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Yavin 4

Yavin 4
Passato

«Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana...»

-Blu cinque a Rosso due. Nessun movimento rilevato. La Base è sicura. Rapporto, Rosso due. Passo-comunicò il pilota John Watson nel comlink, facendosi faticosamente largo tra la fitta vegetazione, gli occhi blu vigili e attenti.
-Ricevuto, Blu cinque. Anche qui nulla di anomalo-gracchiò il comunicatore in risposta.-A parte una strana scimmia che mi ha lanciato contro una noce di cocco... quella vale?
John soffocò un ghigno, spostando con la mano l'ennesima frasca.
-Aveva la divisa imperiale?-domandò, falsamente serio.
Seguí una piccola pausa: dall'altra parte Mike Stamford, suo amico e pilota dell'Alleanza Ribelle, sembrò davvero riflettere sulla domanda.
-... Mmm... no, non mi pareva-replicò alla fine, ridendo.
-Allora tutto a posto-sentenziò l'altro, divertito, riassumendo però, subito dopo, un tono serio.-Torniamo alla base e facciamo rapporto.
-Non vedo l'ora.-Il pilota sentì chiaramente nel comlink l'amico sospirare di sollievo.-Ho proprio bisogno di una doccia. Il caldo in questa giungla è insopportabile!
John si limitò ad un grugnito di assenso; era vero, la quarta luna del pianeta di Yavin-dove avevano insediato la base ribelle-in effetti, non era un particolarmente adatta per essere abitata: era però il satellite più ospitale disponibile, abbastanza lontano dalla regioni colonizzate della galassia e di conseguenza dall'Impero. Anche se di tanto in tanto compivano comunque ricognizioni come quella, per assicurarsene.

Personalmente, preferiva cento volte il caldo umido di quel satellite, a quello soffocante di Tatooine.
Scosse la testa, cercando di allontanare, per l'ennesima volta, quei ricordi; lo tormentavano già abbastanza di notte: non aveva bisogno che lo facessero anche durante il giorno.
Scostandosi i corti capelli biondi madidi di sudore dalla fronte, ripercorse la strada a ritroso e con passo rapido, diretto alla Base, che era in realtà un antico tempio di pietra abbandonato da secoli, costruito probabilmente da antichissime popolazioni indigene: ma i Ribelli avevano rivestito i blocchi di roccia di plastiacciaio e scavato delle gallerie sotterranee per ospitare hangar e turboascensori.
Questo era la Ribellione: nascondersi.
E stare all'erta. Costantemente.
Perché anche un satellite inospitale come quello poteva essere individuato. E se mai fosse avvenuto, l'intera Ribellione sarebbe stata annientata, e la galassia intera sarebbe finita sotto il totale giogo dell'Impero.
John si ritrovò a rabbrividire, al pensiero del terribile Imperatore-o meglio, quel maledetto despota-James Moriarty.

La Ribellione era astuta, ma l'Imperatore lo era ancora di più: la sua astuzia era pari solo alla malvagità con cui governava la Galassia e tutti i suoi Sistemi.
E il suo luogotenente, Darth Wind, era ancora peggio: era un Sith, e non uno qualunque, bensì uno dei più potenti e crudeli mai esistiti, addestrato al Lato Oscuro della Forza dallo stesso Moriarty.
La Forza... rifletté John, assorto. Innumerevoli leggende erano sorte intorno ad essa; ma, di certo, si sapeva che era una sorta di campo energetico, invisibile e intangibile, che metteva in connessione tutte le cose viventi, e che dava ai Cavalieri Jedi- gli unici individui, a quanto si diceva, in grado di attingere potere da esso- una grande potenza e abilità: gli permetteva di spostare gli oggetti con la mente, li dotava di riflessi straordinari, e persino di un certo livello di preveggenza.
Essi, però, facevano uso delle loro conoscenze e abilità solo per il Bene.
Erano stati i primi, infatti, contro cui l'Imperatore- acclarato signore dei Sith: figure leggendarie e celebri quanto i Jedi, ma oscure e crudeli- e il suo secondo avevano scatenato la loro ira, avvalendosi della potenza del Lato Oscuro della Forza.
Entrambi ora operavano per schiacciare la Ribellione con ogni mezzo, essendo l'unico reale ostacolo al loro dominio incontrastato.

Voci dicevano che stessero progettando un'arma di devastante potenza: ma ancora nessuna notizia certa era trapelata.
Se fosse stato vero...
Lo schiocco di un ramo secco dietro di lui lo fece trasalire: rapido, si voltò, la pistola blaster in pugno, pronto a sparare.
-Ehi Ehi calma amico! Sono io!!-Stamford alzò le mani in segno di resa.
-Dannazione, Mike, stavo per spararti! Ma che ti dice il cervello??-ringhiò John, abbassando l'arma con un sospiro.
-Scusa, hai ragione, avrei dovuto trasmetterti la mia esatta posizione-ribattè Mike, mortificato. I suoi occhi nocciola perlustrarono nuovamente la zona. Il caldo aveva appiccicato anche i suoi, di capelli, ma  leggermente ricci, e castano chiaro.- Ma non pensavo fossi arrivato già sin qui. Sei molto più veloce di me a passare in mezzo a questa dannata giungla!
Il biondo ridacchiò, suo malgrado, mentre sentiva la tensione scivolargli via, anche se le mani accusarono un lieve tremito mentre rinfoderava il blaster.
-Comunque, ottimi riflessi, come sempre-si complimentò Mike sorridendo e dandogli una pacca sulle spalle, mentre procedevano spediti verso la Base.-Ci credo che il Maggiore Sholto ti ha fatto unire a noi!

John trattenne a stento un triste sorriso: Mike era uno dei suoi migliori amici-uno dei primi con cui si era trovato in sintonia da quando era entrato a far parte della Ribellione, dieci anni prima-ma non conosceva nulla del suo passato.
Chi era veramente. O ciò che davvero l'aveva condotto a far parte di loro.
Ma ancora non se la sentiva di metterlo a parte di quel segreto, di cui solo due persone erano al corrente.
Era una parte della sua vita che cercava di seppellire il più possibile: ma, per quanto ci provasse, i ricordi non lo abbandonavano mai. Non del tutto.
Forse avrebbe dovuto sfogarsi, liberarsi da quel peso: ma qualcosa, dentro di sé, gli diceva che non era ancora il momento.

Forse un giorno te lo racconterò, Mike... pensò, mentre camminavano fianco a fianco verso la struttura.
Forse un giorno...

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Una volta varcata la soglia del tempio, vennero entrambi assaliti dall'atmosfera fervente di attività dei piloti e dei droidi.
John si guardò stancamente intorno, stroppiacciandosi il volto: anche lui aveva decisamente bisogno di una bella doccia, dopo quella lunga giornata di esplorazione; e forse anche di mettere qualcosa sotto i denti.
Ma prima che lui Mike potessero dirigersi nell'area dei dormitori, una voce li richiamò: o meglio, chiamò solo lui.
-John! John!!
Il ribelle si voltò insieme a Mike, e vide arrivare una donna sulla trentina, il viso dai lineamenti fini, i capelli castano chiaro legati in una coda: era Sarah, una delle addette all'infermeria, che conosceva bene, avendoci lavorato fianco a fianco per un breve periodo come medico per la Ribellione: purtroppo, con la guerra in corso, i feriti non mancavano.
-Per fortuna sei tornato! -esclamò questa, trafelata, non appena l'ebbe raggiunto.-Il capo vuole vederti! È urgente!
Il pilota aggrottò la fronte, controllando il comunicatore.
-Strano... il Maggiore Sholto non mi ha assolutamente contattato. E poi, sarei comunque andato a fare rapporto...
Ma Sarah scosse freneticamente la testa in segno di diniego, con tale veemenza da far leggermente ondeggiare la coda di cavallo.
-No no John, non hai capito. Intendo il capo-enfatizzò.-Ti aspetta nel suo ufficio.
Il biondo sgranò gli occhi, incredulo: perché mai Mycroft Holmes, il capo della Ribellione, avrebbe dovuto convocarlo con così tanta urgenza?
E, soprattutto, perché proprio lui?

Rivolse uno sguardo a Mike che, per tutta risposta, si strinse nelle spalle: a quanto pareva, neanche lui ne conosceva la ragione.
L'unico modo per scoprirlo era rispondere alla convocazione, e anche in fretta: Mycroft Holmes era famoso per molte cose-la sua inflessibilità nell'addestrare le reclute, la sua bravura con il blaster, la sua abilità come pilota-ma non per la sua pazienza.
Fece perciò rapidamente un cenno di saluto a Mike e all'infermiera, e si diresse a passo svelto verso l'ufficio del capo della Ribellione, continuando però a domandarsi il perché, e provando una sorta di nervosismo.

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