Il coraggio di restare
-... Non credi di aver un tantino esagerato?-borbottò Lestrade a Sherlock, rivolgendogli un'occhiata severa ma al tempo stesso affettuosa, mentre percorrevano insieme il corridoio della base, una volta usciti dalla sala istruzioni.
Il contrabbandiere si strinse nelle spalle con indifferenza.
-Se Anderson imparasse ad usare quel poco di cervello che ha prima di aprire la bocca, io non mi sentirei obbligato a sottolineare la sua stupidità. Speravo che, dopo tutto questo tempo, fosse un po' migliorato. Ma a quanto pare era una speranza vana.
Il generale, suo malgrado, emise una risatina.
-Forse... potresti restare qui, e infettarlo con il tuo genio. E anche tutti gli altri. Anderson non sarà sicuramente l'unico...-commentò poi, in tono forzatamente ironico e indifferente.
Il corvino si voltò a guardarlo, sollevando poi un sopracciglio.
-... È il tentativo più pietoso che tu abbia mai fatto.
-Ne sono consapevole. Ma valeva la pena tentare-sbuffò il generale, passandosi una mano nei capelli brizzolati, un po' imbarazzato, e stringendogli poi la spalla con un breve sorriso.-Se usciremo vivi da questa storia, cerca di farti vivo più spesso. Magari ci facciamo una bella bevuta da Angelo. Offro io.
Sherlock rispose all'invito con un mezzo sorriso poco convinto. Erano ormai arrivati all'imbocco di un corridoio, dove le loro strade si separavano. Proprio come nella vita.
Avvertì uno strano senso di tristezza, a quel pensiero: ma si riscosse all'istante. Era meglio così.
Lui stava meglio da solo.
E anche gli altri sarebbero stati meglio, senza lui intorno: a volte si chiedeva come Lestrade avesse potuto sopportarlo in tutti gli anni in cui si erano frequentati.
-Abbi cura di te-gli raccomandò il generale, con un ultimo sorriso e un cenno di saluto.
-Come sempre. Anche tu, Greg-non potè fare a meno di aggiungere lui.
Lestrade, che si era voltato e aveva già fatto alcuni passi in direzione della sala controllo, si girò sbalordito, un sorriso incredulo e divertito sul volto.
-Allora ogni tanto te lo ricordi il mio nome, eh!-esclamò, ridacchiando.
Il corvino roteò gli occhi, facendogli poi un ultimo cenno di saluto col capo. Tirò poi sugli zigomi il bavero della giacca, per non mostrare il leggero sorriso, ma carico di malinconia, che aveva sulle labbra.
Si era allontanato appena di due passi, quando una voce nota, poco alle sue spalle, lo chiamò.
-Signor Holmes...
-Mi chiami pure Sherlock e mi dia del tu, senatrice-rispose, voltandosi, con nella voce un pizzico di ironia, che portò la ragazza a sorridere, ricordando quella sorta di litigio avvenuto nello scarico rifiuti.
-D'accordo... Sherlock-replicò lei, nel medesimo tono.-Volevo solo ringraziar-... ti, per avermi salvato la vita.
-Dovrebbe ringraziare John Watson-ribattè il contrabbandiere.-È stato lui ad avere l'idea.
-Be', ma hai anche recuperato i piani...
-Solo perché mio fratello mi ci ha costretto.
-Non puoi accettare il mio ringraziamento e basta, invece di continuare a puntualizzare??-esclamò Molly a quel punto, un filo esasperata.
-Sono spiacente. Ma è nella mia natura-replicò Sherlock con un mezzo sorriso, che la senatrice non riuscì a non ricambiare, per quanti sforzi facesse: quel contrabbandiere era
sicuramente arrogante,
presuntuoso, irritante... ma era anche dotato di un fascino fuori dal comune.
-È vero che... te ne stai andando?-gli domandò poi, di nuovo seria, e forse un po' dispiaciuta: non poteva negare di essersi sentita attratta fin dall'inizio, da quell'uomo così misterioso.
-Sì. Ho svolto il compito che mi era stato assegnato. Ora devo tornare ai miei affari-replicò lui, forse in un tono eccessivamente duro, fissandola con quei suoi occhi di ghiaccio.
-Perchè non resti qui?-gli domandò finalmente la senatrice, ma senza alcuna malizia.-Ho visto cosa sei capace di fare. E sei un ottimo pilota. Potresti essere davvero di grande aiuto alla causa Ribelle.
-La ringrazio per aver sottolineato le mie capacità. Ma non posso restare. Non voglio restare- si corresse Sherlock immediatamente.-Ho altre faccende di cui occuparmi. Questo non è il mio posto.
-E allora qual è?
Quella domanda a bruciapelo della senatrice lasciò il contrabbandiere spiazzato per qualche istante: perché lui non aveva più per davvero un suo posto. Un posto da poter chiamare... casa.
Lo aveva avuto, un tempo.
"Casa" significava radici, affetti, legami... "casa" era dove aveva vissuto coi genitori... "casa" era stato il suo Maestro...
Scosse la testa, innervosito: non aveva intenzione di rispolverare quei ricordi; nonostante avesse tentato con tutto sé stesso di nasconderli nel luogo più oscuro e lontano della sua mente, a volte essi riemergevano con prepotenza, portando con loro tutto quel dolore. E faceva male esattamente come il primo giorno.
Per questo, da allora, preferiva spostarsi di luogo in luogo, senza mai fermarsi troppo a lungo nello stesso posto: niente legami, niente obblighi, niente sofferenza.
Era meglio così.
-Non ne ho uno in particolare-rispose infine, cercando di non far trapelare la tristezza che, nonostante tutti i suoi sforzi, sentiva.-Non amo stare a lungo nello stesso posto. Mi piace la mia libertà.
Sherlock non sapeva nemmeno perché avesse voluto aggiungere quell'ultima frase: pareva quasi che sentisse il bisogno di dare una spiegazione alla donna che aveva di fronte. E questo era assurdo.
Lui non doveva spiegazioni a nessuno.
Ma Molly non disse nulla: si limitó solo a fissarlo con quei suoi occhi nocciola, che sembravano andare oltre lui; come se potesse leggere dentro la sua stessa anima.
-Ora deve scusarmi, senatrice, ma mio fratello mi sta aspettando. È stato un piacere-fece bruscamente, stufo di stare ancora sotto quello sguardo così dolce e al tempo stesso troppo penetrante della sua interlocutrice.
Ma prima che potesse voltarsi, Molly lo trattenne delicatamente per un braccio.
-Signor Hol... Sherlock. Aspetta. Vorrei prima raccontarti ancora una cosa.
Il corvino esitó, diffidente. Ma poi fece un breve cenno d'assenso.
- Tanto tempo fa, mia madre mi disse una frase che non ho mai dimenticato.-Le sfuggì un sospiro.-Me la diceva soprattutto quando mi lamentavo e volevo andarmene, fuggire dai miei obblighi di senatrice, essere... libera.
Sul suo volto si fece strada un leggero sorriso malinconico: Sherlock capì che stava pensando alla sua famiglia, che aveva appena perso, e scoprì di provare una forte pena, per lei. Per la prima volta nella sua vita, dopo tanto tempo, desiderava confortare qualcuno, tanto che dovette resistere all'improvviso impulso di tendere la mano e stringerle la spalla.
Ma la senatrice si riprese quasi subito, fissandolo negli occhi mentre proseguiva il discorso. Una volta di più ammirò la forza di quella donna, apparentemente fragile ma dotata di una gran forza d'animo.
-Mi diceva così: "A volte essere liberi non vuol dire scegliere di andarsene. A volte significa scegliere di rimanere."
---
-... Per un momento, ho temuto che un meteorite si sarebbe abbattuto su di noi.
Mycroft si voltò verso il fratello minore seduto in poltrona-le mani unite sotto al mento, l'espressione distante-sul volto un'espressione interrogativa.
-E cosa ti ha portato a tale apocalittica riflessione?-gli domandò, ironico.
-Perchè hai preso le mie difese. E di fronte a dei testimoni, nientemeno-rispose Sherlock, anche lui in tono ironico, fingendo una indifferenza che non provava.-A cosa è dovuto tanto onore?
Il capo dell'Alleanza alzò gli occhi al cielo, sedendosi alla sua scrivania, proprio di fronte al fratello, ora intento a leggere uno dei suoi fascicoli in merito a possibili alleati della ribellione.
-Per quanto tu possa essere insopportabile, sei sempre mio fratello. Inoltre, hai svolto per noi... per me... una missione estremamente pericolosa. Ed esigo che nessuno ti manchi di rispetto: quello è un piacere che deve essere esclusivamente riservato al sottoscritto-concluse, con un sarcasmo venato però da una punta di affetto.
Sherlock alzò lo sguardo dai fascicoli, colpito suo malgrado: aveva più volte cercato di allontanare suo fratello da lui, ma nonostante tutti i suoi sforzi non c'era mai riuscito. Non completamente. Per fortuna, però, non aveva ancora scoperto dei suoi... dissapori, chiamiamoli così... con Magnussen.
E mai li avrebbe scoperti. Non se poteva impedirlo.
Suo fratello, per quanto potere avesse nella Ribellione, non avrebbe, al contrario, potuto nulla, contro quel criminale galattico: era uno degli uomini più potenti di Mos Eisley-non potente quanto l'imperatore, ma poco ci mancava-e metterlo al corrente avrebbe solo peggiorato le cose.
E poi, lui aveva la situazione sotto controllo: non aveva certo bisogno di aiuto.
Non ho bisogno di nessuno... si ripetè, mentalmente.
-Be', adesso che sto per andarmene, anche il fastidio di... difendermi... ti verrà risparmiato-disse infine, in tono freddo, sebbene le parole della senatrice risuonassero ancora fastidiosamente nella sua testa, portandolo, per la prima volta nella sua vita, a dubitare di sé stesso.
Mycroft mantenne un'espressione fredda e distaccata, nonostante sentisse l'impulso impellente di stringere a sé il fratello per impedirgli di scappare via un'altra volta; o forse di scuoterlo ripetutamente e di fargli capire, una volta per tutte, che ci teneva a lui.
Dimostrarlo a parole, però, era fuori discussione: Mycroft Holmes detestava dare sfoggio delle sue... emozioni... dei suoi sentimenti.
Si era esposto già sin troppo.
Per di più, era perfettamente consapevole che nessuna parola da lui pronunciata, per quanto sentita, avrebbe smosso Sherlock dal suo proposito.
-Spero che ti farai sentire, qualche volta-disse infine, forzatamente distaccato.-Cerca almeno di non cacciarti nei guai.
-Non sono io quello che sta per infilarsi in una missione suicida-replicò il minore, con una punta di sarcasmo.-Me la caverò.
Si alzò con un movimento fluido e rapido dalla poltrona, voltando poi la schiena e dirigendosi verso la porta. Ma le parole successive del fratello lo inchiodarono seduta stante.
-Sherlock, te la ricordi Mrs.Hudson? La nostra...
-... Governante. E tata. Certo che me la ricordo-ribattè lui, e la sua voce, pur contro la sua volontà, si tinse di un certo calore e nostalgia. Mille episodi gli tornarono alla memoria in pochi istanti. Una voce che canticchiava preparando la merenda per lui e suo fratello... Profumo di biscotti che cuocevano nel forno... Vecchie storie raccontate prima di andare a dormire.... Un grembiule azzurro cielo annodato in vita... lui che per scherzo glielo slacciava grazie ai suoi poteri... Una risata e un divertito rimprovero, seguito da una dolce carezza...
Trattenne un sospiro, e si voltò verso il fratello, guardandolo sospettoso.
-Perchè questa domanda?
-Qualche mese fa, una truppa imperiale l'ha sbattuta fuori da casa sua-rispose lui, grave, il volto distorto in una smorfia disgustata.-Volevano usarla come deposito armi.
Sherlock, subito, impallidì.
-L'hanno...??
Non riuscì, per quanti sforzi facesse, a concludere la frase, mentre sentiva invaderlo una bruciante rabbia, le mani strette a pugno infilate nelle tasche della giacca: quante cose quel maledetto Impero voleva portargli via??
Ma le parole successive di Mycroft lo placarono, facendo subentrare in lui un profondo sollievo.
-No. Abbiamo ricevuto una soffiata, e siamo riusciti a portarla in salvo. Non che non se la stesse cavando benissimo da sola-aggiunse il comandante con una leggera risatina.-Se non ricordo male, uno dei nostri mi ha riferito che, quando sono arrivati, la nostra amabile e indifesa signora stava colpendo in testa un Assaltatore con una padella, e ne aveva già mandati due al tappeto. Avevano entrambi i caschi decisamente ammaccati...
Sherlock non riuscì a resistere, e si lasciò andare a una breve ma sincera risata di sollievo e di divertimento; poteva quasi vederla, la loro dolce ex governante, che brandiva minacciosa quella terribile arma... ma si quietò quasi all'istante, forse pentito di quella momentanea debolezza: come era successo con John nella taverna a Mos Eisley.
-Ne sono felice. Spero che ora stia bene-commentò infatti, schiarendosi la voce, e cercando di tornare freddo e distaccato.
E, a quel punto, Mycroft lanciò la bomba.
-Perchè non lo verifichi di persona?-rispose infatti, con noncuranza forzata.-Adesso lavora nelle cucine. Naturalmente, ho giá predisposto un piano di evacuazione almeno per il personale non militare che...
Ma Sherlock l'ultima frase non la sentì neppure: era già uscito dall'ufficio.
Le labbra del capo della ribellione si stirarono in un leggerissimo sorriso: si era giocato l'ultima carta a sua disposizione.
Anche se era quasi certo che non avrebbe funzionato, doveva pur tentare.
---
-John. John Watson. Sei stato affidato la squadriglia del maggiore Sholto-lesse Greg su un monitor.
-Sì, generale Lestrade.-Il biondo annuì, accennando un saluto militare: ma lui lo fece desistere con un cenno della mano.
-Dammi pure del tu. In fondo, abbiamo un amico in comune, giusto?-disse, con un sorrisetto, a cui John si ritrovò subito a rispondere, lasciando perdere la gerarchia.-Come ti sei trovato a lavorare con lui?
-Be', di certo non è un tipo con cui ci si annoia.
-Ah, su questo non c'è alcun dubbio!
Risero entrambi: ma John si incupì, ricordando una frase pronunciata dal contrabbandiere durante la riunione.
- E quindi... se ne andrà?
Lestrade annuì, anche lui con un'espressione dispiaciuta.
-... Già. Ho cercato di convincerlo, ma è alquanto testardo.
-Sì, questo l'ho notato anch'io-commentò l'altro, con una leggera risatina.
-So che a volte può risultare... insopportabile. Un attimo prima, ti apostrofa contro in un tono talmente arrogante che vorresti solo passargli sopra con lo spider...-Il generale scosse la testa, mentre il suo volto si apriva in un dolce sorriso.-... E, l'attimo dopo, ti salva la vita.
John sgranò gli occhi.
-Ti ha salvato la vita??
Lestrade annuì, mentre cliccava su un computer i nomi dei piloti che avrebbero fatto parte delle due squadriglie.
-Stavamo hackerando un avamposto imperiale su Jakù. O meglio, lui lo stava facendo. Io ero lì più come una sorta di... guardia del corpo-gli spiegò.-Durante l'intrusione, non fece che denigrare ogni mio più piccolo gesto, da come tenevo il blaster a come avevo neutralizzato alcune guardie. A un certo punto, mentre stava hackerando il computer principale, mi ha addirittura intimato di smettere di pensare, perchè e, cito testualmente: "Lo stavo distraendo"...
Il pilota non potè evitare di scoppiare nuovamente a ridere, imitato da Lestrade; che poi, però, proseguì, in tono più serio.
-All'improvviso, però, mentre stavo meditando sulla possibilità di strozzarlo con le mie stesse mani-e al diavolo la missione-lui si è interrotto, si è voltato e... mi ha dato una spinta e buttato a terra... una frazione di secondo prima che un colpo di blaster, sparato da una guardia che non avevo neppure sentito arrivare, mi perforasse la testa. Poi ha neutralizzato il tiratore, ed è tornato al computer senza dire una sola parola.
John scosse la testa, non poi così tanto sorpreso dal racconto del generale: dopotutto, Sherlock aveva fatto la stessa cosa per lui, a Mos Eisley, e ancora non si erano neppure conosciuti. E, dopo ancora, sulla Morte Nera.
-Capisci, dunque, cosa voglio dire? Quell'uomo vuol far credere a tutti che non ha sentimenti, che gli importa solo di se stesso. Ma, credimi, è solo una facciata. Sherlock Holmes è un grand'uomo.-Lestrade scosse la testa, con un piccolo sorriso.-E credo che un giorno diventerà anche un brav'uomo. Spero solo di essere presente, quando succederà...
---
Sherlock percorse il corridoio sotterraneo verso le cucine cercando di non camminare troppo rapidamente, imponendosi tutto il suo autocontrollo: come se dovesse dimostrare ai pochi piloti che incrociava che non aveva alcuna fretta... assolutamente nessuna...
... Oh, al diavolo!
Aumentò il passo, e in poche falcate concluse il tragitto che gli rimaneva, giungendo finalmente di fronte a una porta metallica che aprì con delicatezza, ma rimanendo sulla soglia, senza ancora osare varcarla del tutto.
La cucina della base ribelle era abbastanza spaziosa; vide varie donne, ma anche uomini, intenti ad accatastare viveri, o semplicemente a ripulire pentole e padelle: dopotutto, non ci si poteva ribellare a stomaco vuoto. Scosse la testa, trattenendo a stento un sorriso, quando si rese conto che, senza volere, aveva ripensato a una delle frasi che suo fratello usava ripetere spesso.
-... May, hai tagliato le radici di jappor?
Sherlock trasalì: dalla parte est della stanza era appena arrivata alle sue orecchie una voce femminile di una certa età, dolce ma al tempo stesso risoluta, il cui timbro avrebbe riconosciuto tra mille. -Dovremo preparare una gran quantità di zuppa per quei ragazzi, per quando torneranno.
-Se torneranno...-ribattè un'altra voce di donna, in tono pessimistico.
-Oh, avanti, May, non fare l'uccello del malaugurio!-la rimbrottò Martha Hudson, mentre prendeva un pentolino da una delle credenze metalliche poco sopra il piano cottura. -Sono certa che ce la faranno. Devi aver fiducia.
-Ma hai sentito cosa hanno detto alla riunione??-ribattè l'altra, testarda.-Pare che questa stazione sia terribile! E se i nostri piloti non riescono a distruggerla, ci annienterà!
-Be', almeno non saremo stati qui ad aspettare di morire, e avremo fatto qualcosa di utile!-la rimbeccò la signora Hudson, imperterrita: aggiunse poi però in tono che voleva essere tranquillizzante, e con
un sorriso.-Non ti devi preoccupare, May. Mycroft Holmes sa quello che fa: ha giá predisposto un piano di evacuazione per noi. È sempre stato un grande stratega. Ricordo ancora quando disponeva i suoi soldatini nel giardino di casa... non dirgli che te l'ho detto, però, eh!
Entrambe risero, May decisamente più rasserenata dalla fiducia dell'amica; afferrò poi il tagliere, iniziando a sminuzzare rapidamente le radici, mentre la Hudson cercava qualcosa nelle varie credenze, borbottando.
-... Ma dove è finito l'olio di semi di papavero?? Ero sicura di averlo... È fondamentale per... AH! Eccolo!-esclamò, una volta che l'ebbe localizzato: peccato che si trovasse sullo scaffale più alto. Sbuffò, contrariata.
-Accidenti. Mi toccherà prendere la sca-... Ah, grazie!-esclamò, sorpresa, mentre un braccio con indosso una giacca nera si allungava al disopra della sua testa, porgendole poi la bottiglia, che lei prese automaticamente, senza voltarsi.
Stava per versare l'olio nella pentola già pronta, quando finalmente realizzò che lei conosceva quel braccio.
-Oh mio Dio!!!-gridò, voltandosi di scatto e facendo quasi cadere a terra la bottiglia: per fortuna, Sherlock l'afferrò al volo, grazie alla sua grande prontezza di riflessi, mentre l'anziana donna lo stringeva in un abbraccio stritolante.
-Il mio piccolo Sherlock!! Da quant'è che non ti vedo!!
Quest'ultimo, da parte sua, non poté resistere al ricambiare e, posata la bottiglia sul ripiano, la strinse a sua volta, un sorriso commosso e affettuoso sulle labbra-solo lei lo poteva definire "piccolo" dopo tutti quegli anni-mentre veniva avvolto dal familiare profumo della donna: lavanda, con un pizzico di té alla menta, e addirittura un vago sentore di zenzero, come i biscotti che lei gli preparava sempre quando era bambino.
Il suo profumo... era profumo di casa.
-La trovo molto bene, signora Hudson-disse poi, sciogliendosi delicatamente dalla stretta, e osservando la donna: non era invecchiata di un giorno dall'ultima volta che l'aveva vista. Indossava una lunga veste semplice e pratica, color prugna, con un grembiule bianco stinto legato intorno alla vita. I capelli grigio ferro, legati morbidamente in una crocchia, erano forse sì striati un po' di bianco-a sottolineare comunque il tempo trascorso- ma gli occhi erano carichi della medesima dolcezza e vivacità che lui ricordava, così l'atteggiamento e il tono sempre energici, come aveva già avuto modo di scoprire anche dal racconto di Mycroft.
-Ho saputo che ha dato del filo da torcere all'Impero...-aggiunse infatti, con un mezzo sorriso divertito.
-Ma certo!-replicò la donna, battagliera, sollevando il mento, lo sguardo fiero.-Deve ancora nascere chi pensa di restare impunito dopo avermi fatto un affronto simile. Avevo appena tappezzato la pareti, e loro mi portano via la casa. La mia casa!-ribadì, furente. Ma poi sembrò riprendere il controllo di sé, e passò con delicatezza una mano sulla guancia di Sherlock, gli occhi brillanti di gioia e di commozione.
-Quanto sei cresciuto... mi sembra ieri che facevi levitare i miei biscotti fuori dalla finestra per mangiarli di nascosto prima di cena!
Sherlock rise, a quel ricordo, mentre stringeva la mani piccole e rugose della donna tra le sue, sorridendole con dolcezza. Ma la sua domanda successiva lo intristì, anche se l'aveva prevista.
-Quindi, sei entrato anche tu a far parte della Ribellione, finalmente??
-No, signora Hudson. Lo sa che non fa per me. Ho solo svolto un incarico per mio fratello.-Il contrabbandiere strinse ancora le mani della donna tra le sue.-Ma quando ho scoperto che era qui, non potevo proprio non venire a farle un saluto.
Lei scosse la testa-era evidente la sua delusione-ma gli rivolse comunque un sorriso affettuoso.
-Sei proprio come una meteora, benedetto ragazzo...-commentò, con un pizzico di tristezza, ma anche di ironia, nella voce.-Passi veloce, e dopo un secondo sei già sparito!
-Mi piace questa analogia-commentò Sherlock con una risata, a cui la donna si unì dopo una breve esitazione.-Ma le prometto che tornerò a trovarla. Sento la mancanza dei suoi famosi biscotti allo zenzero.
La Hudson rise di nuovo.
-Certo, se l'Impero non ci uccide tutti prima!-intervenne, a sorpresa, di nuovo, May, incapace di trattenersi, mentre trasferiva in una pentola la radici appena tagliate.
-May, te l'ho detto, basta essere pessimisti!-la rimproverò nuovamente Mrs.Hudson.-Dobbiamo avere fede nella Ribellione. E nella Forza!-aggiunse, lanciando a Sherlock uno sguardo d'intesa.
Il contrabbandiere, seppur riluttante, capì che era il momento di andare: doveva ancora controllare che la London fosse stata riparata dai tecnici; abbracciò dunque la donna un'ultima volta.
Ma lei, però, aprì un particolare vano di una credenza, porgendogli poi una piccola scatola bianca, di forma quadrata, usata per conservare cibi per lunghi periodi di tempo.
-È stata una delle ultime che ho fatto prima che...-sbuffò, poi sorrise.-Sapevo che avevo fatto bene a conservarla.
Sherlock, dapprima, aggrottò la fronte, poi sbarrò gli occhi, incredulo: non la aveva ancora neppure aperta, ma anche se non poteva sentire il profumo aveva già inteso.
-Signora Hudson, lei è davvero incredibile!-esclamò, ridendo.
-Se tornerai a trovarmi, te la riempirò di nuovo. Ma devi promettermi che non ci metterai anni come hai fatto adesso!-lo minacciò la donna, agitando scherzosamente un dito.
Dopo averle rivolto un ultimo sorriso sincero e un lieve bacio sulla guancia, Sherlock uscì dalla cucina, tenendo stretto a sé il barattolo di biscotti allo zenzero. I suoi passi, però, erano pesanti, e avanzava per inerzia, lo sguardo perso nel vuoto, Si sentiva... strano: anche se non avrebbe saputo spiegare esattamente il perché. Una sorta di inspiegabile disagio, iniziato dopo la conversazione con Lestrade, e acuita dalla senatrice: anzi, da molto prima. Più precisamente, da quando aveva conosciuto John Watson a Mos Esley.
Lui aveva sempre saputo cosa voleva, e non si era mai lasciato sopraffare dalle emozioni: cosa che invece stava accadendo in quel preciso momento.
Per la prima volta, si ritrovò a domandarsi se la sua esistenza -fatta di totale libertà d'azione, senza dover render conto a chicchessia, ma priva di radici-lo soddisfacesse davvero.
Cercò di distogliere la mente dai quei pensieri, aggrappandosi alla logica e alla ragione, i suoi unici punti fermi e che mai lo avevano tradito o deluso.
Ma la frase pronunciata dalla senatrice tornò a risuonare nella sua testa, imperterrita.
"A volte essere liberi non vuol dire scegliere di andarsene. A volte significa scegliere di rimanere."
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro