Conduttore di luce
John rimase a fissare il Maestro Jedi per un lungo istante, colmo di incredulità e così pieno di domande da non sapere da quale cominciare.
-... Questo è un sogno, non è vero?-fu però la prima e istintiva che gli salì alle labbra.
-Sì e no-rispose Victor Trevor, sibillino.-Ho lievemente manipolato la tua coscienza, per poterti contattare. E per questo, mi scuso-aggiunse subito dopo.-Non l'avrei mai fatto, se non fosse stato assolutamente necessario.
-Ma... se è solo la mia coscienza, perché mi sembra tutto così reale?-gli domandò l'altro ancora, sempre più confuso, ma anche dubbioso, mentre sentiva chiaramente proprio in quel momento un leggero refolo d'aria accarezzargli il viso e scompigliargli i capelli.
-Perchè questo è un luogo che tu ben conosci. È per questo che l'ho scelto-rispose il Jedi, con un caldo sorriso.-Senza che tu te ne accorgessi, questo particolare luogo si è impresso non solo nella tua mente, ma anche nel tuo cuore. Perciò ora ti sembra di percepirlo per davvero ma io, col mio potere, l'ho solo proiettato intorno a te.
-Quindi, è tutto vero, o sta semplicemente accadendo nella mia testa?-ripetè lui, interdetto.
Il Jedi sorrise di nuovo.
-Certo che sta accadendo nella tua testa. Ma dovrebbe voler dire che non è vero?
John prese per buona la criptica affermazione dell'uomo, anche se la situazione che stava vivendo era ben lontana dall'essere chiara.
-Sherlock mi ha parlato di te-mormorò a mezza voce.
-Davvero?-Victor era sinceramente stupito.
-Non nei dettagli-precisò lui, con una leggera risata, percependo la sua sorpresa.-Ha detto, però, che eri il suo migliore amico, anzi, il suo unico amico, oltre che il suo Maestro. E che tutto ciò che sapeva lo doveva solo ed esclusivamente a te.
Le labbra di Victor si curvarono in un sorriso affettuoso e nostalgico.
-... È sempre stato un bambino del tutto particolare, il mio giovane Padawan. Sta per "apprendista Jedi"-spiegò, sfiorando distrattamente con le dita i rami di un cespuglio.-Così giovane, eppure con un'intelligenza unica nel suo genere. Ma, soprattutto, con un cuore grande: era lui, che non se ne rendeva conto. Almeno, sino ad ora.
John ascoltava rapito le sue parole, e gli sembrava quasi di vederlo, il giovane Sherlock: un bambino chiuso, ma con tanto da dare, se solo lo avesse voluto. E glielo aveva più volte dimostrato, se non con le parole, con i fatti.
Deglutì, ricacciando il nodo che gli era salito in gola, ponendo tutta la sua attenzione alle parole dello Jedi.
-Credevo fosse solo una leggenda-disse lui proprio in quel momento, guardandolo quasi affascinato.
Lui aggrottò la fronte.
-Che cosa?
-Il conduttore di luce-rispose Victor, e l'emozione trapelò evidente dalla sua voce.-Credevo davvero che fosse solo una leggenda.
-Anche quando ci siamo visti in quella tormenta mi hai chiamato così. Puoi finalmente spiegarmi che significa??
-È una lunga storia.
-Ho tutta la notte-ribattè il biondo, con un pizzico di ironia nella voce.
Il Jedi rise, a quella risposta, e con un gesto della mano invitò il ribelle ad accomodarsi insieme a lui su un tronco poco distante, che John era certo che non ci fosse, sino a un momento prima: il Maestro, probabilmente, poteva manipolare quella sorta di "sogno/visione" a suo piacimento.
-Perchè tu comprenda appieno, dobbiamo tornare indietro nel tempo-iniziò Victor, le mani unite il grembo.-Più precisamente, a quando ti sei reso conto che, su di te, il condizionamento Imperiale aveva pochissima presa. So molte cose di te-aggiunse, prevedendo l'esclamazione sorpresa del pilota.-Ho esplorato i tuoi ricordi, per quanto possibile, quando sei entrato in contatto con il mio ex apprendista.
L'espressione del Jedi divenne distante, ma sul volto aveva ancora l'ombra di un sorriso.
-Alcuni Jedi hanno la capacità di usare la Forza spontaneamente, quasi senza bisogno di addestramento. Questo era il caso di Sherlock. Ancor prima che lo iniziassi, il suo potere era ben superiore a quello di qualsiasi altro padawan io avessi mai incontrato. Be', a parte...
Si interruppe bruscamente, come se si fosse reso conto di aver detto qualcosa che non doveva, e glissò.
-Comunque... c'è una leggenda, come ti ho accennato poc'anzi. Alcuni individui sono provvisti di una capacità molto particolare. Non sono in grado di usare direttamente la Forza, ma sono dotati di un'elevata forma di... percezione. Una percezione, naturalmente, che va oltre il piano umano sensoriale. Essa acuisce i sensi, rende più forte la mente e il corpo-compresi i riflessi-e dona alla persona che lo possiede una sorta di... sesto senso. O senso di ragno, se preferisci...-aggiunse, strizzandogli l'occhio, e lasciando John, se possibile, sempre più basito.-È per questo che riuscivi a resistere al controllo mentale dell'Impero. E anche quando quel Sith, Darth Wind, ha cercato di leggerti nella testa, sei riuscito a respingerlo. E sei stato in grado di colpire la luce di scarico della Morte Nera senza bisogno del computer. E sono certo che ricordi altre occasioni in cui hai usato, senza saperlo, tale capacità.
John sentì che gli girava la testa, sopraffatto da quella valanga di informazioni: ma rimase concentrato su ogni singola parola del Jedi, e ognuna di esse dava finalmente un senso e una risposta alle mille domande che si era posto in quegli ultimi anni, quando si era reso conto di essere dotato di quelle strane... percezioni.
Il Jedi prese fiato, e proseguì.
-Questo potere, però, è di tipo passivo, nella stragrande maggioranza dei casi. E non può essere allenato o rafforzato in alcun modo.
Per la prima volta, il biondo azzardò una protesta.
-Ma, se non uso per davvero la Forza, e il mio è un potere... passivo...-Esitò: nonostante tutto, ancora stentava a credere di avere una tale capacità; Victor lo invitò a proseguire.-...come ho fatto a liberarmi dalle manette, quel giorno??
L'altro sospirò.
-Non ho una risposta certa, per questa domanda-ammise, in tono di scusa.-Posso solo supporre che il tuo potere, stimolato dalla tentata intrusione psichica di Darth Wind, abbia in qualche modo acquisito sufficiente forza da agire. Ma, ti ripeto, è solo una supposizione. Del resto, il tuo è un potere atipico. E non è il solo che possiedi...
John sentì che stava per implodere: quante altre scioccanti rivelazioni sul suo conto lo attendevano??
-Se vogliamo essere precisi, anche quella del tuo primo potere è una leggenda, sebbene poco conosciuta. Quella che ti narrerò, al contrario, molti padawan la conoscono, e sperano di incontrarlo. Ma sono davvero pochi, coloro ai quali è concessa una tale fortuna: è una possibilità oltremodo rara. Dubito che i Sith stessi la tengano neppure in considerazione.
-... Incontrare chi?-mormorò lui.
-Il proprio conduttore di luce-rispose il Jedi tranquillamente, e fissò i suoi occhi verde smeraldo in quelli del pilota.-Alcune persone non hanno il potere, ma la capacità di stimolare quello altrui, quasi di amplificarlo, in modi a noi sconosciuti. Ma non di qualcuno a caso, bensì di una sola persona in tutta la Galassia. Insieme, il Jedi e il suo Conduttore rappresentano una forza incredibile, intessendo un legame unico e indissolubile. Ma solo tra quei due individui in particolare. Comprenderai che questo renda alquanto difficile che i due, il Jedi e il conduttore, si incontrino. Certi non lo incontrano mai, perché il conduttore può anche non essere un Jedi, ma una persona qualunque, priva di poteri.-Victor sorrise.-E tu, oltretutto, sei altresì dotato di quel potere che ti ho già menzionato. Perciò, sei un soggetto alquanto singolare, John Watson. Un conduttore di luce decisamente speciale.
John dovette stringersi le mani una nell'altra, poiché avevano cominciato a tremare: era davvero tutto troppo.
Lui, un ex Assaltatore, un uomo ordinario, dotato di tali capacità??
Come diavolo era possibile??
Avrebbe dovuto sentirsi lusingato, privilegiato, da quella nuova consapevolezza di sé: ma, al contrario, si sentiva solo sopraffatto.
Prima non era pienamente cosciente di tali capacità: ma, ora che lo era, non poteva più nascondere la testa sotto la sabbia.
Certo, Victor gli aveva detto che era un potere non allenabile, e che non dipendeva da lui, e che poteva manifestarsi inaspettatamente e in qualsiasi momento. Ma questo non toglieva che avrebbe dovuto starci attento, da quel momento in avanti.
"Da un grande potere, derivano grandi responsabilità."
Scosse la testa, trattenendo a stento una risata.
Devo smetterla di fare riferimenti a Spiderman...
Ma c'era ancora qualcosa che non gli era chiaro.
-Quindi... io ero il conduttore di luce... di Sherlock?-Cacciò giù a forza il nodo che gli stringeva nuovamente la gola, mentre il Jedi annuiva.-Ma... io non ho fatto nulla. Non ho stimolato alcun potere, in lui. Non ho fatto niente, per aiutarlo. Niente.
Distolse lo sguardo, mentre il dolore e il senso di colpa lo assalivano per l'ennesima volta.
Le parole successive di Victor, però, lo costrinsero a girarsi nuovamente verso di lui.
-Lo credi davvero, John? Credi di non aver fatto nulla, per Sherlock? Non hai idea di quanto tu sia in errore-asserì infatti il Jedi, con un tono terribilmente serio.-Da quando tu e il mio ex apprendista vi siete incontrati su Mos Eisley, in quella taverna, non ha potuto più soffocare il suo potere, per quanto ci abbia provato. Pur non sapendo che tu sei il suo conduttore di luce, ha riscoperto le sue capacità. E non solo.
Il Jedi, stavolta, strinse le mani tremanti del Ribelle tra le sue.
-Hai riaperto la sua strada verso i sentimenti. Sentimenti che lui, dopo la mia morte, aveva soffocato sotto una coltre di ghiaccio fatta di rabbia, di risentimento, di odio... di oscurità. Ha di nuovo scoperto la bellezza di cose come l'amicizia, la fiducia, la gioia... l'amore!
-Credevo che fosse proibito amare, ai Jedi... -si azzardò a contraddirlo John, con voce roca.
Il Maestro stirò le labbra in un sorriso affettuoso.
-Immaginavo che il mio padawan te l'avesse detto... Ha usato quella regola come uno scudo, anche durante il suo addestramento. Io stesso lo ammonì di esercitarsi a distaccarsi da tutto ciò che temeva di perdere, dalle persone a cui teneva, anche da me stesso. Ma lui la prese troppo alla lettera, soprattutto dopo la mia morte. Credeva di dover soffocare del tutto quei sentimenti. Non è così. I Jedi proibiscono l'attaccamento, il possesso... non l'amore nella sua forma più pura. Non la compassione, amore assoluto e illimitato. Un Jedi, per essere tale, deve saper amare! E può essere amato a sua volta. E tu sei stato fondamentale, in questo.
Gli occhi di Victor scintillavano di lacrime, le mani ancora strette intorno a quelle del pilota, così rapito dal suo discorso da non riuscir neppure a emettere un fiato.
-Grazie a te, il mio giovane padawan ha riscoperto cosa volesse dire avere di nuovo un amico. Tu, John, sei stato uno dei pochi a non arrendersi di fronte alla sua apparente freddezza, e pian piano hai scalfito la sua gelida corazza. Si è addirittura innamorato di quella donna, Molly Hooper. Non solo, si è anche reso conto di avere intorno persone che tenevano a lui: suo fratello, Lestrade... ha cominciato finalmente ad accettare il loro affetto e il loro amore, al posto di scappare via come sempre faceva prima di incontrarti. A fidarsi. Insomma, ha ricominciato a vivere per davvero, anziché sopravvivere giorno dopo giorno. Hai riaperto il suo cuore. E, di questo, non potrò mai ringraziarti abbastanza. Sherlock è stato davvero fortunato, a incontrarti.
Il Jedi aveva parlato con foga, quasi senza riprendere fiato, evidentemente commosso: era palese l'affetto che ancora nutriva verso Sherlock. John si accorse che anche lui era profondamente commosso e toccato dalle sue parole.
Scosse la testa.
-No. Io sono stato fortunato ad averlo conosciuto-sussurrò, a fatica, trattenendo a stento le lacrime.
Ma poi, d'un tratto, l'espressione di Victor mutò drasticamente, divenendo cupa, mentre lasciava libere le mani del pilota, e le stringeva sulle ginocchia.
-Purtroppo, ora si sta perdendo. Di nuovo. Non ha più speranze. Nulla in cui credere. Ha perso la fiducia che aveva così faticosamente riconquistata. Si sta arrendendo. E questo, in larga parte, per colpa mia.
Si girò bruscamente verso il pilota, gli occhi carichi di serietà.
-E solo tu puoi salvarlo.
John si rese conto, all'improvviso, di aver smesso di respirare, mentre le sue mani erano nuovamente scosse da incontrollabili tremori, e che, senza accorgersene, si era alzato da quel tronco, compiendo vari passi avanti e indietro, lo sguardo fisso, le mani nei capelli. Non aveva afferrato completamente il discorso di Victor, soprattutto certe affermazioni: una, però, l'aveva compresa perfettamente.
E l'unica cosa che riusciva a fare in quel momento era sillabare muto quella stessa frase... poi la stessa, singola parola.
Ancora. Ancora.
E ancora.
"Ora si sta perdendo."
"Devi salvarlo."
"Ora".
"Ora".
"ORA".
-... C-che significa "ora"?-riuscì finalmente a domandargli, con un filo di voce. -Sherlock... è morto...
Victor non rispose alla sua domanda, e neppure replicò a quella affermazione: si limitò, invece, ad alzarsi anche lui, per poi fare un leggero gesto della mano, muovendo appena le dita.
Istantaneamente, il paesaggio intorno a entrambi mutò: John trasalì, e per poco non perse l'equilibrio, quando si rese conto di stare, letteralmente, galleggiando nel cielo; tuttavia, avvertiva un invisibile solidità, sotto i suoi piedi. Doveva essere un'altra visione...
Ma non poté soffermarsi troppo su quell'ennesima stranezza, perché capì quasi all'istante dove si trovava. Il cuore prese a battergli nel petto all'impazzata, e un sapore acre si diffuse nella sua bocca.
Un ponte di metallo sospeso tra le nuvole. Due figure si fronteggiavano, e una di esse dava la schiena a un baratro.
Subito, chiuse gli occhi, le braccia lungo i fianchi, i pugni stretti.
-No. Non voglio-disse soltanto, la voce spezzata al punto da far fatica ad articolare le parole.-Non voglio vedere di nuovo Sherlock cadere e morire. Non voglio-ripeté, tenendo gli occhi serrati.
-John, apri gli occhi-gli disse invece il Jedi, semplicemente.
-No-ripetè lui, testardo,scuotendo la testa con veemenza.-No.
-John, aprili. Per favore-gli ordinò Victor, imperterrito: e, pur mitigato da quel "per favore", e dal tono chiaramente dolce, John avvertì il potere insito nella sua voce: proprio come era accaduto sul pianeta Hoth.
E, proprio come allora, per quanti sforzi facesse, non poté disubbidire a quell'ordine: sentiva però già alcune lacrime rigargli le guance, mentre li riapriva. Guardò per la seconda il suo migliore amico cadere oltre quella coltre di nuvole, e poi giù, sempre più velocemente, attraverso quell'enorme voragine, e poi in un condotto buio e nero, oltre il quale lo attendeva la morte. Quanto avrebbe voluto tendere il braccio, e frenare così la sua caduta: invece poteva solo osservare, impotente, proprio come quel giorno.
Era una tortura.
Come poteva quel Jedi essere così crudele??
-Perche???-ringhiò a Victor con voce rotta e piena di dolore, ma venata anche da una certa dose di rabbia.- Perchè mi costringi a rivivere tutto questo?? Non ho sofferto abbastan-...??
Le parole gli morirono in gola, quando realizzò che Sherlock aveva terminato la sua caduta apparentemente senza fine su una grata del condotto, che però cedette quasi all'istante sotto il suo peso.
John sgranò gli occhi, incapace di distogliere lo sguardo, quando vide il suo migliore amico aggrapparsi precariamente ad un'antenna a forma di "T" capovolta, qualche istante prima che la grata si staccasse, roteando nel vuoto sottostante.
Sherlock si teneva aggrappato con tutte le sue forze a quel fragile appiglio, sia con le gambe che con le braccia, pallido in viso, le labbra tese, gli occhi serrati, come se si stesse concentrando su qualcosa.
E, come se tutto ciò non avesse sconvolto John a sufficienza, dopo qualche minuto una navicella passò proprio sotto di lui, aprendo il portellone superiore.
Sherlock, a quel punto, aprì gli occhi, e si lasciò volutamente cadere al suo interno, al sicuro, con un evidente sospiro di sollievo.
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John non avrebbe saputo dire, esattamente, quando era crollato a terra, sulle ginocchia, o quando era ricomparso intorno a loro quel bucolico e piacevole paesaggio. Ma una cosa la sapeva.
Stava piangendo. A dirotto.
Esattamente come aveva fatto poco prima di addormentarsi.
Ma quello era stato un pianto di dolore e disperazione: niente a che vedere con quello che in quel momento gli faceva tremare le spalle-e non solo: tutto il suo corpo pareva scosso da incontrollabili tremiti- e i cui singhiozzi non erano più soffocati: ognuno di essi erompeva con fragore dalle sue labbra, mentre altre lacrime-troppe, per poterle contare-solcavano il suo volto, il capo chino, le mani ad artigiare con violenza il terreno.
Quel pianto era... di sollievo: di gioia, addirittura.
Sentiva come se il nodo che aveva avuto nello stomaco da più di nove mesi a quella parte si fosse improvvisamente dissolto. Come se avesse vissuto sott'acqua, in apnea, per tutto quel tempo, e qualcuno, all'improvviso, l'avesse riportato in superficie, facendolo nuovamente respirare.
E poi, all'improvviso... rise.
Scoppiò a ridere: prima piano, poi sempre più forte, istericamente, come un pazzo, incapace di frenarsi, mentre quella nuova consapevolezza si faceva strada in mezzo a quelle lacrime miste a risate, insieme ad una gioia impossibile da definire appieno.
Il mio migliore amico...
È vivo.
Sherlock è vivo.
Sherlock... è... VIVO!
Quel pianto sembrò durare un'eternità, finché sentì infine una mano stringergli appena la spalla, e gli rammentò della presenza del Jedi accanto a lui: Victor, d'altro canto, non aveva proferito parola sino ad allora, durante tutto quel suo sfogo, rimanendo in silenzio, in paziente attesa.
John si asciugò il volto e prese dei profondi respiri: la testa ancora gli girava, e il cuore batteva ancora come un tamburo impazzito, come se volesse addirittura uscirgli dal petto.
Chiuse gli occhi e cercò faticosamente di riprendersi, di ritrovare la calma, sebbene non fosse affatto facile.
-Perché?-esalò alla fine, mentre il sollievo per quella rivelazione lasciava, pian piano, il posto alla rabbia, ripensando alla visione appena vista. Aveva riconosciuto la navicella che aveva tratto in salvo Sherlock: era quella di Mycroft Holmes; dunque lui aveva sempre saputo.
-Perché?-ripetè, stringendo le labbra.- Come ha fatto?? Se davvero è vivo, perché non è tornato?? E perché nessuno ce l'ha detto???
-Credo sia meglio che tu ponga tutte queste domande direttamente a lui-rispose il Maestro Jedi, con un triste sospiro.-Posso solo dirti che, inizialmente, l'ha fatto quasi esclusivamente per proteggervi. E ha imposto a suo fratello di non rivelarvi nulla.
-Proteggerci?? E da cosa?? Dall'Impero?-sbottò lui, incredulo e furibondo.-Anche se lui è scomparso, Moriarty o quel Sith non hanno certo smesso di farci la guerra!
-Forse no, ma non può più usarvi come esche con cui può attirarlo a sé, dato che lo crede morto. Come tutti voi, del resto-rispose Victor con ovvietà.-Ma purtroppo, non aveva tenuto abbastanza conto di un altro pericolo: pericolo da cui vi ha protetti ancora prima di questo accadimento.
Un terribile presentimento si fece strada nella mente di John.
-Moran... il cacciatore di taglie-sussurrò, ed impallidì, mentre comprendeva le implicazioni di quell'ennesima rivelazione.
Il Maestro annuì gravemente.
-Nessuno a parte te, John, conosce i... problemi che Sherlock ha con quell'uomo, ma soprattutto con il suo capo, Charles Magnussen. Il mio ex allievo li ha tenuti nascosti persino a suo fratello, al solo scopo di proteggerlo: è uno degli uomini più potenti della galassia, secondo solo all'Imperatore, con cui ha avuto vari contatti ripetutamente. Per questo non voleva che gli andasse contro. Avrebbe significato mettere a rischio non solo voi, ma anche la Ribellione stessa. Credeva di essersi liberato anche di lui, dopo la sua "morte": purtroppo, non è stato così. Moran ha disgraziatamente scoperto che era ancora vivo. L'ha attirato in una trappola, e...
Victor deglutì e si interruppe bruscamente-come se non riuscisse a dire altro-mentre John impallidiva sempre di più.
-Cosa??? Che cosa gli ha fatto??-ringhiò, e strinse i pugni, furioso.- Dov'è Sherlock, adesso???
Per tutta risposta, il Jedi mosse la mano- proprio come prima- e una nuova immagine si palesò di fronte agli occhi del pilota, che si pietrificò all'istante, la bocca improvvisamente secca.
Intorno a loro era apparsa, stavolta, una stanza scura, che lui non aveva mai visto, piena di strani macchinari.
Ma ciò che vide al centro di essa gli tolse completamente il respiro. Era una sorta di scatola di vetro rettangolare, chiusa, ma completamente trasparente, posta in verticale, in piedi, sul pavimento.
E dentro, perfettamente immobile, senza neppure l'emissione di un sospiro, tanto da sembrare morto, c'era Sherlock.
Quella sorta di sarcofago era comunque stretto intorno al suo corpo al punto che, probabilmente, non avrebbe potuto neppure muoversi: era vestito come l'ultima volta che l'aveva visto, con il foulard blu navy al collo e i pantaloni neri da pilota. Mancava, però, la sua giacca che lui conosceva così bene: il contrabbandiere indossava solo la camicia bianca.
Aveva le braccia incrociate sul petto, nella posa simile a quella dei faraoni dell'antica civiltà egizia, con i polsi incrociati sotto al mento, e legati insieme da un leggero filo metallico, sottile, ma resistente; anche le caviglie erano legate. Il suo volto era pallido e tirato, le labbra esangui, gli occhi chiusi. Sembrava completamente privo di sensi, tanto da fargli temere che fosse davvero, morto. Ma poi, John vide qualcosa, scendere lentamente dai suoi occhi fin sulle guance-più magre di quanto lui ricordasse-e sentì un dolore sordo nel petto: erano lacrime.
Era la prima volta che vedeva Sherlock piangere. E vederlo in quel momento lo riempì di dolore, ma anche di una rabbia inumana.
E poi, lo vide.
Moran.
Era appena apparso nella stanza, per poi avvicinarsi al sarcofago di vetro dove Sherlock era stato rinchiuso: lo vide girare intorno ad esso, poi emettere una risata chiaramente compiaciuta.
- Buonanotte, Sherlock Holmes- gli augurò il cacciatore di taglie, la voce metallica grondante perfidia, per poi premere un pulsante su un lato di esso.
Subito, questo si riempì di uno strano fumo grigio che, pian piano, avviluppò completamente la sua vittima; ma Sherlock non reagì in alcun modo, e i suoi occhi rimasero chiusi: solo un leggero tremito della sua bocca e altre lacrime sottili denunciavano che era, in qualche modo, cosciente di quello che gli stava per accadere, ma impotente.
John, dal canto suo, tremava come una foglia per il dolore, la rabbia, e la paura, mentre osservava, anche lui impotente, la scena, conscio di non poter impedire in alcun modo il corso di quell'evento: avrebbe voluto colpire Moran- che continuava a ridere sadicamente- con tutte le sue forze, fino a frantumare quel suo stramaledetto casco.
Finalmente, il fumo si diradò, e quello che vide subito dopo lo colmò di un orrore inimmaginabile: il suo migliore amico era stato ricoperto dalla testa ai piedi di una sorta di liquido grigio, quasi metallico. Sherlock era completamente immobile, e congelato in esso: sembrava essere diventato in tutto e per tutto una statua, o una scultura modellata da un'unica lastra di metallo.
Finalmente, il biondo capì cosa quel bastardo di Moran aveva fatto: aveva ibernato Sherlock nella grafite; una barbara pratica di conservazione usata dai cacciatori di taglie per trasportare le loro vittime vive. Una vittima ibernata poteva stare in quella condizione anche per sempre, viva eppure non viva.
-... Quando è successo tutto questo?
John non riconobbe la sua stessa voce; mai, come in quel momento, aveva provato così tanta rabbia, odio e dolore nello stesso istante.
-Circa due mesi fa.
Anche dalla voce di Victor trapelò una sincera e profonda sofferenza, mentre la terribile scena si dissolveva.
-Ho perso da lungo tempo la capacità di localizzare il mio apprendista, specialmente negli ultimi mesi, da quando si è chiuso in sé stesso al punto da precludere la sua coscienza persino al mio potere. Si è completamente chiuso alla Forza. Neppure suo fratello è più riuscito a percepirlo, sebbene ci abbia più volte provato. Ma il suo potere era troppo debole. Tuttavia, il dolore e la disperazione che questa condizione gli causano, ha infine prodotto un eco nella Forza, permettendo finalmente, almeno a me, di trovarlo. E, in seguito, di contattare te. Anche questo non è stato facile. Il dolore che provavi per la sua perdita era profondo quanto il suo, tanto che, senza volere, ti eri chiuso alla Forza nello stesso modo. Ma qualcosa che hai fatto, però, ha nuovamente aperto il canale.
John sentì a malapena l'ultima parte del discorso: in quel momento, non gli importava nulla dei suoi poteri, di essere un conduttore di luce o chissà che altro. Solo una cosa, contava.
-Dov'è adesso?-gli domandò infatti di nuovo, con ira crescente, stringendo le mani a pugno al punto da sbiancare le nocche e conficcarsi le unghie nei palmi.
-Credo che tu lo sappia-rispose il Jedi, cupo.
Il pilota digrignò i denti: sì, ne aveva una vaga idea.
-C'é ancora qualcosa, che devi sapere-aggiunse Victor in tono mortalmente serio, ponendogli entrambe le mani sulle spalle e fissandolo dritto negli occhi: John notò che erano di un verde decisamente più scuro, in quel momento, forse a causa della rabbia che nemmeno un Maestro Jedi poteva del tutto celare.-Qualcosa che potrebbe aiutarti a salvare Sherlock. Perché è questo che vuoi, non è vero?
Lui quasi esplose, a quella domanda.
-Certo che lo voglio! Anche solo per riempirlo di pugni non appena mi capiterà a tiro!-sibilò, rabbioso ma determinato: nemmeno per un istante aveva messo in dubbio che tutto quello che aveva appena visto fosse stato solo frutto di un sogno. Se quelle "percezioni" valevano qualcosa, allora gli stavano dicendo che era tutto vero. Sherlock era vivo.
Ed era in pericolo.
Doveva trovarlo e salvarlo, a qualunque costo: anche da se stesso, se necessario. E una volta che l'avesse trovato, l'avrebbe stretto a sé, e poi strangolato con le sue stesse mani: forse non esattamente in quell'ordine...
Le labbra di Victor Trevor si sollevarono in un leggero sorriso divertito, come se avesse intuito finanche i suoi pensieri.
-Allora, ascoltami bene...
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