriverente che era stata gettata ai piedi di Re Alpyos.

Tornarono all'accampamento senza parlare. In lontananza, il vociare degli uomini si tramutò ben presto in grida di allarme che sventrarono il silenzio della valle. La luce oltre le palizzate si intensificò, come se una meteora si fosse schiantata di colpo fra le tende. Rallentarono entrambi, ma Kytos fu il primo a scattare e mettere mano alla spada.

Eve gli tenne dietro, accelerando il passo. «Cosa succede?»

«Non lo so.»

Si mossero tra le pozze di neve disciolta, facendosi strada tra i soldati che trascinavano tinozze e barili colmi d'acqua. Lo spettacolo che si presentò agli occhi di Eve quando arrivarono nei pressi dell'epicentro da cui si era generato il caos la fece irrigidire.

C'era una viverna in catene, nella piazzola principale. La creatura rigurgitò un globo di fiamme addosso agli uomini, che si tuffarono a terra per sfuggire all'impatto. Si dibatteva in preda a una foga mai vista, i muscoli che scoppiavano per lo sforzo vano di liberarsi dal collare di ferro. Un paio di cadaveri dilaniati in tanti piccoli brani giacevano sparpagliati a terra.

Eve occhieggiò suo marito, che sollevò lo sguardo. Ne intercettò la traiettoria: stava osservando suo padre, che lanciava ordini in direzione dei soldati.

«Abbattetela» gridò. «Che quella bestia marcisca nella foresta con i suoi simili!»

Quando lo sguardo di Kytos venne ricambiato, una crepa storta scavò la sua espressione. Re Droyn mostrò le gengive, con il braccio elegantemente teso allo scontro che infuriava di fronte a loro. «Ecco a cosa ha portato la vostra incuria. All'anarchia e al caos tra le nostre fila, quando dovrebbero essere salde.» Digrignò i denti. «Richiamate quel mostro e imparate a disciplinare le vostre bestie. È l'ultimo avvertimento, gardrosiano!»

Eve notò la presa di suo marito scaricarsi sull'elsa, le nocche via via più bianche. Il taglio degli occhi si affilò. Non si sarebbe stupita se avesse ceduto alla collera che gli era scoppiata nel petto.

«Non osate darmi ordini» urlò Kytos al di sopra degli stridii dell'animale. Poi tese le dita nella sua direzione e gli impose la calma con un verso, come se si trattasse di un cavallo. Non funzionò. La coda della viverna si schiantò addosso al viso di un soldato che stava tentando di trattenerla per la catena. La furia le consentì di districarsi dai picchetti che fermavano gli anelli di ferro in terra.

Kytos sbraitò: «Va' a cuccia, stupida bestiaccia!».

Eve ebbe l'impressione di scorgere una punta di panico, mentre si lanciava incontro all'animale a spada sguainata. La presa di suo marito era lassa, il passo incerto. La aggirò con la circospezione di un cacciatore che cercasse il punto esatto dove colpire senza arrecare troppo dolore alla preda. Non era da lui. Quella viverna era pericolosa, aveva già ucciso due o forse più uomini. Uomini che non avrebbero fatto ritorno dalle proprie famiglie dopo essere sopravvissuti alla prima invasione dei giganti. Era giusto farlo. O era soltanto il suo dovere?

Improvvisamente, Eve capì.

Sta prendendo tempo.

Anche se gli occhi dell'Espen erano puntati su di lui, impietosi e pronti a giudicare le azioni del nuovo re.

Soltanto poche ore prima, Kytos si era ritirato nella foresta e si era circondato del silenzio delle sue creature. Si erano legate a lui nel momento in cui aveva ucciso il loro capobranco, ma a Eve era bastato uno sguardo per capire che anche lui si fosse legato a loro. Forse non poteva comprendere l'entità di quella connessione naturale, ma di una cosa era certa: non avrebbe caricato Kytos di quella colpa. Non se per lui affondare la lama nel collo di quell'animale avrebbe significato mozzare la testa di un fratello.

La viverna spazzò via l'affondo sfondando la difesa di suo marito a testa bassa. Kytos rovinò nella neve e alla bestia bastò un colpo d'ali per scavalcarlo.

Il tempo sembrò rallentare quando Eve incontrò lo sguardo del rettile. Si studiarono per un istante eterno, un momento abbastanza lungo da permettere alla viverna di puntarla e spiccare un salto verso di lei. A Eve, invece, fu sufficiente per ripercorrere il ricordo di sua madre che, quando la notte si inoltrava e il sonno faticava ad accoglierla, le narrava le vicende dei mostri alati, profluvi di leggende in cui fanciulle rapite da draghi erano condannate a intrattenerli con la propria voce fino a innamorarsene.

Chiuse gli occhi.

Chiudi gli occhi, bambina mia, e intona la canzone capace di scalfire i cuori di pietra. Bisogna farsi furbe in questo mondo dominato dai draghi.

Dalla sua gola sgorgò un canto morbido.

Da qualche parte dentro di lei, la magia distruttiva che le ribolliva dentro si acquietò. I draghi necessitavano di essere compresi, prima di essere attaccati. Alcuni avevano solo bisogno di una possibilità, ma non c'era alcun modo di sapere chi fra loro fosse meritevole senza prima fare un tentativo. Era un rischio. Bisognava possedere una fede inappellabile – o una stupidità incommensurabile, a seconda dei punti di vista – per correrlo.

Quella sera Eve scelse la fede.

Riaprì gli occhi e cercò quelli della viverna. Sentì la cassa toracica risuonare delle parole in antico sìthiano, la lingua perduta delle fate che si nascondevano fra le valli ventose della sua terra. Erano le parole di creature magiche ed esseri mitici. Da bambini, i suoi fratelli la sfidavano a pronunciarle specchiandosi fra le acque dei laghi per richiamare le streghe delle alghe che dormivano sotto il fondale.

La melodia intorpidì la coscienza della viverna, che richiuse le ali sul dorso e la studiò, come soggiogata. La sua rabbia si affievolì. Chinò il muso in un segno di rispetto che si doveva solo alla propria regina.

Il canto di Eve si propagò per l'accampamento. Il silenzio che era piombato fra i soldati, il consiglio dell'Espen e le baronie ebbe qualcosa di irreale, ma diede modo alla sua voce di levarsi limpida nella notte.

Strega, mormoravano gli uomini attorno a lei. Una parola facile e veloce da scriverle addosso. Questo era ciò che meritava per aver osato essere più di quanto si fossero aspettati da lei.

Lentamente, tese la mano e si avvicinò all'animale. Dapprima lo sfiorò con le punte dei polpastrelli, poi fece aderire il palmo in mezzo ai suoi occhi. Le squame fremevano, calde. Il respiro della bestia si acquietò.

«Buona» mormorò Eve, accovacciandosi per ritrovarsi al suo stesso livello. Con l'altra mano le percorse il collo in una carezza. «Nessuno ti farà del male.»

Le dita si immersero in qualcosa di umido e dalla consistenza collosa che sgocciolava da sotto l'angolo della mandibola. In quel punto, le squame erano intrise di un icore che assomigliava al sangue.

Eve richiamò l'attenzione di suo marito. «È ferita.»

«Dove?»

Indicò lo squarcio che percorreva il collo della bestia, risalendo fino all'attaccatura dell'ala. Kytos le si inginocchiò a fianco per esaminarne l'entità del danno. Il suo odore di pelliccia bagnata, cuoio e ferro rovente la avvolse. La complicità di quella vicinanza improvvisa la fece arrossire.

«Arma da taglio di media lunghezza, a giudicare dalla profondità» dedusse lui.

«Credi che...?»

«Le viverne sono piccole, ma tenaci. Resisterà.»

Eve emise un sospiro di sollievo.

«Devono averla colpita. Nessuna di loro aveva mai attaccato finora. Sono sicuro che sia stata provocata.»

«Chiederò a Theo di darle un'occhiata. Non sarà un esperto di viverne, ma sa occuparsi dei rettili.»

«Grazie.» L'Ammazzalupi sfuggì al contatto visivo che Eve si stava sforzando di intrecciare, deviando il proprio verso l'uomo dai capelli color grano e la lunga pelliccia d'argento che si stava avvicinando. Intanto, i soldati avevano infranto i ranghi e si stavano tenendo a debita
distanza.

Eve notò suo padre intento a confabulare con alcuni ufficiali, prima di allontanarsi. Rivolse lo sguardo a suo fratello. «Beath. Cos'è successo?»
Beathan scosse la testa. «Deve essersi allontanata dal branco. Forse era impaurita. Alcuni soldati hanno iniziato a infastidirla con le spade per cercare di buttarla fuori dall'accampamento, ma si è innervosita. Il resto lo sapete.»

«D'accordo. Puoi portarla da Theo?»

«Tutto, pur di non sorbirmi un'altra Epopea Dell'Uccello di Hotys. L'ho già chiamato. Se ne occuperà lui.» Beathan sogghignò. «Andate a riposare, voi due.»

Kytos si issò in piedi e infilò la bastarda nella fodera. «Non c'è tempo per riposare. Devo...»

«Devi piantarla di fare lo stronzo tenebroso e stare un po' da solo con mia sorella. Ti sta guardando come un tortino alle mele dopo una
settimana di digiuno.»

Eve avvampò fino alla radice dei capelli e gli assestò un pugno contro la spalla. «Vedi di starne fuori.»

Beathan rise, massaggiandosi la zona offesa. «Che vuoi? Il tuo uomo non afferra, qualcuno dovrà pur dargli una svegliata.»

«Giuro che ti strozzo» sibilò lei, rifuggendo qualunque tentativo di contatto con il servo di Ecubash.

«Se vuoi continuare a lanciargli segnali e sguardi languidi, auguri.»

«Me la paghi. Ricordatelo, Beath...», ma Eve non riuscì a terminare la frase: Kytos la prese per mano e la trascinò lontano dal campo.

⚜️

L'interno della tenda del re di Gardros odorava di legna riarsa. I fuochi si dibattevano stanchi nei caldani di terracotta, allungando ombre sulle pareti. Il pavimento era ricoperto di pellicce d'orso che frusciarono sotto i loro passi. Eve esaminò il baldacchino che era stato montato dopo la zona dell'anticamera, sopraelevato su un palchetto di legno. Immaginò Kytos che acconsentiva di malavoglia a quell'unico lusso, prediligendo l'essenziale nel resto dell'abitazione.

Sul tavolinetto di fianco al materasso si ergeva una brocca colma di vino, ma stavolta suo marito non gliene offrì. Non ne ebbero bisogno, a differenza della loro prima notte.

L'Ammazzalupi le slacciò la mantella senza troppi complimenti. La bava di gelo che spirava dall'ingresso le fece tremare le clavicole, e d'istinto Eve si cinse il ventre con le braccia.

Lui le attorcigliò fra le dita una ciocca di quel nero artificiale. Piccole chiazze blu le costellavano il collo. Il disagio la assalì quando realizzò quanto antiestetico dovesse apparire lo stacco tra la capigliatura e il colore della sua carnagione, ma Kytos la obbligò a sollevare il mento e uccise ogni insicurezza rubandole un bacio. Stavolta fu lento e profondo, e si prese il suo tempo. Non c'erano occhi indiscreti a osservarli, non si udivano le opinioni dei suoi fratelli né delle baronie dell'Espen. Solo le mani di lui che sfilavano con impazienza la stoffa e strappavano via il corpetto, sforzandosi di non farlo a brandelli.

Eve iniziò a sentire caldo. Il bruciore delle fiamme le faceva formicolare la pelle, il tepore dell'eccitazione le scaldava il basso ventre. Toccò i contorni del blasone sbalzato sul petto di Kytos, e solo a quel punto i loro volti si allontanarono. Lui la guidò nello sfilare l'armatura, pezzo dopo pezzo, legaccio dopo legaccio. Fu un'operazione lunga, che entrambi odiarono.

«Devi essere sempre pronto alla guerra, mh?» sussurrò lei, quando anche l'ultima componente cadde a terra.

«Adesso non voglio essere pronto a nulla.»

L'impatto fra i loro corpi produsse un rumore secco. Il fiato le si spezzò in gola, prima di essere intrappolato nuovamente dal contatto fra le loro bocche. Eve si sentì afferrare per i fianchi. Reagì d'istinto, dandosi lo slancio necessario per balzare in braccio a suo marito e allacciargli le gambe attorno al busto.

Kytos le carezzò le cosce, facendola tremare, e i polpastrelli percorsero la scia di piccoli lividi che si era procurata durante il viaggio. A
specchio, lei seguì costellazioni di cicatrici che affioravano dall'epidermide tesa sopra i muscoli. Si strusciò contro di lui, producendo un basso gemito che fece tendere ogni fibra di suo marito.

Kytos sedette sul bordo del letto e le sue mani la scaldarono, premendo e scivolando lungo la schiena. Le labbra scesero a sfiorarle il collo e le clavicole, e il petto di Eve si sollevò d'istinto per offrirgli il seno. Kytos vi sprofondò il volto, e le dita della ragazza si infilarono tra i suoi capelli scurissimi. I fianchi seguitarono a muoversi fin quando il calore non divenne insopportabile: a quel punto, lo fece immergere in lei. Gli sollevò il volto, guardandolo da vicino. Poggiò la fronte contro la sua.

Vampate di bollori le risalirono lungo le terminazioni nervose, mentre il corpo si muoveva sinuoso su quello dell'uomo che aveva sognato ogni notte da quando era partito. Poggiò la fronte sulla sua, inspirandone l'odore. Di pelliccia bagnata, cuoio e ferro rovente.

Credo...

Kytos poggiò la mano contro la sua guancia, ed Eve la sfregò addosso al palmo percependone ogni callo, ogni ferita inferta. La guardava come se ogni nebbia si fosse diradata dalle sue pupille e non vi fosse più alcun nemico da combattere. E anche se fu l'illusione di un momento, Eve volle crederci.

Credo di amarti. Non mi importa se per te non è lo stesso.

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