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La spia

-Ne siete sicuri?
L'imperiale annuì nervosamente.
-S-sì, signore. È la terza scossa neurologica che gli infliggiamo, e di grado nove. Di solito il soggetto perde i sensi già dopo la prima. Ma lui non li ha persi neppure al grado cinque e nemmeno ai successivi. Con il nove di solito causiamo anche problemi celebrali permanenti... in realtà eravamo pure restii a usarlo. Ma lui, incredibilmente, non solo è ancora del tutto vigile, ma non presenta nemmeno alcun problema a livello neurologico. Di certo ha una soglia del dolore molto elevata, ma soprattutto le sue cellule celebrali sono anche molto più forti del normale.
Il sith osservò, meditabondo, dalla telecamera, il volto del pilota ribelle, che era decisamente esausto e sofferente, ma da cui traspariva una certa... forza. Dunque era quella che aveva avvertito durante l'attacco contro la Morte Nera. Una forza remota, elusiva, ma da lui chiaramente percepibile, seppur inspiegabile.
-E la ragazza?
-Lei ha perso i sensi dopo quella di grado tre, dunque non abbiamo aumentato il livello di potenza, non ce ne era bisogno-lo informò il soldato, relativamente più tranquillo.-Ma, come da lei richiesto, non le abbiamo posto alcuna domanda, come all'altro. Ora è nella cella, ma crediamo si riprenderà in tempo per la prossima... seduta.
Il Sith ignorò il leggero ghigno sulle labbra del suo interlocutore: tutta la sua attenzione era per il ribelle legato alla sedia, la fronte imperlata di sudore, gli occhi chiusi, le labbra strette. Pareva così insignificante, impotente... eppure...
Doveva saperne di più.
-Lasciatemi solo con lui.

---

John riaprì lentamente gli occhi, seppur con fatica, e girò lo sguardo: fu sorpreso di scoprire che i suoi aguzzini avevano interrotto la tortura. E la sua sorpresa aumentò, quando vide di fronte a sé una figura vestita di nero, il volto coperto da una maschera, nera anch'essa.
Rimase paralizzato dal terrore, quando si rese conto di avere di fronte Darth Wind, il malvagio Sith addestrato dall'Imperatore in persona.
-HQ-5521-lo apostrofò la figura, la voce distorta dalla maschera, camminandogli lentamente intorno.
Il biondo avvertì un fiotto di pura rabbia, che scacciò per un momento il terrore.
-Non mi chiamo così. Non più!-ringhiò infatti, mentre stringeva le mani a pugno.
-Ooh, lo so benissimo, John Watson-gli sibilò il Sith in un orecchio con la sua voce terrificante e distorta.-Io posso vedere ogni cosa. Posso vedere ogni singolo pensiero che passa per il tuo cranio.
John rabbrividí, e si umettò le labbra.
-Potrei leggere proprio ora anche dove si trova la vostra inutile base ribelle.

... Allora, finalmente, si sono decisi?, pensò lui, con un moto di rassegnazione, ma dubbioso: perché stavano ponendo proprio a lui quella domanda, e non alla senatrice?? Per quanto fosse più che disposto a prendersi quel supplizio al suo posto, non aveva senso. Da lei avrebbero ottenuto non solo quella posizione, ma anche quella dei vari rifugi di emergenza, i loro piani... Non riusciva proprio a capire...
Prima che potesse finire di formulare quel pensiero, però, sentì qualcosa penetrare letteralmente nel suo cervello, e il dolore per poco non lo fece svenire: era come se una forza sconosciuta stesse percuotendo i suoi neuroni con una inaudita violenza-ancora peggio del dolore provato con le scariche- prosciugandogli le forze, che vennero quasi subito meno, mentre momenti della sua vita gli invadevano d'improvviso la mente, senza però che lui li avesse in alcun modo evocati.
Fu come se un film venisse metaforicamente proiettato di fronte ai suoi occhi, ma facendoglielo anche vivere in prima persona. E con molti più dettagli dei pochi flash che in passato, di tanto in tanto, erano riaffiorati.

Ha forse sei anni, mentre viene trascinato via in lacrime da una casa in fiamme.
-Mamma!! Papà! - urla, cercando inutilmente di sottrarsi alla presa del soldato con indosso un casco integrale bianco e nero, mentre un altro gli mette delle pesanti manette intorno ai polsi, collegate ad una catena. Solo allora quello che lo stava tenendo stretto lascia la presa. Lui prova subito, nonostante le manette, a correre verso la sua casa, ma l'altro soldato tira con violenza il capo della catena, trattenendolo e facendolo cadere a terra.
-Zitto, feccia! E in piedi! Sei una nostra recluta ora!-gli urla, mentre il piccolo sollevava a fatica il volto sporco di terra e lacrime. Mentre l'imperiale lo trascina via, il se stesso bambino si volta di nuovo: negli occhi si riflette il fuoco che, ancora, brucia la sua casa.

Un'altra immagine.
Ha ancora sei anni, ed è legato ad sedia di metallo attraverso delle fasce di ferro, che gli imprigionano polsi e caviglie, in una stanza dalle pareti grigie. Ha degli elettrodi appiccicati sulle tempie, delle cuffie sulle orecchie, uno schermo olografico davanti agli occhi. Su quello schermo viene proiettata un'immagine dell'Imperatore, poi quella di un Ribelle giustiziato.
-l'Imperatore è il tuo unico signore. Il tuo unico compito è uccidere i suoi oppositori. Ripeti - gli ordina una voce fredda attraverso le cuffie.
-No-risponde lui, caparbio.
Una forte scossa gli attraversa il cranio e poi tutto il corpo, facendolo gridare per il dolore.
-l'Imperatore è il tuo unico signore. Il tuo unico compito è uccidere i suoi oppositori. Ripeti!-gli ordina la voce di nuovo, ma a volume più alto. Anche le immagini olografiche sembrano più grosse, più dettagliate, più minacciose. Sembrano quasi incombere su di lui.
-Ho detto di no!- ribadisce però il bambino, con forza ancora maggiore, nonostante la testa che pulsa.
Un'altra scossa, ancora più forte, subito lo attraversa, ma stavolta lui non grida: tiene le labbra strette e i denti serrati, mentre ogni singola cellula del suo corpo sembra gridare al suo posto.
La scossa finisce, e lui si concede di provare un pizzico di sollievo, anche se di breve durata.
Un soldato imperiale, infatti, il volto coperto dalla maschera, gli si para davanti, accucciandosi alla sua altezza e togliendogli le cuffie.
-Sei uno tosto, marmocchio, te lo concedo. È la terza seduta di condizionamento, e ancora ti ostini-gli dice, parendo addirittura ammirato, mentre lo squadra per qualche momento. Picchietta poi un dito sulla consolle di fronte allo schermo olografico, e la sua voce si fa dura.-Ma se non ti sottometti, questa bella macchina aumenterà le scosse sempre di più, fino a friggerti il cervello. Diventerai buono solo come cibo per Bantha, e noi ti butteremo nel deserto a morire. Vuoi questo?
Lui stringe ancora di più le labbra, e per un momento vorrebbe urlare, con sfida: "Sì! Meglio morto!". Ma qualcosa glielo impedisce: la speranza. Flebile, forse impossibile, ma insopprimibile: magari, se riuscisse a sopravvivere, potrebbe scappare, prima o poi. E se i suoi genitori fossero ancora vivi?? Potrebbe tornare a casa, da loro!
... E allora capisce cosa deve fare: fingere.
Fingere che quella macchina lo controlli davvero, che l'abbia davvero convinto. Solo così potrà cercare di sopravvivere fino al momento giusto per provare a scappare.
Quindi risponde alla domanda del soldato, scuotendo piano la testa in segno di diniego, e cercando di sembrare il più sottomesso e spaventato possibile. Quest'ultimo aspetto, quantomeno, non ha bisogno di fingerlo.
-... Ecco. Così va meglio-approva questi, anche se il suo tono rimane duro.- Riproviamo di nuovo, però. Credo che con te ci vogliano maniere più forti-aggiunge, infatti, tirandosi in piedi e avvicinandosi alla consolle, ignorando il mugolio di paura che il bambino non riesce a trattenere, nonostante i suoi sforzi. Teme, infatti, che l'Imperiale stia già per infliggergli una scossa più forte, come punizione. O forse più di una.
Ma quello che fa, invece, è prendere da terra due fili neri, collegati anch'essi alla macchina ma che il bambino, fino a quel momento, non aveva notato. Vede poi che uno di questi termina in una piccola striscia di velcro nera, spessa forse tre dita, che il soldato gli lega strettamente intorno alla parte più alta del braccio destro. L'altro, invece, termina in un elettrodo simile a quelli che lui già ha indosso. Questo, però, il soldato glielo appiccica sulla fronte.
Accende poi un altro schermo, dove subito appare una linea azzurrina e un'altra poco sotto, in quel momento entrambe piatte. 
-... Vedi questa macchina? Si chiama Vericam. Capisce se stai dicendo una bugia o no leggendo le tue onde cerebrali. Ti legge nel pensiero, diciamo così. Capisce se stai dicendo quelle frasi credendoci davvero o se stai solo facendo finta. Sai, riesce persino a sentire quanto ti batte forte il cuore quando dici una bugia!-gli spiega l'Imperiale, infatti, facendolo rimanere pietrificato.-Quindi, adesso, dovrai ripeterle. E se quelle linee andranno troppo su e giù, soprattutto quella in alto, saprò che stai mentendo. E dovrò farti male. Molto, molto male. Finché non avrai imparato. O finché sarai diventato completamente inutile, per noi...
Gli sistema di nuovo le cuffie in testa con un gesto brusco, per poi tornare di fronte alla consolle, pronto ad accendere del tutto quella orribile macchina.
Il cuore del bambino già batte così tanto che sembra uscirgli dal petto, mentre cerca di non piangere per la disperazione e la paura. Il suo piano è appena andato in fumo. Gli friggeranno il cervello e morirà.
Eppure, nonostante tutto, trova ancora un pizzico di coraggio, nel suo cuore. Forse non ingannerà mai una macchina, ma almeno ci può provare. Deve farlo. Non si arrenderà senza lottare.
Sospira, preparandosi, quando le immagini olografiche si accendono di nuovo.
-l'Imperatore è il tuo unico signore. Il tuo unico compito è uccidere i suoi oppositori. Ripeti -risuona l'odiata voce nelle sue orecchie.
E lui la ripete. Parola per parola. In tono piatto, monocorde, senza emozione. Per qualche strano motivo si sente forte, mentre lo fa. È come se si stesse affidando ad una forza sconosciuta, molto più grande di lui, che lo guida, lo sorregge... Non sente più nulla, neppure il battito del suo stesso cuore, che prima era così forte da fargli male. Sembra, per assurdo, battere ad un ritmo normale. Come se... qualcosa lo tenesse calmo e regolare. Anche la sua testa è strana: come se fosse più leggera.
La ripete ancora, ed ancora, aspettandosi però da un momento all'altro una scossa dolorosa in risposta alla sua bugia.
Ma non accade.
I suoi occhi sono aperti, fissi sugli ologrammi, ma senza vederli per davvero, mente ripete quelle parole fino a quasi fargli perdere significato, la voce sempre rimbombante nella sua testa, ma in lontananza.
Dopo un tempo che gli pare infinito le immagini olografiche spariscono, così come la voce nelle sue orecchie. Dopo poco, gli vengono tolti elettrodi alle tempie e cuffie, ma non la fascia di velcro e quella sulla fronte.
-... Visto? Nemmeno un'oscillazione del vericam. Tutti, prima o poi, vengono domati-sente la voce di un soldato alle sue spalle, che non sapeva essere nella stanza, chiaramente soddisfatto. - A questo ci è solo voluto un po' più di tempo. Però dovremmo ripetere la seduta intensiva per almeno un altro paio di giorni. Non si sa mai, meglio andare sul sicuro.
-Lascia però che si riprenda, altrimenti non rimarrà nessun cervello da controllare!- ribatte l'altro l'imperiale, con una risata crudele, mentre disattiva le fasce metalliche e lo libera, scompigliandogli addirittura i capelli, nell'altrettanto crudele parodia di un gesto affettuoso.- Devo essere sincero, non credevo che avrebbe retto così a lungo senza collassare. Lo riporto in cabina. Penso che comunque dormirà per un bel po', prima della prossima seduta.
Il bambino, confuso, la fronte madida di sudore, getta un'occhiata al visore per la prima volta da quando ha iniziato e, leggendo l'orario, non crede ai suoi occhi: è rimasto attaccato al macchinario per l'intera notte... E la linea è rimasta piatta. Solo quella del cuore si alza ancora appena, ma ad un ritmo regolare e tranquillo, ora soprattutto che è allo stremo delle forze.
A quel punto sviene, esausto, ma con un pizzico di speranza in più nell'animo.
Ce l'ha fatta. Ha ingannato la macchina. Quella strana... forza... lo ha aiutato.
... Ma ci sarebbe riuscito, la prossima volta?

HQ-5521.
Si chiama così, adesso.
È cresciuto. Marcia sulla sabbia rovente con in mano una pistola blaster, dietro ad altri come lui. Ancora non ha il casco, ma i suoi occhi sono vuoti, il volto inespressivo. La stessa espressione dei coetanei che lo precedono nella marcia.
Alla fine c'è riuscito. Ad ogni seduta-e sono state tante...- si è affidato a quella sorta di strana... forza interiore... e ha ingannato la vericam. Il condizionamento non ha mai avuto vera presa, su di lui.
Ma non ha più importanza, perché non c'è modo di scappare. E, anche se lo facesse, dove potrebbe andare?
I suoi sono morti. L'ha scoperto.
Non ha più nessuno.
Una volta credeva che sarebbe stato meglio morire, piuttosto che rimanere lì, schiavo dell'Impero.
Ma anche questa convinzione, che prima gli dava forza e coraggio, si è spenta, lasciando posto ad una rassegnazione che sa di codardia.
Non ha il coraggio di scappare. Ha paura di morire.
Il soldato che li guida abbaia un ordine, e tutti loro, come fossero un'unica persona, si voltano, e riprendono a marciare nella direzione opposta, per far ritorno alla base.
Marce. Missioni. Uccidere i Ribelli. Obbedire agli ordini.
Ormai, la sua vita è questa.
Per sempre.

Passano altri anni, forse una ventina.
Ed ecco l'incontro con la senatrice Hooper, mentre si toglie il casco da assaltatore per la prima volta di fronte a qualcuno.
Che immenso sollievo aveva provato, in quel momento.
Non solo. Per la prima volta, dopo tanto tempo, aveva sentito quella forza strana attraversarlo di nuovo, mentre parlava con quella ragazza, che gli stava ridando qualcosa che credeva di non avere più da tanto, tanto tempo.
Speranza.

D'improvviso, ecco arrivare immagini ancor più recenti: lui salvato nel deserto di Tatooine da Sholto... accolto poi da Mycroft nell'Alleanza... Lui in compagnia di Molly, che chiacchierano intorno a un fuoco, insieme ad alcuni ribelli. Una missione con Lestrade... L'abbraccio tra lui, Sherlock e Molly dopo l'esplosione della Morte Nera... La cerimonia di premiazione... E, subito dopo, lui e Sherlock che ridono, nell'infermeria...

Furono soprattutto quelle ultime immagini, a dargli una strana scossa, e sentì pervaderlo una sorta di orgoglio misto a rabbia: non avrebbe permesso a quell'essere spregevole di leggergli ancora nella testa. Non gli avrebbe dato in pasto tutti i suoi ricordi, specialmente quelli che gli avevano portato gioia... Che gli avevano dato un nuovo scopo.
Anzi, di più: gli avevano restituito ciò che aveva perso dopo la morte dei suoi genitori; come soldato sotto l'Impero, non aveva conosciuto altro che guerra e morte. Con i Ribelli aveva invece riavuto, dopo anni, una casa.
Avrebbe dunque protetto, con tutte le sue forze, i segreti di quella che era, a tutti gli effetti, la sua famiglia.
D'istinto, strinse di nuovo le mani a pugno, talmente forte da conficcare le unghie nei palmi, e i suoi muscoli si tesero all'inverosimile, mentre anche le sue labbra si stringevano, riducendosi ad una linea sottile.
Sentì alcune gocce di sudore freddo scendergli sulla fronte, e poi sulle tempie; ma non si arrese, gli occhi chiusi, digrignando i denti. Avrebbe tenuto quel maledetto Sith fuori dalla sua testa.
Era una sensazione simile a quella provata quando l'Impero aveva cercato di controllarlo con il condizionamento: anche allora, era sempre riuscito a resistergli.
Ma, stavolta, ne era consapevole fino in fondo.
Sentì le orecchie fischiargli, mentre il potere di Darth Wind cercava di superare la sua resistenza, come un ariete cerca di sfondare un muro.
E poi, all'improvviso, accadde qualcosa di assurdo: un'altra immagine apparve nella sua testa.
Solo che, stavolta, non apparteneva al suo passato.

Un bambino dai capelli ricci neri e dagli occhi azzurri giace a terra, il capo chino, il volto striato di lacrime.
Una figura vestita di nero lo sovrasta, e gli punta una spada laser rossa alla gola.

John, incredulo, capì all'istante chi erano quelle figure. Darth Wind.
E l'altra...
Sherlock... sussurrò.

Darth Wind continua a tenere la spada laser al collo di Sherlock, che stavolta alza lo sguardo. Ha ancora gli occhi lucidi di lacrime, ma stavolta traspare anche altro: puro odio.
-Uccidimi. Che aspetti?? - ringhia al Sith, senza mostrare un briciolo di paura.
Questi, però, dopo alcuni lunghi istanti, incredibilmente abbassa la spada, per poi spegnerla, sotto lo sguardo attonito del corvino.
-Non è ancora il tuo momento. Ma ci rivedremo-dice Darth Wind allo Sherlock adolescente, in un tono glaciale, per poi allontanarsi.
Il giovane apprendista Jedi rimane a terra, chiaramente sconcertato, fissando la scura figura allontanarsi...

John boccheggiò e riaprì gli occhi di scatto. Proprio come nella visione, Darth Wind se ne era andato, lasciandolo, di nuovo, solo nella stanza, fatta eccezione per una guardia, che gli dava le spalle.
Chiuse lentamente gli occhi che bruciavano, a causa del sudore. Era esausto, come se avesse corso per chilometri. Ma soprattutto, la sua testa era pesante e piena di domande senza risposta.

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-È forte. Con un buon addestramento, magari potrebbe...
-‎Non è lui il nostro obiettivo.
-... Ma, signore! Lui ha un potere che non...!
-‎Non è il nostro obiettivo-ripetè la figura olografica dell'Imperatore, in un tono che non ammetteva repliche.-Concentrati su Sherlock Holmes. È un ordine!
Darth Wind strinse i denti, mentre una scossa di potere gli perforava il cranio.
-... Come desiderate.
La figura olografica svanì, mentre il sith stringeva i pugni, e il dispositivo elettronico di comunicazione esplodeva, sfrigolando, colpito dalla potenza della sua rabbia repressa.

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-... Anderson??-ripetè Sherlock nuovamente, sperando di non aver assunto un'espressione ebete, tanta era la sua sorpresa: ma il suo tono traboccava di incredulità.
Anderson... una spia?? Anderson che faceva il doppio gioco??
Non era possibile.
Nonostante la sua spettacolare mancanza di intelletto era sempre stato un fedele e integerrimo seguace della Ribellione. E poi... sarebbe stato davvero capace, con le sue scarse capacità, di fare il doppio gioco???
L'aveva forse sottovalutato??
-Non avresti dovuto trovarmi qui-mormorò Anderson, la voce tinta di paura e vergogna.-Anche se, in verità, ci speravo... - aggiunse, con un mesto sorriso, mentre si sedeva sulla poltrona a destra della consolle.
Quella di John, pensò Sherlock, con un istintivo moto di fastidio.
-È da due mesi che il senso di colpa mi sta uccidendo-aggiunse il pilota, lo sguardo a terra, la voce rotta.
Il corvino abbassò appena l'arma, senza tuttavia rinfoderarla, lo sguardo fisso su di lui.
-Perchè?-gli domandò infine, in tono glaciale.
Anderson lo fissò, finalmente, negli occhi, seppur a fatica.
-Prima che tu mi denunci al comandante, e so che non aspetti altro...-sottolineò, con una sfumatura di amaro sarcasmo nella voce-lascia che ti racconti dall'inizio. Le cose sono decisamente più complicate di quello che pensi.
Lui annuì una sola volta, sedendosi poi sulla poltrona a fianco, senza tuttavia, neanche stavolta, rinfoderare l'arma, che tenne in pugno, ancora in parte puntata su di lui.
Anderson strinse con forza le mani sulle ginocchia: poi, con un sospiro carico di tristezza, iniziò a raccontare.

-Due mesi fa mi trovavo in una taverna di Mos Eisley, quando venni avvicinato da uno strano individuo. Diceva di essere un vecchio amico di John, e che anche lui era interessato ad unirsi alla nostra causa. Abbiamo parlato del più e del meno, per due settimane circa, incontrandoci sempre in qualche pub. Mi ha chiesto di non informare John del nostro incontro: voleva farglielo sapere solo una volta che fosse entrato nell'Alleanza.
Anderson scosse la testa, ridendo amaramente.
-Avrei dovuto accorgermene, che qualcosa non quadrava. Specialmente quando ha iniziato a farmi domande personali su di lui... e su di te.-Lanciò a Sherlock uno sguardo carico di vergogna.-Ha chiesto in che rapporti fossi con lui. Lì per lì, mi è parsa una domanda strana. Gli ho risposto semplicemente che eravate molto amici, e poi ho glissato, cominciando a dire peste e corna su di te, su quanto fossi insopportabile, specialmente con me. Lui mi ascoltava sempre, e mi dava ragione, qualsiasi cosa dicessi.
Il pilota sospirò di nuovo, scuotendo la testa.
-Poi, un giorno, dovevamo incontrarci da Angelo's, a Mos Eisley. Sono arrivato prima, e l'ho visto. Stava parlando con degli assaltatori imperiali. Parlavano di te... e di John. E finalmente ho capito chi era. Sebastian Moran, uno dei più efferati cacciatori di taglie. A quel punto, sono scappato, e ho smesso di contattarlo. Ma lui ha contattato me. Mi ha detto che avrei dovuto...-soffocò un singhiozzo.-... Che gli avrei dovuto consegnare... John. Io mi sono subito tirato indietro. Gli ho detto che sapevo chi era, e che non avrei mai fatto quello che mi chiedeva. Lui allora ha minacciato...

Anderson, a quel punto, faticò ad articolare le parole: la sua voce era sempre più rotta dal pianto. Sherlock, dal canto suo, aveva le labbra tese a un punto che quasi sparivano nel suo volto sempre più pallido.
-Ha detto che, se non avessi fatto quello che voleva, avrebbe ucciso mia moglie.-Il pilota tenne lo sguardo fisso a terra, non osando alzarlo verso Sherlock, la voce sempre più strozzata nello sforzo di trattenere le lacrime.-Così ho messo un trasmettitore sulla nave di John, per farlo localizzare dagli imperiali, e un altro che ne bloccasse gli strumenti, soprattutto la velocità luce, per facilitare la cattura. Ma non sapevo che anche la senatrice sarebbe partita con lui, te lo giuro!
Calò un brevissimo silenzio.
-Ha detto che tu li avresti raggiunti. Anche se non mi ha spiegato come. Ha detto solo che tu l'avresti capito. Ma io non potevo sopportare la consapevolezza di quello che avevo fatto. Ti stavo lasciando quel messaggio sul visore, con le coordinate del sistema dove li hanno portati, poi sarei andato io stesso a costituirmi. Ma ora che l'hai scoperto... Ti chiedo solo di aspettare a denunciarmi finché non avrò portato al sicuro mia moglie. Lei non c'entra nulla. Non deve pagare per la mia stupidità-concluse, alzando infine il volto, ormai bagnato di lacrime, verso Sherlock, rimasto stranamente in silenzio per tutto il tempo, la pistola blaster ormai nella fondina.
Rimase interdetto, quando lo vide intento a scrivere qualcosa su un pezzo di carta con sguardo cupo.
-... Ti stai annotando tutti gli insulti che vuoi tirarmi addosso, così da non dimenticarne nemmeno uno?-gli domandò il pilota, con uno sprazzo di amarezza venata di sarcasmo.
Senza rispondere-anzi, senza dire una sola parola-il corvino gli porse il foglio, che Anderson prese con esitazione, la fronte aggrottata. E la sua confusione aumentò, quando lo lesse.

Bill Wiggins
Mos Eisley
Molo 10

Alzò lo sguardo, sconcertato.
-... Che significa??
-È un ex cacciatore di taglie. E mi deve un favore-rispose il contrabbandiere, conciso, cercando di mantenere un tono di voce freddo.-Porta tua moglie stanotte al molo 10. Lui bazzica sempre da quelle parti. Non è difficile da riconoscere: ha sempre addosso un ridicolo cappello a due visiere. La porterà al sicuro nell'Orlo Esterno, e la farà stare nel suo rifugio fino a quando sarà necessario. Ti basterà fare il mio nome.
Aderson, con gli occhi che stavano per uscirgli fuori dalle orbite, aprì la bocca una o due volte, senza riuscire a pronunciare però neppure una sillaba, tanto era scioccato.
-... E t-tu... faresti questo... per me???-riuscì infine a balbettare.-Dopo quello che io ho...??
-‎Tutti commettiamo errori-lo interruppe Sherlock bruscamente, e il pilota rimase, se possibile, ancora più a bocca aperta: ma ciò che gli diede il colpo di grazia furono le parole che il contrabbandiere aggiunse subito dopo.-Non ti denuncerò a mio fratello. Nonostante il tuo scarso quoziente intellettivo sei un bravo pilota. L'Alleanza ha bisogno di te. Ma tu, in cambio, non dovrai dire a nessuno, e specialmente a lui, che hai parlato con Sebastian Moran. A nessuno. È chiaro?-concluse, e il suo tono, stavolta, si fece minaccioso.
Anderson non riuscì a fare altro che annuire, sopraffatto, mentre il contrabbandiere si voltava a consultare il terminale.
-Ora vai-gli ordinò di nuovo lui, senza guardarlo.
Anderson, dopo alcuni lunghi istanti di silenzio, fece per scendere dalla nave, il biglietto stretto in mano come se fosse un'ancora di salvezza: cosa che, in effetti, era.
-Sherlock...
L'altro alzò lo sguardo dal visore, e puntò i suoi occhi di ghiaccio in quelli del pilota, di nuovo colmi di lacrime.
-Grazie. E... scusa-mormorò Anderson, pieno di vergogna.-Ti ho giudicato male.
Il corvino emise una strana risatina forzata.
-Benvenuto nel club. Abbiamo le tessere- replicò, con amaro sarcasmo, voltandosi di nuovo verso il visore, e senza più degnarlo di un solo sguardo.

Solo quando il rumore dei suoi passi gli fecero intendere che era finalmente sceso dalla nave, Sherlock permise alle lacrime, che aveva trattenuto a fatica sino ad allora,
di scendere. Ma le asciugò subito con un brusco gesto della mano, lo sguardo puntato sul terminale, mentre sentiva una rabbia primordiale invadergli il cuore e la mente, simile ad una nebbia rossa come il sangue.

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