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Le ragioni del cuore

La grotta è immersa in un'oscurità quasi totale, rischiarata appena dalla luce verde della spada laser che impugna saldamente con entrambe le mani, come a voler trarre conforto dal contatto di quell'oggetto familiare e rassicurante, in mezzo a quell'oscurità così densa e spaventosa.
Nonostante il crescente timore, continua ad avanzare, imperterrito: il rumore dei suoi stivali sulla pietra umida è l'unico a rompere il profondo silenzio che regna in quel luogo, eccetto forse un leggero sgocciolio d'acqua.
D'improvviso, si ode un rumore decisamente diverso: un respiro umano, ma che sembra essere soffocato, addirittura distorto da qualche dispositivo meccanico, mentre una sagoma avvolta in una veste completamente nera si fa avanti, impugnando una spada laser dalla luce rossa, simile alla sua, ma decisamente più avanzata, a giudicare dal laser cremisi che, alla base, si modella come una guardia, rendendola simile ad una spada vera.

Sente il cuore battere all'impazzata, non appena riconosce quella figura, insieme ad un odio bruciante.
-Aspettavo da lungo tempo questo momento-lo apostrofa la sagoma, il volto completamente celato da una maschera nera, che infatti ne distorce la voce, rendendola cupa e roca, metallica, impossibile da definire.
I palmi delle sue mani sono sudati, mentre avverte il potere insito in quella voce: ma quando gli si rivolge, nasconde completamente la sua paura sotto un tono carico di spavalderia.
-Chi sei?? Perché hai ucciso il mio Maestro??-gli domanda, furente.
Ma la sagoma non risponde, e la sua rabbia aumenta a dismisura.
-Rispondimi, dannazione!-ringhia, e fa un passo avanti.
Il misterioso individuo finalmente reagisce, puntandogli sotto al mento la sua spada laser cremisi, e lui, suo malgrado, si immobilizza.
-La vera domanda è chi sei tu-replica poi la figura nero vestita, abbassando appena il fascio laser rosso verso la sua gola, e lasciandolo di stucco per un istante.
-Io... io sono... Cosa importa???-esplode, ma più spaventato che rabbioso.
-Non puoi affrontarmi, se non sai chi sei-ribatte questa, e dal suo tono traspare un pizzico di ironia.
-Io so chi sono!
La tetra e spaventosa figura, stavolta, scuote la testa con aria di compatimento.
-Ooh, Sherlock... tu non sai nulla...
Prima che quest'ultimo possa effettivamente riprendersi da quella criptica affermazione-e dal fatto che quel malvagio individuo conosca il suo nome-questi gli si avventa contro, impugnando la sua arma: Sherlock, rapido, brandisce la sua, e para il colpo.
Il raggio verde e quello cremisi si incrociano più e più volte, sfrigolando, unica fonte di luce in quell'oscurità, mentre Sherlock, la fronte imperlata di sudore, cerca di sferrare al suo nemico colpi sempre più precisi.

D'impulso, capisce cosa deve fare per batterlo, e attinge alla Forza: ma qualcosa non va.
Si sente avvolgere sì da un'aura di potere, ma non è quello a cui ha sempre attinto durante il suo addestramento, limpido e cristallino: questo è come una nube nera, carica di odio, disperazione, dolore, rabbia...
Ed è proprio quest'ultimo sentimento, la rabbia, a invaderlo, mutando la nebbia che lo invade mentalmente e tingendola di rosso sangue.
Rabbia per quell'essere disgustoso che ha tolto la vita al suo Maestro, al suo migliore amico..
Sherlock si sente  quasi... inebriato, da quel potere, e vi si affida completamente, seppur consapevole, da qualche parte nel suo cervello, e nel suo cuore, che c'è qualcosa di profondamente... sbagliato.
I suoi colpi diventano più precisi, e più violenti, finché riesce, con un fendente carico di potenza, a decapitare il suo nemico, che cade a terra, mentre la sua testa mozzata rotola poco lontano.
Sherlock scopre di non sentirsi vittorioso: al contrario, un inquietudine terrificante si impossessa del suo animo, mentre si avvicina cauto alla testa del Sith, ancora coperta dalla maschera.
D'improvviso, essa esplode, scoprendo finalmente il volto del suo nemico.
Sherlock per poco non cade a terra, gli occhi colmi di terrore, la bocca spalancata in un grido muto...

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Un discreto bussare alla porta elettronica della stanza fece spalancare gli occhi a Sherlock, che boccheggiò varie volte, come se fosse riemerso da acque profonde.
Negli ultimi due anni passati insieme al ribelli, aveva ricominciato-seppur solo in parte-l'addestramento Jedi dal punto in cui l'aveva interrotto, usando la medesima spada laser che era solito adoperare in passato, e che aveva gelosamente custodito sino ad allora: la stessa che era ricomparsa in quella visione. Visione che, peraltro, gli causava ancora i brividi di puro terrore, e di cui non comprendeva il significato: non era dunque molto dispiaciuto che la sua meditazione fosse stata interrotta; avrebbe dovuto comunque interromperla in ogni caso.
Il suo sguardo corse al borsone, aperto, mezzo pieno, posato sul letto, e si incupì. Prese un profondo respiro-cercando di calmare, per quanto possibile, il battito del suo cuore-e, lentamente, si alzò dal pavimento, dove era rimasto, seduto a gambe incrociate, nell'ultima mezz'ora.
Una volta che ebbe aperto la porta, però, con sua grande irritazione, il cuore riprese a battergli di nuovo a gran velocità, nonostante i suoi tentativi di tenerlo a bada.
-Senat–... Molly-si corresse, salutandola con leggero cenno del capo, e mantenendo forzatamente un tono freddo e distaccato.
-Sherlock-replicò lei, ma con un pizzico di calore in più nella voce, entrando: anche se, quando notò il borsone, la sua espressione si incupì.
-E quindi... te ne vai davvero?
-Ottima deduzione-ribattè lui, sarcastico, aprendo un armadio e tirando fuori alcune camicie.-L'ho sempre detto che era una situazione temporanea. Mio fratello non se stupirà più di tanto.
-Credevo che alla fine avessi deciso di restare-mormorò lei, e la sua voce stavolta si velò di malinconia e delusione.
-Ho cambiato idea-troncò il discorso il contrabbandiere, in tono aspro.
-John lo sa? Credevo che fosse il tuo migliore amico.
Sherlock si ritrovò, suo malgrado, a sollevare un angolo della bocca, mentre era chino su un cassetto.
... Colpo basso, senatrice.
-Lo saprà appena torna dal giro di ricognizione-rispose, come se la cosa non gli importasse.

La verità sulla sua partenza era, in effetti, ben diversa: ma non l'avrebbe rivelato né a lei, né a nessun altro: solo John era a conoscenza, seppur in minima parte, dei suoi problemi con Magnussen.
Molly aveva ragione: aveva effettivamente deciso di restare con la ribellione. Durante quei due anni, si era infatti reso conto, con sua grande sorpresa, che gli piaceva combattere per uno scopo, e non solo per il suo tornaconto personale. Aveva iniziato ad apprezzare la compagnia dei ribelli-anche se non proprio di tutti...-e il rapporto col generale Lestrade si era fatto ancor più saldo: persino con suo fratello riusciva di nuovo a parlare, e senza insultarsi eccessivamente. Aveva altresì scoperto che passare le serate e le missioni in sua compagnia-ma anche in quella di John e di Molly-era piacevole. Ma, soprattutto, giorno dopo giorno, aveva anche capito che quella che provava per quest'ultima non era solo infatuazione, ma qualcosa di più... qualcosa di più profondo che, pian piano, aveva messo radici, senza che quasi neppure lui stesso se ne rendesse davvero conto. Quella donna, con la sua forza, la sua tenacia, ma anche la sua dolcezza e la sua capacità di guardare oltre l'apparenza (soprattutto la sua) era riuscita a sorprenderlo come poche altre avevano fatto.
Dopo tanto tempo, sentimenti come amicizia, gioia, amore, che credeva di aver messo da parte per sempre, erano riemersi nel suo cuore, come timidi germogli sepolti da lungo tempo sotto una coltre di neve, che si andava man mano sciogliendo.
Nel riporre con cautela il suo violino nella custodia - uno strumento lontano anni luce dai moderni decodificatori di suono, ma l'unico che amasse davvero suonare- gli sfuggì un sorriso: negli ultimi anni, si era persino lasciato convincere a suonare di fronte ai ribelli. Aveva addirittura seguito il consiglio di John, e smesso di assumere gli spaccacervello e, lo doveva ammettere, il suo geniale intelletto non ne aveva risentito quanto aveva pensato. In effetti, anche la noia, sua acerrima nemica, si era fatta viva meno del previsto, preso com'era dalle missioni per l'Alleanza; ma anche quei momenti leggeri e conviviali con i ribelli erano riusciti, a modo loro, a catturare la sua attenzione e a sorprenderlo. Persino quelli di semplice quiete, in compagnia solo di John o di Molly. Tutto dunque, nella sua vita, era cambiato, da quel fatidico incontro a Mos Eisley. In meglio, soprattutto.
Ma, pensò Sherlock amaramente, mentre passava stavolta a infilare altri indumenti nella borsa-senza guardare la senatrice negli occhi-le gioie non erano fatte per durare, come diceva anche il grande Shakespeare:

"Queste gioie violente hanno fini violente.
Muoiono nel loro trionfo, come la polvere da sparo e il fuoco,
che si consumano al primo bacio."

Durante una missione di sei mesi prima, nell'Orlo Esterno, più precisamente sul pianeta di Kamino-dove lui e John si erano recati per indagare sui clonatori-Sherlock aveva intravisto una sagoma che era stata in grado di gelargli il sangue nelle vene: Sebastian Moran. Era intento a parlare con uno dei Kaminoani, e lo aveva sentito chiaramente pronunciare il suo nome.
Si era dunque affrettato, con una scusa qualunque, ad allontanare John da lì, e in seguito a rivelare a Mycroft quel poco che avevano scoperto sui clonatori. Ma rivedere, anche se di sfuggita, quel maledetto cacciatore di taglie, gli aveva sbattuto in faccia e con violenza la realtà, che per un breve periodo si era concesso di ignorare: Magnussen non aveva smesso di dargli la caccia, e forse non l'avrebbe mai fatto, nemmeno se lui, mettendo a tacere il suo orgoglio, avesse pagato la tangente. Per Magnussen, ormai, era diventata una questione personale: lo voleva morto.
E si era inserita una inattesa variabile, nell'equazione del contrabbandiere: non era più solo la sua vita, a rischio, ma anche quella di quelle persone che, contro la sua stessa volontà, avevano iniziato a stargli a cuore.
E questa era un'ulteriore prova del profondo cambiamento che era avvenuto in lui: si preoccupava di altre vite, e non solo ed esclusivamente della sua.
Finchè lui fosse stato lì, loro sarebbero stati in pericolo: Moran avrebbe scoperto di certo, prima o poi, che Sherlock era il fratello di Mycroft Holmes, capo dell'Alleanza.
E questo li avrebbe messi tutti in pericolo: John, Molly, Lestrade, la signora Hudson... persino suo fratello con cui, nonostante tutto, stava riscoprendo quel legame che, da lungo tempo, si era come spezzato.
Magnussen sarebbe stato persino capace di coinvolgere l'Impero, pur di trovarlo: e questo avrebbe decretato l'annientamento della Ribellione.
Tutti quei cupi ragionamenti lo avevano portato a una sola e ovvia conclusione: fuggire, di nuovo.
Vivere da solo e senza legami, di nuovo.
Dopotutto, c'era riuscito per più di dieci anni: poteva benissimo ricominciare a farlo...

Tutti quei pensieri passarono per la mente di Sherlock rapidi fulmini, mentre ficcava con un movimento rabbioso l'ennesima camicia nella borsa, sempre senza degnare la senatrice di uno sguardo: forse perché temeva che, se l'avesse guardata negli occhi, si sarebbe sentito spinto a restare, e a mettere in discussione tutti i suoi logici ragionamenti.
Ma ciò che la donna disse lo distrasse completamente da quei pensieri.
-È proprio per questo che sono qui. Per John-disse infatti, e Sherlock, avvertendo all'istante la preoccupazione e l'ansia nella sua  voce, alzò finalmente lo sguardo.- Doveva tornare dall'ispezione circa mezz'ora fa, e poi venire da me per fare rapporto. Ma non è venuto, e non risulta nemmeno rientrato dall'ingresso Sud. Per un momento ho pensato che avesse dimenticato di firmare, ma...
-... Ma non è da lui. E le temperature stanno calando-completò Sherlock che, ad ogni parola pronunciata dalla senatrice, avvertiva salire il panico. Il suo potere nella Forza era ancora molto sopito, ma in quel momento gli trasmetteva una sensazione tutt'altro che positiva.
Molly annuì, l'espressione preoccupata al pari della sua voce, mentre entrambi lanciavano uno sguardo alla finestra della stanza: al di fuori della Base ribelle, una vera e propria tormenta era iniziata...
        

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