Mission impossible
Dopo aver bussato e atteso il deciso "Avanti!", John varcò la porta dell'ufficio con passo sicuro, cercando di non mostrare quanto in realtà fosse nervoso. Aveva avuto poche occasioni di incontrare in privato il capo della Ribellione: la prima era stata proprio nel momento in cui era entrato a far parte della stessa. Ricordava ancora quel giorno come fosse stato ieri.
Il Maggiore Sholto lo aveva accompagnato nel suo ufficio-all'epoca, la base ribelle era situata su un altro pianeta-e lui gli aveva raccontato tutto del suo passato, senza omettere nulla.
Mycroft Holmes l'aveva quindi scrutato con quei suoi occhi scuri per quella che a John era parsa un'eternità: come se cercasse di vedere nel profondo della sua stessa anima.
Poi gli aveva detto: "Benvenuto nell'Alleanza, signor Watson"; e gli
aveva stretto la mano.
Così. Semplicemente.
A quanto pareva, aveva superato l'esame. Un esame, però, che neppure sapeva di aver affrontato...
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-Mi hanno detto che voleva vedermi, signore-esordì John, una volta che gli fu di fronte, mettendosi sull'attenti.
-Riposo, soldato-fece Mycroft Holmes, i capelli scuri accuratamente pettinati, in piedi dietro la scrivania, lo sguardo fisso su un piccolo monitor, facendogli un gesto distratto con la mano: lui rilassò appena la posa mentre l'uomo, finalmente, alzava il capo; il pilota notò che la sua espressione era cupa.
-John... Se l'ho convocata qui, è per affidarle una missione di grande importanza.-Holmes gli si sedette di fronte, fissandolo con quei suoi occhi d'acciaio.-Deve recarsi su Tatooine, trovare un individuo in particolare e portarlo qui. Oggi. Con qualsiasi mezzo necessario. Ne va del destino della Ribellione. Mi correggo: del destino della galassia intera.
Il biondo aggrottò la fronte, confuso da quell'ordine così criptico ma dal carattere quasi apocalittico.
-... Mi servirebbe qualche dettaglio in più, signore-disse, con un pizzico di esitazione nella voce.-Per esempio, il nome della persona che devo condurre qui... e, se posso, sapere il motivo per cui è così fondamentale.
Le labbra di Holmes si curvarono in un leggero sorriso, mentre gli porgeva un tablet: John si trovò ad osservare l'immagine di un uomo dai capelli ricci corvini, pallido, i lineamenti affilati, le labbra stese in uno strano e sarcastico mezzo sorriso, e dagli occhi di un colore talmente particolare che lui stesso non sapeva come definirlo: erano grigi, ma anche azzurri, con sfumature verdi.
Per assurdo, quegli occhi sembravano scrutarlo, persino da quella semplice immagine digitale.
-L'uomo in questa foto è un noto contrabbandiere-gli spiegò il capo ribelle, facendo una leggera smorfia alla parola "contrabbandiere".-È dotato di alcune abilità, diciamo, non comuni. Ha la straordinaria capacità, inoltre, di infiltrarsi in luoghi molto ben sorvegliati, usando anche metodi non proprio ortodossi. E sono proprio queste abilità, che a noi occorrono. Il resto, mi dispiace, è top secret.
John si accigliò: da quando nella Ribellione vigeva tutta quella segretezza?
-Col dovuto rispetto, sta forse mettendo in dubbio la mia lealtà all'Alleanza? È per questo che non vuole rendermi partecipe? Per il mio...?
Mycroft alzò immediatamente la mano per farlo tacere.
-Mi creda, signor Watson, se avessi dubitato di lei anche solo per un istante, non sarebbe neppure entrato nell'Alleanza-disse, in un tono fermo e duro come la pietra, lo sguardo severo, che portò il biondo a tacere e ad abbassare gli occhi per l'imbarazzo.
-Se non le sto comunicando la missione in questione è perché, al momento, sono l'unico a conoscerla, insieme ad un'altra persona, che per ora non posso menzionare. È di tale segretezza e importanza che è vitale che non trapeli finché il nostro uomo non sarà qui. Sempre che riesca a convincerlo, beninteso.
John, per l'ennesima volta in pochi minuti, rimase confuso dalle parole del comandante: che razza di uomo era, quel misterioso contrabbandiere?
Osservò di nuovo l'immagine: dal volto, non gli sembrava un criminale... anche se dal suo sguardo trapelava una certa furbizia.
Mycroft gli si rivolse di nuovo in tono severo, ma decisamente più caldo.
-Se ho scelto proprio lei, per questa missione, è perché conosce bene il pianeta su cui si trova attualmente, più precisamente il porto spaziale di Mos Esley, stando alle mie fonti. Inoltre...-aggiunse, e stavolta nei suoi occhi gli sembrò di scorgere un pizzico di affetto, incredibile ma vero. -Lei, Johns, è uno dei miei piloti più fidati e capaci. L'ho osservata, in questi dieci anni. Attentamente. A nessun altro affiderei una missione di questa portata. Non esagero nel dirle che è quasi una missione impossibile. Ma so che non mi deluderà.
Il pilota, toccato da quella luce che aveva letto nei suoi occhi, scoprì di sentirsi anche profondamente orgoglioso, di fronte a quel complimento: d'istinto, si mise sull'attenti, l'espressione risoluta.
-La ringrazio per la fiducia, signore. Non la deluderò-replicò infatti, cercando di celare, però, l'inquietudine: non era per niente entusiasta di tornare su quel maledetto pianeta. E proprio a Mos Eisley, per giunta! Su Tatooine era impossibile trovare un covo di feccia e malvagità peggiore di quel porto spaziale.
Ma se davvero, come aveva detto il comandante, ne andava del destino della Ribellione, e della galassia intera, allora lui l'avrebbe fatto senza alcuna esitazione.
Mycroft riprese a lavorare sui terminali, e John capì che era arrivato il momento, per lui, di congedarsi. Doveva prepararsi alla partenza. Prima, però, picchiettò sul tablet, leggendo la scheda anagrafica del fantomatico contrabbandiere: ma una particolare riga della scheda lo fece sobbalzare.
-Signore... qui dice che l'uomo si chiama... Sherlock Holmes.-Si schiarì la voce, imbarazzato.-Siete per caso... parenti?
Mycroft gli lanciò un'occhiata ironica.
-... Visto e considerato che è mio fratello... Sì, signor Watson, siamo parenti-replicò, la voce carica di sarcasmo.
Riabbassò di nuovo lo sguardo sui terminali e, con un gesto secco della mano, lo congedó.
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John Watson amava volare.
Sfrecciare attraverso la galassia, nel silenzio dato da quelle stelle millenarie, le mani strette intorno alla cloche, le dita occasionalmente a sfiorare i comandi della piccola navetta, era uno dei più grandi piaceri della sua vita.
Appena entrato nella Ribellione aveva scoperto di possedere una certa abilità nel volo, ed era divenuto in poco tempo uno dei piloti più in gamba. A volte non usava neppure i guanti, quando pilotava, al fine di percepire al meglio i comandi tra le mani, e cogliendone ogni più piccola vibrazione, o ronzio. Avesse potuto, avrebbe continuato a volare tra quelle stelle in eterno, ritardando quanto più possibile il suo atterraggio sull'assolato pianeta: purtroppo, l'urgenza della missione non glielo permetteva. Così, a malincuore, fece manovra, atterrando su una delle tante piattaforme del porto spaziale.
Appena scese dalla navetta, il calore lo colpì come una mazzata: nonostante nelle mura della città fossero presenti sistemi di refrigerazione e condensatori di umidità, sentiva già il sudore colargli sulla fronte. Molto probabilmente era però dovuto soprattutto all'ansia e al nervosismo per il suo ritorno su quel pianeta, più che al caldo.
Si asciugò con un gesto brusco della mano, la tenuta da pilota ribelle celata sotto un ampia veste marrone scura munita anche di un cappuccio, che tirò su, nascondendo anche il volto, sopportando il calore: la prudenza non era mai troppa.
Si fece largo tra le strade malridotte e tra la folla multietnica del porto: ovunque posasse lo sguardo, vedeva molte razze diverse di alieni provenienti dai più remoti recessi della galassia: Jawa, Dugg, Neimodian, Wookiee, Geonosiani... anche se non mancavano anche criminali di razza umana, specialmente cacciatori di taglie.
John proseguì il più rapidamente possibile, cercando di non incrociare lo sguardo di nessuno, superando bancarelle ricolme di ogni genere di merci, baracche, mercanti di rottami, povere case in pietra calcarea-la maggior parte, occupate da schiavi-fino a giungere alla taverna dove, secondo Mycroft Holmes, avrebbe sicuramente trovato Sherlock, il contrabbandiere: o suo fratello, per essere precisi.
Ancora stentava a crederci: in dieci anni, non aveva mai saputo che il capo della ribellione avesse un fratello; del resto, lui non era un uomo che parlasse molto di sé.
Anzi, che parlasse e basta.
Ma era un ottimo comandante, di questo doveva dargliene atto.
Il pilota alzò lo sguardo sulla malridotta insegna a neon della taverna, che recitava: "Angelo's".
Con un sospiro, abbassò finalmente il cappuccio, ed entrò.
Subito, lo assalì una tremenda confusione: l'illuminazione del locale era abbastanza bassa, e si sentivano risate e chiacchiere di tutte le lingue aliene possibili e inimmaginabili, a cui faceva da sottofondo una canzone suonata da un piccolo gruppo di strane creature simili ad insetti.
Scrutò intorno a sé con attenzione: ma, per quanto guardasse, non vedeva nessuna chioma riccioluta.
Ritenendo troppo rischioso fare domande ai clienti, si diresse al bancone, dove il proprietario, un uomo tarchiato con un pizzetto, era intento a servire vari boccali a una creatura dalla pelle violacea, il muso simile ad un orango e munita di almeno cinque tentacoli.
-Salve-fece il pilota, facendo al barista un leggero cenno col capo.- Sa per caso dove posso trovare un uomo di nome...
-Non siamo un ufficio informazioni. Questa è una taverna. O ordini oppure smammi-lo interruppe però lui bruscamente, mettendosi poi a pulire uno dei bicchieri con uno straccio.
John si trattenne a stento dall'alzare gli occhi al cielo.
Cominciamo bene...
-... Un boccale di Ardees, allora. Grazie-aggiunse, con un pizzico di ironia nella voce.
Il taverniere, senza dire una parola, gli versò rapidamente la bevanda in un boccale e glielo sbattè di fronte. Non appena lo ebbe tra le mani, e pagato, John pose di nuovo la domanda, imperterrito, senza neppure bere un sorso.
-Sa dove posso trovare un uomo di nome Sherlock Holmes? È un contrabbandiere-precisò, senza curarsi di tenere un tono di voce troppo basso: probabilmente, in quella taverna c'erano criminali ben peggiori di lui; essere contrabbandiere, da quelle parti, era pressoché un lavoro.
L'espressione dell'uomo si fece ancora piu arcigna.
-Perchè lo stai cercando?-ribattè, con un cipiglio aggressivo.
-Faccende personali-troncò però John, senza farsi intimidire.
-Potrebbe essere qui, o forse no-replicò quest'ultimo, anche se il pilota notò chiaramente il suo sguardo guizzare a destra, anche se non in un punto preciso del locale.-Se vuoi cercarlo, fa' pure. Io non voglio entrarci.
Il biondo soffocò a fatica uno sbuffo nervoso: la missione si stava rivelando davvero dannatamente più difficile del previsto, e aveva appena cominciato. Gli sarebbe toccato controllare i clienti uno per uno, augurandosi di non dar troppo nell'occhio. Ma non aveva altra scelta.
Innervosito, si alzò dallo sgabello con un gesto brusco... e, inavvertitamente, sbatté contro proprio alla creatura tentacolare di poco prima, facendogli rovesciare addosso gran parte del contenuto dei vari boccali. Quest'ultimo gorgogliò irato al suo indirizzo in una lingua incomprensibile, ma che era quasi assolutamente certo fossero insulti.
-... Oh, accidenti! Mi dispiace molto! Posso ripagarla!!-esclamò subito, anche se non era certo che la creatura lo capisse. Si frugò nelle tasche del mantello, alla ricerca dei crediti di emergenza che portava sempre con sé.
Ma, d'improvviso, un uomo con la faccia storta e orrendamente butterata si intromise.
-Gribbs, questo tizio ti dà fastidio?-chiese questi alla creatura gorgogliante, con un tono di voce che causò al pilota ribelle un immediato voltastomaco. Sentiva già odore di guai.
-È stato solo un incidente-si affrettò a precisare nel tono più pacato possibile, porgendo a entrambi alcune
monete.-Ecco i soldi.
Ma nessuno dei due mosse una mano per prenderli: anzi, la creatura continuò a emettere i suoi versi, sempre più in collera.
-Credo che tu non gli vada proprio a genio-osservò l'uomo butterato, avvicinandosi minaccioso al pilota.- E, se è per questo, non vai a genio nemmeno a me. I tuoi sporchi crediti di certo non bastano a chiudere l'affronto che hai appena fatto al mio amico.
John capì subito che la situazione si stava facendo grigia: decisamente grigia, e con un esito non difficile da immaginare. Con la coda dell'occhio notò infatti che alcuni avventori avevano smesso di parlare e si erano voltati verso di loro, pronti a pregustarsi una probabile rissa, mentre lui si trovava bloccato, la schiena premuta contro il bancone, e senza via di fuga.
-Mi dispiace, ma non so che farci-sbottò, spavaldo nonostante tutto; non si sarebbe certo fatto intimidire da quella feccia.-Accettate i miei soldi e chiudiamola qui.
Il butterato assottigliò malevolo lo sguardo.
-Forse non hai capito con chi hai a che fare. Io e il mio amico, qui, siamo ricercati. Io sono condannato a morte su dodici sistemi-sottolineò, con nella voce una sfumatura d'orgoglio.
-... Ah. Beh, congratulazioni.-John fece un sorrisino accondiscendente, ma sempre più innervosito.-Sarò prudente, allora.
Accennò addirittura una risatina, seppur forzata; a cui, però, nessuno si unì: lo sguardo del criminale, infatti, si fece ancora più furibondo
-Sarai morto, allora!-gli ringhiò infatti, arrivandogli a pochi centimetri dalla sua faccia, mostrando un ghigno di disgustosi denti storti e ingialliti, e ammorbandolo con un fiato pestilenziale: sollevò poi rapido un braccio, col chiaro intento di mollargli un pugno.
John si irrigidì, e valutò le sue opzioni alla velocità della luce. Pur essendo dotato di ottimi riflessi, sapeva che non sarebbe riuscito a scansarsi in tempo o a fermarlo. E anche se l'avesse fatto, dare il via ad una rissa in quel locale pieno di criminali, pronto a dare manforte al butterato, sarebbe stato pressoché un suicidio. Anche tirare fuori il blaster era fuori discussione. Avrebbe attirato ancora di più l'attenzione, soprattutto delle truppe imperiali. E questo assolutamente non poteva permetterlo.
L'unica cosa che gli restava da fare era, purtroppo, incassare il colpo. Forse a quei due sarebbe bastata, come rivalsa, e lui avrebbe potuto andarsene. Con il naso spaccato, molto probabilmente, ma senza rischiare altro.
Strizzò dunque gli occhi, e strinse le labbra, preparandosi a quel dolore imminente.
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