C.A.M
Tatooine
Due mesi dopo
Il calore dei Soli gemelli, quel giorno, era tale da rendere la sabbia rovente e da surriscaldare l'aria, mentre i loro raggi colpivano impietosi il cacciatore di taglie: una raffica di caldo vento particolarmente forte sollevò una gran quantità di sabbia, oscurando per un momento il visore del suo casco.
Questi, tuttavia, non se ne curò: era quasi giunto alla sua meta.
Proprio a pochi metri di distanza dalla sua posizione, ecco ergersi finalmente una immensa struttura di pietra e ferro, decisamente ricca, ben diversa dalle povere capanne in argilla dove viveva la stragrande maggioranza della popolazione di Tatooine.
Era un vero e proprio palazzo, e il luogo isolato il cui sorgeva non era stato scelto a caso: da lì il padrone di casa aveva pieno controllo dei suoi affari, pur rimanendo a distanza dai centri abitati; erano comunque tutti-sia criminali, che gente comune-ben consapevoli della sua presenza.
Era come un'ombra oscura e maligna, mandante di mille crimini ed efferatezze, i cui suoi tirapiedi erano ovunque, sparsi per quasi tutti i sistemi stellari conosciuti.
Alcune guardie piantonavano l'ingresso e le torrette superiori, imbracciando fulminatori e fucili blaster. Ad ogni angolo della struttura vi erano telecamere e dispositivi di sicurezza assolutamente impenetrabili persino per l'hacker più esperto.
Al di sotto di essa era nota a tutti la presenza di molteplici celle: chi veniva imprigionato in quella fortezza era destinato a non uscirne più.
Il cacciatore di taglie, con malagrazia, strinse maggiormente per una braccio la sua preda, costringendola a procedere verso il massiccio ed immenso portone di metallo, unica via di accesso ad Appledore, il palazzo di Magnussen.
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Charles Augustus Magnussen volse lo sguardo intorno a sé, un calice di cristallo tra le dita, osservando pigramente e con una sorta di quieta indifferenza la confusione che regnava nella sala: gamorreani, venusiani, geonosiani... Tutti cacciatori di taglie, criminali e feccia della peggior specie, stravaccati su cuscini di velluto o su poltrone di metallo, intente ad ubriacarsi, vantarsi o discutere ad alta voce, o a lanciare volgari apprezzamenti verso una danzatrice del ventre Saturniana, che stava in quel momento compiendo la sua danza al centro della sala, con movimenti languidi e sensuali.
L'intera sala era permeata dall'odore pungente degli alcolici e dal fumo degli spaccacervello, mentre un'orchestra dal vivo composta da mostruose creature tentacolari suonava una musica assordante, e vari droidi giravano, servendo da bere.
Magnussen si portò il calice alle labbra, sorseggiando il bizzarro liquore azzurrino al suo interno e guardandosi intorno annoiato, poco interessato alla danza sensuale della donna, e disgustato soprattutto dalle guardie gamorreane. Pur essendo obiettivamente utili per la difesa della magione, il loro aspetto porcino semi umanoide non era certo un belvedere, né tantomeno il loro idioma, composto quasi solo da grugniti.
-Perdoni l'interruzione, signore.-Una delle sue guardie, questa però del tutto umana, fortunatamente, ma con indosso un elmo di zanne animali a coprirgli quasi del tutto la parte inferiore del viso, si era appena avvicinato al trono rialzato da cui Magnussen dominava tutta la sala.-Ma qui fuori c'è un individuo che chiede di essere ricevuto. Dice di essere un cacciatore di taglie di nome Sharkie. Vuole unirsi alla nostra cerchia.
Questi abbassò il calice con una smorfia.
-Se accogliessi tutti quelli che me lo chiedono, avrei raccattato esclusivamente spazzatura galattica!-sbottò, gli occhi verdi che percorrevano, con ancor più sdegno di poco prima, la sala.-Già con l'ultimo acquisto ho ancora dei dubbi...
-Signore, credo proprio che questo meriti quantomeno di essere ascoltato-lo contraddisse la guardia, in tono di scusa.-Porta un prigioniero, con sè. Come prova delle sue capacità. E credo che potrebbe interessarle...
Per la prima volta, il magnate galattico mostrò un vago interesse: con un gesto, invitò la guardia ad avvicinarsi, e quando quest'ultima gli comunicò all'orecchio l'identità del prigioniero, le sue labbra si tesero in uno stupefatto e diabolico sorriso.
-Fallo entrare - gli ordinò: poi, con un gesto, intimò alla folla criminale riunita di fare silenzio; non gli servì alzare la voce, perché nella sala scendesse un silenzio di tomba, la Saturniana smettesse di danzare, e l'orchestra di suonare: a lui bastava un semplice gesto, o un'occhiata, per ridurre chiunque all'obbedienza.
Due figure varcarono la soglia, facendosi poi largo tra la folla, fino ad arrivare al cospetto di Magnussen: una di esse era il cacciatore di taglie, intabarrato in una tuta nera, il capo coperto da un casco integrale, di metallo con striature dorate, le mani avvolte in guanti di pelle nera.
Trascinava, tenendolo saldamente per il braccio, e costringendolo poi a inginocchiarsi a terra, un altro uomo: i suoi polsi erano legati dietro la schiena, il capo chino, i vestiti da pilota laceri e coperti di polvere.
Anche i capelli erano arruffati e sporchi. Aveva in più una strana espressione apatica, gli occhi semichiusi, ma lo sguardo perso nel vuoto. Sembrava che non riuscisse neppure a stare in piedi, senza la presa ferrea del cacciatore di taglie.
Vari mormorii, molto eccitati, si diffusero tra i presenti.
Avevano riconosciuto il prigioniero.
Le labbra del criminale galattico si curvarono in un sorriso di trionfo.
-Bene, bene, bene. Finalmente qualcuno mi ha portato il famoso pilota dell'Alleanza Ribelle-annunciò, con evidente soddisfazione, alla folla riunita.-John Watson, dico bene? Anche se mi confesso molto sorpreso. Quasi... deluso. Avrei detto che saresti stato tu, Moran, a consegnarmelo. E invece, ti sei fatto superare da questo straniero.
Si levarono alcune risatine di scherno, mentre Sebastian Moran, appoggiato ad una parete poco distante dal trono, le braccia conserte, si irrigidiva visibilmente.
-... Tranquillo, sto solo scherzando-aggiunse Magnussen, con una risata maligna, a cui si unirono, per compiacenza, gli altri criminali. Solo dopo, anche Moran si unì ad essa, seppur con un malcelato sforzo.-Dopotutto, tu mi hai portato il pezzo principale della mia... collezione-precisò il criminale, compiaciuto.
Dicendo ciò, gettò uno sguardo compiaciuto verso una lastra appesa proprio a pochi passi dal trono, in una alcova.
Un blocco di grafite nera, dove Sherlock Holmes, l'unico cacciatore di taglie che avesse mai osato opporsi al suo dominio incontrastato, era intrappolato in animazione sospesa: un trofeo unico nel suo genere.
Sempre con quel sorriso sulle labbra, il criminale si rivolse poi di nuovo al cacciatore di taglie.
-Come mai il prigioniero non parla? Gli hai forse tagliato la lingua? - gli domandò, con un ghigno.
-L'ha drogato, signore-rispose la guardia di poco prima, anticipandolo. - A malapena riesce a camminare, figuriamoci a parlare. Dubito che si renda conto persino di dove si trovi. Ma l'effetto della droga non durerà ancora molto. Dovrebbe riprendersi in tempo per... qualsiasi cosa decida di fargli.
Il ghigno sul viso del criminale si allargò, come se già pregustasse qualsiasi cosa avrebbe fatto.
-Molto bene. Sei il benvenuto tra noi. Credo proprio che sarai un prezioso e valido alleato-aggiunse poi, benevolo, rivolto al cacciatore di taglie.
Questi, però, non parve soddisfatto.
-Non mi basta certo questo!-replicò infatti, in lingua ubese, la mano sempre stretta intorno al braccio del prigioniero del tutto inerme, la voce distorta e gracchiante. -Voglio essere pagato bene, prima. Conosco il valore della merce. Esigo almeno cinquantamila crediti.
Magnussen si accigliò, e si rivolse di nuovo alla guardia, poiché non conosceva quella lingua: questi si affrettò a tradurre la "richiesta" di Sharkie.
-Dice che non gli basta. Vuole essere pagato. Cinquantamila, non meno.
Vari mormorii concitati e di protesta seguirono, davanti a quella richiesta e all'insolenza dello straniero.
-Cinquantamila è troppo. L'amichetto di Sherlock Holmes non vale così tanto-replicò Magnussen, sprezzante.-Non vedo perché dovrei pagare una cifra così esagerata.
Il cacciatore di taglie rispose nuovamente in ubese, e la guardia stavolta impallidì.
-D-dice che se Sua Eccellenza non gli darà la c-cifra che ha chiesto, ci farà saltare tutti in aria con l'attivatore termico che ha in mano!-balbettò, con voce tremante.
La folla gridò e indietreggiò all'istante di alcuni passi, mentre tutte le guardie puntavano i blaster contro il cacciatore di taglie: il quale, però, rimase completamente impassibile, e alzò un braccio, mostrando un piccolo oggetto luminoso, dalla forma sferica, che aveva tenuto in mano sino a quel momento, e di cui nessuno si era avveduto.
-Sparatemi, e saltiamo tutti in aria!-disse a voce alta il cacciatore di taglie, ma stavolta in corelliano, in modo che lo capissero tutti, Magnussen incluso.
Seguirono alcuni istanti di totale immobilità, in cui le guardie e i cacciatori di taglie-Moran compreso-tennero le armi spianate, incerti sul da farsi.
Magnussen, d'altro canto, fissò maligno lo straniero, gli occhi ridotti a due fessure: poi, incredibilmente, scoppiò in una fragorosa risata.
-Questo è quel che si dice avere fegato!-esclamò, cogliendo tutti di sorpresa.-Ho bisogno di più gente come lui, nel mio entourage!
Si rivolse al tremante interprete.
-Digli che gli offro trentacinquemila. E di non abusare troppo della sua buona sorte.
Questi si affrettò a tradurre, mentre tutti trattenevano nuovamente il respiro, in attesa della sua risposta.
Il cacciatore di taglie, finalmente, annuì, e premette un pulsante sul dispositivo, spegnendolo.
La folla si rilassò, e tornò dopo pochi istanti ad ubriacarsi, ridere e giocare d'azzardo, mentre il prigioniero-che era rimasto per tutto il tempo in silenzio, lo sguardo vuoto e fisso a terra, al pari di uno zombie-veniva bruscamente prelevato da due delle guardie, e scortato nelle celle ai piani inferiori.
Nessuno vide il rapido e leggero sorrisetto che sfiorò le sue labbra.
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Era notte inoltrata, quando qualcuno bussò con insistenza alla porta del suo appartamento personale: Magnussen, in quel momento, era perfettamente sveglio, intento a studiare, su un visore, alcune rotte utili per futuri contrabbandi di merce.
Aveva in mente di passare al traffico di schiavi: pareva rendere bene.
Dopo aver invitato il misterioso individuo ad entrare, lo apostrofò con voce minacciosa; soprattutto quando lo riconobbe.
-Mi auguro che sia importante. Per il tuo bene.
-Lo è, Sua Eccellenza-replicò l'altro, compìto. -Sono certo che mi sarà riconoscente.
Magnussen inarcò un sopracciglio, scettico: ma le parole successive dell'uomo lo fecero ricredere.
-C'è un impostore, tra di noi.
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La sala del trono era immersa nel silenzio e scura, rischiarata appena dai pochi raggi di sole che penetravano attraverso gli spessi tendaggi: doveva essere quasi l'alba.
All'improvviso, una figura vestita di nero avanzò con cautela attraverso di essa: era Sharkie, il cacciatore di taglie. Egli avanzò furtivo verso l'alcova dove era stata appesa la nera lastra di grafite: poi, rapido, premette alcuni pulsanti ai lati di essa, che scese lentamente a terra, rimanendo comunque in verticale.
Sharkie osservò per qualche istante la figura intrappolata al suo interno, poi premette con decisione un altro specifico pulsante.
Lentamente, quella sorta di metallo si frantumò sotto i suoi occhi: una ragnatela di crepe si aprì sulla sua superficie, mentre il corpo di Sherlock Holmes riemergeva pian piano-il volto pallido come la cera, le labbra esangui, gli occhi chiusi-fino a sgretolarla del tutto.
Non più sostenuto dalla grafite, il corpo del contrabbandiere iniziò un'inevitabile discesa verso il basso: che però venne subito frenata dal cacciatore di taglie, che lo accolse tra le sue braccia, accompagnandolo nella caduta, e sdraiandolo poi delicatamente di schiena sul pavimento.
La prima cosa che Sharkie fece fu di tagliare, con un coltellino preso dalla tasca della giacca, il filo metallico che gli cingeva i polsi e le caviglie. Non un respiro o altro movimento provenne da lui durante tutta quell'operazione: il cacciatore di taglie gli posò una mano sul petto, all'altezza del cuore.
Il battito c'era.
Rincuorato, prese dunque a massaggiargli piano, ma con decisione, i polsi-la cui pelle nivea era deturpata dal sottile segno rosso lasciato dal filo metallico-in modo da riattivargli la circolazione.
Finalmente, Sherlock reagì: le sue palpebre si sollevarono di scatto, gli occhi verde azzurri sgranati, la bocca aperta a cercare di respirare, come se fosse riemerso dall'acqua; non riuscendoci, cominciò a tossire e boccheggiare con violenza, mentre un tremito lo scuoteva da capo a piedi.
Sharkie si affrettò a tranquillizzarlo, prendendogli delicatamente il capo riccioluto tra le mani e appoggiandolo sul suo grembo, mentre passava a sfregargli vigorosamente le braccia e le spalle: era freddo come il ghiaccio.
Notando la sua continua ed evidente fatica nel respirare, gli allentò subito il nodo del foulard che portava intorno al collo.
-... Va tutto bene. Rilassati un attimo-gli disse, a voce bassa.
Ma Sherlock, al contrario, fu preso ancor di più dal panico, seppur non avesse neppure la forza di muoversi eccessivamente; i suoi arti sembravano rispondere a malapena ai suoi comandi. Era completamente disorientato, soprattutto perché, pur avendo gli occhi aperti- anzi, spalancati-non vedeva quasi assolutamente nulla: tutto intorno a lui era vago e nebuloso.
Ma non era l'unica cosa che lo terrorizzava: aveva passato giorni-oppure mesi? Anni?-in una condizione di totale immobilità e di azzeramento dei sensi. In quel momento, invece, suoni, odori e percezioni lo assalirono con inumana violenza, e tutti insieme, come se fosse stato scaraventato di colpo al centro di un ciclone. Ogni singolo nervo e osso del suo corpo pareva fremere dal dolore. Ad ogni faticoso respiro che faceva, l'aria che gli passava nella gola bruciava come lava incandescente: al contrario, sentiva talmente freddo sulla pelle che i suoi denti battevano. Le orecchie fischiavano, al punto che, inizialmente, faticò a sentire le parole pronunciate dal cacciatore di taglie; la bocca era secca e arida come il deserto.
Ma la cosa che più lo annicchiliva era l'assenza della vista.
Aveva basato tutta la sua vita sui sensi, e in special modo su essa: ed essere condannato a quella cecità era qualcosa che gli causava un profondo terrore.
-... N-non ci v-vedo-furono infatti le prime istintive parole che uscirono a fatica, incerte e tremanti, dalle sue labbra, il respiro spezzato e difficoltoso, anche se erano rivolte soprattutto a se stesso.
In quel momento, vari ricordi precisi si fecero strada, seppur a fatica, nella sua mente annebbiata: un vicolo scuro... Sebastian Moran... un'imboscata... preso alle spalle... un panno premuto con violenza sul naso e sulla bocca... un forte odore chimico... non riusciva a respirare, la testa girava... Non riusciva a muoversi, né ad opporre resistenza. Ricordava persino di aver riconosciuto quella particolare sostanza: estratto di radice di young. Non solo paralizzava i muscoli e rendeva parzialmente incoscienti, ma poi li azzerava completamente, facendo precipitare il malcapitato in una sorta di pseudo morte. Il primo senso ad abbandonarlo era stato proprio la vista, facendosi sempre meno nitida, anche se in verità non abbastanza in fretta.
Rammentava infatti -fin troppo bene- degli uomini dai volti storti e ghignanti chini su di lui, che lo legavano e poi lo infilavano in una scatola di vetro, mentre lui restava immobile tra le loro grinfie, incapace di difendersi o di opporsi. Non poteva neppure emettere un fiato: la sua lingua era come incollata la palato, la gola incapace di emettere suoni, nemmeno un inutile mugulio di paura o di sofferenza.
Ricordò la sua impotenza e i suoi occhi che si chiudevano completamente, capaci non più di vedere ma solo di produrre lacrime che scivolavano sul suo volto, inarrestabili.
Ricordò una sadica risata.
Ricordò del fumo che lo avvolgeva... Che lo soffocava... Qualcosa che lo immobilizzata ancora di più, stringendolo in una violenta morsa, provocandogli un dolore inimmaginabile... Il buio...
La paura si impossessò nuovamente di lui e riprese a tremare: stavolta non per il freddo.
-Sta' tranquillo. Non sei più congelato nella grafite-lo rassicurò all'istante di nuovo quella misteriosa voce, mentre l'altrettanto misteriosa e nebulosa figura lo stringeva a sé, cercando al tempo stesso di scaldarlo e di tranquillizzarlo.-La vista ti tornerà in seguito: è solo una conseguenza dell'ibernazione.
Sherlock, anche stavolta, non fu rassicurato dalle sue parole: la sua mente logica e razionale-seppur in quel momento ottenebrata dal dolore e dalla confusione-si affannava alla ricerca delle risposte: dove si trovava?? Ma, soprattutto, chi l'aveva liberato?? Quella voce metallica non lo convinceva proprio per nulla... Qualcuno lo stava davvero aiutando o era solo un altro crudele scherzo della sua immaginazione?
Istintivamente, sollevò una mano tremante verso l'alto, dove presumeva si trovasse il volto della figura nebulosa china su di lui; ma la ritrasse all'istante, quando le sue dita incontrarono la superficie metallica di un elmo.
La paura, ma anche la rabbia, lo invasero: che quello fosse di nuovo Moran??
L'aveva risvegliato al solo scopo di torturarlo in qualche altro modo??
Non stava già soffrendo abbastanza??
-... Chi sei??-ringhiò, cercando di usare un tono minaccioso, ma con scarsi risultati: il tremito nella sua voce era evidente.
Per tutta risposta, il cacciatore di taglie alzò le mani e si sfilò il pesante elmo dalla testa, rivelando un volto femminile, i capelli castani legati in una corta treccia, gli occhi nocciola lucidi.
-Qualcuno che ti ama-mormorò Molly Hooper con voce roca, un momento prima di prendere teneramente il volto di Sherlock tra le mani guantate, per poi posargli le labbra sulle sue, in un bacio carico di dolcezza e lacrime.
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