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Lost

Fu un rumore inquietante, a ridestare John: un rosicchiare di zanne sulle ossa, accompagnato da un grugnito basso e mostruoso.
Il pilota aprì a fatica gli occhi: sentiva la testa dolergli a tal punto che era un miracolo che non gli scoppiasse.
Si portò una mano alla tempia e poi sul capo, e le sue dita percepirono una ferita non indifferente sul cuoio capelluto, ancora sanguinante: non mortale, per sua fortuna, ma decisamente dolorosa. Ecco spiegato il mal di testa.
Si guardò intorno, e realizzò di trovarsi in una caverna, steso in un angolo ricoperto di neve. Poco lontano dalla sua posizione, vide due cose che gli fecero accapponare la pelle: un mucchio considerevolmente alto di ossa di animali e, seduto lì vicino, una creatura mostruosa.
Era alta almeno due metri, coperta di pelo bianco, e dotata di zanne e artigli: con le quali, peraltro, era intenta a rosicchiare un osso-producendo il medesimo rumore che lo aveva risvegliato-con ancora attaccati disgustosi brandelli di carne, mentre il sangue colava rosso sul suo muso terrificante: il pilota realizzò che quella, molto probabilmente, era stata un tempo la sua povera cavalcatura. E che, se non avesse trovato un modo per scappare da lì, avrebbe fatto la stessa fine.

Fuggire. Più facile a dirsi che a farsi.
Non era legato, ma era privo di armi, e non poteva certo correre fuori, stanco e debilitato com'era dalla ferita: il mostro l'avrebbe ucciso prima ancora che riuscisse a raggiungere l'entrata.
Il ribelle si sentiva debole come non mai, e le membra quasi completamente congelate, a causa del drastico calo della temperatura; non sapeva per quanto tempo fosse rimasto privo di sensi, ma la luce del tramonto imminente fuori dalla grotta gliene dava una vaga idea.
Inoltre, la botta ricevuta gli rendeva difficile la concentrazione.

Che cosa farebbe Sherlock?
Fu questa la prima domanda che, per istinto, gli salì alla mente.
John aveva imparato a conoscere il contrabbandiere, nel bene e nel male, e gli era ben nota la sua capacità di tirarsi fuori dalle situazioni più disperate: magari elaborando piani completamente folli, ma che finivano sempre per avere successo.
Cosa farebbe lui, per prima cosa?
Si guarderebbe intorno... si rispose all'istante: la bestia al momento era troppo intenta a gustarsi la cena per badare a lui. Dunque esplorò con gli occhi ogni anfratto di quella tana ghiacciata.
E poi lo vide. Il suo blaster.
Era molto vicino al mostro delle nevi-un wampa, realizzò finalmente il pilota- proprio in prossimità delle sue zampe posteriori: era una creatura primitiva, perciò era impossibile che sapesse usarla. Doveva essergli caduta dalla cintola mentre lo trascinava nella sua tana. Ma come poteva raggiungerla senza farsi divorare all'istante??

"John, tu guardi ma non osservi!"

La voce di Sherlock si fece largo nella sua mente sarcastica e carica di esasperazione, portandolo quasi a ridacchiare. Quante volte gli aveva ripetuto quella frase?
Il lontano ricordo di una porta magneticamente sigillata gli risalì alla memoria.
Bene, sociopatico, allora guarderò meglio!... pensò, ironico.
E, in effetti, qualcosa vide.
In quella tana, come già fin dall'inizio aveva notato, si erano sviluppati degli arbusti, compreso un albero di notevoli dimensioni, i cui rami erano carichi di neve e di stalattiti ghiacciate: il mostro stava mangiando proprio al di sotto di esso.
Scosse la testa, mentre un'idea folle si faceva strada nella sua mente.
No. È assurdo.
Non funzionerà mai.

... Sherlock lo farebbe.

Quell'ultimo pensiero lo fece sorridere. D'altronde, l'alternativa era aspettare di essere divorato, perciò...
Con cautela infinita-attento a non farsi notare dalla belva-il pilota si alzò appena dall'angolo in cui si trovava e, con una mano, prese un pugno di neve, modellandolo a forma di palla.
Cercando di ignorare le dolorose fitte alla testa, tirò indietro il braccio più che poteva e la lanciò con tutta la sua forza, mirando al ramo proprio al di sopra del wampa.
Questo ondeggiò, ma non abbastanza: solo un'esigua quantità di neve cadde al suolo, e nessuna stalattite si staccò.
La creatura scosse il grosso capo, infastidita da quel rumore, e John subito si immobilizzò: fortunatamente, il mostro non si spostò dalla sua posizione, tornando con un grugnito ad occuparsi del suo pasto.
Il pilota sospirò leggermente, sollevato ma anche sconfortato. Prese tuttavia un altro mucchio di neve, deciso a ritentare.

E poi, la sentì di nuovo.
Quella sensazione. La stessa che aveva avvertito poco prima di sparare contro la Morte Nera. Un formicolio nella testa, che pareva trasmettersi ad ogni nervo del suo corpo.
Non era mai riuscito a darsi una spiegazione in merito, sebbene si fosse ripresentata varie volte, anche se meno intensa. Gli capitava, per esempio, di capire prima degli altri il punto debole di una Base nemica in pochi istanti, o di riuscire a parare il colpo di un Assaltatore all'ultimo secondo.
Lui non era un Jedi. Non aveva la Forza. Gli imperiali se ne sarebbero accorti di certo, se così fosse stato.
Eppure...
D'impulso, decise di affidarsi a quella sorta di... non sapeva nemmeno come chiamarlo-Potere? Capacità latente? Sensazione?-e, alzandosi un po' di più, strinse gli occhi, lanciando nuovamente la palla.
Questa volta, funzionò.
Una grande quantità di neve e stalattiti precipitò addosso al mostro, che emise un ruggito di dolore, rabbia e sorpresa, mentre John, carico di adrenalina nonostante tutto, con con una capriola-per la prima volta, fu grato all'addestramento imperiale che lo aveva istruito ad agire anche in situazioni critiche e di debilitazione fisica-e, approfittando della sua distrazione, afferrava il blaster e sparava più volte contro la creatura che, dopo un ultimo ruggito di agonia, cadde a terra, morta.
Il pilota non perse un momento e, tirandosi in piedi, corse fuori da quella tana più veloce che poteva.

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Una volta fuori da quel terribile antro, una raffica gelida lo investì: fiocchi vorticavano turbinosi nell'aria, oscurandogli quasi del tutto la vista, ancora annebbiata dalla botta ricevuta.
Non aveva nemmeno con sé il comlink: probabilmente, gli era caduto quando il wampa gli si era avventato contro. Tutto il suo equipaggiamento era legato al dorso del suo tauntaun, bussola compresa, e aveva fatto la stessa fine, perso in quella distesa bianca. Proprio come lui in quel momento.
Poteva solo affidarsi al suo senso dell'orientamento, e a tutta la sua buona sorte, per tornare alla Base.
Con un sospiro, cominciò ad avanzare nella tormenta, mentre raffiche gelide lo colpivano ripetutamente, e i suoi piedi affondavano sempre più nella spessa coltre di neve.

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-Mi servono le coordinate dell'ultima posizione di John Watson. Subito!
Mycroft Holmes, impegnato in una conversazione con il generale Lestrade, alzò lo sguardo verso il fratello minore, accigliandosi per la sorpresa quando realizzò che aveva di nuovo indosso la veste termica, nonostante avesse già terminato la sua ispezione.
-Non hai detto "per favore"-ribattè, ironico.
Ma Sherlock non era in vena di frecciatine: puntò l'indice contro una delle finestre della Base, da cui si vedeva perfettamente la neve cadere sempre più fitta.
-John è lì fuori. Da almeno un'ora, se non di più. Dammi le coordinate. Adesso-sibilò tra i denti, cercando di tenere a bada la preoccupazione per l'amico che gli attanagliava il cuore sempre di più, mentre Molly era poco dietro di lui, l'espressione ansiosa.
Mycroft, capendo la gravità della situazione, si incupì, e digitò qualcosa sul suo palmare, che mostrò poi al minore.
-L'ultimo segnale ci arriva dal Settore Quattro. Ma sono già passate altre due ore...
Il fratello, senza rispondere, gli diede una rapida occhiata e si diresse con altrettanta rapidità verso la stalla dove tenevano i tauntaun, mentre Mycroft, Lestrade e Molly gli andavano dietro.
-... Hai davvero intenzione di uscire?? Da solo??- fece il capo Ribelle, attonito.
-Non ti facevo così perspicace!-ribattè il corvino, la voce grondante sarcasmo, mentre afferrava uno zaino da esplorazione base, per poi salire in groppa ad una delle lucertole, scacciando l'inserviente che aveva cercato di aiutarlo.-Non c'è tempo per organizzare una squadra di ricerca.
-Non ce la farai mai! La temperatura sta scendendo troppo rapidamente!-intervenne Lestrade, preoccupato.-È da assideramento!
-Esatto. E John è là fuori. Da ore-replicò l'altro, e dal suo tono sparì qualunque traccia di ironia, mentre il suo sguardo era puntato fuori dalla Base, dove la tempesta seguitava a imperversare, e il cielo si oscurava sempre di più.
Lestrade tacque, ma il capo dell'Alleanza si fece avanti, stringendo le redini della cavalcatura e impedendogli di spronarla.
-Sherlock... possiamo accendere le telecamere di sorveglianza, e mandare dei droni di perlustrazione-disse, addolcendo il tono, ma cercando ancora di dissuaderlo.-Potresti non trovarlo mai, e tra poco dovremo chiudere tutte le porte. E, anche ammesso che lo trovassi, non tornereste mai in tempo alla Base! Morirete entrambi assiderati ancora prima che...!
-Allora ci rivedremo tutti all'inferno!-ringhiò Sherlock, una risolutezza inossidabile negli occhi cerulei.- Ti ho ascoltato anche fin troppo. Fammi passare, Mycroft. Non tentare di fermarmi, o giuro che ti passo sopra!

Il capo ribelle, seppur palesemente contrario, dopo una smorfia sospirò, allontanandosi.
Ma prima che il contrabbandiere prendesse le redini, Molly le afferrò per prima.
Sherlock si girò rabbioso verso la senatrice.
-Ma insomma!! Stai forse cercando di fermarmi anche..?!-iniziò a protestare: ma si zittì quando, senza alcun preavviso, le piccole labbra della ragazza si posarono delicatamente sulle sue in un rapido ma dolce bacio, spiazzandolo completamente.
-Sii prudente. E trovalo. Per favore. Farò tenere aperte le porte il più a lungo possibile-sussurrò poi la donna, il volto ancora vicino al suo, ma togliendo le mani dalle redini, e facendosi poi indietro.
Sherlock rimase interdetto per qualche istante: le lanciò poi un rapido sguardo e spronò la cavalcatura, sperando che il cappuccio che aveva tirato su celasse il lieve rossore che era apparso sui suoi zigomi.

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Mycroft Holmes, che aveva osservato la scena poco distante, sospirò.
Non sapeva spiegarsi come, ma John Watson, quell'ex assaltatore imperiale, aveva operato un gran cambiamento in Sherlock.
Anche se ancora non era del tutto certo che fosse un bene.
Quell'uomo avrebbe potuto rappresentare per suo fratello la soluzione... o la rovina definitiva.

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John non sapeva da quanto tempo stesse arrancando in quella tormenta: forse dieci minuti, forse mezz'ora... poteva anche essere un'ora, a giudicare dalla luce, che era sempre meno. Ma forse era anche la sua vista a farsi sempre più nera, considerata la botta di poco prima. E di certo la neve che gli vorticava davanti non lo aiutava, né a capire quanto tempo fosse passato né se stesse quantomeno andando nella giusta direzione.
La sola cosa di cui era ben consapevole era il freddo: un freddo che gli era penetrato fin dentro le ossa, rendendo ogni singolo passo più difficile del precedente; al posto di sollevare le gambe, gli sembrava di sollevare ogni volta dei pesi di piombo. La tenuta termica non reggeva quel calo vertiginoso della temperatura e il suo corpo se ne stava accorgendo sempre di più ad ogni secondo che passava.
Il suo respiro rantolante e sempre più difficoltoso si congelava non appena lasciava le sue labbra screpolate, mentre usava ogni singolo grammo delle sue residue energie per mettere un piede davanti all'altro.
-... Non... ce la... faccio... più...-mormorò, però, all'improvviso, anche se non c'era nessuno che lo potesse sentire, mentre dopo mezzo metro si accasciava al suolo, dove rimase, immobile, il volto sprofondato nella neve gelida.

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Sherlock strinse le mani guantate intorno alle redini, spronando con determinazione la lucertola delle nevi ad aumentare la velocità, del tutto incurante delle raffiche ghiacciate che, nonostante la sciarpa e il cappuccio, gli trafiggevano il volto.
Fece fermare la sua cavalcatura, e scandagliò con lo sguardo la zona centrale del Settore Quattro, ultimo segnale mandato dal GPS di John prima di sparire: ma qualunque impronta potesse esserci era stata purtroppo già cancellata dalla tempesta.
Superò dunque quel settore, incerto sulla direzione da prendere.
A quel punto, in sella al suo tauntaun, prese un profondo respiro, e chiuse gli occhi, mettendo a tacere la paura e la preoccupazione, concentrandosi su un solo ed unico scopo: ritrovare John in quella maledetta distesa di neve.
Isolò l'ululato del vento, il freddo glaciale, i versi della sua cavalcatura... isolò persino il rumore dei fiocchi di neve che cadevano al suolo....
E, finalmente, lo udì.
Un rumore leggero, ma per lui chiaramente udibile, come se fosse stato un urlo.
Un gemito.
Un gemito decisamente umano.
Pregando di essere nel giusto, spronò subito la lucertola in quella direzione.

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-... John.
Il pilota sentì confusamente una voce vicino a lui, che lo chiamava. Ma era troppo esausto per dargli peso: era di certo un'allucinazione.
D'altronde, stava per morire assiderato.
-John. Non sei morto. Non ancora. Guardami!-ripetè però quella voce, in tono gentile ma fermo, e le sue parole risuonarono con una tale potenza nella mente del pilota che lui, malgrado fosse allo stremo delle forze, dovette ubbidire.
Alzò dunque lo sguardo, con immane fatica, le ciglia incrostate di neve: grande fu il suo stupore nel trovarsi di fronte una figura incappucciata, con indosso una veste logora marrone scuro. Istintivamente si domandò come quell'individuo-chiunque egli fosse- riuscisse a resistere al freddo, vestito a quella maniera.
Non riusciva a vederlo bene in viso: ma gli pareva che fosse più anziano di lui, forse sulla sessantina; gli sembrò di scorgere, nell'ombra del cappuccio, degli occhi verde smeraldo, e dei capelli rossicci striati di bianco: ma non ne era certo. Diamine, non era nemmeno certo che ci fosse davvero qualcuno, di fronte a lui!
-Devi resistere, John!-ripetè la misteriosa figura, quasi imperiosa.-Non puoi morire ora. Tu sei il suo conduttore di luce.
Il biondo aggrottò la fronte, confuso.
Conduttore di luce?? Che diamine significava??
E di chi, poi?
Avrebbe voluto porgli tutte quelle domande: ma la voce non uscì dalla sua gola, nonostante i suoi sforzi.
-... Chi... sei?-gemette, alla fine, quando finalmente riuscì a muovere le labbra intirizzite.
-... Un amico-rispose la sagoma: la sua voce gli parve malinconica, seppur intrisa di calore.
John tese a fatica la mano verso la figura, muovendo appena le dita, cercando di stringere o anche solo di sfiorare un lembo della sua veste. Ma essa svanì lentamente, confermando i suoi sospetti: stava delirando.
Si sforzò di tenere ancora gli occhi aperti, ma ormai era una battaglia persa. Prima di svenire, però, gli parve di avere l'ennesima allucinazione: un tauntaun che si avvicinava a lui, e di cui non distinse il cavaliere in sella.
A quel punto, perse del tutto i sensi.

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Appena scorse il corpo dell'amico steso a terra, Sherlock non attese neppure un secondo: smontò rapido dalla cavalcatura e, subito, lo girò, seppur con cautela, sollevandogli poi delicatamente il viso sepolto nella neve e scoprendogli il capo per un attimo: c'era un profondo taglio sulla sua tempia e uno in prossimità della nuca, ancora incrostati di sangue, ma non mortali, per fortuna; non riuscì però a scorgere alcun segno di vita, in lui, neppure mentre lo muoveva. I suoi occhi erano chiusi, le labbra violacee. Era a un passo dall'assideramento.
Un brivido lo percorse: e non di freddo.
-John!! John!! Mi senti??-lo chiamò, dandogli dei leggeri colpetti sul volto, cercando di impedire alla sua voce di tremare.-Non azzardarti a essere morto, John Watson! Non dopo avermi fatto arrivare fino a qui! Il minimo che tu possa fare ora è darmi un segno!!
Il tono che usò fu forzatamente ironico, oppresso com'era dalla paura e la preoccupazione, il cuore che batteva all'impazzata, mentre i secondi passavano senza neppure una reazione dal pilota.
Infine, con sua immensa gioia, fu accontentato: John, gli occhi ancora chiusi, emise un flebile gemito, quasi inudibile.
Ma c'era stato.
Un sorriso di puro sollievo fece capolino sul volto di Sherlock, mentre stringeva a sé il corpo dell'amico per qualche secondo, ringraziando mentalmente tutte le entità benigne conosciute, pur non essendo mai stato un credente. Ringraziò persino la Forza, per la prima volta dopo tanto tempo.
Si impose, però, di riscuotersi; non erano ancora in salvo: se non si fossero sbrigati a tornare alla Base, sarebbero entrambi morti assiderati. Un'ennesima raffica gelata lo investì, rafforzando la sua tesi.
Frugò rapido nello zaino che aveva portato con sé e ne tirò fuori una coperta termica. Non era molto, ma avrebbe contribuito a riscaldare un po' di più il corpo dell'amico almeno il tempo sufficiente per arrivare alla Base. O almeno, così si augurava.
-Resisti, John. Ti porto via di qui!-gli mormorò, mentre lo avvolgeva strettamente con essa. Tirò poi fuori anche una sciarpa,avvplgendogliela intorno al collo e coprendogli poi la parte inferiore del viso, lasciando così scoperti solo gli occhi: la strada verso la Base non era breve, e ogni cosa che lo aiutasse ad aumentare la sua temperatura corporea era fondamentale. Poi, dopo aver fatto accucciare il tauntaun, sollevò l'amico tra le braccia e lo adagiò con infinita cautela sul suo dorso, assicurandolo con delle cinghie, per evitare che cadesse. Neanche stavolta il pilota reagì, o si lamentò: aveva evidentemente di nuovo perso i sensi, dopo quel flebile suono che aveva emesso. Ma era vivo. E lo sarebbe rimasto, fosse stata l'ultima cosa che faceva!
Il corvino montò a sua volta e, subito, spronò la lucertola, che partì al galoppo, mentre la luce man man svaniva, e il buio calava su quelle lande ghiacciate e desolate.

---

-Senatrice...
-Ancora dieci minuti-ribattè la donna, fulminando con lo sguardo la sentinella.
-Senatrice... Mi dispiace, davvero-ripetè questi, e dalla sua voce trapelò un sincero rammarico.-Ma le temperature si stanno abbassando. Le porte blindate vanno chiuse, o l'intera Base sarà compromessa.
Molly lanciò uno sguardo carico di disperazione a Mycroft Holmes, in piedi al suo fianco, lo sguardo cupo, e a Lestrade, rimasto anche lui ad attendere.
-Ha ragione lui, senatrice-mormorò quest'ultimo, anche se il suo tono era carico di dolore.-Dobbiamo chiuderle. Forse sopravvivranno fino a domattina. Manderemo delle squadre di ricerca.
"Forse..."
Molly gettò un'occhiata in tralice a Mycroft, che annuì tristemente.
La sentinella, con un altrettanto triste sospiro, pigiò un pulsante, e le porte si mossero, lente ma inesorabili.

-... La mamma non ti ha insegnato che è da maleducati chiudere le porte in faccia alla gente?
Mycroft sobbalzò, mentre dal suo comlink crepitava una voce roca, esausta, ma carica di sarcasmo.
Il capo ribelle trattenne a stento una risata e, con un'espressione palesemente sollevata in volto, ordinò di fermare subito l'avanzata delle porte, mentre una sagoma in groppa a un tauntaun si avvicinava, con un'altra adagiata dietro di lui, avvolta in una coperta termica.
Lestrade, con un enorme sorriso, si affrettò a raggiungerlo, insieme a droidi medici e personale umano, mentre un sospiro tremante di sollievo lasciava le labbra di Molly Hooper.

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  [Inizio conversazione]
              

Sconosciuto.
Non posso farlo.

Mister X.
Ormai è troppo tardi. Ci sei dentro fino al collo. E poi, non mi sembrava che ti importasse di lui, anzi!

Sconosciuto.
Ma non sapevo che tu fossi... Non mi importa. Non lo farò!

Mister X.
Devo forse rammentarti cosa succederà, se ti rifiuti? Non vorrai certo che una persona a cui tieni molto soffra, dico bene?

Sconosciuto.
No!!! Non farlo. Ti prego!!!

Mister X.
Dipende da te.
Tu assicurarti che il pacco arrivi a destinazione, e non le accadrà nulla.

Sconosciuto.
... E come?

Mister X.
Segui solo queste istruzioni...

   [Conversazione cancellata]

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