Just a fool's hope
La cabina in cui era stato rinchiuso era vuota, eccezion fatta per una panca metallica, dove sedeva da almeno mezz'ora, i polsi legati da una fascetta di metallo, appoggiati sulle ginocchia strette al petto. Teneva il capo reclinato all'indietro, appoggiato sul freddo metallo, gli occhi chiusi.
Naturalmente, non c'era neppure alcuna apertura che gli permettesse di vedere lo spazio siderale che stavano attraversando: ma lui sapeva che non poteva mancare molto al loro arrivo sulla nuova Morte Nera.
Lasciò dunque i suoi pensieri liberi di vagare, preparandosi a ciò che lo attendeva.
Poi, di colpo, un tremito scosse la sua mente, e i suoi occhi si riaprirono, mentre una figura vestita di nero varcava la soglia della sua temporanea cella. Gli angoli della bocca del contrabbandiere spaziale si sollevarono appena in un sarcastico sorrisetto.
-... Ciao, sorella-disse, alzando il capo.
Darth Wind, nell'anonimato che la maschera gli garantiva, si concesse un sorriso altrettanto sarcastico.
-Dunque, hai accettato la verità-replicò, soddisfatto, avanzando nella cella, che si chiuse silenziosamente alle sue spalle.
-Non è esatto-lo contraddisse Sherlock, col medesimo sorrisetto.-Ho semplicemente accettato che tu una volta eri Eurus Holmes. Mia sorella.
Quest'ultima strinse i pugni, a quell'affermazione.
-Quel nome non ha più alcun senso per me.
-Buffo-la dileggiò lui.-Io invece credo che per te significhi qualcosa eccome. Altrimenti non avresti chiesto all'Imperatore di usarne un altro, per commettere i tuoi crimini. E soprattutto non ti nasconderesti dietro una maschera.
Ad ogni parola pronunciata da Sherlock, i nervi del Sith si tendevano all'inverosimile, mentre nasceva nel suo animo, suo malgrado, lo stupore.
-Esci dalla mia testa-gli intimò.
-Non ci sono mai entrato. Non intenzionalmente, comunque-ribattè il contrabbandiere, sorridendo con amarezza, ripensando a quello che era accaduto su Endor.-A quanto pare, siamo connessi, in qualche modo.
Sherlock non sapeva spiegarsi come avesse potuto vedere così chiaramente i pensieri di Eurus, nè tantomeno come avesse potuto avere anche un contatto fisico. Era simile al legame empatico che aveva avvertito quando John e Molly erano stati torturati, ma allo stesso tempo no. Era diverso, in qualche modo più profondo.
Forse aveva a che fare con il legame di sangue...
Scese il silenzio, mentre Eurus seguitava a scrutarlo: cercò anche di entrare nella sua mente, ma non vi riuscì; l'ex Jedi aveva in qualche modo eretto una barriera.
Comunque, non avrebbe avuto più importanza, da lì a poco.
-L'Imperatore ti sta aspettando-disse, e fece per avvicinarsi: ma il corvino emise uno sbuffo sardonico, e si alzò da solo.
-Allora andiamo. Sarebbe da maleducati farlo aspettare, no?-commentò, ironico.
Ma prima di uscire, Sherlock disse ancora qualcosa: qualcosa che fu capace di fermare per un attimo il battito del cuore - seppur ormai nero e raggrinzito, ridotto ad un relitto- del Sith.
-Perchè non mi hai portato subito da Moriarty, dopo aver ucciso il mio Maestro?-La voce del contrabbandiere era volutamente piatta, all'apparenza priva di qualsiasi emozione.
Eurus si prese un momento per rispondere, cercando di non far trapelare in alcun modo, con nessun gesto, il suo stato d'animo, azzerando volutamente anche i suoi stessi pensieri.
-Perchè il tuo potere non si era ancora completamente formato-gli rispose infine, la voce attutita dalla nera maschera, fredda e innaturale.-I tempi non erano maturi.
Non aggiunse altro, e lo guidó oltre la porta metallica, mentre Sherlock serrava le labbra, nascondendo un sorriso leggerissimo.
La sensazione che aveva avvertito dopo quel contatto si stava rivelando esatta. C'era ancora del buono, in sua sorella. E quella bugia che aveva appena pronunciato ne era la prova.
C'era ancora speranza...
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- Lui ha fatto... COSA???
Se Molly non si fosse forzatamente auto imposta di tenere la voce bassa, il suo urlo, probabilmente, avrebbe infranto la barriera del suono, e messo in allarme tutte le creature della Luna boscosa, incluse quelle che vivevano sottoterra.
Il generale Lestrade, dal canto suo, di fronte alla sua evidente furia, dovette costringersi a non indietreggiare.
-Non ho potuto fermarlo, Molly. Nessuno di noi, avrebbe potuto-sottolineò, mentre la donna si sedeva su un ceppo, pallida in volto, nonostante la rabbia.- Non l'ha fatto perché voleva... ma perché doveva.
Il generale sospirò, di fronte alla confusione evidente di Molly, e decise che le avrebbe detto tutto. In fondo, Sherlock gli aveva già scaricato addosso la responsabilità di non averlo costretto a fermarsi: non avrebbe mentito anche riguardo al perchè.
Si sedette perciò vicino alla senatrice, e iniziò a raccontare.
Alla fine del racconto, l'espressione sul viso di Molly era allibita e incredula, ma anche piena di dolore.
E, in qualche angolo remoto del suo cuore, c'era un pizzico di orgoglio.
Il contrabbandiere arrogante, freddo, cinico e indifferente che aveva conosciuto, ormai, era solo un pallido ricordo: era andato a rischiare la vita, su quella Stazione mortale, perchè aveva fiducia nella redenzione di quella sorella che, fino a poco tempo prima, neppure sapeva di avere.
Non solo, ma sapendo di essere un pericolo per la missione solo con la sua presenza, aveva deciso di affrontare quell'anima nera che era James Moriarty.
Poteva forse biasimarlo, per questo?
Ma l'idea che, anche stavolta, non li avesse voluti coinvolgere, faceva male, come una lama sulla pelle.
E non solo perché non aveva potuto neppure dirgli addio...
Sospirò, cercando dentro di sé ogni grammo di forza residua: non poteva permettersi di crollare.
Tutta la missione, ora, gravava su di lei, e su...
-Generale! Abbiamo un problema!
Anderson aveva appena varcato la soglia della tenda, affannato, l'espressione chiaramente preoccupata.
Greg agrottò la fronte, confuso.
-Cosa è successo, Philip? Gli imperiali ci hanno forse localizzato??-gli chiese subito, balzando in piedi, insieme alla senatrice: ma l'altro scosse subito la mano in segno di diniego.
-No no, non è questo...
-Allora cosa???
-Non riusciamo a trovare John-rispose infine Philip, con un certo sforzo, mentre Molly si portava una mano alla bocca.- Il suo comunicatore è nella tenda. Non abbiamo modo di rintracciarlo! E tra poco dovremo assaltare il bunker!
Lestrade si portò le mani nei capelli brizzolati: ci mancava solo questo...
-Dobbiamo trovarlo!-sentenziò.-Anche a costo di setacciare ogni centimetro di questa dannata foresta!
-Ma non abbiamo il tempo!-gemette Anderson di nuovo.-La flotta di Mycroft Holmes probabilmente sta già per entrare nell'orbita della Morte Nera! Se non disattiviamo lo scudo, saranno annientati!
-Non abbiamo bisogno di cercarlo-mormorò Molly, cogliendo sia lui che Lestrade di sorpresa, mentre una speranza, seppur tenue ed effimera come la fiamma di una candela, si impadroniva del suo cuore, e rivolgendo a Lestrade un'occhiata colma di significato.-C'è solo un posto, dove può essere andato.
Il generale sgranò gli occhi, mentre comprendeva.
-... Ora il nostro compito è uno solo-proseguì la senatrice, gli occhi nocciola ancora lucidi, ma un'espressione risoluta sul volto, le piccole mani strette a pugno.-Far saltare in aria quel maledetto bunker. Abbiamo una sola occasione, e non possiamo permetterci di sprecarla. È l'unica speranza. Non solo la nostra, ma anche la loro.
Sia Greg che Philip annuirono, compunti, anche se quest'ultimo ancora non sapeva nulla e fosse visibilmente confuso.
-Vi voglio tutti qui tra dieci minuti.-Le labbra di Molly si serrarono.-Dobbiamo dare il via all'operazione.
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Lestrade sbuffò, sfinito: ottemperare alla seconda richiesta fattagli da Sherlock non era stato per nulla facile; grazie al cielo, BS-221 gli aveva dato una mano. Gli restava solo una cosa, da fare, la più importante: e gli sembrava ancora assurdo che, tra tutte le persone che avrebbe potuto scegliere, avesse scelto proprio... Ma, d'altro canto, Sherlock era radicalmente cambiato, e questa ne era l'ennesima prova. Lestrade aveva organizzato la cosa in generale, ma non sarebbe stato suo il compito di guidare e organizzare il resto, bensì di...
Si lasciò sfuggire un sospiro e, pregando con ogni fibra del suo essere che non si risolvesse tutto in una catastrofe di proporzioni bibliche, varcò la tenda della persona che gli era stata indicata: era proprio lì, di spalle, e stava preparando la borsa di cariche esplosive e attrezzatura.
Prese un ennesimo respiro profondo, e richiamò la sua attenzione:
-Dobbiamo parlare...
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La London lasciò lentamente l'orbita di Utapau, seguita da altri quattro incrociatori, e dai caccia ribelli.
A breve, avrebbero fatto il salto nell'iperspazio, e annientato quella maledetta Stazione. Certo, sempre che la squadra su Endor avesse disattivato lo scudo... altrimenti, sarebbero stati spazzati via in un baleno, senza aver neppure il tempo di dire "Ah".
Mycroft Holmes sospirò e chiuse gli occhi per un istante, facendo appello, per la prima volta da lungo tempo, alla Forza.
Un presentimento si era fatto strada nel suo animo e, nonostante stesse soffrendo come mai avrebbe creduto possibile, non poteva permettersi di cedere. Nè al dolore, nè alla disperazione che lo attanagliava.
Non poteva fare più nulla, in ogni caso: neppure prima, avrebbe potuto.
Solo una cosa, gli restava da fare: sperare.
E credere in lui.
Vedi di tornare vivo, fratellino, pensò, mentre un leggero sorriso andava a increspargli le labbra, nonostante tutto, o racconterò a mamma e papà che sei stato tu, a far schiantare lo speeder, quella volta. E rivenderò questo catorcio al primo mercante di rottami che incontrerò!
Assumendo un'espressione volutamente imperscrutabile a beneficio di Anthea, la sua copilota, iniziò ad armeggiare sui comandi della London.
-Preparatevi per il salto-disse, nel microfono, la voce ferma e dura.
Ma se la sua mente era concentrata esclusivamente su quell'attacco, il suo cuore era da tutt'altra parte.
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