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Questione di scelte

Sherlock sbuffò, asciugandosi la fronte madida di sudore; era da almeno mezz'ora che lavorava: la London, infatti, non era uscita del tutto indenne dall'inseguimento dei caccia imperiali, e i tecnici di suo fratello non l'avevano riparata in modo abbastanza soddisfacente per i suoi standard, come aveva avuto modo di constatare non appena aveva dato un'occhiata al vano comandi nella piccola sala macchine.
Attorcigliò con le dita i due fili elettrici dell'iperguida, cercando poi di collegarli fra loro. Ma sebbene cercasse di concentrarsi solo e soltanto sulle riparazioni, la sua mente indugiava imperterrita su fastidiosi pensieri, e su quei fastidiosi... sentimenti... che credeva di aver messo a tacere da tempo. Ma era stata una pia illusione, e l'incontro con la signora Hudson glielo aveva ampiamente dimostrato: quei sentimenti c'erano ancora, e stavano riemergendo, imperterriti e più forti di prima.
E questo era male.
Alcune scintille scaturirono d'improvviso dai fili, bruciandogli le dita; si lasciò sfuggire un'imprecazione, scuotendo la mano con un piccolo lamento.
-BS, passami il nastro isolante-ordinò, tendendo la mano senza voltarsi, lo sguardo ancora fisso sul vano comandi.
Ma ottenne solo il silenzio.
-BS! Il nastro isolante!-ripetè, innervosito; dopo qualche istante, gli venne posato sul palmo della mano tesa.
-Oh, finalmen-...!
Si voltò, e tacque: davanti a lui non c'era il droide, bensì il pilota ribelle, con un piccolo sorriso divertito sulle labbra.
-BS è nella cabina di pilotaggio-lo informò.
-Come mai sei qui?-gli domandò invece Sherlock, diffidente, e rimproverandosi di non averlo nemmeno sentito salire a bordo.
John si strinse nelle spalle, imbarazzato.
-Volevo solo... salutarti, ecco. So che stai andando via, perciò...
-È così, infatti-borbottò lui, dandogli nuovamente le spalle, e legando rapidamente i due cavi col nastro.
-Perché, invece, non resti a combattere con noi? -fece il biondo di nuovo, dopo qualche istante di silenzio.-Le tue abilità sarebbero preziose alla nostra causa.
Non era quello il solo motivo per cui voleva che lui restasse, ovviamente; ma sperava che sarebbe bastato a trattenerlo.
-Sei la seconda persona che mi dice la stessa cosa, oggi...-commentò Sherlock, roteando gli occhi, seccato.
-Chi è stata la prima?-domandò lui, incuriosito.
-La senatrice-rispose il corvino, cercando di mantenere un tono di voce indifferente.
-Forse non ti ha chiesto di restare solo per quello. Forse prova... interesse... per te-replicò l'altro, con una punta di malizia.
-Anche se fosse, non sono interessato a legami. Nè romantici, nè di altro genere.- Sherlock chiuse con una certa veemenza lo sportello, per poi aprirne un'altro.-Sto meglio da solo.

Seguì un lungo silenzio teso, durante il quale il contrabbandiere continuò a controllare gli ingranaggi e i fili, senza guardare John che, dal canto suo, lo fissava, come cercando nel suo viso e nei suoi gesti una risposta a quel comportamento.
-Hai perso qualcuno-affermo alla fine, convinto di averla trovata.
Sherlock non ribattè, ma il biondo notò le sue spalle irrigidirsi, cosa che gli confermò ancor di più la correttezza della sua deduzione. 
-So che non sono affari miei, e so bene che non ho alcun diritto di chiedertelo. Ma se vuoi parlarne... Io sono qui.
Il pilota attese, e attese: ma il silenzio perdurò, rotto solo dal leggero tintinnio degli strumenti usati da quest'ultimo sugli ingranaggi. Persino BS-221 taceva.
-Come non detto...-sospirò il biondo, rassegnato.
Ma quando fece per andarsene, la voce di Sherlock lo trattenne.
-... Hanno ucciso il mio Maestro-mormorò, senza guardarlo, lo sguardo fisso invece sugli attrezzi da lavoro stretti tra le mani.
John rimase fermo, lo sguardo invece fisso sul volto del corvino, divenuto improvvisamente più triste di quanto l'avesse mai visto durante quei pochi giorni.
-Il suo nome era... Victor Trevor. E non era solo il mio Maestro Jedi. Era anche il mio migliore amico. Il mio unico amico-puntualizzò, nel medesimo tono basso e malinconico.-Era molto più grande di me, naturalmente. Ma sapeva ascoltarmi, mi consigliava, mi istruiva... Mi stava vicino e mi capiva, a volte più di mio fratello e dei miei stessi genitori. Quasi tutto quello che so lo devo esclusivamente a lui.
Prese un respiro profondo, come se quelle parole gli costassero un'immane fatica: John vide un vero dolore, solcare i suoi lineamenti.
-Un giorno... un Sith l'ha ucciso davanti a me. E io non sono riuscito a salvarlo. È morto tra le mie braccia. Tutto quello che avevo imparato... tutti i suoi insegnamenti... non mi sono serviti a nulla.
Il pilota era rimasto volutamente in silenzio fino a quel momento, non osando interromperlo: ma, a quella frase, non riuscì a trattenersi.
-Sherlock... Era un Sith, non avresti comunque potuto fare nulla. Avevi solo quattordici anni. Non è certo stata colpa tua-disse infatti, con dolcezza.
-Invece sì!-ribattè lui, ringhiando, come se la rabbia potesse spazzar via l'evidente sofferenza che in quel momento provava.-Avrei potuto essere più forte. Il mio Maestro mi aveva avvertito. L'attaccamento a qualsiasi cosa... a qualsiasi persona, sia pure del tuo stesso sangue... È proibito. Conduce al Lato Oscuro. Indebolisce. Eppure io non sono mai riuscito a soffocare questi... sentimenti. Non del tutto. E ne ho pagato il prezzo. Mi hanno reso debole. Ho capito che più tieni a qualcosa... a qualcuno... più hai da perdere. Da quel giorno, ho smesso di creare qualsiasi legame. Portano solo sofferenza. Mi sono allontanato anche dalla mia stessa famiglia, da mio fratello... La solitudine è tutto quello che ho. Mi protegge.
L'ultima frase fu più un sussurro, ma che venne perfettamente udito da John, che si scoprì addolorato per lui come non mai.
-Credo che tu abbia torto-ribattè però, con sicurezza.- Gli amici ti proteggono. Non la solitudine. I sentimenti non sono debolezza, sono forza. Devono solo essere incanalati nella giusta direzione, non soppressi!
Da quel poco che aveva appreso sull'Ordine dei Jedi, sentiva che Sherlock aveva seguito fin troppo alla lettera quella dura linea di rinuncia che esso prevedeva. Certo, erano severi, vietavano finanche il matrimonio... Ma erano anche dediti alla compassione, usavano i loro poteri per il bene, per aiutare il prossimo. Non poteva credere che non permettesse neppure il calore che poteva dare la famiglia, o la semplice amicizia.
-Ti sbagli-replicò l'altro duramente, il viso tornato ad una maschera di apparente freddezza.- Te l'ho già detto una volta. Io non ho amici. Ho fatto da lungo tempo, questa scelta: restare solo. Anche se non sono più uno Jedi. È per questo che fare il contrabbandiere mi si addice. Forse anche tu dovresti prenderla in considerazione. Ti risparmieresti sofferenze inutili.

Dopo quelle parole così dure, cariche di dolore e di risentimento, Sherlock chiuse lo sportello e si diresse alla cabina di pilotaggio-dove BS-221 stava ancora riparando il cortocircuito-sedendosi poi sulla poltrona e controllando i vari monitor, l'espressione sul volto sempre impassibile e fredda, seppur solo all'apparenza: ormai John lo sapeva. Poteva solo immaginare il tumulto di emozioni e sentimenti nascosto dietro quelle iridi di ghiaccio. Si sedette su quella accanto, osservandolo in silenzio per lunghi minuti: strinse poi le mani sulle ginocchia e prese un respiro profondo.
-HQ-5221-pronunciò, d'un fiato, una volta preso coraggio.
Il corvino si voltò a guardarlo di scatto, interrogativo.
-Prima di John Watson, il mio... nome... era HQ-5221 -spiegò il pilota ribelle in tono monocorde, lo sguardo fisso sulle sue mani.-Ero un assaltatore imperiale. Forse l'avrai già sospettato da solo... soprattutto quando ti ho fornito quel codice generico sulla Morte Nera.
Il corvino avrebbe potuto elencare anche gli altri dettagli che gli avevano fatto sospettare qualcosa riguardo al passato del pilota: il codice riferito alla guardia nell'area detenzione, quell'imperiale che l'aveva riconosciuto, la sua abilità nel combattimento... ma non lo fece. Si limitò ad annuire e ad attendere che John proseguisse.
-Sono stato strappato alla mia casa quando avevo, forse, sei anni o poco meno-continuò il biondo alzando finalmente lo sguardo, gli occhi blu che parvero, in quel momento, riflettere tutto il suo passato dolore.-Non mi ricordo neppure i volti dei miei genitori. Ho solo qualche flash, di tanto in tanto. Soprattutto del fuoco. La casa in fiamme. E i soldati che mi mettono in catene e mi portano via... Sono stato costretto ad unirmi alle schiere imperiali. Fino ai miei diciotto anni la mia vita è stata fatta solo di marce forzate nel deserto di Tatooine, addestramento... e condizionamento mentale, che avrebbe dovuto cancellare i miei ricordi. Quello, soprattutto. La cosa strana, però, è che io avevo una certa forte resistenza, a quello. Alcuni ricordi rimasero. Così come la mia volontà e il desiderio di scappare, che rimasero intatti. Ma, nonostante tutto, eseguii gli ordini, senza più nemmeno chiedermi se fosse giusto o sbagliato. Ad un certo punto rinunciai a tentare di scappare. Anzi, non ci pensai nemmeno più. Che vita potevo mai sperare di avere, se fossi diventato un disertore, pensavo. Non avevo nessuno a cui tornare, dopo che la mia famiglia era stata sterminata.

Sospirò, la voce carica di tristezza.
-Ma un giorno... tutto cambiò. Ci mandarono ad assaltare un villaggio di nemici dell'Impero. Io uccisi molti Ribelli, come sempre: ma quella volta fu... diverso. C'erano anche famiglie... donne, bambini... Alcuni li abbiamo uccisi... Altri, imprigionati. Stavo ispezionando i cadaveri, controllando che fossero tutti morti. Mi sono chinato su uno in particolare: era un ragazzo, giovane... non poteva avere più della mia stessa età... All'improvviso, ha aperto gli occhi di scatto, e mi ha fissato. Io sono rimasto immobile, gli occhi fissi nei suoi. E lui, all'improvviso, mi ha... sorriso... Poi ha sollevato una mano sporca di sangue, e me l'ha passata sul casco, in corrispondenza della mia guancia... come fosse una sorta di carezza... subito prima di esalare l'ultimo respiro.
La voce del pilota ribelle si afflievolì, mentre riviveva quel momento.
Era di nuovo in quel villaggio: poteva sentire di nuovo quel caldo opprimente, le urla, quell'odore di morte, il sangue sulle sue mani... strinse le labbra.
-Quel gesto cambiò tutto. Fu come se mi fossi risvegliato di colpo in mezzo a tutti i quei cadaveri, e per la prima volta da quando era stato arruolato mi domandai per davvero: "Perchè sto facendo tutto questo? E soprattutto, per chi lo sto facendo?". Il condizionamento non aveva mai avuto davvero presa su di me, ma l'improvvisa consapevolezza di non essere altro che un burattino nelle mani dell'Impero mi colpì come un pugno allo stomaco. Soprattutto perché mi ci ero arreso io. Pieno di vergogna verso me stesso, ma deciso a riscattarmi, quella notte aiutai i pochi ribelli che avevamo imprigionato a fuggire: fu lì che incontrai per la prima volta la senatrice Hooper.-Sorrise con una certa dolcezza.-Anche se ho scoperto solo sulla Morte Nera, chi realmente fosse. All'epoca, quando mi chiese di unirmi alla ribellione, io esitai: forse era accaduto tutto troppo in fretta, avevo ancora troppa paura... Tuttavia, il destino decise per me, perché fummo scoperti. Mentre lei e gli altri fuggivano nel deserto con dei dewbacks, io gli feci guadagnare tempo. Scappai anch'io nel deserto, ma su uno speeder, e colpito alla spalla da uno dei miei ex commilitoni. Lo speeder si guastò dopo pochi chilometri, e mi ritrovai a vagare a piedi per tutta la notte e per un giorno sotto quei due Soli maledetti, per poi crollare nella sabbia, sfinito, e con la certezza che sarei morto lì. Invece, incontrai il maggiore Sholto.
-L'uomo che era presente alla riunione di oggi-ricordò Sherlock, intervenendo per la prima volta da quando John aveva iniziato il suo lungo racconto. Alla fine, il pilota Ribelle nascondeva davvero, qualcosa, ma neppure lui avrebbe mai immaginato una storia così piena di dolore e di perdita.
Quest'ultimo annuì, e il suo volto si rilassò visibilmente. I suoi occhi blu, stavolta, erano più luminosi.
-Sholto mi ha salvato la vita. E non solo perché mi ha curato e mi ha accolto nella sua casa; mi ha offerto anche la possibilità di ricominciare da capo. Anche quando gli ho detto chi... cosa ero. Forse ha visto... qualcosa, in me: qualcosa che nemmeno io riuscivo a vedere in me stesso. Proprio come quel ragazzo che era morto fra le mie braccia, lasciandomi quella carezza di sangue sul casco, incidendomela in modo indelebile nel cuore... Forse in qualche modo aveva visto che non ero come gli altri Assaltatori... Che potevo combattere per qualcosa di buono. Il Maggiore ha fatto in modo che entrassi a far parte dell'Alleanza Ribelle. HQ-5221 è morto in quell'esatto momento: al suo posto nacque... John Watson. -Tirò fuori dal colletto della camicia una piastrina militare d'argento, e gliela mostrò: c'erano incise le lettere "J.H.W. ". Sorrise. -Fu proprio il maggiore Sholto, a darmi questo nome: disse che gli ricordavo un suo vecchio amico morto durante una missione. La piastrina era proprio la sua. Fu così che iniziai la mia nuova vita.

Seguì un lungo silenzio, rotto soltanto dai leggeri pigolii di BS-221, che guardava incuriositi i due uomini.
John, dopo aver raccontato tutta quella storia, si sentì come se si fosse liberato da un enorme peso: ad eccezione del maggiore Sholto e di Mycroft Holmes, Sherlock era la prima persona a cui confessava il suo passato.
-Perchè mi hai raccontato tutto questo?-gli domandò finalmente il contrabbandiere con sincera curiosità.
Quest'ultimo rimase pensieroso qualche secondo, in silenzio.
-Non lo so, di preciso-rispose infine, con sincerità, guardandolo negli occhi.-Forse perchè, quando hai parlato di scelte, ho ripensato alle mie, e allora... In fondo, tutti facciamo delle scelte, giuste o sbagliate che siano. Tu hai fatto quella di condurre una vita in solitudine e senza legami, per non soffrire più. Io ho scelto di non uccidere mai più per l'impero, ma di combattere per salvare vite. Alla fine, è sempre e comunque una questione di scelte.
Calò nuovamente il silenzio, che venne improvvisamente rotto da un "bip" ripetuto del comunicatore di John.
-Il mio Caccia è pronto. Devo andare-sospirò, tendendo poi la mano al contrabbandiere, che gliela strinse, con un leggero sorriso forzato.-È stato... interessante, comunque.
Spero ci rivedremo, prima o poi. Sempre che sopravviviamo, sia chiaro-concluse, con una mezza risata, a cui il riccio si unì dopo una breve esitazione.
Il pilota si alzò finalmente dalla poltrona, dando però prima una piccola carezza affettuosa al droide, che pigolò un triste saluto.
-Hey, John. Aspetta!-lo richiamò però Sherlock.
-... Sì?-si voltò a guardarlo lui, interrogativo.
-Che la Forza sia con te-gli augurò, con un mezzo sorriso: ed era un augurio sincero.
Lui sorrise appena e, dopo un leggero cenno di saluto col capo, scese dalla nave, diretto all'hangar dei Caccia.
Sherlock rimase per alcuni lunghi minuti con lo sguardo fisso alla poltrona del copilota, di nuovo vuota. Avvertiva un medesimo e inspiegabile senso di vuoto, dentro di sé.
BS-221 pigolò di nuovo, e ancora più tristemente.
-Smettila di lagnarti, stupido barattolo, e dammi una mano a ricalibrare la velocità luce!-ordinò al droide in tono rude; anche se, per tutto il tempo in cui lavorò alla London, la sua espressione rimase cupa, il pensiero altrove.

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Grande fu la sorpresa di John, quando vide la senatrice Hooper vicino al caccia Ala-X che gli era stato assegnato.
-Senatrice-le si rivolse, dunque, educatamente, con un cenno del capo.
-Dopo quello che abbiamo passato, lasciamo perdere le formalità, John-replicò lei con un dolce sorriso e una risatina: lui annuì, ridendo con lei, anche se il suo umore rimase cupo.
-Sei cambiato molto, dall'ultima volta che ti ho visto dieci anni fa in quell'avamposto imperiale-osservò Molly, con dolcezza.-Sapevo, che alla fine, ti saresti unito a noi. Hai scelto tu, questo nome?-domandò poi, curiosa.
-Non proprio. È una lunga storia. Se sopravviveremo a questa giornata, sarò felice di raccontartela-rispose lui, osservando la sagoma affusolata della nave, e provando un certo nervosismo. Molly, però, scrutò il viso del pilota, la fronte aggrottata.
-Sembri... triste. C'è qualcosa che non va?
Lui si lasciò sfuggire un sospiro, grattandosi la nuca.
-Nulla, è solo che... speravo che anche Sherlock si unisse a noi-ammise.-Ma non ha voluto. Non sono riuscito a convincerlo in nessun modo. È alquanto... testardo.
-L'hai notato anche tu, eh?-commentò la ragazza, con un mezzo sorriso, portando entrambi ad una risata sommessa.
-Anch'io ci ho provato, ma non c'è stato nulla da fare... Dopotutto, ognuno deve essere libero di poter fare le proprie scelte e di seguire il proprio destino-concluse Molly, saggiamente, anche se dalla sua voce trapelò una punta di tristezza e di delusione: forse John non si era sbagliato, quando aveva ipotizzato un certo interesse nei suoi confronti. La ragazza poi lo strinse in un rapido abbraccio, dandogli un piccolo bacio sulla guancia.
-Che la Forza sia con te-gli augurò, proprio come aveva fatto Sherlock, prima di dirigersi a passo svelto verso la sala controllo.
John si guardò intorno, prima di salire sulla nave: nell'hangar, molti piloti erano già sui loro mezzi, pronti al decollo, mentre altri salutavano fidanzate, mogli, o semplicemente amici; il frastuono dei motori era assordante, e l'aria vibrava per la tensione. Ma lui, ormai, era oltre la paura.
Certo, quello che lo attendeva era la battaglia più pericolosa che avesse mai intrapreso da quando era entrato nell'Alleanza: ma tutti quei ribelli che ora affollavano l'hangar-anche se non poteva affermare di conoscerli tutti-erano diventati la sua famiglia.
E lui avrebbe combattuto, per questa. L'avrebbe difesa: anche a costo della sua stessa vita, se necessario.
I sentimenti che muovevano lui-ma anche ognuno di loro-erano forti, e più grandi della galassia stessa in cui combattevano. Andavano oltre essa.
L'Impero combatteva solo per dominare, distruggere, assoggettare. Loro no. Loro combattevano per proteggere. Proteggere le persone a loro care, e per un mondo senza più tirannia.
Ed era questa, la loro più grande forza.
Il suo sguardo si fece determinato, mentre abbassava una leva sul quadro comandi: il Caccia cominciò a rullare in avanti sempre più velocemente, verso l'uscita del tempio, decollando verso il nero spazio siderale punteggiato di stelle.

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