La Morte Nera
La London sfrecciava nello spazio, a velocità luce, diretta verso il sistema di Alderaan; mancava ormai poco all'arrivo. Sherlock premeva pulsanti e girava manopole sulla consolle principale, lo sguardo concentrato.
Fino ad allora, il silenzio era regnato nella cabina di pilotaggio: anche John, infatti, seduto al suo fianco, le braccia conserte, guardava fuori dall'oblò, assorto, teso per ciò che lo aspettava, e ripensando a ciò che il capo dell'Alleanza Ribelle gli aveva finalmente rivelato...
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-Non conosciamo ancora la potenza di questa Stazione.
Mycroft Holmes fece ruotare l'immagine olografica, mostrandola nella sua interezza.
-Il nostro contatto è riuscito, hackerando i sistemi difensivi della Base, a trasmetterci solo questi dati, prima che le nostre comunicazioni si interrompessero inspiegabilmente. Perciò, senza lo schema tecnico di questa Stazione, siamo a un punto morto. Ci serve, per localizzare il suo punto debole. Sempre che ne abbia uno...-sottolineò, amaro.
Seguì il silenzio, mentre John fissava l'ologramma di quell'immensa installazione, in parte colpito, in parte terrorizzato. A quanto pareva, le voci sulla nuova arma dell'Impero non erano poi infondate...
Il capo ribelle riprese a parlare, risvegliandolo dalle sue riflessioni.
-Il nostro contatto si trovava, in quel momento, sul pianeta di Alderaan: questo perché era lì che la stazione stava orbitando.-Notò che Sherlock stava per dire qualcosa, e sollevò una mano, anticipandolo.-Prima che tu me lo chieda, non è possibile hackerare il sistema se la stazione non orbita intorno al pianeta. Certo, a meno che qualcuno non entri direttamente nella suddetta e non hackeri i computer principali...-aggiunse, sarcastico.
Sherlock, a quelle parole, non rise, nè replicò: ma John gli vide uno strano e pericoloso luccichio negli occhi. Inspiegabilmente, sentì che quello sguardo non prometteva nulla di buono...
-Che fine ha fatto il vostro contatto?-domandò il contrabbandiere, lo sguardo sempre fisso sull'ologramma.
L'espressione del comandante si incupì.
-Non abbiamo più avuto notizie della senatrice Hooper. Temiamo sia stata catturata. E, con ogni probabilità, terminata.
"Un modo gentile per dire torturata e uccisa..." pensò John, sentendo scorrere dentro di sé un profondo odio per l'Impero.
Sherlock alzò per la prima volta lo sguardo verso il fratello.
-... Molly Hooper? La senatrice di Alderaan? Era lei il vostro... uomo?-domandò, con un pizzico di incredulità nella voce.
Holmes annuì, cupo.
-Era uno dei membri più attivi della ribellione da anni, ormai. Non vi nascondo che la sua morte è un duro colpo, per la causa Ribelle. Era una valida alleata.
Per un rapido momento, il suo sguardo si adombrò di una profonda tristezza: ma si riprese rapidamente.
-Il vostro compito sarà quello di recarvi sul pianeta e scoprire il motivo per cui le comunicazioni sono state interrotte-proseguì.-So bene, fratello, che le tue particolari percezioni non sono del tutto sopite. Ti chiedo perciò di usarle per scoprire tutto il necessario. Ne va della sopravvivenza della Ribellione.
Un profondo e lungo silenzio seguì quelle parole.
-Come credo di averti già detto più volte in passato, non adopero più quelle... percezioni. Di cui, per altro, sei provvisto anche tu-sibilò tra i denti Sherlock in risposta.
Lui scosse la testa.
-Sai perfettamente che le tue sono, purtroppo, superiori alle mie.
-Caspita. Devi essere davvero disperato, per arrivare ad ammettere che sono migliore di te in qualcosa...-commentò Sherlock, sarcastico.
Mycroft, d'improvviso, battè un pugno sulla scrivania, cogliendo John di sorpresa.
-Questo non è un gioco, Sherlock! Non è una stupida sfida infantile! Vuoi che ammetta che il tuo potere è superiore al mio, così da lusingare il tuo stupido ego? Va bene, lo ammetto! Salvare la Ribellione dal suo annientamento è più importante che una frivola questione di orgoglio o di rivalsa! -sbottò, esasperato, e fissando con rabbia il fratello minore, che però non abbassò lo sguardo.
John rimase sconcertato da quello scoppio d'ira: era la prima volta che vedeva il comandante perdere il controllo a quel modo. L'aveva sempre visto serio, compassato e padrone di sè in ogni occasione. Alcuni dei ribelli, infatti, l'avevano soprannominato "L'uomo di ghiaccio".
Sherlock, invece, non reagì nè a parole nè con i fatti: anche se l'espressione del suo volto si incupì notevolmente.
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-... Eri un Cavaliere Jedi, non è vero?
John ruppe finalmente il silenzio con quella domanda, facendo voltare
Sherlock verso di lui.
-Avevo sospettato qualcosa quando hai affrontato Culverton Smith-si affrettò ad aggiungere, in tono di scusa, notando la sua espressione cupa.-E poi, tutti quegli accenni a "Particolari abilità" e "Particolari percezioni" erano poco fraintendibili... Anche se credevo che, ormai, non ce ne fosse più nessuno, dopo...
Si interruppe, non osando terminare la frase: un altro silenzio seguì quelle parole, ancor più profondo del precedente: l'unico suono udibile erano i cinguettii elettronici di BS-221.
-Non lo sono, infatti. Non ufficialmente-mormorò Sherlock alla fine, mantenendo però lo sguardo fisso sul navicomputer.-Ho interrotto l'addestramento quando avevo quattordici anni. È stata solo una parte della mia vita. E ora è finita-concluse, lapidario.
John lo guardò stupito.
-... Quindi... anche tuo fratello... Il comandante-si corresse-è un...??
Le labbra del contrabbandiere si arricciarono appena in un sorriso sardonico.
-... Non esattamente. Ne avrebbe avuto tutte le capacità, però. Aveva cominciato l'addestramento, e addirittura costruito la sua personale spada laser molto prima di ultimarlo. Ma anche lui l'ha abbandonato, preferendo porsi a capo della Ribellione.
-E tu perché l'hai abbandonato?
Gli venne spontaneo porgli quella domanda, anche se se ne pentì quasi immediatamente: la cosa non lo riguardava. Non poteva però negare di essere affascinato, nel trovarsi faccia a faccia con un vero Jedi: o, comunque, un individuo dotato di quei poteri.
Innumerevoli leggende sui Cavalieri Jedi avevano alimentato la fantasia dei Ribelli e non solo- duelli all'ultimo sangue con spade laser, acrobazie incredibili, imprese mirabolanti in ogni angolo della galassia-rendendoli quasi creature mitologiche: aveva dell'incredibile, perciò, sapere di aver di fronte uno di loro. O, quantomeno, uno che era stato addestrato ad esserlo, e quindi potenzialmente dotato di quelle abilità.
L'espressione di Sherlock si indurì, mentre alzava finalmente lo sguardo.
-Preferirei non parlarne.
John annuì, e non insistette oltre; ma fu certo di vedere gli occhi del corvino colmarsi di una profonda tristezza.
-Stiamo per uscire dall'iperspazio-cambiò infatti bruscamente discorso il contrabbandiere, gettando uno sguardo di nuovo sul navicomputer.-Preparati. Innesto i motori subluce.
L'altro annuì, e volse lo sguardo all'oblò frontale, mettendo da parte qualsiasi dubbio o curiosità su Sherlock, e concentrandosi solo sull'imminente missione.
Non appena fuori dall'iperspazio, però, vennero investiti da un'anomala tempesta di enormi massi di pietra: asteroidi. Fortunatamente, il contrabbandiere aveva alzato gli scudi deflettori-come sempre faceva per evitare attacchi a sorpresa da qualche nave nemica-altrimenti quei massi giganteschi avrebbero di sicuro danneggiato seriamente lo scafo. Tuttavia, la London sobbalzò violentemente, sotto quegli urti.
-Ma che diavolo...?!-imprecò Sherlock, abbassando leve e pigiando pulsanti rapidamente, e cercando il più possibile di evitarli.
BS-221, fischiando, rotolò sotto la sua sedia, spaventato dai continui sobbalzi della nave.
-Renditi utile, invece di nasconderti, razza di pusillanime!-lo apostrofò il contrabbandiere, sul volto una smorfia tesa.-Che razza di coordinate mi hai dato?
Mentre John osservava sconcertato fuori dall'oblò, tenendosi alla poltrona con entrambe le mani, il droide pigolò qualcosa in risposta.
-Che significa "Le coordinate sono giuste"?? E questa tempesta di asteroidi secondo te da dove è uscita??-ribattè Sherlock, sarcastico, mentre compiva l'ennesima manovra diversiva.
Il droide emise ancora pigolii e fischi da sotto la poltrona, e il biondo era quasi certo, anche se non capiva il linguaggio dei droidi, che stessero a significare "E che ne so??".
Sarebbe scoppiato a ridere, vedendo il contrabbandiere che insultava nuovamente la macchina, ma una sorta di strana e inspiegabile inquietudine iniziava a farsi strada nel suo animo.
-Non capisco-borbottò il contrabbandiere, scuotendo la testa, fissando per l'ennesima volta il visore, la fronte aggrottata.-Quell'amasso di bulloni ha ragione. Le coordinate sono esatte. Dovremmo trovarci a un diametro planetario dalla superficie di Alderaan. E questa tempesta di asteroidi non è segnata da nessuna parte. Né tanto meno una di meteore!
-E allora... dov'è? Dov'è il pianeta? -John trovò finalmente il coraggio di porre quella domanda.
Sherlock non rispose subito, ma rimase per qualche secondo a fissare lo spazio invaso dagli asteroidi che, tecnicamente, non avrebbero dovuto essere lì, dove invece avrebbe dovuto trovarsi Alderaan.
A meno che quelli non fossero asteroidi... ma detriti.
-... Il pianeta è stato... distrutto. Dall'Impero-sentenziò infine, in tono grave.
Il pilota lo guardò incredulo e allibito, un'espressione di puro orrore in volto.
-Ma... non è possibile!-protestò.-Ci vorrebbero migliaia delle loro navi e una grande potenza di fuoco per distruggere un pianeta inte-...!
Le parole gli morirono in gola, mentre ripensava alle parole di Mycroft.
La più grande Stazione da Battaglia mai progettata.
Potenza di fuoco ancora sconosciuta.
I suoi occhi si colmarono di orrore.
Ma prima che potesse aggiungere altro, nella cabina partì un allarme, seguito dal lampeggiare di una spia rossa sulla consolle: il contrabbandiere si accigliò.
-Sta arrivando un'altra nave-lo informò, controllando uno dei visori.
-Forse è qualcuno che sa cos'è successo! -azzardò John, speranzoso.
Ma le parole successive di Sherlock annientarono completamente quella speranza, facendogli montare anche un gran timore.
-È un caccia TIE imperiale-annunciò infatti, proprio mentre una piccola sfera a due ali sfrecciava di fronte all'oblò. Senza aggiungere altro, fece manovra tra i detriti, gettandosi al suo inseguimento.
-Che stai facendo??
-Voglio vedere dove sta andando-replicò il corvino.-È un caccia a corto raggio. Ciò significa che ci deve essere una base, qui intorno.
-Forse c'è un avamposto imperiale, da queste parti...-ipotizzò il pilota, nervosamente; ma Sherlock scosse la testa in segno di diniego.
-No. Alderaan non aveva lune.
Ma, all'improvviso, entrambi videro qualcosa che smentì completamente le sue parole: il caccia, tallonato dalla London, si stava infatti dirigendo proprio verso una piccola luna... che, però, aveva dei crateri fin troppo regolari, sulla sua superficie.
E parabole grandi quanto una piccola città.
E antenne...
No... realizzò finalmente il pilota ribelle con orrore.
Quella non è una luna...
Quella è...
-Una volta eliminato l'impossibile, ciò che resta, per quanto improbabile, deve essere la verità...-sentì mormorare dal contrabbandiere, a voce bassa, assorto. Quasi... affascinato.
-Sherlock...-John cercò di tenere, per quanto possibile, il sangue freddo e la voce ferma.-Che ne dici di invertire la rotta?
Ma il contrabbandiere continuò imperterrito a procedere nella medesima direzione del caccia, come se non l'avesse nemmeno udito, lo sguardo cupo ma impassibile. Stavano andando letteralmente a sbattere contro quella maledetta stazione spaziale: perché questo era, ormai era evidente.
La sua superficie si stava avvicinando sempre di più: il caccia TIE era già stato inghiottito davanti ai loro occhi, infilandosi in un'immensa apertura metallica.
-Ehm... Sherlock...-ripetè, esitante.-Che ne dici di...
-Ti avevo già sentito la prima volta, John-replicò lui, con un pizzico di irritazione nella voce.-Non intendo farlo. Quel Caccia avrà già segnalato la nostra presenza: una fuga sarebbe illogica, quanto inutile: infatti, ci stanno giá risucchiando con un radiofaro traente all'interno della struttura.
Disse tutto ciò con un'incredibile calma, gli occhi cerulei fissi sulla Stazione imperiale che si faceva sempre più vicina. Ma non sembrava spaventato, o preoccupato.
Sembrava che si stesse... preparando.
Il biondo lo guardò allucinato, e finalmente realizzò.
-... Tu sapevi-mormorò.-Sapevi che la Morte Nera era ancora nell'orbita di Alderaan.
-Avevo qualche sospetto, sì-confermò il contrabbandiere, sempre mantenendo quella calma innaturale.- Avendo trovato una spia sul pianeta, era logico che rimanessero il più a lungo possibile nei paraggi, attendendo altri possibili Ribelli. E, eliminando il pianeta stesso, non rischiano neppure un altro hackeraggio. Ergo, c'è un solo modo, a questo punto, per ottenere quello schema tecnico: hackerare il computer principale. Dall'interno.
Il pilota, inizialmente, non riuscì a parlare, tanto era sconvolto.
-... E come pensi di farlo?? Credi forse che ci faranno scendere dalla London per poi invitarci a fare un giro turistico della stazione come se nulla fosse?!?-esplose, con una vena di sarcasmo per lui poco comune, mista ad isteria.
-Rilassati, John-lo tranquillizzò però l'altro, mentre spegneva i motori che, sotto la potenza del radiofaro, si stavano surriscaldando, e premendo poi determinati tasti su un pannello a sinistra della consolle.-Ho un piano.
-Come mai questo non mi consola per niente??-borbottò lui, fissando con apprensione l'apertura metallica verso cui stavano volando; si voltò nuovamente verso Sherlock, e vide, con suo immenso stupore, che stava... sorridendo. Uno strano sorriso maligno, carico di una sorta di aspettativa: come se non vedesse l'ora di affrontare qualunque cosa li attendesse.
Lo sentì dire poi una frase che, anche se lui ancora non lo sapeva, gli sarebbe diventata molto familiare, negli anni a venire.
-Il gioco è cominciato...-sussurrò, lo sguardo fisso davanti a sé, mentre la London veniva finalmente inghiottita dalla Morte Nera, e loro con lei.
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