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Vatican Cameos!

-Come va la vista?
-... Un po' meglio-replicò Sherlock all'amico, contraendo le labbra in una smorfia: il palo a cui era legato premeva dolorosamente sulla sua schiena e, per quanto ci avesse provato, le manette intorno ai suoi polsi non avevano alcuna intenzione di rompersi: era solo riuscito a graffiarsi più volte la pelle nel tentativo di liberarsene.-Ora vedo delle sagome sfocate immerse in una macchia bianca. Però sono colorate. È già qualcosa.
John, legato ad un altro palo a pochi centimetri dal suo-al punto che le loro mani si sfioravano- emise uno sbuffo simile ad una risatina.
-Per la macchia bianca non mi preoccuperei. Tanto non c'è molto da vedere. Sabbia... sabbia... Oh! Guarda! Sabbia...
All'improvviso, rise piano.
Il corvino, con una smorfia, voltò la testa verso di lui, per quanto possibile. Fu solo per istinto, dato che non avrebbe comunque potuto vederlo.
-Posso sapere che cosa ti fa tanto ridere?? La situazione mi sembra tutt'altro che comica!-sibilò.
Ma il biondo continuò a ridere sommessamente, incapace di trattenersi. Poi, di colpo, smise.
-Nulla... è solo che... è paradossale-ammisse infine.
-‎Potresti essere più chiaro??
John si lasciò sfuggire un piccolo sospiro, lo sguardo di nuovo a vagare sulle dune sabbiose che passavano rapide davanti ai suoi occhi, tornando cupo.
-Ho sempre odiato questo maledetto pianeta. Il caldo insopportabile. La sabbia. Non sai quante volte ho marciato con indosso quella dannata tuta da Assaltatore in mezzo a questo schifoso deserto. Non ho ricordi del mio pianeta d'origine. Quindi, in pratica, sono nato e vissuto qui.
-... E ora ci morirai. Comodo, eh?-gli ricordò Sherlock, con amaro sarcasmo.-Anzi, ci
moriremo. Entrambi.
Il biondo però non replicò, immerso com'era in quel discorso, nei ricordi e nelle sensazioni che esso faceva riaffiorare con prepotenza.
-Ho ucciso più ribelli di quanti potrei mai contare. Ho contribuito a distruggere le loro case. Incendiato villaggi interi. Tutto in nome di un despota a cui mi avevano obbligato a giurare fedeltà. L'Impero prima mi ha tolto la mia famiglia, poi si è preso la mia vita. Mi ha reso un assassino. Per molto tempo mi ha privato addirittura della mia stessa umanità. Non ero più nemmeno un essere umano.
La voce dell'ex pilota imperiale, dapprima bassa e assorta, si fece rotta, gravida di dolore: Sherlock avvertì un leggero tremito scuotergli per un attimo le mani.
-Eppure, per assurdo, è proprio qui che è cambiato tutto. Ho conosciuto Molly. Ho incontrato il Maggiore Sholto. E la mia vita è stata completamente stravolta. Ma in ogni caso speravo di non metterci mai più piede. Mai più. Adesso invece ringrazio il cielo per averlo fatto. Perché è stato proprio qui, su questo desolato pianeta, in una taverna piena di criminali, che ho incontrato una persona che avrebbe, di nuovo, completamente stravolto la mia esistenza. Per ben due volte, aggiungerei-concluse il pilota ribelle, la voce stavolta carica di commozione.

Sherlock rimase a lungo in silenzio, e John provò un pizzico di vergogna per essersi lasciato andare a quel sentimentalismo. Di sicuro, l'amico l'avrebbe preso in giro come al sol...
D'improvviso sentì le dita dell'amico sfiorare le sue, e sorrise: Sherlock non era tipo da esprimere in suoi sentimenti a parole; ma, con quel gesto, aveva detto tutto.
Ma lui lo sorprese di nuovo.
-In realtà, John...-disse infatti, con nella voce serietà ma anche un calore nuovo e lui capì, anche se non poteva vederlo, che stava sorridendo-credo sia avvenuto il contrario.
Un altro sorriso solcò il volto del pilota, che rispose a quel tocco, unendo per un attimo le dita con quelle del riccio e traendo forza e coraggio da quel contatto e da quel gesto forse piccolo, ma più significativo di qualsiasi altro.
La conversazione tra i due amici si era svolta sottovoce-attenti che le guardie che li circondavano non potessero udirli-mentre il Dark Shark, il lussuoso galeone personale di Magnussen, procedeva a vele spiegate attraverso le lande desolate e desertiche di Tatooine, galleggiando di pochi metri al di sopra di esse.
Ma a bordo non vi erano solo guardie armate: il galeone si sviluppava su due livelli. Mentre loro, i prigionieri, erano legati a quel palo, in coperta, poco distante, tramite una rampa, si saliva al piano superiore, dove molti della corte di Magnussen erano intenti ad ubriacarsi e ingozzarsi di cibo: in pratica, continuando la festa iniziata nel salone di Appledore; ma, se possibile, in modo ancora più chiassoso. Altri, invece, osservavano fuori dalle grandi vetrate, in attesa dell'inizio della tanto attesa doppia esecuzione.
Magnussen, dal canto suo, sedeva in poltrona sopraelevata, su un'ampia terrazza esterna, così da poter godere dell'imminente spettacolo in prima fila, insieme a pochi eletti.

Alla sua sinistra infatti, Sebastian Moran, il volto sempre celato dal casco, stava a braccia conserte, osservando la corte sottostante dedita ai festeggiamenti, senza tuttavia prendervi parte: era troppo concentrato. Non voleva perdersi nemmeno un istante di quella esecuzione: consegnare Sherlock Holmes congelato nella grafite al suo capo era stato appagante-e alquanto remunerativo, questo era indubbio-ma sapere quel contrabbandiere ancora in "vita", aveva in parte attenuato quella soddisfazione. Avrebbe di gran lunga preferito consegnargli la sua testa... e nient'altro attaccato: ma lui aveva tanto insistito... Per questo si era strenuamente adoperato per trovare almeno John Watson-il suo "amichetto del cuore", sottolineò mentalmente con disprezzo-ma, sfortunatamente, in quei mesi passati, la fortuna non l'aveva assistito; d'altro canto, era servito per attirare la sua vittima in trappola.
E quel tale... Anderson... non aveva alcuna utilità per lui in tal senso, dato che era stato cacciato dall'Alleanza Ribelle. Doveva ammettere, però, che la sua soffiata sulla tentata fuga del contrabbandiere per mano di quel falso cacciatore di taglie era stata provvidenziale.
Nemmeno per un istante aveva contemplato l'ipotesi di consegnarlo nuovamente a Moriarty: si era già fatto irretire dalle sue profferte di collaborazione e lauta ricompensa, credendo che poi lui glielo avrebbe consegnato.
No. Non avrebbe commesso di nuovo lo stesso errore.
Aveva fatto bene, il giorno del suo incontro con l'Imperatore, a nascondersi nei pressi della piattaforma di Bespin. Se non l'avesse fatto, non avrebbe visto Holmes sopravvivere alla caduta. Purtroppo, trovarlo dopo non era stato così facile. La nave che l'aveva tratto in salvo aveva fatto subito il salto nell'iperspazio, impedendogli di seguirlo. Ma lui non si era arreso.
La sua preda era viva, e tanto bastava. Non avrebbe smesso di dargli la caccia finché non l'avesse preso in trappola. E così era stato.
Se avesse saputo che gli sarebbe bastato solo bluffare, minacciando i suoi amici, l'avrebbe fatto molto prima... La sua caccia era infatti stata lunga ed estenuante. La sua preda era stata astuta, e cauta, seppur non sapesse neppure d'essere braccata proprio da lui. Credeva d'aver ingannato tutti. Ma non lui.
I suoi sforzi erano stati finalmente ripagati. Mancava solo l'epilogo perfetto.
Un sorriso compiaciuto sfiorò le sue labbra, mentre guardava i due prigionieri legati a piano inferiore: vederli finalmente morire entrambi sarebbe stato tremendamente appagante.

Alla destra di Magnussen stava la senatrice Hooper, seduta su un cuscino, in ginocchio, letteralmente ai suoi piedi, con i polsi ammanettati. Il criminale aveva lo sguardo perso in lontananza, ma le passava distrattamente le dita sul nudo avambraccio fino al polso, con deliberata lentezza: il suo tocco era umido e disgustoso.
-... Lo sa? È la prima volta che ho una senatrice, tra le mie concubine-le bisbigliò d'improvviso all'orecchio,
baciandole piano la spalla, indugiando con le labbra sulla pelle. Molly non riuscì a reprimere un brivido e un leggero sussulto.-Ho idea che ci divertiremo molto, io e lei...
La ragazza chiuse gli occhi, traendo intimamente un lento e profondo respiro, le labbra serrate.
Cercando con tutta se stessa di distrarsi, volse lo sguardo al di sotto della terrazza, dove il suo migliore amico e l'uomo che amava-le due persone per lei più importanti al mondo-erano legate, circondate da guardie e in procinto di essere dati in pasto a un mostro delle sabbie.
Un brivido di ansia e paura le attraversò il cuore e la fece rabbrividire nuovamente, stavolta non per disgusto ma per la paura e l'angoscia.
Ma poi scorse tra le guardie il generale Lestrade-la parte inferiore del volto coperta da una maschera di zanne-e, poco distante, Anderson, unito a un gruppo della corte, che fingeva di ubriacarsi come tutti gli altri, dunque si tranquillizzò, pervasa dal sollievo.
Non era sola.
Lestrade, che aveva avvertito il suo sguardo, alzò appena il capo e le fece una leggera strizzatina d'occhio, alzando poi la mano in un gesto rapido ma per lei più che eloquente.
Cinque minuti.
Lei ricambiò l'occhiolino, ancor più sollevata, mentre un rapido sorriso vendicativo sfiorava le sue labbra, nonostante le continue carezze di quell'uomo disgustoso.
Magnussen non sapeva proprio cosa l'aspettava: quel rifiuto galattico si sarebbe presto pentito di essersi messo contro di loro, questo poco ma sicuro.

Intanto, nella cabina principale, la gazzarra continuava, con musica assordante, schiamazzi e urla sguaiate: vari droidi andavano da una parte all'altra di essa, servendo agli ospiti boccali di Ardiis, liquore pangalattico e stuzzichini di dubbia origine.
Uno, in particolare, era il più solerte e il più efficiente tra essi, compiendo egregiamente e con rapidità il suo lavoro: era stato acquisito di recente, offerto in dono da un cacciatore di taglie, diventato poi una delle guardie armate di Magnussen. E svolgeva il suo ruolo di cameriere alla perfezione.
Ma in realtà, quel piccolo droide stava solo attendendo pazientemente il suo momento...

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-Dov'è Molly? La vedi? Sta bene, vero?-domandò Sherlock all'improvviso, la preoccupazione evidente nella voce.
-‎Sì, la vedo. Sta bene- lo rassicurò John, con un piccolo sorriso, e aguzzando la vista.-È vicina a Magnussen, sulla terrazza superiore. A sinistra c'è Moran, e...
D'improvviso, guardando meglio la senatrice, non riuscì a trattenere un fischio sommesso, ma di sicura ammirazione.
- ... Accidenti!
-‎Cosa?? Che c'è??-lo incalzò subito il corvino, irrigidendosi.
-‎Oh, niente. È solo che... è vestita in modo leggermente diverso, dall'ultima volta che l'ho vista.
-Che intendi dire??-Il contrabbandiere aggrottò la fronte, mentre John si lasciava sfuggire una piccola risata, venata da una sfumatura di imbarazzo.
-‎Lo scoprirai tu stesso non appena ti tornerà la vista.
-‎Sì, certo...-ribattè il corvino, sarcastico.-Oppure non vedrò proprio nulla, a parte lo stomaco di un...
-‎Sherlock!! Ricordi cosa ti ho chiesto, poco fa?-Il pilota, a differenza di poco prima, lo redarguì.-Fidati di noi!
Sentì l'amico sospirare.
-... Sì, John. Ricordo perfettamente ciò che mi hai chiesto. E ho detto che mi fido. Ma, sinceramente, non capisco cosa credete di poter fare. Anche se ancora non ci vedo, il mio udito funziona, e posso sentire perfettamente quante guardie armate ci sono solo qui sul ponte. Almeno una ventina, se non di più. Ci saranno poi quelle sottocoperta, sui ponti superiori e sulle terrazze. Tutte armate fino ai denti. Senza contare, poi, la corte di Magnussen: altri brutti ceffi, te lo garantisco, di sicuro armati pure loro. Quindi... Non saprei... Forse un centinaio di persone? E mi sono tenuto basso. Noi invece siamo in... quanti? Quattro? Cinque, contando Anderson, volendo proprio essere generosi...
Un sorriso fece capolino sul volto di John, mentre scuoteva la testa.
-Sherlock... hai mai sentito la famosa frase: "Al mio segnale, scatenate l'inferno."?
Lui aggrottò la fronte, confuso.
-... Mi pare di ricordarla... vagamente. Ma cosa c'entra, adesso??
Il biondo ridacchiò piano.
-Lo capirai. Molto presto.
-... Ti diverti proprio a fare il misterioso, eh?-grugnì l'altro, scocciato.
L'amico, per tutta risposta, rise di nuovo, mentre il suo sguardo vagava ancora per il deserto. Senza tristezza, stavolta, ma solo con determinazione.

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Il galeone rallentò, fino a fermarsi, rimanendo sospeso poco al di sopra della vasta distesa sabbiosa.
Poco distante da dove si era fermata, vi era una grande fossa: al centro di essa, si poteva già scorgere una chiostra di denti acuminati e grondanti bava verdastra; alcuni tentacoli sporgevano da essa, mentre un brontolio mostruoso echeggiava.
Il Sarlacc.
All'udirlo, sia John che Sherlock non riuscirono a reprimere un brivido.
Nella cabina, ormai, tutti avevano smesso di fare baldoria, ed erano in trepidante attesa, il naso premuto contro le vetrate, altri sulle terrazze più basse, altri ancora molto vicini ai prigionieri.
Magnussen sovrastava tutti loro, sulla terrazza principale, gli occhialini argentei appena illuminati da un raggio di sole, un sorrisino maligno sulle labbra: con una mano, intanto, seguitava a carezzare Molly, seguendo la curva del suo collo, mentre lei cercava, dentro di sé, tutta la forza e il coraggio di cui disponeva.
Il criminale galattico si alzò poi in piedi, affacciandosi alla balaustra.
-Sa, signor Holmes, ero indeciso su chi di voi due avrei fatto morire per primo...- declamò, con sadica soddisfazione, e la sua voce echeggiò nel silenzio del deserto, rotto solo dal rumore sommesso dei motori del galeone.-Ma poi, ho avuto l'illuminazione! Lei, mio caro, assisterà in prima fila alla morte del suo migliore amico, impotente, e con la consapevolezza che, se è qui, è solo e soltanto per colpa sua!
Sherlock digrignò i denti, mentre
la corte si lanciava in grida di approvazione e risate maligne: stava per offrirsi lui stesso al posto dell'amico-seppur consapevole che non facesse molta differenza, giunti a quel punto- ma questi gli strinse piano le dita, come poco prima, sussurrandogli un sommesso ma chiaro "No". Ovviamente aveva intuito la sua intenzione.
Suo malgrado, rimase in silenzio, mentre una guardia slegava il biondo dal tubo, conducendolo-ancora coi polsi ammanettati dietro la schiena- verso la passerella di legno in parte sospesa nel vuoto, dove la bocca del mostro era già spalancata e pronta ad accogliere la sua nuova vittima.
Ma prima di essere allontanato da Sherlock-che sentiva montare, la paura per la sorte di John, più che per la sua- era riuscito di nuovo a bisbigliargli qualcosa.
Solo due parole: "Tieniti pronto".

Il pilota ribelle, spinto dalla guardia che gli stringeva rudemente i polsi, avanzò un passo dopo l'altro verso la passerella, poi vi salì sopra: ma, una volta al centro, si fermò, voltandosi verso la terrazza.
-Magnussen! Ho un'ultima proposta, da farti. Un accordo!-disse, a voce alta, causando nella folla vari mormorii confusi.
-‎Ah, sì?-ribattè il criminale, sarcastico.-E quale sarebbe?
-‎Lascia andare me e miei amici. Ora. E non venire a cercarci mai più.
Varie esclamazioni incredule si levarono dalla corte criminale riunita.
-Davvero molto interessante...-replicò Magnussen, falsamente meditabondo, accarezzandosi il mento, come se stesse davvero riflettendo su quella proposta.-Ma... un accordo è tale se entrambe le parti guadagnano qualcosa: io non ricaverei alcun beneficio. Che cosa ci guadagno, se vi lascio andare?
-‎La tua vita. Credevo fosse ovvio-ribattè John, serafico.-Liberaci, o morirai!
Dopo un istante di incredulo silenzio, ogni singolo membro a bordo del galeone scoppiò in una fragorosa risata piena di scherno e derisione, seguita da fischi e insulti rivolti al pilota ribelle, che dal canto suo esibiva un'espressione tranquilla e compassata, lo sguardo sempre rivolto alla terrazza.
Quando finalmente le risate si spensero, anche Magnussen rise di gusto.
-Devo ammetterlo, signor Watson, la sua faccia tosta e il suo ardire pur nella sconfitta sono davvero encomiabili!-esclamò, accennando addirittura un piccolo applauso, sinceramente colpito.-Forse, in un'altra occasione, le avrei persino chiesto di unirsi alla mia corte.
-‎Forse...-ribattè John, con palese ironia e disprezzo.-Ma si dà il caso che io non mi accompagni alla feccia.

Altri mormorii, stavolta rabbiosi, si diffusero tra gli spettatori, mentre
Sherlock, ancora legato, ascoltava prima attonito quello scambio di battute, poi nuovamente assalito dallo sconforto: John sperava forse di salvarli bluffando con Magnussen??
Era una battaglia persa: quell'uomo era troppo astuto, per cadere in trucchi di bassa lega. E poi, tutti sapevano il segreto di un bluff credibile: almeno una volta, bisognava avere in mano le carte vincenti. E loro, purtroppo, non ne avevano neppure una. Non stavolta.
-Basta così! Buttatelo giù!-ordinò Magnussen, stavolta con evidente rabbia.
La guardia gli premette il blaster tra le scapole.
Una volta. Poi due, in rapida successione. E poi un'altra.
Il pilota ribelle avanzò così di forza sul sottile pezzo di legno, arrivando sin quasi al bordo. Guardò giù, verso le mostruose fauci: e anche stavolta, fu percorso da un brivido.
-... Ha qualche ultima parola, signor Watson?-gli domandò Magnussen a quel punto, con maligna soddisfazione.
Il pilota lanciò una rapida occhiata alla guardia con la maschera zannuta e questa strizzò entrambi gli occhi due volte, confermando che era arrivato il momento.
Alzò dunque lo sguardo verso Magnussen, dando la schiena alla tana del Sarlaac, lo rivolse alle dune sabbiose circostanti... e, infine, incredibilmente, sorrise.
-Sì, ce l'ho, in effetti...-rispose, con soddisfazione evidente.-CAMMEI VATICANI!-urlò, con tutto il fiato che aveva in gola, ma voltandosi del tutto verso le dune di sabbia.
Mormorii perplessi iniziarono a diffondersi: Sherlock, dal canto suo, era rimasto incredulo e confuso, sebbene un sorriso gli fosse istintivamente sfuggito: quella frase... era il loro vecchio codice. Lo usavano durante le missioni per avvertire che qualcuno stava per mori...
E fu esattamente in quel momento-proprio come John l'aveva avvertito-che si scatenò l'inferno...

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Dapprima si udì una sorta di vibrazione, che fece tremare l'aria circostante: prima leggera, poi sempre più forte, mentre dalle dune di sabbia emergevano- come nate dalle viscere della terra- cinque navicelle, rimaste sepolte e nascoste sino a quel momento, ma richiamate da Lestrade al momento opportuno, davanti agli occhi degli attoniti criminali a bordo del galeone.
Una volta emersi dalla sabbia-sollevando vere e proprie piccole tempeste e vortici-queste iniziarono a lanciare dei siluri contro il Dark Shark, in punti precisi e mirati, causando quasi all'istante e ovunque piccoli incendi, e facendo urlare per il panico e la sorpresa quelli a bordo: da quelle stesse navi vennero poi scagliati cavi di ferro muniti di rampini metallici, che si conficcarono sul ponte, e almeno una decina di uomini per nave-uomini dell'Alleanza Ribelle-assaltarono il galeone, sparando contro i mercenari e i cacciatori di taglie, lanciando vere e proprie grida di guerra.
Lestrade, nel frattempo, aveva colpito una delle guardie alla nuca e preso il suo blaster.
John sfilò rapido dai polsi le manette che il generale, senza farsi accorgere, gli aveva aperto proprio pochi istanti prima e, con un agile salto, tornò a bordo; subito il ribelle gli passò il blaster della guardia tramortita, e insieme iniziarono a sparare all'impazzata contro le guardie che gli si scagliarono addosso.
Era il caos più totale.

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Molly capì che era finalmente giunto il suo momento: approfittando del panico e della momentanea distrazione del suo carceriere, si alzò, andò alle sue spalle e gli passò velocemente i polsi ammanettati al di sopra della testa e poi intorno al collo, soffocandolo; ma nessuno se ne avvide: ogni individuo della sua corte, in quel momento, o combatteva o scappava, pensando solo a salvare la propria pelle.
Magnussen, emettendo un rantolo di sorpresa e, dopo, per la mancanza d'aria, tentò comunque di resistere, di sottrarsi alla sua presa, agitando scompostamente le braccia per arrivare a lei, mentre il suo volto si faceva sempre più violaceo.
Ma Molly premette la corta catena delle manette alla gola del disgustoso individuo con tutta la sua forza, i denti stretti per lo sforzo, al punto da avere la schiena dell'uomo totalmente premuta sul suo petto.
Finalmente, con suo sollievo, dopo un ultimo rantolo, Magnussen le si accasciò addosso, privo di sensi.
Lo lasciò cadere a terra, ma non si fermò a controllare se l'avesse ucciso o solo tramortito; doveva assicurarsi che lasciassero tutti sani e salvi quella maledetta nave, e la rapidità era fondamentale.
Ma aveva appena fatto pochi passi verso l'interno della cabina, che qualcuno la afferrò per un braccio.
-... Vai da qualche parte, carina?-le soffiò nell'orecchio una voce untuosa.
Si voltò, e si trovò davanti un uomo orribilmente butterato e dai denti storti e ingialliti, che la guardava con un disgustoso ghigno malevolo e lascivo sulle labbra.

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Sherlock, naturalmente, non potè distinguere i dettagli di quello che stava accadendo: la sua vista era ancora troppo annebbiata.
Tuttavia, il colore arancione-la divisa dei piloti ribelli-che riuscì a distinguere delle sagome che scorse, glielo fece chiaramente intuire.
E, superato l'iniziale stupore totale, un ennesimo nodo alla gola lo assalì: ma non ebbe abbastanza tempo per preoccuparsene.
-Sparate al prigioniero! Subito!-udì infatti urlare da una delle guardie che ancora lo circondavano, e si irrigidì: era ancora legato a quel maledetto palo, e incapace di difendersi.
D'improvviso, però, sentì qualcosa rotolare vicino ai suoi piedi: subito, un denso fumo nero si sollevò, oscurando i caschi delle guardie che stavano per sparare, e accecando chi non li portava. Purtroppo anche la vista del contrabbandiere peggiorò, e iniziò a tossire: era la medesima bomba usata da John in quel vicolo a Mos Eisley tanto tempo prima; ma non era stato lui a lanciarla...
-Resisti Sherlock!- sentì la voce di Anderson urlargli al di là di quella nube scura.- Ora arrivo a...!
Ma la sua voce si ridusse a un rantolo strozzato, mentre una mano guantata gli stringeva improvvisamente la gola in una morsa.

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John continuò a sparare contro i suoi innumerevoli assalitori e si guardò ansiosamente intorno; non riusciva neppure più a vedere il palo dov'era legato Sherlock: il fumo della bomba diversiva aveva disorientato anche lui. Ma questo voleva dire che il piano stava andando come previsto. Significava che Anderson lo stava liberando proprio in quel momento.
Dopo aver steso l'ennesima guardia gamorreana, il suo sguardo corse istintivamente alla terrazza superiore esterna e trasalì: furioso, si lanciò in quella direzione.
L'intera plancia del galeone era in preda al caos: piccoli incendi divampavano in ogni dove, e si udivano urla, passi di corsa e spari.
Nel suo tragitto, per poco non incrociò un piccolo droide bianco e arancione, di forma sferica, che rotolava verso un punto preciso della sopra coperta con tutta la velocità con cui era stato programmato, sforzando fino allo stremo i suoi sistemi di accelerazione.

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Sherlock, non udendo più la voce di Anderson, capì che qualcosa, nel loro folle piano, non stava andando come previsto.
Certo, le guardie erano state disorientate dalla bomba, probabilmente anche distratte, ma non era escluso che sarebbe arrivato qualcun altro a farlo fuori al posto loro. E in quel momento poteva contare solo sulle sue forze, quantomeno per liberarsi.
Trasse dunque un profondo sospiro e chiuse gli occhi per qualche attimo, isolandosi da tutto il trambusto che lo circondava, cercando con tutto se stesso di ritrovare la calma interiore, per poter acquisire abbastanza controllo nella Forza da spezzare le dannate catene che lo tenevano legato.
Ma ancora non ci riusciva: non perché non avesse abbastanza potere. Era infatti troppo confuso, troppo sorpreso e sopraffatto dalla piega improvvisa degli eventi.
Nonostante quelle prove ulteriori, ancora la fiducia non era tornata nel suo cuore; non solo verso se stesso e i suoi poteri, ma anche verso chi lo stava aiutando.
Non poteva credere, infatti, che dei soldati ribelli fossero venuti davvero a salvarlo. John, Molly e Lestrade ancora ancora-e su Anderson riponeva, nonostante tutto, qualche riserva-ma addirittura piloti dell'Alleanza... No, non aveva nessun senso.
La sua testardaggine era tale da non voler arrendersi neppure all'evidenza.
Comunque, nessuno era venuto materialmente a liberarlo, dunque alla fine doveva cavarsela da solo, come aveva sempre fat...
D'improvviso sentì un suono familiare, in mezzo a tutta quella cacofonia di urla e spari, che lo fece trasalire e spalancare d'istinto gli occhi; anzi, per la verità, fu più una sequenza di suoni: pigolii elettronici prolungati di varie altezze e frequenze.
Per altri sarebbero sembrati incomprensibili: ma non per lui, che sorrise, carico di stupore, cercando di voltare lo sguardo verso quei rumori a lui così noti.
-BS-221?!?!-esclamò, non appena riuscì a parlare, tra un colpo di tosse e l'altro, ancora soffocato dal fumo.-Non sono mai stato così felice di vederti!! Be', vederti... si fa per dire... Liberami, su!-lo esortò.
Il droide però emise altri fischi ben precisi, d'intonazione poco fraintendibile.
Il contrabbandiere roteò gli occhi, sbuffando.
-... Ma per favore!! Adesso non fare il melodrammatico! Non ti ho abbandonato come fossi spazzatura! È più complesso di così!! E poi ti ho lasciato in ottime mani! Più o meno...-borbottó, ripensando a come l'aveva affidato alle cure di suo fratello, non avendo altra scelta. Quindi se BS era lì, allora era davvero possibile che tutta quell'operazione di salvataggio fosse stata organizzata proprio da...??
... No, si rifiutava di accettarlo.
Altri pigolii seguirono dal piccolo droide e Sherlock tornò bruscamente alla realtà, scoprendosi a provare un ancor più profondo moto di vergogna.
-Dài su, adesso non ti mettere a frignare, che ti si arruginiscono le giunture!-lo rimproverò, seppur commosso.-Mi dispiace, ok?! Giuro che poi ti spiegherò tutto! Magari quando non rischiamo entrambi di morire, che ne dici??!?
Si rese conto, con suo grande stupore, che era la seconda volta che chiedeva scusa a qualcuno: prima a John-anche se, tecnicamente, non sapeva che fosse lui-e ora a BS. Cosa diavolo gli stava capitando??

Il droide però parve soddisfatto da quella sorta di scuse e, girando intorno al palo, si affrettò a fondere le manette che gli cingevano i polsi, usando la sua mini fiamma ossidrica in dotazione: mentre lo faceva, emise altri pigolii, e Sherlock si ritrovò a sorridere.
-... Ma certo che siamo ancora amici! E sì, anche tu mi sei mancato, ammasso di bulloni!-replicò, con una leggera ma affettuosa risata.
Finalmente libero, si alzò a fatica, gemendo e massaggiandosi i polsi, cercando di scorgere qualcosa davanti a sé: il fumo ancora non si era del tutto diradato, e questo non aiutava la sua vista già compromessa, mentre la confusione imperversava.
In quella, BS-221 emise degli acuti strilli: il contrabbandiere si irrigidì.
-Cosa??? Dove???
Il droide ne emise altri, sempre più concitati, e Sherlock sentì la rabbia crescere, mentre i suoi occhi ciechi vagavano nella direzione indicatagli.
-Dannazione! Se avessi uno straccio di arma con...!-imprecò: ma si interruppe, esterrefatto, ad altri cinguettii emessi da BS.-Mi stai prendendo in giro...
Per tutta risposta, il droide aprì un vano segreto sul suo carapace: Sherlock lo sfiorò con le dita, fino a trovare l'oggetto che il droide gli aveva portato su espresso ordine proprio di suo...
Non si concesse il lusso di riflettere appieno su ciò. Ma fu a quel punto, quando strinse la mano intorno ad esso, che in Sherlock scattò qualcosa. Le sue sensazioni si espansero e un potere antico, ma non per questo a lui sconosciuto, percorse ogni singolo nervo del suo corpo, dalla testa alla punta delle dita.
Ma anche qualcos'altro, accade: tutte le paure e le incertezze avute sino a quel momento vennero spazzate via, mentre la frase di John echeggiava nella sua testa.
"Fidati di noi".
Ora poteva davvero credere.
La fiducia era tornata di nuovo, insieme a un nuovo calore: ed erano state non solo le parole dell'amico, ma anche l'oggetto che ora stringeva tra le dita, a dargliela. Quello, e chi aveva ordinato a BS di portarglielo...
Aveva passato anni a rinnegare se stesso, a chiudersi in ogni modo alla Forza e a ciò che era in grado di fare.
Ora non più.
Digrignando i denti, si diresse risoluto verso un punto specifico del galeone, usando quella percezione così familiare per orientarsi in quel marasma, mentre il droide gli rotolava dietro.

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Anderson soffocò un gemito, tenendo premuta una mano sulla spalla destra sanguinante, le labbra strette, cercando allo stesso tempo di deviare i continui colpi sferrati da Moran, che impugnava una lancia fulminante: anche lui ne imbracciava una, roteandola come meglio poteva con la mano sinistra, ma con meno abilità del suo avversario.
Era riuscito a fargli cadere di mano la pistola blaster, ma Moran era decisamente più forte di lui, mentre invece le sue forze stavano per venire meno.
Anderson rinunciò a tener premuta la ferita e strinse entrambe le mani intorno alla lancia; ma, anche così, la precisione dei suoi colpi era nettamente inferiore a quella del suo avversario.
Il cacciatore di taglie lo incalzò, instancabile, godendo della sua evidente difficoltà.
All'improvviso-forse stufo di giocare con la sua vittima-lo disarmò con un violento colpo: la lancia volò lontano, mentre Moran lo prendeva di nuovo per il collo, sollevandolo a qualche centimetro dal suolo.
-Sei uno schifoso traditore!-gli sibilò.
-Non puoi... tradire... qualcuno... che hai solo... finto... di servire!-ribattè Anderson in risposta, caparbio, seppur a fatica, dimenandosi, il volto paonazzo dallo sforzo di respirare, le dita che cercavano disperatamente di respingere quelle di Moran, ma invano.-Io sono... fedele solo... alla... Ribellione!!
-Allora sei doppiamente miserabile. Sei un rifiuto umano. Non meriti di vivere. Nè te, nè tua moglie! Mi divertirò, con lei, una volta finito con te!-ringhiò il cacciatore di taglie in risposta, con crudeltà: aumentò la presa, stringendogli ancor di più la trachea.
Il ribelle ormai aveva la vista completamente annebbiata, gli occhi pieni di lacrime, sempre più prossimo a morire per la mancanza d'aria.

-... Posso suggerire, al posto di rifiuto umano, "dispensatore di idiozie"?-fece una voce ironica alle spalle di Moran, che istintivamente si girò, interdetto: ma ebbe a malapena il tempo di ruotare la testa che un raggio laser blu gliela staccò di netto dal collo, emettendo un suono vibrante.
Mentre la testa del cacciatore di taglie saltava via, il corpo decapitato di Moran cadde a terra: anche Anderson, libero dalla sua morsa, cadde con lui, tossendo con violenza e riprendendo a respirare l'aria che i suoi polmoni avevano così disperatamente reclamato.
Mentre la sua vista pian piano si snebbiava, sentì, inspiegabilmente, un droide pigolare rincuorato alla sua destra e, quando riuscì ad alzare lo sguardo, una mano tesa di fronte a lui: rimase a fissarla per alcuni istanti, in silenzio, sbalordito.
-Stai bene?-gli domandò Sherlock Holmes, in tono spazientito, ma con un pizzico di quella che gli parve sincera preoccupazione, l'altra mano a impugnare una spada laser dal fascio di luce blu. Il modo in cui si ergeva, impugnando quell'arma, metteva letteralmente soggezione e gli impedì, all'inizio, di emettere un fiato.
-... S-sì-sussurrò infine fioco in risposta, con voce roca, accettando la mano che il contrabbandiere gli porgeva, tirandosi in piedi e massaggiandosi la gola: ma non smise di fissarlo, gli occhi sgranati.-T-tu... mi hai appena... s-salvato la...
-... Vita, !-completò Sherlock, con uno sbuffo, roteando gli occhi.-Anderson, persino in un momento come questo non puoi proprio evitare di fare osservazioni inuti-...?!
Due braccia gli cinsero il collo all'improvviso e le parole vennero meno, mentre Anderson lo stringeva con forza.
-Grazie- gli mormorò il pilota, la voce bassa e ancora spezzata, ma colma di gratitudine.
Il corvino, sbalordito e non sapendo cosa fare, gli diede due leggeri colpetti sulla schiena, ma non lo respinse. Fu lui che si affrettò, solo a quel punto, a staccarsi, imbarazzato.
Sherlock, ancora stupito, scosse la testa e accennò una scrollata di spalle.
-Direi che ora siamo pari-borbottò, ma con un lieve sorriso a increspargli le labbra: Anderson ridacchiò a fatica, asciugandosi rapidamente gli occhi ancora lucidi.-Spero che abbiate elaborato un piano di fuga, a parte questo folle arrembaggio...
Anderson rise di nuovo, stavolta con maggior convinzione.
-Seguimi-disse semplicemente e, sincerandosi che il contrabbandiere riuscisse a stargli dietro, lo condusse in mezzo alla mischia, mentre quest'ultimo falciava tutti i nemici che gli si paravano davanti, il baluginio della sua spada laser ben visibile.

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-Lasciami andare e subito!-ringhiò Molly, cercando di divincolarsi dalla sua presa.
-Su su, non fare la ritrosa.
Il criminale butterato trascinò Molly all'interno della cabina, ben lontano dalla terrazza e dai cortigiani in fuga: la spinse poi in una rientranza della parete, e le sollevò le braccia al disopra della testa, tenendola saldamente per i polsi, iniziando poi a baciarle il collo con una foga quasi animalesca, del tutto incurante del pandemonio che li circondava.
Con un gemito di disgusto e di rabbia, Molly cercò nuovamente prima di divincolarsi, poi di colpirlo con un calcio: ma lui, in risposta ai suoi tentativi, aumentò ancor di più la presa, schiacciandola alla parete con tutta la sua mole, mentre un ghigno lascivo si allargava sulla sua faccia.
-... Sei una che non demorde, eh? Ci potremmo divertire molto, io e te... sai, io sono condannato a morte su...
D'improvviso, un colpo di blaster risuonò molto vicino, e Culverton Smith le cadde addosso, lasciando la presa e crollando poi a terra: era morto.
-... Dodici sistemi, se ricordo bene.
John Watson scavalcò con una smorfia il cadavere del criminale, e Molly gli si lanciò tra le braccia, in volto un sorriso carico di gratitudine e sollievo.
-Grazie-gli mormorò, stringendolo, cercando di impedire alla sua voce di tremare.
Lui, sorridendo, ricambiò la stretta con forza, sollevato: si affrettò poi a liberarla dalle manette con un mazzo di passepartout prelevato ad una guardia riversa a terra poco distante; lanciò nel frattempo un ultimo sguardo a Culverton e scoprì, nonostante tutto, di provare una certa dose di maligna soddisfazione.
Gettò poi uno sguardo alla confusione circostante.
-Dobbiamo andare, altrimenti perderemo il passaggio. Sperando che arrivi in orario... -aggiunse, sarcastico.
Molly, ripreso il controllo di sé, annuì, ed entrambi corsero verso il piano inferiore dello Shark.

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Nel punto prestabilito trovarono il generale Lestrade, ma anche Sherlock, Anderson e BS-221.
Molly corse incontro a Sherlock, abbracciandolo con evidente sollievo, ma anche John sospirò e si sentì inondato dal medesimo sentimento, nel vedere l'amico incolume; passò poi lo sguardo anche sugli altri due uomini: il Generale aveva il volto stremato e impolverato, senza più la maschera di zanne, apparentemente illeso, mentre Anderson era ferito ad una spalla ma, per fortuna, non in modo troppo grave.
Il piano era quasi riuscito: ora dovevano solo aspettare che...
-... Ve ne andate di già? Almeno il bicchiere della staffa, no?-esclamò una voce rabbiosa e sarcastica.
John si sentì gelare, mentre Charles Magnussen emergeva dal fumo-venuto a crearsi dalle altre bombe fumogene lanciate-imbracciando un cannone portatile a impulsi fotonici, rivolto proprio contro il suo migliore amico.
Subito, gli puntò contro il blaster.
-È finita, Magnussen. Tra poco questa tua stupida nave esploderà. Ti consiglio di farti da parte e scappare, se ti è cara la vita. È la tua ultima possibilità!-gli intimò, mentre anche Lestrade sollevava la sua pistola, e Sherlock accendeva di nuovo la spada laser.
La labbra del criminale galattico si tesero in un sorriso perfido.
-Poveri stolti... Vi credete tanto forti, voi e la vostra miserabile Ribellione. Desiderate così tanto la morte... Darvela io stesso sarà un atto di misericordia. Certo meglio di quello che vi aspetta con l'Imperatore...
Magnussen sollevò il cannone, pronto a sparare: Sherlock emise un ringhio gutturale, e fece per avventarglisi contro.

Ma, all'improvviso, Molly lo fermò, trattenendolo per un braccio e stringendogli poi il polso della mano che impugnava la spada.
-No. Insieme-gli sussurrò: lanciò poi a John e agli altri uno sguardo d'intesa.
Il pilota ribelle aggrottò la fronte, confuso: ma poi scambiò uno sguardo con Lestrade, e annuì. Strinse dunque l'altra mano dell'amico, che rimase interdetto: tuttavia non si oppose a quella stretta.
Lestrade strinse la mano di Molly e, dall'altra parte, Anderson strinse quella di John, mentre il piccolo droide rimaneva poco dietro di loro, cinguettando piano.
-Insieme-ripeterono entrambi, con sicurezza, i volti carichi di feroce determinazione, le armi in pugno.
-Insieme-si ritrovò a mormorare Sherlock, incredibilmente, unendosi a loro e fronteggiando il suo nemico.
Era un suo nemico. Eppure, eccoli tutti lì: John, Molly, Lestrade... Anderson, persino!
Erano tutti lì, fianco a fianco, pronti a lottare insieme a lui. Neppure in quel frangente avevano intenzione di abbandonarlo.
Mentre era legato a quella sorta di catena umana, sentì pervaderlo una sensazione nuova e completamente sconosciuta. Non sapeva cosa fosse, ma sapeva cosa stava provando: forza.
Ma non era la Forza.
Era qualcosa di completamente diverso, ma di molto, molto potente.
Non aveva mai provato qualcosa di simile.
Mai.
-Oh, ma guarda che carini. Vi tenete pure per mano...-La voce di Magnussen grondava crudele sarcasmo.-Credo proprio che vi farò saltare tutti in aria...
Puntò nuovamente il cannone proprio verso Sherlock, che si trovava al centro di quella catena.
D'improvviso, sulla cacofonia di urla e spari ancora intensa, al corvino parve di udire un suono diverso dagli altri, come gli era accaduto poco prima con BS-221: un rombo cupo, seguito da uno strano sibilo. E sempre più vicino. Come se...??
Prima che potesse finire di formulare quel pensiero, sentì la stretta di John e di Molly rafforzarsi.

-CAMMEI VATICANI!!!-urlò John per la seconda volta, buttandosi a terra e trascinandoli tutti con lui, che risposero al segnale convenuto, Sherlock per primo, mentre il missile appena lanciato faceva saltare in aria un punto del ponte proprio poco alle spalle di Magnussen.
Il criminale galattico volò in aria sopra di loro, spinto dalla forza dell'esplosione, lanciando urla disumane e concludendo il suo volo proprio tra le fauci spalancate del Sarlacc, che lo inghiottì in una frazione di secondo, emettendo pure un verso di deciso apprezzamento.

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