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Power of love

Dolore.
Un dolore lancinante percorse Sherlock, mentre l'Imperatore seguitava a colpirlo incessantemente con quei fulmini di energia oscura: erano talmente potenti da non solo togliergli la forza, ma addirittura straziargli l'anima stessa.
Il riccio provò dapprima a deviarli col suo potere, senza riuscirci; racimolò poi le sue esigue forze per cercare di alzarsi: ma non appena ci provò, una scarica ancora più intensa lo colpì, e lui si accasciò a terra nuovamente, mentre un grido di dolore sfuggiva dalle sue labbra.
James Moriarty, davanti a quei tentativi, scoppiò in una perfida, folle risata, venata di rabbia.
-Credi forse di potermi resistere?? Le  tue facoltà sono troppo deboli per competere con le mie! Non cercare di lottare. Resta giù! E perdi!
Tese nuovamente la mani, e altre scariche scaturirono dalle sue dita, sempre più forti, e sempre più devastanti.

Sherlock sentì il suo corpo farsi sempre più pesante, sempre più preda di quel dolore: ma non solo.
Anche il suo cuore doleva.
Il dolore per la perdita di coloro che aveva amato lo stava schiacciando, provocandogli ancor più sofferenza di quelle scariche, facendolo sprofondare in una palude di tristezza e disperazione.
Un riverbero di qualcosa, a terra, baluginò vicino al suo volto: la piastrina d'argento di John.
Una lacrima-e non di dolore fisico- gli rigò la guancia, mentre con le poche forze che ancora aveva, tendeva la mano, afferrandola e stringendola: se proprio doveva morire, voleva attaccarsi a qualcosa che gli ricordasse tutto ciò di bello che la vita gli aveva concesso.
John Watson, il suo conduttore di luce, gli aveva fatto riscoprire la sua umanità... e, ora che era morto, non avrebbe più potuto ringraziarlo per quell'amicizia così sincera e profonda.
Un'altra lacrima sfuggì al suo controllo, a quel pensiero, mentre Moriarty, con un ghigno carico di perfida soddisfazione, sollevava le mani, producendo un'altra scarica. Quella che, probabilmente, avrebbe posto fine alla sua vita.
Pian piano, le palpebre di Sherlock si chiusero, la piastrina con le iniziali "J.H.W" ancora ben stretta in pugno, le guance rigate da quelle lacrime cariche di sofferenza, pronto al dolore che, da lì a poco, l'avrebbe travolto.

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Il personale del bunker, su Endor, seguiva sullo schermo principale l'andamento della battaglia tra gli Ewok e le loro truppe, che, a loro dire, stava durando anche troppo, per una popolazione da loro catalogata come innocua e primitiva.
Ma, nonostante varie interferenze, che disturbavano la visione, sembrava che lo scontro stesse finalmente volgendo al termine.
All'improvviso, dopo altre varie interferenze, il pilota di un Camminatore apparve sullo schermo.
-È finita, comandante!!-gli comunicò con evidente soddisfazione.-I Ribelli e gli indigeni si stanno ritirando nei boschi. Ci servono rinforzi per proseguire l'inseguimento.
Il comandante sorrise compiaciuto, mentre dal personale seguivano grida di giubilo.
-Aprite il portone principale, e inviate tre squadre in aiuto-ordinò poi.
Subito, le porte vennero aperte, e le squadre prescelte uscirono di gran carriera... per ritrovarsi completamente circondate dai Ribelli e dagli Ewok, che li guardavano entrambi con ferocia.
Due Ribelli, in particolare, si fecero avanti, puntando un fucile blaster contro gli attoniti soldati.
-... Mi dispiace, ma noi vi avevamo avvertiti-disse Anderson, con un sorriso sardonico sulle labbra, mentre Lestrade, al suo fianco, sorrideva nello stesso modo, imbracciando anche lui la stessa arma.
I soldati Imperiali si guardarono un'ultima volta intorno e, davanti alla loro evidente inferiorità numerica, alzarono le mani, arrendendosi senza combattere.

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Sherlock sollevò le palpebre lentamente, confuso: per qualche strano motivo, l'ultima scarica di Moriarty non l'aveva colpito. O forse, al contrario, gli era stata finalmente concessa la morte, e perciò non aveva percepito alcun dolore.
Ma poi, udì delle voci, e sentì il ciondolo stretto ancora nella sua mano, così forte che il palmo gli doleva.
Un dolore concreto, reale.
Era ancora vivo, dunque.
Anche con le palpebre sollevate, la vista offuscata non gli permise di capire subito cosa stesse accadendo intorno a sé; ma poi, non appena essa ridiventò nitida, rimase attonito: qualcuno si era parato davanti a lui, facendogli da scudo contro la furia dell'Imperatore, impedendo che le scariche di energia lo colpissero. Una figura ammantata di nero...
Il cuore del corvino prese a battere come non mai, quando realizzò cosa i suoi occhi stavano vedendo.
-Togliti di mezzo. Adesso-sibilò con ira incontenibile Moriarty a Darth Wind, alias Eurus Holmes, mentre altre scariche scaturivano dalla punta delle sue dita, colpendo, però, una diversa vittima.- Non osare sfidarmi. Non osare sfidare il tuo Maestro. Il tuo padrone.
Inizialmente, la figura nero vestita non profferì parola, nè si accasciò sotto le violente scariche: rimase ferma e immobile come una statua, apparentemente impassibile, di fronte al monarca galattico, impedendogli di colpire colui che gli stava alle spalle.
Poi, finalmente, parlò.
- Sì, tu sei il mio padrone -ammise: la sua voce era bassa e difficoltosa, piena di evidente dolore: ma Sherlock vi sentì anche una forza senza eguali.- Ma non comandi il mio cuore.

Il volto di Moriarty si deformò per la rabbia e, con un ruggito, scaricò tutta la sua ira contro il sith, che stavolta si accasciò sulle ginocchia con un gemito.
- Se è questo che vuoi... puoi morire come lui! Non ho bisogno di te!-ringhiò nuovamente l'Imperatore, una nota di palese disgusto nella sua voce, e altri raggi azzurrini carichi di potenza colpirono Darth Wind: lui alzò le mani, cercando di contrastarli, e inizialmente ci riuscì; alcuni di essi rimbalzarono e sfrigolarono sulle pareti, illuminando la stanza di un intenso bagliore azzurrognolo.
Sherlock, nel frattempo, era rimasto lì, accasciato a terra, dietro di lei, scioccato dalla piega improvvisa degli eventi, ma anche pervaso da una sorta di strana euforia e commozione: non si era sbagliato, su sua sorella.
Quella luce che aveva visto in lei... esisteva. E quella ne era la prova.
Ma quando vide Moriarty accanirsi contro di lei, fu pervaso nuovamente dalla furia. No, capì improvvisamente. Non era furia, quella...
Lui non voleva uccidere L'imperatore: voleva proteggere Darth... Eurus... da lui. Non gli avrebbe permesso di toccare sua sorella di nuovo, in alcun modo. Mai più.

L'occhio gli cadde alle spalle di Moriarty, e sobbalzò: la sua spada laser... era lì. A pochi passi. Non doveva far altro che attirarla a sé. Ma era stanco... mortalmente, stanco.
Si concentrò comunque con tutte le sue forze: un rivolo di sudore scivolò sulla sua tempia, i denti digrignati, il cuore che batteva frenetico, i pugni stretti. Ma la spada si limitò appena a tremare: non aveva abbastanza potere, abbastanza... Forza, per combattere l'imperatore. Moriarty era troppo potente. E lui era così stanco... Nonostante tutto, non aveva più l'energia per combattere. Le sue palpebre fecero per chiudersi nuovamente...
D'improvviso, però, un leggero dolore alla mano chiusa a pugno lo riportò alla realtà. La aprì: la medaglietta di John luccicò appena sul suo palmo.
Di colpo, nella mente del giovane contrabbandiere emerse un altro ricordo. Il Dark Shark. Magnussen.
Lui, insieme a John, Molly, e a tutti i suoi amici, che si tenevano per mano, fronteggiandolo, legati come in una sorta di catena umana.
Sherlock ricordò solo in quel momento quella sorta di... forza... che lo aveva attraversato in quel preciso istante, mentre stringeva le loro mani.
Ma non era la Forza... nè un potere: non nell'accezione generale del termine. Eppure, si era sentito pervaso da esso: ma soprattutto, si era sentito forte, come mai gli era capitato di sentirsi prima di quel momento.
Perché la loro forza... era nell'unione.

"La profezia dice che l'imperatore verrà sconfitto da un potere che potere non è".

"I sentimenti non sono debolezza.
Sono forza."

Sherlock sgranò gli occhi di colpo, mentre le parole di Victor riecheggiavano nella sua testa.
E, finalmente, capì cosa doveva fare.
Vide che la sorella aveva voltato appena il capo verso di lui, e realizzò che anche lei, aveva capito. I suoi pensieri l'avevano raggiunta.
L'ex Jedi tese il braccio e le strinse la mano con tutta la forza a cui riuscì a fare appello.
Lei gliela strinse a sua volta.
L'Imperatore non pareva curarsi di quello che stava accadendo proprio di fronte ai suoi occhi, e continuò imperterrito a colpire il suo apprendista con tutta la sua forza, con scariche impietose e sempre più devastanti. Ma quel potere da lui generato era alimentato dall'odio.
Sherlock, invece, con l'appoggio della sorella, si affidò ad un altro, completamente diverso.
L'amore.

Gli occhi socchiusi, stremato, la fronte imperlata di sudore, Sherlock fissò insieme ad Eurus la spada laser poco distante, mentre le porte del suo palazzo mentale si spalancavano, inondandolo di momenti carichi di quel medesimo sentimento.
Ricordò lui, John e Molly abbracciati insieme dopo la battaglia contro la Morte Nera. Ricordò le labbra di Molly sulle sue, e quel "Ti amo" sussurrato.
Ricordò le braccia di John che lo stringevano dopo aver distrutto la Morte Nera, e il loro abbraccio nella cella di Appledore.
"Grazie" gli stava dicendo Anderson, con voce carica di gratitudine, buttandogli le braccia al collo, dopo che l'aveva salvato da Moran.
"Ora sei al sicuro."gli diceva Mycroft, stringendolo a sè, e carezzandogli il capo riccioluto con infinita dolcezza.
"Il mio piccolo Sherlock", diceva la signora Hudson, sfiorandogli il viso con tenerezza.
Ricordò l'applauso della Ribellione mentre veniva eletto Generale. I sorrisi orgogliosi dei suoi amici. Quella sensazione di appartenenza. Di casa.
"Ci sei mancato, Sherlock Holmes. Bentornato a casa" gli diceva John, pochi istanti prima che, insieme a tutti gli altri, lo stringessero in un abbraccio di gruppo ridicolo... ma pieno di amore. Lo stesso amore che adesso sua sorella gli stava dimostrando, combattendo l'oscurità, per difenderlo da Moriarty.
Persino il dolore per la perdita di John venne in qualche modo assorbito da quel calore già provato, ma ancora più forte di allora, mentre la tenebra che prima aveva regnato nel suo cuore veniva sostituita dalla luce più intensa mai esistita.

Come aveva fatto poco prima con il Lato Oscuro, Sherlock si abbandonò completamente a quel potere che potere non era: lo accolse, lasciando che fosse esso, a guidarlo, e a scaldargli il cuore e l'anima, la sua pallida mano, in contrasto col guanto nero della sorella, sempre stretta  intorno alla sua.
E poi, d'improvviso, la spada laser del giovane contrabbandiere si sollevò e si accese con un sibilo dietro la schiena dell'Imperatore: il laser blu lo attraversò da parte a parte, trafiggendolo in pieno petto.
Il Monarca galattico rimase immobile per qualche istante nella medesima posizione-un'espressione di pura sorpresa dipinta sul volto pallido come la cera, le labbra semidischiuse, gli occhi neri come ossidiana piantati nei suoi- finché, lentamente, cadde in avanti, senza mettere neppure un gemito di dolore o di rabbia. Semplicemente la vita abbandonò il suo corpo, lasciando solo un guscio vuoto.
Sherlock e Eurus rimasero immobili sul freddo pavimento della stanza, tremanti, troppo sconvolti  e sfiniti per parlare o anche solo per scambiarsi uno sguardo, prima di perdere, entrambi, i sensi. Le loro mani, però, erano ancora strette l'una nell'altra.

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-... Signore!! Lo scudo è scomparso!!
Anthea, solitamente professionale in ogni occasione, non potè del tutto celare la gioia nella sua voce.
Anche Mycroft Holmes non potè, e nemmeno volle provarci: le sue labbra si sollevarono in un sorriso feroce, somigliando più ad un ghigno carico di aspettativa, mentre apriva il canale di comunicazione.
-A tutti i Caccia: lo scudo è disattivato. Ripeto: lo scudo è disattivato. Colpite la Morte Nera con tutto quello che abbiamo finché non troviamo il generatore!
I "ricevuto" da parte delle squadriglie non si fece attendere, mentre la Diogenes si lanciava contro la Stazione, bersagliandola con tutta la sua potenza di fuoco.

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