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L'inizio di una grande amicizia

Naboo
Presente

-Moran... mi sta sempre più antipatico ogni volta che risento questa storia!-sentenziò Rosie, mentre i suoi occhioni blu cielo, gli stessi di suo padre, scintillavano di rabbia, le piccole labbra strette.-Se ci fossi stata io, gli avrei staccato la testa con la mia spada laser!!
E agitò le braccine esili con foga, come se stesse per l'appunto brandendo una spada immaginaria.
-Io, invece, gli avrei sparato con il mio blaster!-si intromise Victor, mimando anche lui con foga di sparare con una pistola.
John rise affettuosamente, guardandoli: la loro innocenza stemperava, almeno in parte, l'odio che pure lui non poteva fare a meno di provare ogni qualvolta che il nome di "Sebastian Moran"-e di tutto quello che aveva fatto passare a lui e a Sherlock-gli risaliva per qualche ragione alla memoria.
Ricordava ancora perfettamente il giorno in cui aveva salvato Sherlock da quel cacciatore di taglie: non l'aveva fatto perché il capo della Ribellione voleva che conducesse il contrabbandiere da loro "Con ogni mezzo necessario". No.
L'aveva fatto perché aveva sentito che era giusto farlo: perché vederlo picchiato a quel modo da quel criminale-ancora ricordava la sua sadica risata-gli aveva fatto ribollire il sangue nelle vene come mai gli era accaduto.
Quando poi aveva capito che la sua intenzione era quella di ucciderlo, non ci aveva pensato due volte a soccorrerlo, senza badare troppo alle possibilità di finire ucciso anche lui da quel malefico cacciatore di taglie, mettendo così a repentaglio la sua stessa vita.

Sherlock Holmes...
Scosse la testa, sorridendo:
quell'uomo, fin dalla prima volta che l'aveva visto, gli aveva ispirato una irrazionale fiducia, sebbene l'avesse appena conosciuto.
Gli sfuggì un sospiro: forse era stata proprio la Forza, e non solo il destino, a legare all'istante due persone così diverse...
-Sono certo che voi due l'avreste conciato per le feste-disse infine, scuotendosi da quei pensieri; i bambini sorrisero, orgogliosi.-Comunque hai ragione, Rosie: Moran era davvero il più odioso criminale in cui avessi mai avuto la sfortuna di imbattermi. O almeno, così pensavo...
I due bambini smisero immediatamente di agitarsi e si misero all'ascolto, i palmi delle mani sotto al mento, i volti carica di aspettativa.
-... Purtroppo, infatti, le nostre disavventure erano appena cominciate-proseguì John, lo sguardo fisso sulle montagne circostanti, cupo.-Perchè Sherlock Holmes si era fatto nemico anche il suo capo, che era ancora peggiore: l'uomo più potente e pericoloso di Mos Eisley.
Charles Augustus Magnussen...

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Da qualche parte nello spazio
Passato

-... Non credevo esistesse qualcuno, a Mos Eisley, che non lavorasse per Magnussen!-commentò John, stupito, mentre passava un piccolo apparecchio ronzante, dalla forma simile ad una mini pila tascabile, sullo zigomo di Sherlock; questo emanava una piccola luce, a tratti rossa o blu, a seconda del punto del viso in cui il pilota gliela passava, rivelando così le zone che necessitavano di essere medicate. Aveva però prima dovuto pulirgli il volto dal sangue ormai secco con dei batuffoli di ovatta imbevuti di una sostanza disinfettante e lenitiva.
E il contrabbandiere, dopo l'iniziale resistenza, l'aveva lasciato fare, consegnandogli il piccolo kit medico d'emergenza (che per fortuna aveva), non del tutto dispiaciuto da quelle attenzioni; era davvero da molto tempo che qualcuno non si prendeva cura di lui in quel modo. I gesti del pilota, infatti, era veloci e professionali, mentre lo medicava -e questo gli fece intuire che non fosse la prima volta che lo faceva- ma anche volutamente attenti a non causargli più sofferenza del necessario.
La nave, intanto, procedeva rapida dopo il salto a velocità luce sotto pilota automatico.
-Be', ha di fronte a lei l'eccezione-replicò il corvino, sarcastico: fece poi una smorfia e gli sfuggì un lamento, mentre l'apparecchio ricostruiva i suoi tessuti epidermici, cicatrizzando così le sue ferite e facendo riassorbire lividi ed ematomi. Il pilota lo aveva altresì costretto a togliersi la camicia per fargli controllare che non avesse costole rotte o incrinate: fortunatamente aveva solo un livido violaceo in prossimità dello stomaco, su cui il biondo aveva già applicato- sempre ignorando le sue proteste-un unguento di Bacta, per facilitarne ancor di più l'assorbimento e lenire il dolore.
-Non c'era bisogno che mi curasse. Potevo fare anche da solo, più tardi. E poi mi hanno conciato anche peggio-borbottò, tornando all'usuale atteggiamento scorbutico, e fece per scostargli la mano: ma il biondo, sordo ancora una volta alle sue proteste, continuò imperterrito a passare il piccolo strumento, spostandolo stavolta sulle sue labbra, attraversate anch'esse da un profondo taglio ancora sanguinante. L'apparecchio avrebbe cicatrizzato anche quello. Il naso, invece, aveva scoperto non essere rotto, per fortuna, nonostante il pugno violento che gli era stato inferto. Al pensiero di quell'uomo in armatura che derideva e picchiava il contrabbandiere fu, di nuovo, invaso dalla rabbia: la medesima che l'aveva spinto ad andare in suo soccorso, incurante delle conseguenze.
Ma, forse, non era stata solo la rabbia a spingerlo... Né tantomeno la missione affidatagli dal capo dell'Alleanza. No, era stato qualcos'altro... qualcosa che nemmeno lui riusciva a spiegarsi appieno. Sapeva solo che aveva sentito il bisogno, la necessità di proteggerlo... di salvarlo. E forse non solo da Moran, ma da sé stesso. Ma tenne tutte queste considerazioni per sé, proseguendo con la medicazione.
-Niente storie!-lo redarguì dunque bonariamente, con un leggero sorriso.-Quell'uomo l'ha ridotta davvero male. E poi ho quasi finito.
-Ma quel coso maledetto pizzica!-si lamentò il corvino, più per principio che per altro: gli permise, infatti, di continuare (in effetti, il dolore era ancora abbastanza acuto) anche se assunse un'espressione imbronciata, le braccia conserte al petto.
John non potè fare a meno di scoppiare a ridere, a quella scena: più che un uomo adulto, infatti, il contrabbandiere gli parve più un bambino capriccioso, in quella posa. Incredibilmente, quella risata strappò anche a Sherlock un sorriso, proprio come era accaduto nella taverna. Era straordinario che si sentisse così a suo agio con quel pilota, soprattutto considerato che l'aveva appena conosciuto.

Seguì però il silenzio, mentre il biondo, dopo un ultimo controllo, annuiva, soddisfatto, riponendo lo strumento nella piccola cassetta medica e buttando i batuffoli nel piccolo lavabo vicino, dandogli la schiena.
-Comunque... grazie-mormorò il corvino alla fine, seppur con un certo sforzo, come se avesse faticato a pronunciare quella parola. A stento ne ricordava il significato.-Non pensavo che mi avesse seguito...
Il pilota si voltò e si strinse nelle spalle, sorridendogli.
-Non sono un uomo che si arrende facilmente, dopo un rifiuto. E poi...-aggiunse, passandosi una mano sulla nuca, nella voce una traccia di imbarazzo.-Lei mi ha salvato da quel... Smith, giusto? Ero in debito.
Il contrabbandiere, a quell'ultima frase, senza sapere bene il perché, si ritrovò a distogliere lo sguardo: forse non era abituato al fatto che qualcuno gli fosse riconoscente; o che glielo dimostrasse apertamente, come aveva appena fatto lui. Sia a parole che con i fatti, tra l'altro.
Dopo un po', si schiarì la voce.
-... Comunque... benvenuto sulla London-disse, indicando con un gesto ampio della mano la stiva dove erano seduti.-O la "ferraglia"-aggiunse, guardandolo in cagnesco.
Il pilota ridacchiò: a quanto pareva, il contrabbandiere era un tantino suscettibile, riguardo alla sua nave.
-Beh, ma dovrà ammettere che è un tantino... insolita- non potè fare a meno di punzecchiarlo, con un ghigno.

Prima che Sherlock potesse replicare, un insieme di pigolii elettronici si levò dietro di lui: John aggrottò le sopracciglia, non capendone la fonte, dato che non vedeva alcun macchinario alle sue spalle.
-Sì. Ho capito. Arrivo!-fece invece il corvino, sbuffando, dirigendosi verso la cabina di pilotaggio, seguito a ruota da John.
Una volta dentro, il contrabbandiere iniziò a girare manopole e a pigiare pulsanti sulla tastiera di comando con gesti rapidi ed esperti: all'improvviso, un piccolo droide arancione e bianco dalla forma sferica uscì da dietro la poltrona, rotolando vicino a John e fischiando in un modo che il pilota giudicò incuriosito e amichevole.
-Hey!-esclamò sorpreso, sorridendo, e chinandosi all'altezza del droide.-E tu saresti...?
-Lui è BS-221, un mio... amico, diciamo-rispose Sherlock, con un pizzico di imbarazzo: solo lui poteva asserire di avere per amico un droide. Nel frattempo, continuò ad armeggiare sulla tastiera con le sue mani affusolate, e con movimenti così rapidi che le sue dita parevano sfiorare  i pulsanti solo per una frazione di secondo.-L'ho salvato da una tribù di Jawa che voleva smontarlo e rivenderne i pezzi. In realtà, non avrei voluto prenderlo a bordo della mia nave. Ma non c'è stato verso di sbarazzarmene. Magari, prima o poi, dovrei venderlo a qualcuno...
Il droide emise altri pigolii che il biondo non riuscì a comprendere, ma che, a giudicare dall'intonazione, sembravano proprio offesi: Sherlock, che, a quanto pareva, era in grado di capire quel suo linguaggio, sogghignò, dando al droide dei piccoli colpetti affettuosi sulla testa semisferica
-... Dái, su, ammasso di bulloni, lo sai che sto scherzando!-disse, ridendo.
Poi, però, la sua espressione tornò cupa, mentre gli si rivolgeva nuovamente.
-Sia chiaro che non ho ancora detto che accetto la missione di mio fratello. Tuttavia, stare lontano dal pianeta per un po' potrebbe rivelarsi utile. Almeno depisterò Moran-aggiunse, sbuffando, e sedendosi sulla poltrona alla sinistra del quadro di comando.

Il pilota scosse la testa, nascondendo un sorriso soddisfatto, consapevole che quell'atteggiamento fosse tutta scena: il contrabbandiere avrebbe infatti potuto andare su qualunque pianeta, per coprire le sue tracce, ma aveva impostato immediatamente le coordinate della quarta luna di Yavin.
A quanto pareva, era già informato sugli spostamenti della base ribelle: perciò, non era così indifferente alla causa dell'Alleanza quanto voleva fargli credere.
Aggrottò improvvisamente le sopracciglia, dubbioso, avendo realizzato solo in quel momento che la cabina era dotata di due poltrone.
-Come fa a pilotare questa nave da solo?-domandò, sorpreso.-Non necessita di un copilota?
Sherlock, a quella domanda, si irrigidì visibilmente.
-Ho imparato a pilotarla da solo. Non ne ho bisogno. Io lavoro da solo-ripetè, e il tono che usò per pronunciare quelle poche e semplici parole fecero desistere John dal chiedere un ulteriore chiarimento.
-... Le dispiace se mi ci siedo comunque?-gli domandò però, dopo qualche minuto, con una smorfia quasi imbarazzata, cogliendolo di sorpresa. - Di norma guido solo navette monoposto, ma ho sempre desiderato sperimentare la prospettiva di un copilota.
Sherlock, dopo un pizzico di esitazione, annuì, e John, sorridendo, si sedette.
Il resto del viaggio, però, proseguì nel più assoluto silenzio, mentre il ribelle si domandava, per l'ennesima volta, quanti e quali segreti nascondesse quel misterioso contrabbandiere dagli occhi di ghiaccio.

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Sherlock osservò cupo il pianeta avvicinarsi sempre di più, man mano che la London atterrava sulla sua superficie.
-Le sarei grato se non menzionasse in alcun modo il mio piccolo... diverbio con Moran-fece il corvino all'improvviso, cogliendo John di sorpresa.
-Ma stava per ucciderla. E sono certo che suo fratello vorrebbe sapere che...!
-È proprio per questo. Non voglio che sappia nulla della mia vita. E nemmeno del coinvolgimento di Magnussen. Per favore - aggiunse, ma il suo tono si ammorbidì impercettibilmente su quelle ultime due parole.
Il pilota, seppur dubbioso, annuì.
-D'accordo, non dirò nulla-promise, ricevendo un sorriso grato in risposta.
-Bene bene, andiamo a salutare il mio caro fratello-borbottò poi Sherlock, la voce stavolta carica di sarcasmo, mentre eseguiva le manovre di atterraggio.-Dopo una quasi rissa con Culverton e aver rischiato di essere ucciso dal più illustre sicario di Magnussen, quale modo migliore per completare questa giornata?
John non riuscì a trattenere una risatina.
-... Le ha mai detto nessuno che è un tantino melodrammatico?-gli domandò, d'impulso, mentre la nave planava lentamente sulla piattaforma di atterraggio.
Sherlock lo guardò stupito per un attimo: poi sogghignò.
-Ogni tanto me lo dicono, sì.-Gli rivolse poi un'occhiata pensierosa: per qualche strano motivo, il fatto che il pilota ribelle si fosse seduto proprio sulla poltrona del copilota, vuota da sempre, gli suscitò una sensazione tutt'altro che spiacevole, nonostante tutto.-Credo che, a questo punto, possiamo anche darci del tu.
-Sì. Lo penso anch'io.-Il ribelle sorrise, annuendo, porgendogli la mano e presentandosi nuovamente.-John Watson.
-Sherlock Holmes.
Il contrabbandiere gliela strinse, sorridendo appena.
Quella breve stretta di mano gli provocò una bizzarra sensazione: una sorta di leggero pizzicore, o di energia statica; non visibile, ma chiaramente percepibile. In qualche strano modo, John sentì che il suo destino non era più sotto il suo controllo, ma sotto quello di una forza molto più grande di lui.
No, non una forza, si corresse... la Forza

Anche Sherlock aveva provato, senza saperlo, la medesima sensazione del pilota. Ma, al contrario di quest'ultimo, cercò di non dargli peso. Ciò che maggiormente lo preoccupava in quel momento era il pensiero che, da lì a poco, si sarebbe ritrovato faccia a faccia con suo fratello-con il quale negli ultimi due anni quasi non aveva avuto contatti, se non sporadici messaggi-e probabilmente altre persone che non vedeva da anni, risvegliando così quei sentimenti tanto indesiderati quanto inopportuni.

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