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Broken ice

-... State tutti bene??
Sherlock avrebbe voluto ribattere a John con un qualche commento sarcastico-(come si poteva star bene dopo aver appena evitato letteralmente di striscio un missile e una conseguente esplosione mortale??)- ma sentendo così tanta preoccupazione e sollecitudine nel suo tono lasció perdere, limitandosi  ad un grugnito d'assenso, mentre lui e Molly lo aiutavano ad alzarsi; solo in quel momento si rese conto che la sua mano destra era ancora stretta con forza intorno alla spada laser. Nonostante tutto, non aveva mollato la presa dalla sua arma neppure per un attimo.
Anche Greg e Anderson si alzarono, storditi ma illesi, mentre BS-221, che si era appallottolato nella sua forma difensiva, ritornava a quella originale con un pigolio confuso, la testa a semicupola ondeggiante.
Poco distante, un buco era stato aperto dall'esplosione del missile, anche se non grosso abbastanza da far precipitare il galeone. Doveva essere un missile a potenza ridotta, ma comunque efficace a sufficienza. Certo, se il tiratore non avesse preso bene le misure, molto probabilmente anche loro sarebbero tutti morti...
-... Da non crederci! Ho recuperato la vista. Ora. Proprio un bel tempismo!-esclamò il contrabbandiere una volta in piedi, sbuffando.-Non posso credere di essermi perso il volo di Magnussen nella bocca di quel mostro!
-Consolati. Il rumore che abbiamo sentito lasciava poco spazio all'immaginazione!-ribattè John, scuotendo la testa, le orecchie che ancora fischiavano per l'esplosione.
-‎Già...- concordò Anderson, con una smorfia, affacciandosi a quello che restava della balaustra e osservando la fauci della creatura ancora spalancate, dove Magnussen aveva trovato la morte.-Qualcuno oggi si farà proprio una bella indigestione, questo poco ma sicuro.
-Senza dubbio...-mormorò Molly, con un certo shock nella voce: per quanto fosse sollevata della morte di quell'uomo orribile, la scena a cui lei invece aveva assistito era stata comunque terrificante.
Anche gli altri avevano la medesima espressione in volto, sollevata ma scioccata.
Si ritrovarono infatti tutti affacciati ad osservare per un momento il Saarlac, in silenzio per qualche istante, mentre la battaglia intorno a loro ancora imperversava furibonda, sconvolti e provati per il pericolo appena scampato.
Lestrade però, d'improvviso, si chinò a terra, raccogliendo qualcosa.
-... Qualcuno vuole un souvenir?-fece, ironico, sventolando l'oggetto appena raccolto e mostrandolo a tutti loro: argentato, storto, una lente incrinata.
Gli occhiali di Magnussen.
Dopo un attimo di totale silenzio, scoppiarono tutti a ridere come dei pazzi: come se quel piccolo gesto e quella battuta avessero, in qualche modo, spezzato un incantesimo e fatto tornare un certo sollievo nei loro animi.
Persino Sherlock si unì a quella risata; smise di colpo, però, quando i suoi occhi-finalmente in grado di vedere ogni cosa-si posarono su Molly: a quel punto, trattenne bruscamente il fiato.
John se ne accorse, dandogli una leggera gomitata d'intesa.
-Te l'avevo detto...-gli bisbigliò, ridacchiando divertito.
Anche gli altri due parvero davvero rendersi conto solo in quel momento di cosa la senatrice indossasse: Lestrade spalancò la bocca, attonito, fissandola, e arrossendo.
-Molly... quel...?-iniziò, indicandola, esitante, mentre Anderson abbassava subito lo sguardo con il volto paonazzo.
Anche lei arrossì: sia per l'imbarazzo che per la rabbia.
-Non. Una. Parola- intimò a tutti loro, tirando con disgusto e con espressione schifata una spallina del provocante e succinto bikini dorato che era stata obbligata a indossare da Magnussen: i capelli, acconciati da una delle tante concubine del criminale, erano stati raccolti in uno chignon che le lasciava il collo scoperto, mentre due ciocche arricciate stavano, libere, ai lati del viso. Nonostante alcuni capelli fossero sfuggiti alla pettinatura durante la battaglia, questa era ancora quasi perfetta, incredibilmente: quasi sicuramente per le sostanze che vi avevano applicato sopra. -Non è stata certo una mia scelta!
-‎In realtà non stai poi così male...-mormorò Sherlock, incredibilmente, che ancora la fissava: anche i suoi, di zigomi, erano tinti di rosso.
-‎Credo che tu stia ancora delirando...-borbottò lei, seppur con un leggero sorriso.

Lestrade fu il primo a riprendersi da quella bizzarra situazione.
-Che ne dite di continuare altrove?-propose, con molto buonsenso.-Tra poco questo pacchiano galeone sarà storia vecchia, e credo che il nostro passaggio sia appena arrivato...
Così dicendo, indicò con un cenno del capo una piccola navetta-decisamente più grande delle altre- che stava orbitando sul buco appena creatosi sul ponte del galeone: era proprio la stessa che aveva lanciato quel missile pochi istanti prima, salvandoli da Magnussen.
Il portellone si aprì e una rampa venne subito abbassata.
-Tutti a bordo, presto!-li esortò una voce femminile dall'interno.
Si affrettarono a salire sull'incrociatore, il piccolo droide sferico incluso: una volta che furono tutti a bordo, questo partì all'istante.
Poco dopo, anche tutti gli altri piloti che avevano preso parte all'arrembaggio salirono sui loro e la seguirono, mentre il Dark Shark, colpito ripetutamente dai missili delle navette ribelli, finalmente esplodeva, e i suoi miseri resti precipitavano nella sabbia, divenendo così gli ennesimi relitti dispersi in quella infinita distesa sabbiosa.

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Tutti e cinque crollarono sulle panche metalliche della nave, ansimando, esausti e stremati, ma colmi di un sollievo indescrivibile. Nessuno parlò per almeno un paio di minuti: ognuno di loro cercava di riprendersi.
Sherlock, in particolare, si sentiva ancora sopraffatto, mentre osservava di sottecchi tutte le persone a bordo: le stesse che avevano rischiato la loro vita... per salvare la sua.
Che non gli avevano permesso di affrontare Magnussen da solo.
Insieme agli equipaggi di tutte le altre navette, che in quel momento volavano al loro fianco.
Gettò uno sguardo fuori da uno degli oblò, per poi ripiantarlo a terra: uomini dell'Alleanza- persone che probabilmente neppure conosceva, se non di vista-erano accorsi in suo aiuto. Per lui.
La solitudine è tutto quello che ho.
Mi protegge.
Questo aveva sempre creduto. No, questo si era sempre imposto di credere. Perché affidarsi a qualcuno, in ogni senso, portava solo al tradimento, alla sofferenza... e al dolore.
Ma loro, tutti loro... avevano appena messo in dubbio quel suo assioma.
Ricordò solo in quel momento una frase detta da John, quelli che, ormai, sembravano secoli prima.
"No. Gli amici ti proteggono."
Amici...
-Sei sicuro che ti sia tornata la vista?-gli domandò Anderson, dubbioso, vedendolo con lo sguardo fisso perso nel vuoto: gli agitò due dita davanti alla faccia.-Quante sono queste??
Sherlock, tornando alla realtà e distogliendo la mente da quegli innumerevoli pensieri, gliele scostò con la mano, alzando gli occhi al cielo.
-Due, Philip. Due. Che, guarda caso, è proprio il doppio dei tuoi neuroni.
Il pilota non si offese per quel commento-che era stato comunque detto in modo chiaramente scherzoso-ma rise, dandogli persino un'amichevole pacca sulla spalla, mentre anche gli altri ridacchiavano sommessamente, il capo abbandonato contro la parete, permettendo alla tensione provata fino a quel momento, finalmente, di allentarsi.
-A proposito, vorrei proprio conoscere il genio al timone di questa nave!-esclamò all'improvviso il corvino, sarcastico, tirandosi in piedi, appoggiando la spada laser sulla panca.-Non so se lo avete notato, ma per poco non ci ammazzava, con quel missile che...!
-‎Ti sbagli di grosso, fratellino. Era tutto perfettamente calcolato.
Sherlock trattenne il respiro mentre dalla vicina cabina di pilotaggio fuoriusciva Mycroft Holmes, capo dell'Alleanza Ribelle.

Tutti i presenti, nonostante la stanchezza, scattarono subito in piedi.
-Ho infatti calcolato io stesso la traiettoria e la potenza di fuoco, e io stesso l'ho lanciato-proseguì il comandante, serafico: si rivolse poi agli altri con un sorriso sincero sul volto solitamente serio e compassato.-Riposo. Sedete pure. Sarete esausti, dopo quello che avete passato.
-‎Quindi... c'eri davvero tu dietro a tutto questo! -sibilò Sherlock, facendo solo allora un passo avanti in direzione del fratello maggiore, le braccia lungo i fianchi, i pugni stretti: la gratitudine inizialmente provata era svanita, rimpiazzata, nonostante tutto, ancora dalla profonda rabbia e dal risentimento.-Ti avevo ordinato di smettere di cercarmi, di lasciarmi in pace! E tu invece hai capito "Coinvolgi i miei amici in una missione di salvataggio suicida", e solo per continuare ad avermi sotto il tuo controllo?!?! Non potevi per una volta, una, nella tua vita, lasciarmi in pace e lasciare che prendessi una decisione per conto mio?? Come posso farmi odiare da te più di quanto non abbia già fatto, per farti desistere dal venirmi continuamente appresso??? Non sono stato abbastanza chiaro, l'ultima volta??
Il fratello rimase impassibile, sotto il suo sfogo rabbioso, mentre sull'incrociatore calava un silenzio teso. John si fece avanti per dire qualcosa in difesa del capo Ribelle, ma quest'ultimo, con una sola occhiata, lo dissuase. Lui si fermò, mentre comprendeva: quella era questione tra loro due soltanto.
Una questione tra fratelli.
E dovevano risolverla adesso, in quel momento, o non l'avrebbero fatto mai più.

Mycroft squadrò il minore dall'alto in basso, scuotendo poi la testa.
-... Incredibile. Ogni parola che hai detto è sbagliata.
Sospirò, parendo sinceramente deluso, senza tuttavia abbandonare quell'espressione composta e altèra, così tipica di lui.
Sherlock non indietreggiò di un solo passo, ma aggrottò le sopracciglia, chiaramente confuso.
-Primo: tu a me non ordini proprio nulla.
Le narici del corvino, già a quell'affermazione, fremettero; ma Mycroft non gli diede neppure il tempo d'aprir bocca o di replicare.
-In secondo luogo-proseguì infatti.- Quella che hai testé definito "Missione di salvataggio suicida" non è partita da me. Non è stata una mia iniziativa, bensì è stata promossa e organizzata dai presenti, e da altri volontari. È grazie a loro, a John Watson e a Philip Anderson in particolare, che ho scoperto dov'eri e come farti uscire da Appledore.
Accennò a coloro che stavano dietro, in silenzio: ma Sherlock non si voltò neppure, continuando a tenere i suoi occhi cerulei fissi in quelli scuri del fratello. Un dettaglio sul suo volto lo fece leggermente trasalire: erano forse occhiaie, quelle che scorgeva? Da quanto tempo non dormiva? Persino la sua postura pareva meno rigida del solito: come se una indicibile stanchezza l'avesse schiacciato da molto tempo.
-Tra parentesi, se fosse stato per te, non avrei mai neppure saputo che avevi... "problemi"... col più pericoloso ed efferato criminale della Galassia!-continuò però lui, nel suo solito modo imperioso e sarcastico che tanto lo infastidiva.- Non credi che, forse, avrei dovuto esser quantomeno informato???
Il tono di voce del comandante, seppur velato di sarcasmo, si era alzato di qualche ottava.

-‎Assolutamente no. E lo sai perché?? Apri bene le orecchie, eh? Perché non erano affari tuoi!!-replicò Sherlock, scandendo le parole, nuovamente rabbioso.
-‎Ennesimo errore. Sono affari miei! Specialmente quando riguardano la tua incolumità!
-‎E da quando ti interessa, eh?!?- soffiò l'altro, l'ira che montava sempre di più, alimentata da quel rancore che non riusciva ancora a scacciare del tutto. Eurus, la profezia... Tutti quei segreti, quelle verità nascoste dal suo stesso fratello.-Mi hai mentito su parecchie cose, facendomela rischiare molto di più! Quindi cosa te ne può importare, se vengo congelato nella grafite da un criminale galattico??
-‎Perchè io mi preoccupo per te continuamente, razza di stupido arrogante!!-esplose Mycroft Holmes, abbandonando completamente, per la prima volta, la sua maschera di compostezza, e cogliendoli tutti di sorpresa: Sherlock, in particolare.-Ho sbagliato a mentirti. Ma se l'ho fatto è stato sempre e solo per proteggerti! Sempre!! Anche se tu non hai fatto altro che respingermi. Continuamente. Ma non mi interessa! Insultami!! Disprezzami!! Fai del tuo peggio, come sempre! Ma io non smetterò di preoccuparmi per te e di correrti dietro. Mai! Perché la tua morte mi spezzerebbe il cuore, va bene?? E io la impedirò con tutte le mie forze!! Sarò la tua ombra, se necessario!!

Mentre urlava sempre di più, il comandante si era avvicinato al fratello di due passi: anche Sherlock aveva seguito il suo esempio, in volto la medesima espressione rabbiosa: anche se era evidente il suo tentativo di contenere la commozione che quelle parole gli avevano causato.
E non solo quelle.
La stanchezza e il dolore che leggeva nei suoi occhi... La postura meno rigida... Era stato lui a causarli? Invece di averlo allontanato come credeva, di essersi fatto odiare, con quelle parole dure e cariche di risentimento... Mycroft aveva continuato a preoccuparsi per lui??
-Mi sembra improbabile che tu possa essere la mia ombra!-ribattè infatti a quel punto, volutamente sprezzante, e squadrandolo da capo a piedi.-Guardati! Sei ingrassato, dall'ultima volta che ti ho visto. Ancora un po' e raggiungerai il peso forma di un Hutt!!
Mycroft strinse i pugni e dagli occhi scuri balenò un lampo di collera.
-... È il meglio che sai fare?-ribattè però, sardonico.-Evidentemente in questi mesi il tuo quoziente intellettivo si è abbassato a livello di quello di un Bantha!! Non riesci nemmeno a elaborare un insulto soddisfacente!
John soffocò una quanto mai inopportuna risata, davanti a quel confronto: ma sia lui che gli altri rimasero in religioso silenzio, facendo finta di nulla, ma bevendosi ogni singola parola dei due fratelli che, in quel momento, erano proprio faccia a faccia, i volti rabbiosi a pochi centimetri di distanza l'uno dall'altro.
-Tranquillo, mi sto solo riscaldando! Ne ho ben altri in serbo!-ribattè Sherlock, con un ringhio.
-‎Be', non vedo l'ora!-ringhiò l'altro in risposta, quasi con un ghigno compiaciuto. -Perchè mi sei davvero mancato, pezzo di imbecille che ho disgraziatamente la sorte d'avere per fratello!
-‎Ah, sì?? È così che la mettiamo?! Allora senti questa!-sibilò il riccio, con ira crescente.-... Anche tu mi sei mancato, pomposo e tronfio obeso che non sei altro!!

Scese di botto il silenzio, mentre i due ancora si fronteggiavano, ansimanti, occhi negli occhi, per alcuni lunghi istanti, tanto da far pensare di essersi pietrificati.
Se qualcuno glielo avesse domandato, John non avrebbe saputo dire chi avesse preso l'iniziativa, ma solo che a un certo punto, pressoché contemporaneamente, i due si erano avvinti in un improvviso e impetuoso abbraccio.
... Chi li capisce è bravo, pensò il biondo, mentre un sorrisetto gli increspava le labbra, scambiando con gli altri sguardi complici e sorrisi inteneriti.
Si sentirono altre parole provenire dai due uomini, ma questa volta i toni si erano addolciti, mentre entrambi infine sfogavano quei sentimenti che, per un motivo o per l'altro, avevano forzatamente represso sino ad allora.
-Mi dispiace...-mormorò Mycroft, la voce decisamente rotta, mentre stringeva Sherlock a sé, quasi con disperazione.
-‎... Anche a me-sussurrò lui in risposta, mentre lo stringeva a sua volta, il viso affondato nella sua spalla; anche la sua voce era roca e incerta, come se stesse cercando di trattenere le lacrime.-Ho avuto davvero paura stavolta...
Mycroft rimase paralizzato, a quella frase pronunciata in un sussurro: mai suo fratello aveva ammesso una cosa del genere, prima di allora; si era sempre vantato di non aver paura di nulla, affrontando anche le imprese più pericolose e irrazionali per il solo gusto di provare la sua intelligenza e abilità.
Eppure, mentre lo stringeva, lo sentì tremare: e questo lo scosse ancor più nel profondo. Anche lui, seppur riluttante, dovette intimamente ammettere di aver provato quel medesimo sentimento, al pensiero che avrebbe potuto perderlo.
Ogni parola da lui pronunciata era assolutamente vera: si era sempre preoccupato per quel pazzo irresponsabile che era il suo fratello minore. Per mesi, aveva perso il sonno, la mente rivolta solo al pensiero di Sherlock nascosto chissà dove, in collera con lui a causa di quei segreti a lungo taciuti. Ma, nonostante tutto, non si pentiva del suo silenzio: erano sempre stati, proprio come aveva detto, al solo scopo di proteggerlo. Persino il suo desiderio che entrasse nella Ribellione era sempre stato dettato dal suo desiderio di averlo il più vicino possibile; anche se la sua paura che, prima o poi, sarebbe entrato a contatto con il Sith, era sempre stato il suo peggiore incubo.
Quando poi aveva scoperto che era stato ibernato nella grafite da quel criminale, ricordava ancora la rabbia che lo aveva assalito- e che aveva sfogato non appena aveva lanciato quel missile contro di lui-ma anche una paura profonda, che mai avrebbe pensato di poter provare.
Nulla lo aveva mai spaventato di più in tutta la sua vita, infatti, dell'idea di averlo perso per sempre.
Un brivido lo percorse e d'impulso strinse Sherlock a sé ancora di più, accarezzandogli lievemente, dopo una brevissima esitazione, il capo riccioluto: un gesto che non si permetteva di fare da quando erano bambini; ma a cui il fratello, incredibilmente, non si oppose. Gli pareva di essere tornato a tanto tempo prima, quando lo aveva stretto allo stesso modo dopo un incubo.
-Lo so-gli sussurrò a mezza voce, dolcemente, quasi cullandolo; quel leggero tremore che aveva avvertito cessò a poco a poco, mentre Sherlock, con gli occhi chiusi, si abbandonava in quella stretta e a quel tocco, lasciandosi consolare, ma soprattutto rassicurare, per la prima volta da lungo tempo.-Ma ora sei al sicuro. E quel bastardo non potrà mai più sfiorarti nemmeno con un dito. Me ne sono assicurato personalmente-ringhiò, facendo di nuovo trapelare la sua rabbia.
-‎... Direi... l'hai fatto precipitare nella gola di un mostro dalla digestione spaventosamente lenta...
Fu a quel punto che la commozione e la paura provata da entrambi lasciò il posto ad alcune sommesse ma sincere risate, che scossero i loro corpi, ancora stretti l'uno all'altro in quell'abbraccio.
-Grazie per la spada. So che era la tua- bisbigliò d'improvviso Sherlock al suo orecchio.
-‎Tanto non la usavo da molto tempo. Sarà di certo più utile a te...-replicò Mycroft, fingendosi indifferente: ma un dolce sorriso gli affiorò sulle labbra.

Poi, finalmente, il capo della Ribellione parve realizzare che almeno quattro persone-più un droide-li stavano fissando e che avevano assistito a tutta la scena.
Si separò lentamente dal fratello, poi tossicchiò, cercando di darsi un contegno; venne subito imitato da Sherlock, che sembrava anche lui in imbarazzo: distolse infatti lo sguardo e si passò una mano nei ricci corvini, arruffandoli e sbuffando.
-... Devo recarmi un momento in cabina-annunciò il capo ribelle come nulla fosse, rivolto a John e agli altri, che cercarono di rimanere impassibili, come se non avessero visto nulla.-Credo che Anthea abbia bisogno della mia... assistenza.
Ben consapevole di non essere neppure lontanamente credibile, Mycroft si diresse nella vicina cabina di pilotaggio aperta: non rinunciò, però, a stringere rapidamente, per l'ultima volta, la spalla del fratello minore, ricevendo in risposta un leggero sorriso.

Sherlock sospirò, teso, ma risoluto: aveva superato il primo scoglio, alla fine; era giunto il momento di superarne un altro.
Ne aveva un certo timore, ma andava fatto. Glielo doveva, quantomeno: a ognuno di loro.
Prese un ennesimo respiro profondo e finalmente si voltò verso i suoi... amici, fissandoli negli occhi uno per uno.
-Voi sapete che non sono famoso per la mia capacità di esprimere... sentimenti-esordì.-Anzi, di solito mi limito a non esprimerli. Punto. Trovo difficili questo genere di cose. Quindi ora vi chiedo di ascoltarmi, in silenzio, senza interrompere. Potrebbe essere l'unica volta che faccio questa... cosa-ripetè, nervoso.
Nessuno di loro disse una parola, anche se lo guardavano con un'espressione divertita, ma piena di una sorta di dolcezza.
Rincuorato dal loro silenzio, proseguì.
-Prima di tutto, vorrei chiedervi scusa. E intendo a ognuno di voi. So che non avrei dovuto... fingere la mia morte.
Abbassò lo sguardo a terra, poi lo alzò di nuovo, verso John e Molly in particolare.
-So che avete sofferto. E mi dispiace. Ma, se l'ho fatto, è stato soprattutto per proteggervi. Non volevo che veniste usati di nuovo come esche dall'Impero. Che la vostra vita fosse a rischio solo a causa mia. Ma, a quanto pare, non ho comunque raggiunto il mio intento, dato che voi pazzi l'avete appena rischiata, spontaneamente, solo per salvarmi, nientemeno.

Un sorriso leggero si fece largo sul suo volto.
-Si arriva così alla seconda parte di questo... "discorso". Quella in cui dico... grazie. A tutti voi. Anche a te, Mycroft, che stai origliando lì dietro fingendo di guidare!-aggiunse, ironico.
Una risatina sommessa si levò dalla cabina di pilotaggio e dai presenti.
Sherlock riprese: il suo tono, stavolta, si fece serio e cupo.
-Il congelamento nella grafite è la condizione più vicina alla morte che esista...-mormorò, mentre i suoi occhi venivano attraversati dal terrore e dal dolore.-Non era come dormire. Ero perfettamente sveglio. Sveglio nel Nulla. Nel buio. Era come vivere in un incubo, ma senza alcuna possibilità di svegliarsi. Non ricordo molto di quei momenti. Forse ebbi delle visioni... Ma so bene che cosa ho provato: paura. Più di quanta ne abbia mai provata in tutta la mia vita. Non mi ero mai sentito così solo, così... abbandonato. Eppure, avrei dovuto essere abituato alla solitudine. Sono sempre stato... solo. Ma poi, un giorno, tutto è cambiato.
Lanciò un'occhiata al pilota ribelle, che gli rivolse uno sguardo d'intesa e un sorrisino complice.
-Durante questi due anni passati con l'Alleanza, ho iniziato a comprendere che avere qualcuno intorno, fare parte di qualcosa di più, combattere per una causa più grande e non solo per me stesso... era... bello. Piacevole, addirittura. Più di quanto avrei mai potuto immaginare-proseguì il riccio, e la sua voce mutò, facendosi riflessiva.-Avevo di nuovo un mio posto: un luogo da poter chiamare... casa. Ma mi sono reso conto di quanto questo fosse vero solo nel momento in cui ho finto di essere morto, con la consapevolezza di non poter mai più far ritorno. Perché in questi mesi passati lontano mi siete mancati. Tutti. Ogni singolo giorno. E questo mi ha fatto soffrire come mai avrei creduto possibile.
Il corvino notò che dagli occhi della senatrice era scesa una lacrima: trattenendo l'emozione, proseguì, determinato a non tralasciare nulla di quello che sentiva in quel momento.
-Credevo che non avrei potuto soffrire più di così. Purtroppo mi sbagliavo... Sono stato catturato da Moran, e condannato ad un destino ancora più orribile, peggiore della morte stessa. E mi sono arreso, credendo che ci sarei rimasto in eterno. Voi invece... mi avete salvato. E solo perché ci tenete, a me... perchè siamo... amici. Io ancora stento a crederlo. Non è un segreto che il mio carattere sia alquanto... insopportabile, spesso e volentieri.
Lanciò un'occhiata ad Anderson, che fece un mezzo sorriso in risposta.
-Ma voi l'avete fatto. Siete venuti a salvarmi. Avete messo a rischio la vostra vita... solo per salvare la mia. E credetemi, questo per me significa in un modo che non credo neppure di riuscire a spiegare bene. È come se aveste dato un valore maggiore, ad essa.

Prese fiato, cercando di contenere l'emozione crescente, che però non lo soffocava come si era aspettato: al contrario, lo liberava. Tutto ciò che non aveva voluto condividere, che aveva cercato di nascondere o trattenere fino ad allora si liberò finalmente dalle catene della freddezza e della razionalità, esprimendosi appieno.
-Avevo perso la fiducia nel prossimo. Avevo deciso di smettere di legarmi. Non volevo più soffrire, essere tradito, o abbandonato.
Percorse di nuovo i presenti con lo sguardo, gli occhi lucidi.
-Ma ora non più. Ho di nuovo fiducia. Voi, tutti voi, me l'avete restituita.
Sospirò un'ultima volta, provato dal quel tumulto ed esternazione di emozioni, ma sentendosi anche più leggero.
-Be', credo di aver detto tutto quello che dovevo dire. Ora mi aspetto innumerevoli prese in giro da parte vostra per questo melensa manifestazione di sentimentalismo del sottoscritto-concluse, scrollando le spalle.
Ma il silenzio perdurò: Sherlock, guardandoli, notò che avevano tutti gli occhi lucidi come lui (Anderson incluso) e immobili. John fu il primo ad agire: scambiò uno sguardo d'intesa con gli altri, che sorrisero e annuirono.
-Credo di interpretare al meglio il pensiero di tutti i presenti, nel dirti questo: ci sei mancato anche tu, Sherlock Holmes. - Il pilota sorrise, commosso.-Bentornato a casa.
Si fece poi avanti di altri due passi, risoluto: prima che Sherlock potesse riaversi da quella frase, lo abbracciò con forza, proprio come nella cella e proprio come aveva fatto dopo l'esplosione della Morte Nera.
Ma non fu l'unico.
Molly lo seguì a ruota, gettandogli le braccia al collo e baciandolo delicatamente sulle labbra.
La seguì il generale Lestrade, che gli passò un braccio intorno alle spalle, in un gesto cameratesco ma colmo di affetto sincero.
Solo Philip esitò, imbarazzato: ma poi prese coraggio e si avvicinò, stringendogli un braccio con un timido sorriso.
Persino BS-221 si unì, rotolando proprio in mezzo ai loro piedi e cinguettando in bassi decibel.
Sherlock si ritrovò letteralmente circondato dai suoi amici, stretti l'uno all'altro in una sorta di abbraccio di gruppo.

"Crack"

Nessuno, a parte Sherlock, udì quel rumore: solo lui poté udirlo.
L'impenetrabile muro di ghiaccio che per anni aveva eretto intorno al suo cuore-e che aveva, dopo l'incontro con John, cominciato a sciogliersi- si era finalmente frantumato in un colpo solo, come colpito da un siluro di straordinaria potenza: i suoi frammenti si dispersero nel suo animo, ma senza ferirlo e senza lasciare traccia.
Sherlock, rimasto in principio immobile, spalancò le braccia, cercando, per quanto possibile, di stringere o perlomeno sfiorare tutti loro. Chiuse gli occhi e sospirò, mentre una meravigliosa sensazione di sollievo, gioia e appartenenza lo pervadeva e un sorriso si faceva lentamente strada sul suo volto.
Sentì all'improvviso qualcosa di bagnato scorrere dai suoi occhi chiusi fin sulle sue guance e realizzò che stava... piangendo.
Ma queste erano lacrime piacevoli.
Erano lacrime di gioia.

Mycroft Holmes, in piedi poco dietro di lui, osservò quel ridicolo abbraccio di gruppo con un sorriso lieve, e si accorse che una lacrima era sfuggita al suo controllo: l'asciugò rapidamente, vergognoso. Ma vide poi Anthea sorridergli e fargli inequivocabili gesti col capo. Dopo l'iniziale esitazione, fece una scrollata di spalle: tanto, ormai, la sua reputazione di "uomo di ghiaccio" era già stata irrimediabilmente compromessa...
Si fece dunque avanti e strinse una spalla del fratello minore, unendosi anche lui a quell'abbraccio ridicolo, ma pieno d'amore. Trattenne l'ennesimo sorriso, mentre realizzava che aveva avuto ragione, alla fine: quell'ex assaltatore imperiale aveva davvero cambiato suo fratello.
In meglio però.
E Sherlock, circondato dai suoi amici-e da suo fratello, addirittura-la sentì di nuovo, con estrema chiarezza. Quella strana sensazione.
L'aveva avvertita anche sul galeone di Magnussen, mentre si tenevano tutti per mano. Ma, stavolta, la sentì ancora più amplificata, scorrere nelle vene fino al suo cuore, e colmandolo di un calore mai provato prima d'allora.
Per una volta, non si fece domande: si limitò ad abbandonarsi totalmente in quell'abbraccio e ad essa, felice come non era mai stato.

---

Tutti gli incrociatori attraccarono nel sistema di Illinium, il nuovo avamposto dell'alleanza: un pianeta piuttosto piccolo, ma lontano dalle rotte imperiali.
Una volta al cospetto degli equipaggi delle altre navette, Sherlock dovette necessariamente ringraziare anche loro: lo fece con meno enfasi di quella di poco prima, ma non per questo il suo ringraziamento fu meno sincero.
I piloti, d'altro canto, lo ricambiarono con sorrisi e pacche sulle spalle; alcuni, addirittura, con strette di mano, a cui Sherlock si ritrovò a rispondere con incredibile spontaneità, stupendosi ancora una volta: forse non era stato detestato così tanto da tutti come aveva sempre creduto, tutto sommato...
Prima di congedarli, Mycroft raccomandò loro di non rivelare a nessuno del ritorno di Sherlock: l'avrebbero fatto ufficialmente quella sera, una volta che l'intera Alleanza si fosse riunita.
Tutti a quel punto si allontanarono, compreso Lestrade, che condusse Anderson verso l'infermeria, per fargli medicare la spalla. Molly invece si diresse alla sua stanza: fremeva dal desiderio di togliersi quel ridicolo bikini.
Anche Sherlock fece per allontanarsi insieme a John, ma il capo ribelle lo fermò.
-Dovresti farti visitare-gli consigliò, non riuscendo a celare una nota di preoccupazione nella voce.-L'ibernazione potrebbe aver...
-Ora non fare la mamma chioccia, per favore. Sto benissimo!-lo interruppe però il corvino, roteando gli occhi e sbuffando.
Mycroft non parve del tutto convinto, ma non insistette, rincuorato anche dal ritorno del fratello minore al suo solito atteggiamento. Questi, nel frattempo, si stava guardando intorno nell'hangar dove erano atterrati, come se cercasse qualcosa.
-Piuttosto, dov'è?
-Cosa?-Il capo ribelle, pur avendo perfettamente inteso, inarcò un sopracciglio, facendo lo gnorri.
-‎Lo sai cosa!-ribattè però Sherlock, fulminandolo con lo sguardo, gli occhi stretti, falsamente minaccioso.
Mycroft gli fece infine un mezzo sorriso, porgendogli una chiave magnetica.
-Hangar sette. Lucidata e messa a nuovo. Si fa per dire... farla peggiorare è impossibile.
John ridacchiò quando l'amico fulminò nuovamente il fratello: il contrabbandiere era sempre stato  piuttosto suscettibile riguardo alla sua... ferraglia.
Il corvino gli fece poi un cenno d'intesa, invitandolo a seguirlo.
-Mi assicurerò io che vada in infermeria...-bisbigliò però il pilota al capo ribelle, in tono cospiratorio:
gli fece poi un'ultima strizzatina d'occhio e raggiunse l'amico, già tallonato dal piccolo droide.
Mycroft scosse la testa, sorridendo leggermente, mentre seguiva i due con lo sguardo.
Solo quando furono ormai spariti dall'hangar, si diresse alla Diogenes, la mente di nuovo ai problemi della ribellione, ma il cuore e lo spirito più leggeri.

---

-E così... conduttore di luce, eh?
-Già... credimi, non avevo la benché minima idea di che cosa stesse parlando!
John, durante il tragitto verso l'hangar, aveva finalmente raccontato tutto all'amico: di Victor, del sogno, e di ciò che gli aveva rivelato.
E lui era dapprima trasalito - soprattutto quando aveva pronunciato il nome del suo Maestro- poi aveva ascoltato il resto in silenzio, ma con gli occhi decisamente lucidi.
-Credo che avrò molto su cui riflettere, nei prossimi giorni-mormorò infine.
Il pilota scosse la testa, ridendo.
-Allora siamo in due...
Anche il corvino rise, ma la sua espressione si fece distante e, per un po', continuarono il tragitto in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri.
-Cosa intendevi prima?-gli domandò però il biondo.
-... Prima quando?
-Hai detto a tuo fratello che ti ha nascosto parecchie cose.
Il viso di Sherlock si incupì notevolmente, lasciando trasparire un profondo dolore, ma anche tristezza.
-Preferirei non parlarne. Non ora.
Nè mai, se potrò evitarlo, aggiunse mentalmente.
John, vedendo la sua espressione, preferì non insistere; sperava solo che, prima o poi, l'amico si sarebbe deciso a confidarsi con lui in merito alla questione che sembrava turbarlo così profondamente.
-A proposito, è carina?-gli domandò però Sherlock, di punto in bianco.
-... Chi??-L'altro si voltò verso di lui, interdetto.
-La ragazza bionda e riccia che stai frequentando-replicò l'altro, tranquillissimo, come se avesse detto qualcosa di ovvio.
John sgranò gli occhi, attonito.
-Come diavolo fai a...??
Il contrabbandiere si fermò e, senza dire una parola, portò la mano sulla spalla dell'amico, da cui tolse qualcosa con due dita, che poi gli sventolò sotto il naso con un sorrisetto sardonico: era un capello biondo e riccio.
-Non credo che questo sia tuo... E chiunque l'abbia perso credo abbia avuto un incontro ravvicinato con te. Molto ravvicinato-sottolineò, sarcastico.
Il pilota scosse la testa, quasi esasperato: tenere un segreto con quell'uomo era pressoché impossibile. Il resto del tragitto fino all'hangar proseguì, ma stavolta intervallato da risate, alleggerendo di nuovo l'animo di entrambi.

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-Mi sei mancata, vecchia mia...-mormorò Sherlock, passando lentamente la mano sullo scafo della London in una carezza leggera, gli occhi lucidi. Si voltò verso John.
-... Ti dispiace se salgo un momento da solo?-gli domandò, quasi imbarazzato.
-Certo che no. Fa' pure. Prenditi tutto il tempo che ti serve-gli rispose lui, con un sorriso: era ben consapevole dell'emozione del suo migliore amico, che aveva dovuto rinunciare alla sua amata nave così a lungo.
Il corvino gli sorrise grato e tirò la leva, abbassando così la pedana e salendo a bordo della London, mentre il piccolo BS-221, i cui circuiti erano esausti dopo quella lunga giornata, anziché seguirlo si spense, ricaricando così le batterie.

John, nel frattempo, si sedette su un bidone di combustibile, assorto nei suoi mille pensieri: era ovviamente felice di aver di nuovo il suo migliore amico al suo fianco, sano e salvo, soprattutto dopo averlo creduto morto. Tuttavia, era ben consapevole di quello che ancora li attendeva, e che purtroppo il peggio dovesse ancora arrivare: la minaccia rappresentata da Moriarty incombeva infatti su di loro ancor più di prima. Si augurava quantomeno che sia lui che Darth Wind scoprissero il più tardi possibile che Sherlock era ancora vivo, in modo da permettere a quest'ultimo di riprendersi appieno dall'ultimo periodo, soprattutto dalla prigionia.
Ma... se Sherlock avesse voluto affrontarlo subito?? Se avesse agito di nuovo da solo, senza aspettare l'appoggio della Ribellione??
Per quanto un grande cambiamento fosse avvenuto in lui-durante quel periodo di isolamento volontario-rimaneva sempre e comunque un impulsivo, una testa calda.
Trattenne un sorriso: proprio come lui, a pensarci bene.
Cercò però si rassicurarsi: per quanto avventato, Sherlock aveva finalmente compreso che la Ribellione era dalla sua parte, anzi, che avevano bisogno l'uno dell'appoggio dell'altro, per poter trionfare.
Comunque, avrebbe dovuto...
Un improvviso rumore di passi alle sue spalle lo fece sobbalzare e poi voltare di scatto, distogliendolo da quel flusso continuo di pensieri.
-Oh! John, caro. Mi ha spaventata!-esclamò Mrs Hudson, con sua sorpresa, raggiungendolo.-Non sapevo che Mike avesse dato anche a lei la chiave dell'hangar!
Lui la guardò interrogativo.
-... Mike?
Lei annuì, sorpresa.
-Ma sì, Mike...-Sgranò gli occhi, e si portò una mano alla bocca, imbarazzata.-Ops!! Volevo dire Mycroft, naturalmente! La prego, non gli dica che gliel'ho detto, odia essere chiamato così! Ma è una vecchia abitudine, per me...

John strinse le labbra per impedirsi di ridere.
-Il suo segreto è al sicuro, non dubiti.
La donna sorrise, sollevata: passò poi lentamente una mano sullo scafo del mercantile, proprio come aveva fatto Sherlock poco prima.
-Vengo qui spesso, sa? Dopo il mio turno in cucina, di solito. O a tarda notte...-Un triste sospiro sfuggì dalle labbra dell'anziana donna.-Lui la... amava. Ricordo che una volta ha addirittura insistito per farmi fare un giro!... C'è così tanto, di lui, in questa nave. A volte mi sembra ancora di sentirlo, addirittura...
Il pilota, dapprima confuso da quel discorso, impallidì di botto: va bene, la missione di salvataggio era segreta, ma era certo che almeno lei sapesse che...!
-Ehm... signora Hudson...
Mik-Mycroft...-si corresse, fulmineo.-Non le ha detto nulla??? Non l'ha... informata??
-... Riguardo a cosa, caro?-replicò lei, fissandolo confusa, mentre la supposizione di John si rivelava, purtroppo, esatta.
-Signora Hudson, forse è meglio che si sieda...-La prese con delicatezza per un braccio e si affrettò a condurla verso il bidone di combustibile, mentre lei lo guardava confusa.-Devo dirle qualcosa che...
Ma, disgraziatamente, era stato troppo lento.
-... Giuro che stavolta mi sentirà, quel mangia torte da strapazzo!-Sherlock scese dalla London a passi pesanti, gesticolando, chiaramente infuriato.-Gli avrò detto un milione di volte che tenere inserito il freno a mano mette sotto stress l'Iperguida! Tutti lo sanno!! Ma lui mi ha dato forse ascolto?? Ah, ma stavolta giuro che...!!
Interruppe bruscamente il suo sproloquio contro il fratello maggiore e aggrottò la fronte, confuso.
-... John... Perché la signora Hudson è svenuta?

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