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⚜️ La scalata

«È una pessima idea» bisbigliò Eve nella notte. Le dita guantate strinsero le briglie del destriero e lo sguardo rimase puntato sul profilo dell'accampamento. Il silenzio del bosco pesava sulle spalle dell'Ammazzalupi e dei pochi soldati gardrosiani che li avevano raggiunti laddove si erano dati appuntamento. «Vasilis è l'ultima persona che meriterebbe una seconda occasione. Non capisco lo scopo di tutto questo.»

Kytos raddrizzò la schiena sulla cavalcatura. «Se i tuoi fratelli fossero accusati di alto tradimento, non indagheresti fino a prova contraria?»

«Naturalmente.»

«Allora non c'è altro di cui discutere.» Il servo di Ecubash percepì lo sguardo di sua moglie sfiorargli il profilo, ma non ricambiò. Attesero tra le ombre della foresta che, gruppo dopo gruppo, quella scompaginata compagnia andasse a formarsi. Vasilis venne scortato da Beathan e Kalev, poi arrivarono il resto dei Vallevento, Lysandros e alcuni fra i faeranniani più fidati. Il Re di Gardros esaminò i loro volti. «Bene, ci siamo tutti.»

«Già. Non vedevamo l'ora di infrangere qualunque protocollo possibile» esultò Hotys, piantando un pugno contro la spalla di Kalev.

Quest'ultimo gli rifilò un'occhiata scontrosa e scrollò l'arto, neanche suo fratello lo avesse contagiato con la sua stupidità. «Dunque, io e Theo abbiamo perlustrato l'area» espose con la solita professionalità. «Procedendo verso ovest, c'è un piccolo valico da superare: oltre, una stradina che va verso l'alto, troppo stretta e accidentata perché possa essere percorsa con i cavalli. Da lì, dovremo procedere a piedi.»

Kytos annuì. «Molto bene. Lysandros, tu ed Eve guardatevi le spalle.»

«Ricevuto» assentì il cavaliere.

«Io e Vasilis apriremo la colonna.»

Il principe di Gardros emise una risata sibilante. «Mi raccomando, cercate di non farmi scappare. Sarebbe un bel problema se tornaste all'accampamento senza il prigioniero. Non che vi aspetti un'accoglienza colma di onori, dopo questo colpo di testa.»

«Basta così.» L'Ammazzalupi tirò le redini e la cavalcatura compì inversione di rotta. «Andiamo, prima che si accorgano della nostra
assenza.»

Galopparono rasente al Dorso, senza parlare: ad accompagnarli, solo il rumore degli zoccoli che tamponavano la neve indurita, spezzandola all'impatto. Una scia di mantelli neri frusciava nel vento, accompagnata dal tintinnio delle armi. Eve si immerse nel gelo, il medesimo che le bruciava dentro e la cullava nel suo misterioso abbraccio.

Un nastro di aurora verde splendeva tra le stelle, guidandoli verso la follia: Gardros sprovvista della sua guida, Vallevento dei suoi eredi, il traditore a briglia sciolta, la strega a mormorare i suoi miasmatici consigli.

Deglutì, sforzandosi di accantonare i pensieri. Il manipolo si fermò dove il Dorso si schiudeva in una strettoia che si inerpicava tortuosamente fra i ghiacci. Lasciarono i cavalli liberi di tornare indietro: legarli sarebbe stato inutile, nessuno sapeva quanto tempo avrebbero impiegato per portare a termine la spedizione e farli morire di freddo e di fame sarebbe stato oltremodo crudele.

«Sono addestrati» osservò Kalev. «Troveranno la strada. Che sospettino il nostro allontanamento è questione di poco.»

Si infilarono nella strettoia e dovettero procedere in fila indiana per potersi muovere. Eve benedisse il momento in cui aveva scelto di indossare degli stivali rinforzati: la strada si fece via via più accidentata e massi irregolari iniziarono a spuntare dal terreno e dalle pareti a cui si ancorò con le dita per mantenere l'equilibrio. Quell'ora di camminata le incendiò i muscoli per la fatica. Quando la colonna si arrestò, rischiò di andare a sbattere contro la schiena di Kytos.

«Scusa» brontolò. «Perché ci siamo fermati?»

Tra il buio e la mole imponente di suo marito a pochi centimetri dal naso, ammettere di non vedere granché le suonò imbarazzante. Kytos le rivolse uno sguardo da sopra la spalla e avvertì lo stomaco stringersi. Deglutì. «Sì?»

«Come te la cavi ad arrampicarti?»

Eve sbatté le palpebre, ma ciò che intravide oltre la stazza dell'Ammazzalupi non le piacque affatto. La strada si interrompeva in una barriera di roccia e ghiaccio che si innalzava in modo così netto da obbligarla a reclinare il capo per scorgere la cima.

«Oh...»

«... cazzo» concluse Hotys, poco più giù. «Ehi, fratello, credo che tu abbia omesso l'insignificante dettaglio relativo a quella parete di duecento metri lì.»

«Non ci siamo spinti fin quaggiù» replicò Kalev. «Ma immaginavo che sarebbe successo. C'è un motivo se ritengono il Dorso quasi impossibile da valicare.»

«Lo sanno tutti» soggiunse Theo.

«Ma tutti chi?!» sbottò Hotys.

«Tranquilli, siamo attrezzati» tagliò corto Kytos, sfilando la sacca. «Gardros ha... già tentato di esplorare queste zone.»

Eve colse l'esitazione nel tono del Re. Immaginò che avesse ripensato a Maia la Valorosa, ma scelse il silenzio. La sabbia nella clessidra scorreva impetuosa e il tempo per le questioni irrisolte non c'era. Kytos srotolò una lunga corda e la face scorrere fra i presenti, mostrando loro in che modo realizzare l'imbragatura. Poi fece girare dei grossi anelli di metallo dotati di uno spuntone. Eve li esaminò con un groppo in gola, in attesa di istruzioni.

Osservò suo marito spingere la propaggine di metallo nello strato di ghiaccio e, da lì, ebbe inizio.

⚜️

Raffiche di vento colpirono il fianco del Dorso. La neve della valle, sfibrata dalle correnti gelide, le tagliava la pelle degli zigomi e delle dita strette attorno al pugnale, unica leva a permetterle di issarsi verso il loro fine ultimo. Nell'oscurità e nella foschia non riusciva a distinguere il punto di arrivo, né la strada percorsa.

«Non guardate giù» le aveva suggerito Lysandros, e le era sembrata un'ottima idea.

Adesso, a distanza di ore che aveva smesso di contare, i dialoghi si erano spenti nel gelo, nella fatica e nelle vertigini. Eve cercò di ignorare le mani scorticate, le unghie spezzate, il sangue che le bagnava le dita. Pugnalò la parete del Dorso ancora e ancora, guadagnando ogni centimetro con il sudore della fronte.

Nelle valli ventose di Fearann Sìthe aveva sperimentato l'adrenalina e la paura delle arrampicate, ma ciò che stavano affrontando era di tutt'altra risma: il muro naturale si infossava e sporgeva con andamento irregolare, la roccia coperta dal ghiaccio indurito risultava scivolosa e i punti in cui incastonare il pugnale si facevano via via più rari. Lo strato di ghiaccio si spezzò ancora e la ragazza imprecò.

«Ce la fai?» le domandò Kytos, dall'alto.

«Sì.»

«Aiutati con i tuoi poteri per creare appigli» suggerì suo marito.

Eve scosse la testa. «Ce la faccio. Preferisco risparmiare le energie.»

«Merda...!» sbottò Hotys, e un attimo dopo il cordame tirò l'intera fila verso il basso.

Eve sussultò, appiattendosi contro la parete. Il trambusto proveniente dai piani inferiori della colonna la spinse ad abbassare lentamente lo sguardo: suo fratello penzolava nel vuoto, aggrappato alla gomena bloccata dall'anello che sporgeva dalla parete. Un vuoto opprimente, che prese a vorticarle attorno e alimentare le palpitazioni che rumoreggiavano contro lo sterno. Chiuse gli occhi, inspirando a fondo. «Hotys! Tutto bene?»

«Che arrivassimo tutti con le chiappe al sicuro lassù suonava un po' troppo ottimista, no?» ringhiò suo fratello, trincerandosi dietro la solita muraglia di feroce sarcasmo.

«Per una volta sono d'accordo» commentò Vasilis.

«Taci, tu!» lo rimbrottarono i Vallevento in coro.

Oltre la linea dell'orizzonte si affacciò il volto del Demone di Fuoco e la luce dell'alba irradiò la valle. Hotys oscillò verso il muro, aggrappandosi a fatica al primo spuntone disponibile. Ansimò, bestemmiando i Dieci. «Ci sono, ci sono. Adesso potete piantarla di fissarmi come fissavate la prozia Greer in punto di morte.»

Eve fece per insultarlo, quando un ruggito lontano riecheggiò per la landa. Si immobilizzò, le palpebre spalancate, e osservò l'oceano di alberi nudi sotto di loro. «Lo avete sentito anche voi?»

La voce di Beathan esitò. «Kytos.»

«Sì.»

«Sono loro.»

Eve non comprese, non subito, ma il tono di Beathan le indusse un pessimo presentimento.

«Ancora quei draghi» mugugnò suo marito.

Draghi?!

«Diamoci una mossa!» ruggì il maggiore dei Vallevento, un attimo prima che un sisma scuotesse la parete. Eve si scansò appena in tempo per evitare una pioggia di pietruzze. «Sta venendo giù un'altra ondata.»

«Che fortuna» brontolò Hotys.

Una scarica di bestemmie attraversò il gruppo. L'adrenalina e la paura le fornirono l'impulso necessario a proseguire l'arrampicata. Non poté fare a meno di pensare che, quantomeno, la seconda discesa dei giganti avrebbe tenuto occupati gli eserciti dell'Espen, distogliendoli dalla ricerca dei gardrosiani e dei discendenti dei Vallevento. Un altro ruggito squarciò l'aria, stavolta più vicino. Diverse miglia più giù, una fiumana di creature scivolò nella valle di neve e travolse la torma di uomini accorsi dall'accampamento. Una pletora di formiche senza voce: il panico e la foga della battaglia le suonarono incredibilmente distanti.

Poi, una forza devastante si abbatté addosso al gruppo di scalatori. Eve gridò, perdendo la presa sulle lame. Batté la testa e la vista le si annebbiò per un paio di secondi. Quando rinvenne si accorse del rivolo di sangue che le scendeva lungo tempia, mentre il mondo attorno a lei era stranamente sfocato. Oscillò nel vuoto, intontita, e distinse un paio di gardrosiani precipitare tra le nebbie.

Alzò lo sguardo: una creatura immensa, dalle scaglie d'argento e ghiaccio che spuntavano in crinali frastagliati lungo la spina dorsale, era aggrappata alla parete di roccia.

Non l'aveva visto arrivare.

I colori avevano permesso all'essere di mimetizzarsi contro la montagna. Aveva le sembianze di un geco alato e i bulbi oculari, piccole cupole color sangue chiuse tra palpebre mobili, percorrevano i lati del cranio e del corpo. La stavano osservando.

Si metteva male.

Il drago aprì le fauci e la lingua vischiosa saettò verso di lei, incollandosi al suo braccio. Eve scalciò, scagliando raffiche di lame ghiacciate alla cieca. La forza della trazione la tirò verso la bocca della creatura, irta di piccole zanne.

«Eve!» gridò Kytos.

Con la coda dell'occhio lo vide agitarsi per tentare di raggiungerla, mentre Lysandros faceva lo stesso. Eve lacrimò per la fatica mentre tentava di opporre resistenza alla presa. Concentrò l'energia magica sul palmo, ma il flusso di ghiaccio fece cilecca, annichilito dalla confusione e dalla mancanza di energie.

La lingua del rettile si scurì di colpo ed Eve trattenne il fiato, sgranando gli occhi: la vide sciogliersi in una colata di pece nera, tra gli stridii affatto contenti della creatura.

Era libera.

Sollevò di scatto lo sguardo: Vasilis, diversi metri più su, aveva il braccio teso in direzione del mostro, le dita arcuate e uno dei suoi sorrisi poco raccomandabili tutto per lei. «Non c'è di che.»

Eve non poté fare a meno di domandarsi cosa ci avesse guadagnato nell'aiutarla, ma quando il principe ritrasse il braccio comprese che non si sarebbe prodigato oltre. Forse aveva le capacità per fermare la creatura attingendo al sapere dei Formulari Neri, forse no: difficile dirlo, non avendo mai assistito alla dimostrazione del potere che Alpyos si era tanto preoccupato di nascondere.

I movimenti della corda le suggerirono che qualcuno, approfittando del delirio nervoso della creatura, l'avesse raggiunta. Lysandros a destra, Beathan a sinistra, tra lei e il mostro: «Sta' in guardia, sorellina».

«Cosa diavolo pensi di fare?» boccheggiò Eve. «Vieni via di lì!»

Ma suo fratello sguainò il pugnale, strinse la lama fra i denti e strisciò lungo la parete in direzione della bestia.

«Beath» strillò lei. «Beath!»

Portatosi a distanza d'ingaggio, Beathan sfilò l'arma dalla bocca e vibrò un colpo contro il capo del mostro. Una sventagliata di sangue gli imbrattò il volto e i vestiti. Ruggì insulti, roteando il polso e facendo sibilare l'aria contro l'acciaio, e piantò un altro affondo nell'occhio, stavolta. Il movimento era stato così violento che la lama doveva aver raggiunto il cervello.

Era fatta. Era morto.

O quasi.

Il drago assestò un colpo di coda così forte contro il muro che il rumore di tutte le ossa che si frantumavano all'unisono le trafisse le orecchie.

Eve non reagì subito. Rimase immobile, la bocca distorta in un grido muto.

L'erede di Fearann Sìthe giaceva lì, schiacciato contro la parete del dorso in una raggiera di schizzi di sangue, come una zanzara insignificante. Solo il braccio che reggeva l'arma sporgeva da quella poltiglia di carne. Le dita allentarono la presa sul pugnale, che precipitò nel nulla sotto di loro. Lontano, la battaglia imperversava. Attorno a lei, gli uomini della compagnia gridavano da un universo a cui Eve non apparteneva più.

Il corpo di suo fratello era inerte.

Rotto.

Distrutto.

Beath.

Esplose con la forza di una stella nascente. L'urlo di Eve sventrò la tempesta, ergendosi sopra ogni incrocio di lama, ogni vita che si stava spegnendo tra le mani dei giganti discesi dal crinale. Sopra gli ordini di suo padre e l'incapacità di guardare oltre. Spade di ghiaccio scattarono dal muro, infilzando e dilaniando il corpo del drago – ogni cellula, ogni infame scaglia. Lo massacrò con la forza del suo dolore e gliene inferse quanto più poté, tranciando le vene, spaccando le ossa, anche quando del mostro non rimase che un ammasso di terminazioni nervose e cascate di sangue contro le lame generate dalla strega, dalla Dama Pallida.

Quando ebbe finito, il cuore che le esplodeva nel petto e il volto ridotto a una maschera di lacrime, ciò che rimaneva del drago e di Beathan si staccò dalla parete di roccia e cadde nel nulla.

Divorato dalle nebbie.

Aveva avuto la sua vendetta, ma questo non le avrebbe restituito suo fratello.

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